Ottavio Roberto Attilio Steffenini (Cuneo 1889 – Milano 1971)
 

 

 

 

O. Steffenini, Autoritratto. Già mercato antiquario

 


Il detto popolare: “Nessuno è profeta in patria” s’adatta a meraviglia ai pittori nati nell’800 a Cuneo, città che non offriva sbocchi culturali di grande interesse. Fu così che Giovanni Arnaud (Cuneo 1826 - Volpiano 1869) svolse la sua attività a Torino. Guido Meineri (Cuneo 1869 – Montese 1944) dopo gli studi all’Accademia Albertina di Torino si trasferì a Genova, integrandosi nel gruppo artistico-culturale di Sturla che faceva capo a Plinio Nomellini ed al letterato Ernesto Arbocò. Gigi Brondi (Cuneo 1894 – Congo 1938) studiò a Brera ed operò a Milano dove visse. La stessa sorte toccò a Steffenini. Ottavio Steffenini, nacque a Cuneo il giorno 8 agosto 1889 nel palazzo avito, sito nella centrale via Nizza, da Milani Maria (citata nell’atto di nascita come donna benestante) e dall’ingegnere Francesco. Dopo gli studi ginnasiali, avrebbero dovuto aprirsi per Lui, le porte della Regia Università per gli Studi di Torino ma Ottavio prese tempo: in Lui covavano ben altri desideri. Recatosi a Roma per conoscere da vicino la nostra capitale, s’iscrisse ai corsi di pittura presso l’Accademia delle Belle Arti: era il 1910. Uscitone dopo tre anni, divenne allievo del pittore spagnolo Berneyo.

 

 

O. Steffenini, Musa dormiente. Collezione privata

 

 

L’abilità e l’eloquenza dello spagnolo, lo indussero a seguirlo e sul finire del 1912 si recò a Madrid; dove entrò in contatto con i pittori Benedito, Lopez, Masquita e con quel Sorolla i Bastida maestro di tutti. A Madrid, studiò con accanimento sui modelli spagnoli quali: Ribera, Velasquez, Goya e Zuloaga, affiancandoli ai nostri Paolo Caliari (il Veronese) Pietro da Cortona, e Jacopo Robusti (il Tintoretto) ma non dimenticando gli artisti francesi a cominciare da Ingres e sino agli impressionisti con particolare riguardo a Renoir e Matisse. La Spagna si adattò benissimo al suo carattere esuberante ed appassionato, entrando così nella formazione della sua personalità e condizionandone le scelte future. La corrida, lo eccitò e lo entusiasmò a tal punto da cimentarsi, partecipando alle “novilladas” cioè corride minori e scendendo poi successivamente nelle arene vere e proprie. Nel 1914 fu invitato all’Esposizione Internazionale di Madrid, dove si distinse conquistandosi simpatia ed alta considerazione. Purtroppo la Grande Guerra (1915-1918) bussava alle porte ed Ottavio, dovette rientrare in Italia, dove venne inviato al fronte col grado di Capitano dei Bersaglieri. Nel 1919, a guerra conclusa, si stabilì a Milano dove aprì lo studio. Dalla Spagna Egli, aveva portato una pittura: pastosa, asciutta, grondante nei toni ed in testa teneva un’idea dominante, quasi un rovello: la donna.

 

 

O. Steffenini, Donna in costume da zingara. Gallarate, Museo MaGa

 

 

Le donne di Steffenini: odalische, bagnanti, ballerine o semplicemente signore della Buona Società, ispirarono spesso il giornalista Orio Vergani (grande estimatore ed amico del nostro artista) che ebbe a scrivere: “…La donna regina del figurativo sta al centro essenziale della sua opera: è il pilastro del suo Olimpo. Ma quale donna è questa che come Adamo dall’argilla nasce dai grumi e quasi dal fango di colore che si addensa sulla tavolozza di Steffenini (…) Più che la femmina dell’uomo, ella è il fiore ed il frutto di un giardino selvaggio e primordiale; una creatura quasi arborescente come un profumo di felci e di muschio. Nel 1922, fu invitato per la prima volta alla Biennale di Venezia e nello stesso anno a Milano, ottenne il Premio Canonica. Nel 1925, i responsabili della Galleria D’arte Moderna di Milano, riconoscendo il suo valore artistico gli acquistarono un dipinto. Nel 1926, fu tra i soci fondatori del “Cenacolo Artistico di Bagutta” assieme agli amici pittori: Mario Vellani Marchi, Giuseppe Novello, Bernardino Palazzi, Anselmo Bucci ed agli amici scrittori: Riccardo Bacchelli, Orio Vergani ed Indro Montanelli. Nel 1927, all’Esposizione Nazionale riservata agli artisti ex combattenti, vinse il primo premio che era anche l’unico in palio ed il dipinto venne destinato alla Galleria D’arte Moderna di Milano. Nel 1930, assieme agli amici pittori: Anselmo Bucci e Cesare Monti, allestì a Milano una mostra presso la Galleria Pesaro e nello stesso anno, ancora una volta fu presente alla Biennale di Venezia. Nel 1937 e per tre anni consecutivi, venne invitato alla grande Esposizione Internazionale del “Carnegie Institute” a Pittsburgh (USA) e nel 1938 gli venne assegnata una cattedra presso il Liceo Artistico dell’Accademia di Brera. Il 1942, lo vide per la settima volta alla Biennale di Venezia con una sala personale e due suoi dipinti, furono acquistati dalle Galleria D’arte Moderna di Roma e di Genova ed alla Biennale veneta fu ancora presente nel 1948. Nel 1951, fu ancora in personale a Milano presso la Galleria Gianferrari. Il suo incontenibile vigore fisico e creativo ed il suo eterno desiderio d’avventura, lo spinsero nel 1955 ad intraprendere un viaggio nelle terre d’oltremare e per ben due anni viaggiò nel Venezuela e nelle Antille, eseguendo ritratti e paesaggi locali. Rientrato a Milano nel 1957, allestì la sua ultima personale presso la Galleria Gussoni ed ancora una volta fu l’amico Vergani a presentarlo in catalogo dove a proposito delle sue odalische e delle sue bagnanti scrisse: “…Immagino talvolta che Steffenini possieda le chiavi d’un misterioso giardino botanico dove, come i libri di avventure ci hanno insegnato che esiste l’albero del pane, esiste invece l’albero della donna che fiorisce e fruttifica lassù, nella sua grande alcova arborea. (…) La morte lo colse nella sua casa di Milano, il 10 settembre 1971, alla veneranda età di ottantadue anni. Ricordandone la figura, Mario Monteverdi scrisse: “…Aveva un’indole ed un temperamento carichi d’entusiasmo, di fermenti vitali, di sana sessualità che lo spingevano a trattare la figura, per esaltarne una bellezza: turgida, dinamica, invitante. (…) Le sue sono sovente le donne di un Harem idealizzato che non temono i riferimenti al mito poiché sanno di appartenervi.” La Galleria Ponte Rosso di via Brera a Milano, diretta da Nanda ed Orlando Consonni e che da decenni promuove “Arte Figurale” (sta ad indicare la spazialità aperta, genetica e sensibile dalla quale emergono suggestioni ed immagini poetiche) nel 1975 ha ricordato Steffenini assieme ad altri quattro pittori scomparsi: Donato Frisia, Cesare Monti, Contardo Barbieri, Ugo Vittore Bartolini. La presentazione in catalogo fu affidata a Mario Ghilardi che, citando Bernard Berenson scrisse: “…L’arte non ci insegna solamente a vedere ma ad essere: essa ci fa quali noi siamo.” Ed è ancora la Ponte Rosso che nel 1993, ordina una bella mostra titolata: “VALORI”: di Ottavio Steffenini; sono presenti quattro opere: ritratto di donna spagnola 1937; dopo il ballo 1953; le bagnanti 1955; odalisca 1965, che fanno bella mostra sulle pareti assieme a quelle di Cesare Monti, Ezio Pastorio, Giuseppe Novello, Trento Longaretti, Guido Tallone, Silvio Consadori, Contardo Barbieri, Felice Carena, Anselmo Bucci, Mario Vellani Marchi e dell’alessandrina Dina Bellotti, ecc. La recensione della stessa è affidata a Gianfranco Bruno che tra l’altro scrisse: “…C’è una sotterranea storia, nell’arte europea del nostro secolo, che non passa per movimenti o manifesti, ma per l’opera segreta di pittori che hanno perseguito un’ossessione ideale e poetica al di là dei clamori e delle novità culturali che si manifestavano attorno (…) Una storia non ancora scritta, da pochi riconosciuta e difesa”. Rileggiamo ancora quanto ebbe a scrivere in occasione della mostra del 1957 il suo grande amico Vergani: “…Io credo che pochi come lui, abbiano trovato nelle calde e sommesse eloquenze del colore, nell’aggettivo luminoso della pennellata, nell’impasto fragrante dei toni, una più fervida potenza per farci penetrare in quel suo mondo popolato, come le notti dei poemi shakespeariani, da queste immagini tessute con la trama dei sogni”. In conclusione, è doveroso citare l’artista stesso; il quale rispondendo alle domande d’un critico d’arte che si era recato a casa sua per un’intervista, espresse le sue sensazioni ed i suoi sentimenti con queste parole: “…No! Mai essere una farfalla nella vita e nell’arte. Del resto che cosa faceva un Giotto? Che cosa faceva un Renoir? Guardavano un paesaggio, una donna e poi cercavano di renderli ancora più vivi mediante la pittura affinché gli altri potessero bearsene. Ora mi dico: Ottavio! Tu sei un uomo, un pittore fortunato poiché sei riuscito a rendere più bella nientemeno che la donna. Che cosa vuoi, che cosa potevi aspettarti di più? Mi dico questo e sono sereno: guardo questi miei quadri e sono contento di averli dipinti e rimpiango quelli che ho lasciato in giro per il mondo. Li vorrei tutti qui con me, per rivivere i giorni in cui li feci; quei giorni in cui aggiunsi grazie all’amore ed al colore, meraviglia a meraviglia.
 

 

Flavio Bonardo

 

 

 

BIBLIOGRAFIA:


Archivi demografici comune di Cuneo
M. Ghilardi – “25 Pittori Delle Grandi Biennali Veneziane” (1912 – 1958) – Galleria Ponte Rosso – Milano aprile 1988.
G. Bruno – Mostra Collettiva di Pittura “VALORI” (anni venti – anni cinquanta) – Galleria Ponte Rosso – Milano gennaio 1993.
G. Falossi – “I Pittori dell’Ottocento e del I° Novecento” – Editrice “Il Quadrato” Milano 1986.
E. Bellini – “Pittori Piemontesi dell’Ottocento e del I° Novecento” (dalle promotrici torinesi) – Editrice Libreria Piemontese – Torino 1998.