F. Zanin, Solenne regata in onore di Edoardo, Duca di York, olio
su tela. Collezione privata
Francesco Zanin nasce a Nove in
provincia di Vicenza il 22 giugno 1824 da Martino “fornasier”
(fornaciaio) - come attesta l’atto di battesimo della parrocchia dei Ss.
Pietro e Paolo di Nove.
I primi documenti su Francesco si trovano nella
Matricola Generale degli alunni
dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove risulta iscritto per il
biennio 1849-50 alle scuole di Architettura, Prospettiva e Paesaggio,
quindi sotto gli insegnamenti rispettivamente di Francesco Lazzari,
Federico Moja e Francesco Bagnara. Alle tre scuole ottiene ottimi voti e
già nel 1850, a conclusione del primo anno di iscrizione, lo troviamo
tra gli espositori, con
Chiostro di monastero,
alla consueta mostra annuale dell’Accademia che si teneva in agosto.
L’anno seguente Zanin espone
Angolo rientrante di fabbriche diroccate, dipinto eseguito come
saggio finale del corso di paesaggio tenuto da Bagnara; lo stesso
soggetto fu presentato da Carlo Matscheg e Giacomo Berti. Tutti e tre i
pittori risultano vincitori della medaglia e Zanin anche della medaglia
in disegno “Per la riproduzione in disegno a memoria di varii studi
anteriormente copiati dal vero”. Il soggetto e quanto pubblicato negli
atti di quell’anno, evidenziano le grandi novità apportate al corso di
paesaggio con l’insediamento alla presidenza di Pietro Selvatico. Le
lezioni venivano divise in due parti; la prima consisteva nella “copia
in dipinto” per la quale fu scelto a modello “un paese con torrenti del
sig. Turpin”,
la seconda consisteva nella “copia dal vero in dipinto”. Quest’ultima
prova era la vera novità del corso, perché gli studenti dovevano per la
prima volta andare a dipingere all’aperto, en plein air; anche i
docenti per dare il loro giudizio si recavano nel luogo scelto dagli
alunni per confrontare il dipintocon la realtà.
In questi primi anni Zanin espone
regolarmente in Accademia:
nel 1853 espone due opere Veduta della
Chiesa della Salute in Venezia
e Una notte di carnevale nel campo de' SS. Gio.
e Paolo.
Nel 1854 cinque opere, di cui tre oli: La Piazzetta di Venezia al
chiaro di luna, Interno della chiesa di S. Marco,
Battistero della Chiesa dei Frari e due acquerelli: Veduta della
Chiesa della Salute e Porta della Carta;
nel 1855 Interno della chiesa di S. Marco, Porta del Tesoro,
Porta di Pergamo.
Zanin
continua ad esporre fino al 1860 vedute dei siti veneziani più famosi,
e dal 1861, accanto ai titoli delle opere appare la menzione di
imitazione o copia dei quadri di Canaletto, Canale che serve
d'ingresso all'Arsenale di Venezia, eseguito ad imitazione del Canaletto
oppure Veduta della Chiesa dei SS. Gio e Paolo in Venezia, copia di
un Canaletto.
Nel 1866 partecipa alla Società Promotrice di Belle Arti di Genova e a
quella di Torino, esponendo in entrambi i casi un tema simile
Interno della Basilica di
S. Marco
e Interno della chiesa di
S. Marco in Venezia.
La critica in genere riserva
all’artista vicentino giudizi non favorevoli e poco frequenti, sebbene
nel complesso fosse noto il favore che incontrava presso i
collezionisti, particolarmente stranieri, per i quali dipingeva i luoghi
più conosciuti di Venezia e della sua tradizione pittorica.
Nonostante la situazione critica che
molti artisti si trovarono a vivere alla metà del secolo e nel periodo
postunitario, che per esempio costrinse Carlo Matscheg ad abbandonare la
pittura di vedute per dedicarsi alla decorazione, Zanin trovò un
proficuo filone commerciale nel mercato anglosassone, risalendo al quale
è iniziata ai giorni nostri la riscoperta di questo epigono dell’antica
tradizione vedutistica. L'artista vicentino fu attento anche alle novità
introdotte da Caffi, come la veduta della città notturna, alla quale
anche Zanin stesso ebbe modo di dedicarsi.
Con il mutare del gusto e con le
innovazioni che investirono la scuola di paesaggio e prospettiva, la sua
fortuna presso i collezionisti iniziò a mancare ed egli venne reputato
dalla critica come mero imitatore di Canaletto, come risulta dalle
recensioni delle mostre: “si compiace imitare il Canaletto e cadere
perciò in tutte le conseguenze […] di chi imiti più gli autori che il
vero”;
“Francesco Zanin, il quale, per non so quale capriccio, tentando imitare
il Canaletto, acquistò le tinte proprie di un quadro vecchio, anziché
quelle più belle, che la luce li mette dinanzi”;
“sig. Francesco Zanin volle insistere nelle sue imitazioni del Canaletto
[…] E quali sono di fatti le conseguenze di siffatte sue imitazioni? Una
tinta uniforme, monotona, dominatrice in ciascun suo dipinto; certi
sporchi, che per non derivare dagl’insulti, che il tempo reca alle
pitture, e meglio talora le armonizza, fanno invece riuscire pesanti le
sue; un filettare, che se al Canaletto veniva suggerito dal sentimento
proprio, ed individuale, nell’imitazione sono segni insignificanti, per
non dire disgustosi: tali sono le conseguenze in generale delle
imitazioni, ed in questo caso di quelle del signor Zanin.”
Il suo legame ideale con Canaletto, o
se vogliamo il suo imitare e qualche volta addirittura copiare con
successo le opere del Maestro settecentesco, costituiscono semmai prova
della fortuna ininterrotta di Canaletto anche nell’Ottocento. Fortuna di
cui tratta anche lo scritto Del Canaletto di Niccolò Tommaseo
dato alle stampe nel 1838.
Il patriota italiano, elogiando il Maestro, conclude che “l’arte è nata
non già per essere imitatrice dell’arte, ch’è allora raggio ripercosso
di luce riflessa, ma per illustrare la natura e rinnovarla d’effetto
generoso”.
Ciò che i critici contemporanei contestavano a Zanin era di imitare
passivamente Canaletto, rappresentando gli stessi scorci in maniera non
soggettiva. Il suo essere pittore prospettico alla stessa maniera di
Canaletto fu dunque ritenuto ad un certo punto della carriera, un
limite, in un epoca in cui l’Accademia si era rinnovata, mutando anche
il gusto dei collezionisti rivolgendolo alla nuova generazione di
paesaggisti.
Zanin con la sua maestria, con il suo
perfezionismo assimilabile a quello del Maestro, aveva colmato la grande
richiesta di opere di Canaletto ormai introvabili, talché, come
sostengono alcuni critici suoi contemporanei, molte opere non furono
intenzionalmente firmate dall’artista per facilitarne lo smercio nel
mercato dei vedutisti del Settecento. Basti notare che in molte opere
Zanin faceva precedere alla firma il numero di reiterazione del soggetto
rappresentato. Ad esempio nell’opera Il rio dei Mendicanti e la
Scuola di San Marco, (nella Collezione della Fondazione Palazzo
Coronini Cromberg di Gorizia), copia di un’opera di Bernardo Bellotto di
proprietà delle Gallerie dell’Accademia di Venezia che in passato si
pensava fosse ascrivibile a Canaletto, il vicentino firma N° 33.
Zanin Fran.co 1869. In questo caso specifico il numero 33 sta a
significare che Zanin ha realizzato fino al 1869 almeno 33 copie delle
stesso dipinto, alcune delle quali sono apparse nel mercato antiquario
con la firma apposta da Zanin e altre, prive di firma, verosimilmente
assorbite dal mercato come autentici Canaletto.
Nel panorama dei vedutisti veneziani
dell’Ottocento Zanin è un pittore all’inizio della sua carriera quotato
e di un certo valore, maestro in uno specifico filone in cui svolge la
sua attività. Si è accostato alla produzione di Canaletto copiandone
spesso i dipinti, ma allo stesso tempo assimilandone il gusto e
rinnovandolo con l’invenzione e reinterpretazione di nuovi soggetti come
il Ponte delle Pazienze ai Carmini oppure rappresentando la nuova
Stazione ferroviaria.
F. Zanin,
I festeggiamenti per il nuovo acquedotto in
Piazza San Marco, olio su tela, firmato e datato Zanin Fran.
1877. Collezione privata
Nell’opera I festeggiamenti per il
nuovo acquedotto in Piazza San Marco Zanin mostra una festa notturna
in Piazza San Marco, in occasione di un evento contemporaneo, come si
desume dalle fogge delle macchiette in Piazza e dal tricolore italiano
issato sopra le Procuratie sulla destra.
Come nel Settecento, anche
nell’Ottocento si celebrano nelle vedute le feste veneziane. Il maggiore
rappresentate di questo genere fu Ippolito Caffi, che con la sua Venezia
rischiarata da luci artificiali ne aveva svelato un volto nuovo. Zanin
si destreggia sapientemente nella resa degli effetti delle varie fonti
di luce artificiale: quella dei fuochi d’artificio, che investono il
campanile, la biblioteca marciana e la parte superiore della Basilica,
quella dei lampioni a gas inaugurati a Venezia nel 1843 e quella del
faro che illumina la fontana enfatizzandola. La festa qui celebrata è
quella per l’inaugurazione dell’acquedotto, voluto dal governo italiano
dopo l’annessione di Venezia al Regno d’Italia. In quest’occasione venne
allestita in piazza una fontana provvisoria, visibile nel dipinto in
basso a destra. In questa tela Zanin unisce le nostalgie settecentesche
alla contemporaneità, inquadrando l’evento in una tradizionale
prospettiva della Piazza e enfatizzando la modernità con un minuzioso
racconto episodico.
Con il cambiamento del gusto a Zanin
vennero a mancare i compratori e i mezzi per sopravvivere, talché il
pittore morì per indigenza e in solitudine nella sua stanza a Venezia il
giorno di Natale del 1884.
Elena Catra
Approfondimenti:
Per la sezione Documenti si veda
Il Vasaio innamorato. Scritti per gli ottant’anni di Alessio Tasca,
a cura di Elisa Prete e Nico Stringa, Treviso, Canova, 2010, pp. 55-57.
Del
conte Lancelot – Théodore Turpin de Crissé le Gallerie
dell’Accademia possiedono due opere donate dal pittore,
Paesaggio con centauri e Paesaggio con antichi ruderi
per cui si veda S. Moschini Marconi, Gallerie dell’Accademia
di Venezia – Opere d’arte dei secoli XVII, XVIII, XIX, Voll.
III, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1970, n. 533 e 534.
Il nobile parigino, pittore di vedute e di paesaggi, trovato in
Venezia un ambiente a lui congeniale, vi si stabilisce
all’inizio degli anni Trenta, ricevendovi una cordiale
accoglienza in accademia, grazie anche ai buoni rapporti
instaurati con il Presidente Cicognara. La sua presenza in veste
di espositore alle rassegne veneziane si osserva solo alle
edizioni del 1833 e del 1838 e pur non essendo delle più
consistenti dal punto di vista quantitativo, la sua produzione
rivela qualità pittoriche tali da suscitare l’entusiasmo e
l’elogio del pubblico e della critica. La sua pittura
caratterizzata dalle luci nordiche e gli effetti particolari fu
probabilmente l’ispiratrice della pittura di Caffi.
Veduta
della Chiesa di S. Marco in Venezia,
Il ponte delle Pazienze e l'Apside esterno della
chiesa di S. Maria del Carmine in Venezia, ai N. 14 e 44,
Elenco degli oggetti..ivi.,
1856;
Veduta della Chiesa e del Campo SS. Gio. e Paolo, La
Porta della Carta, Altare di S. Giacomo nella Chiesa di S. Marco
in Venezia, ai n. 57, 84, 85,
Elenco degli oggetti..ivi., 1860.
Rispettivamente
ai numeri 64 e 65 assieme a
63. Altare di S. Pietro nella chiesa dei Frari
in Venezia, 66. Altar Maggiore
nella Basilica di S. Marco in Venezia,
Elenco degli oggetti..ivi.,
1861.
E così avanti fino al
1881; 55.
Interno della chiesa di S. Marco in Venezia, secolo XVIII,
88. Canale di S. Lucia in Venezia, imitazione di Canaletto,
89. Dogana della Salute, simile, 90. Canale di SS.
Gio. e Paolo, copia da Canaletto, 157. Facciata della
Chiesa dei Scalzi in Venezia, nel 1862; 83. Isola di S.
Michele presso Murano, imitazione del Canaletto, 84.
Fondaco dei Turchi in Venezia, imitazione del Canaletto, 85.
Isola di Marghera, copia da Canaletto, 86. Palazzo
Corner sul Canal Grande, simile, 87. Veduta della
Cripta o sottoconfessione della Chiesa di S. Marco in Venezia,
88. Veduta simile, nel 1863; 91. Chiesa della Carità,
92. Isola di
S. Giorgio e Punta della Dogana,
94. Punta della Dogana in Venezia, 95. Veduta di S.
Pietro di Castello, 96. Altare di S. Giacomo nella
Basilica di S. Marco. Epoca e costumi del 1500, 97. Canal
Grande di Venezia con la regata, 98. Isola di S. Michele
presso Murano, 99. Palazzo Goldoni e di Marco Polo a
Venezia, 100. Ponte del Paradiso nel 1864; 28.
Campo San Lio con funerali a Canaletto, 42. Chiesa di San
Lio con funerali di Canaletto nel 1878; 5. Veduta della
Piazzetta e Piazza San Marco, 9. Stazione ferroviaria
nel 1881 all’Esposizione d’Arte antica e Moderna di Palazzo
Pisani.