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Pietro Della Vecchia (Vicenza? 1603 - Venezia 1678) - lo stile pittorico

 

 

 

Pietro della Vecchia fu educato nella bottega del Padovanino, assieme a Pietro Liberi e Girolamo Forabosco. Non è da escludere però l’ipotesi che, in precedenza tra il 1619 e il 1621, il giovane pittore fosse impiegato come apprendista nella bottega di Saraceni e Le Clerc. Lo testimonierebbe, tra l’altro, quel Cristo e l’Adultera (già mercato antiquario) dal pronunciato chiaroscuro caravaggesco (Aikema 1984), firmato e datato 1620. Inoltre nella sua prima grandiosa opera pubblica, la Crocifissione della chiesa di San Lio a Venezia, le “larghe e brillanti stesure cromatiche”, nonché il “continuo gioco di ombre e luci”, denotano “l’influsso del Saraceni” (Gambarin 1959-60).

Nel Martirio dei santi Gervaso e Protasio (1652) della parrocchiale di Carpenedo (Venezia) “Pietro Vecchia began to use chiaroscuro to enhance the drama of his compositions. Once more the artist turned to Caravaggesque sources, but interpreted them so that they do not disturb the unity of the composition. As a result, the picture conveys a much more Baroque impression than Vecchia’s earlier monumental religious works. With its limited range of colours, its dramatic movement and crude realism, this scene of martyrdom seems a prelude to the tenebroso movement, wich came into fashion at the end of the sixth decade” (Aikema 1984).

La sua produzione più famosa fu però quella di quadri da cavalletto, “condotti con una pennellata irruente, ricca di spumosità e di effetti luministici” (Lucchese 2004). Tale produzione sviluppò, di preferenza, il tema del ritratto di fantasia (bravi, guerrieri, coppie di amanti) che riproponeva liberamente modelli cinquecenteschi. “Tanto era il Vecchia entrato ne’ misteri d’alcuni de’ più gravi autori, che non solamente ricopiando, ma inventando da sé ne contrafacea perfettamente le varie maniere, e alcune di quelle sue innocenti imposture si venerano ancora nelle più celebri gallerie, come quadri originali degl’imitati Maestri. Forte dunque fu lo stile di questo Pittore, formato sulle maniere di Giorgione. [...] La tinta sua fu calda e sanguigna, come l’originale, il pennello facile, il tocco spiritoso sufficientemente; e le forme delle figure sue eran prese direttamente dal naturale senza aggiungervi molta eleganza o nobiltà. [...] Il maggior suo diletto erano certe invenzioni di alcuni giovinetti vestiti bizzarramente alla foggia del 1400. con armature, cappelli con piume, e abiti divisati appunto alla Giorgionesca” (Zanetti 1771).

Proprio su questo genere di opere, che della Vecchia produsse in gran numero, si accanì il biasimo della critica del primo Novecento. Lionello Venturi (1913) lo definì “un vero e proprio falsificatore che senza accorgersi faceva di Giorgione un’odiosa caricatura”, mentre per Giuseppe Fiocco (1929) l’artista “non avendo saputo rinsanguare la vena tradizionale del maestro Padovanino, la volse all’imitazione codarda”. Tali giudizi risultano oggi superati grazie al recupero della sua personalità artistica attuato dalla critica più moderna. Già Arslan (1946) riconosceva al pittore un tentativo di riforma del linguaggio veneziano seicentesco, “una intenzionalità di ricerca che va ben oltre il gioco falsificatorio”. Attualmente, le sue imitazioni, per quanto esperte e disincantate, non sembrano nemmeno rasentare la falsificazione, ponendosi piuttosto come esercitazioni “a la manière de...”, spassionate e ironicamente pungenti per quei richiami di romantica nostalgia negli atteggiamenti, nelle acconciature, nella foggia delle vesti, caricata con ironica bizzarria (berrettoni ed elmi piumati, calze e brache multicolori, else ed armature baroccamente istoriate). Proseguendo su questa strada della Vecchia amplificò la realtà enfatizzando al massimo la comunicazione espressiva, giungendo così al grottesco. Nota allora Pallucchini (1981) come “l’accento suo più sincero sia quello dove mediante una linguistica convulsa e sgangherata egli confessa una cupa inquietudine, una angoscia camuffata nel ghigno burlesco”.

Va detto inoltre che mentre “le speculazioni cabalistiche furono prese perfettamente sul serio dalla maggior parte degli intellettuali del Cinque e Seicento, altrettanto non si può dire della stregoneria e di altre presunte pratiche magiche, come la chiromanzia. A questi temi il Vecchia ha dedicato dei gustosi dipinti che sicuramente avevano l’intento di divertire il pubblico; un bell’esempio è la tela nel Museo Civico di Vicenza che raffigura, per l’appunto, un Chiromante. Un’altra immagine spiritosa capovolge in un modo comico la famosa frase di Cicerone, cedant arma togae: un soldato minaccia un vecchio studioso con la spada, sulla quale sta scritto il motto ius in armis, cioè esattamente l’opposto del dictum ciceroniano (Heidelberg, Kurpfälzisches Museum)” (Aikema 2001).

 

 

Daniele D'Anza

 

 

giugno 2005