Vittorio Cavalleri - (Torino 1860 - 1938) 

 

Flavio Bonardo

 

 

 

Vittorio Cavalleri, La lavandaia. Già mercato antiquario

 

 


     I pittori nati in Piemonte dopo il 1860 trovarono in Accademia saldi alle loro Cattedre (non ostante il “Ciclone Fontanesi” che si era abbattuto su di loro, negli anni settanta e dove li aveva posti nella sua revisione il Presidente Effettivo dell’Albertina, il Duca Ferdinando di Breme) i maestri, Andrea Gastaldi e il suo assistente Pier Celestino Gilardi. Questi, fermi nelle loro convinzioni, non avevano modificato di una “virgola” il modo di interpretare l’arte, facendo orecchio da mercante ai messaggi sempre più insistenti che provenivano loro da altre parti d’Italia e in special modo, dalla Toscana. Quei giovani che rispondevano ai nomi di Giovanni Giani (1866), Vittorio Cavalleri (1860), Luigi Albarello (1860), Adolfo Dalbesio (1860), Giulio Sommati di Mombello (1858), Angelo Garino (1860), Paolo Gaidano (1861), Giuseppe Sacheri (1863), Andrea Tavernier (1858) e altri, si erano dati un motto “Chi si ferma in Arte come in Politica retrocede e per tanto noi diciamo: Sempre Avanti”. Vittorio Cavalleri facente parte di questo gruppo di arditi, nacque a Torino il 16 febbraio 1860 da Felicita Angelino e da Gioacchino una famiglia, appartenente alla piccola borghesia.

 

 

Vittorio Cavalleri, Nel cortile del castello d'Issogne. Bra, collezione privata

 

Vittorio Cavalleri, La vecchia dormiente. Già mercato antiquario

 

 

Avviato a studi commerciali, fu poi “aggiustato” in qualità di commesso presso un negozio di stoffe ma, il tarlo dell’arte lo rodeva dentro e la sua capacità disegnativa lo portava a riempire di elaborati i taccuini sui quali avrebbe dovuto appuntare le richieste dei clienti. Con i primi guadagni frequentò le lezioni private che impartiva il maestro dell’Albertina Francesco Sampietro che, come ebbe a scrivere Marziano Bernardi: “Non poteva insegnargli altro che una scolastica accuratezza disegnativa”. Forzando la volontà dei genitori nel 1878 s’iscrisse ai corsi dell’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, dove ebbe a maestri nel biennio, Enrico Gamba, Giuseppe Giani e lo stesso Sampietro mentre negli anni successivi, fu allievo di Gastaldi e Gilardi forgiatori di tantissimi allievi. Nel 1883 terminò gli studi e sempre nello stesso anno fu iscritto al Circolo degli Artisti dove, nell’annuale rassegna presentò due studi: -Raggio di sole- (acquistato dalla direzione dello stesso) e –Sentiero- lavori che gli valsero la stima dei colleghi anziani. Il 1885, fu per Vittorio l’anno della sua definitiva consacrazione dopo il successo personale conseguito alla Promotrice con la presentazione di: -Fiori di cimitero- Zappe abbandonate- Ritratto di donna- Estate in collina e Ottobre- ma, quello fu anche l’anno in cui stabilì la sua dimora (definitiva) al Gerbido nel comune di Nichelino e precisamente nella borgata Tetti Varrò ospite a vita della famiglia Gachet. L’avvocato Gachet originario di St. Etienne e proprietario di una fabbrica di velluti, viveva tra l’abitazione di Piazza Statuto a Torino e la casa di Tetti Varrò. Amico di famiglia dei Cavalleri e appassionato d’arte, aveva intuito il “Genio” del giovane Vittorio e si era offerto, di mettergli a disposizione la sua casa di campagna con l’unica richiesta d’insegnare “l’Arte Pittorica” al proprio figlio Mario di diciannove anni più giovane e Vittorio amante della natura, si fece accetto con grande gioia. Giuseppe Lavini valente critico d’arte così ne descrisse il posto: “Nessun segno esteriore tradisce la presenza in questo luogo (tra i campi del Gerbido delle corse) di uno studio di pittore. Picchierete alla porticina di un muricciuolo col bastone, coll’ombrello, con un sasso raccattato sulla strada (non esiste picchiotto) probabilmente non dovrete darvi nemmeno questa briga, l’uscio sarà aperto o socchiuso. Entrando vi troverete in un cortiletto rustico di modesta apparenza, chiuso per due lati da due bracci di fabbrica, bassi ad un solo piano oltre il pianterreno, che a tutta prima non si sa se definire piuttosto casa colonica o villeggiatura civile; un po’ del uno un po’ dell’altro, un sitino simpatico, da cui esala un profumo d’arte, di gaiezza e d’intimità”. Dai suoi maestri aveva appreso una pittura così detta di genere, con agganci alla storia classica e biblica e risvolti al mito. Tutti conosciamo la storia di Aracne l’abilissima tessitrice che, ebbe l’ardire di sfidare Atena e vincerla ma, male gliene incolse poiché, la Dea non sopportando la sconfitta la tramutò in un gigantesco ragno condannandola così a tessere in eterno. A questo punto mi sovviene il monito dell’indovino Calcante (dei veggenti il più saggio) di omerica memoria: “Quando il potente col minor s’adira, reprime ei si, del suo rancor la vampa per alcun tempo, ma nel cor la cova finché prorompe alla vendetta”. Il soggetto “Aracne” è stato oggetto di quasi tutti i pittori di quell’epoca. Nel 1898 il collega e amico Giovanni Giani aveva esposto alla Promotrice un bellissimo dipinto titolato –Aracne rustica- eseguito in quel di Cogne e nel 1910 il dipinto –Aracnidi- di Cavalleri (del quale esiste anche uno studio) era stato accettato alla Biennale di Venezia. Vittorio Pica sempre duro con i “Pennelli piemontesi” circa il dipinto aveva scritto: “Con graziosa piacevolezza e non comune brio di pennellata”. Ma Cavalleri “cantore virgiliano” (come lo ebbe a definire Vittorio Falletti) dal suo eremo di Tetti Varrò immerso nella campagna ricca di coltivi, di intriganti boschetti, di brevi corsi d’acqua e di arcani silenzi, estrinsecò nelle sue tele il grande amore per la natura e furono: campi di segala, covoni di grano, fioriture boschive, alberi a primavera, acque chete, contadine al lavoro o riposanti all’ombra da calure estive, nevi e brine, realizzati con colori salienti (rossi, aranciati, gialli) per dare forza ai primi piani e con colori rientranti (verdi, azzurri, violetti) per mostrare lontananze, il tutto con sentimento di paesista. Il filosofo tedesco Joachim Ritter scrisse: “Il paesaggio è natura che si rivela esteticamente a chi la osserva e la contempla con sentimento”.

 

 

Vittorio Cavalleri, Cortile a Frassinetto. Già mercato antiquario

 

 

 

Nel 1889 dopo aver esposto alla Promotrice torinese –A domicilio coatto- e -Triste inverno- (quest’ultimo oggi al Museo Civico) in compagnia di Domenico Rabioglio e altri, fece un viaggio nella Capitale francese: al riguardo, molti hanno scritto che questo non determinò alcun mutamento nella sua pittura ma, da un’analisi accurata le cose non andarono proprio così. Il critico d’arte Antonio Oberti ha scritto: “Dopo il viaggio a Parigi del 1889, Egli trovò la sua vena più originale per una trasformazione lirica del paesaggio e una trasfigurazione della figura, lasciando tuttavia intatta l’azione visiva e la personalità del soggetto. Ne è la prova più evidente, il ritratto della madre, dove alla sodezza e plasticità dell’immagine fa riscontro una complessità di trapassi coloristici e di articolazioni”. Una conferma in tal senso c’è la da anche Piergiorgio Dragone che in proposito ha scritto: “Cavalleri e Tavernier ricercano soprattutto gli accostamenti di colore con contrasti abbastanza netti e violenti, sperimentando densi impasti luminosi che, mostrano la loro attenzione alla contemporanea pittura francese”. Nel 1890 all’annuale rassegna della Promotrice di Torino espose due opere: -Ritratto di donna- e –Tonio il galante- (quest’ultimo, oggi presso la GAM di Torino) e in quello stesso anno fu iscritto fra i soci onorari dell’Albertina e l’anno successivo, a quelli di Brera dopo, aver esposto alla stessa un –Ritratto di signora- e –Baldoria-. Nel 1892 la Società Promotrice di Genova allestì una grande mostra italo-americana in occasione del 400° anniversario della scoperta dell’America. Vi parteciparono i massimi esponenti dell’arte italiana e Il I° Premio (medaglia d’oro) fu assegnato all’opera: -Il porto di Genova durante le feste colombiane- uno stupendo lavoro di Giuseppe Sacheri mentre all’opera di Cavalleri fu assegnata la medaglia d’argento. Nel 1893 fu invitato a esporre ai Salons parigini e il suo dipinto –Un turbine- (dipinto che nel 1910 gli fu accettato alla Biennale di Venezia e che oggi fa bella mostra di se al museo californiano di S. Francisco) gli consentì di fregiarsi della medaglia d’oro e la stessa cosa si ripeté l’anno successivo con il dipinto –Sogno di primavera-. Nel 1896 alla Prima Triennale torinese espose –Ritratto del pittore Carlo Stratta- e –Empirismo- quest’ultimo un’enorme tela di cm. 260x200 che figurò tra i premiati. Autore anche di soggetti religiosi fu presente all’Esposizione d’Arte Sacra di Torino del 1898 con –Veduta della Palestina- opera di grandi dimensioni da alcuni definite “colossali”.

 

 

Vittorio Cavalleri, Portofino, 1909. Già mercato antiquario

 

 

 

Nel 1902 alla Quadriennale della Promotrice di Torino fu presente in Personale con trentanove dipinti fra i quali si evidenziavano il ritratto del suo discepolo Mario Gachet, il pastello raffigurante il ritratto della madre, il famoso –Empirismo-, una splendida -Portofino- che sarà riproposta nel 1909 al Circolo degli Artisti e quel bellissimo dipinto titolato -Forza motrice-, nel quale in un interno, una giovane fanciulla mima un pugno al ragazzo sorridente e sicuramente innamorato che, tenta di avvicinarsi troppo.

 

 

Vittorio Cavalleri, Forza motrice. Già mercato antiquario

 

 

Efisio Aitielli nella sua recensione su Emporium di quell’ottobre scrisse: “Vittorio Cavalleri ci si presenta ad un tempo come il più discusso e il più ammirato. Esso offre la materia varia d’una esposizione individuale. Ha il paesaggio e la figura; la scena di genere ed il quadro sacro; il ritratto di piccole dimensioni e quello d’aria aperta. Ha insomma, un insieme di opere che rivelano i suoi vari atteggiamenti d’artista e ce lo presentano come veramente è nella sua forte virilità. (…) Se predomina, in questa raccolta di tele piccole e ampie un difetto, gli è precisamente un’esagerazione di commotività, che lo pone troppo audacemente avanti al vero, e gli fa dipingere –coute qui coute- (a tutti i costi) tutto ciò che l’impressiona. (…) Vivendo continuamente nel silenzio, in mezzo alla campagna, davanti allo spettacolo delle Alpi che cingono lontano l’estrema pianura piemontese, sente l’idillico e il tragico della natura, i colori foschi del tramonto dopo l’uragano, lo splendore del meriggio tutto infuocato dal sole, l’ora dolce dell’alba e del risveglio mattutino. E non c’è fenomeno di tono anche violento, anche audace che non tenti”. Nel 1909 fu invitato per l’ottava volta alla Biennale di Venezia alla quale presentò due opere: -Nel cortile del castello d’Issogne e Ritratto d’artista-. Vittorio Pica recensendo su Emporium le opere esposte dai pittori italiani, non fu per nulla tenero verso quelli piemontesi scrivendo: “Molto meno soddisfacente ci appare la scelta di opere presentate dai pittori piemontesi in cui, a due dei meno felici ritratti del Grosso; a due paesaggi che nulla proprio aggiungono alla fama del rimpianto Delleani; a due scenette alpestri in cui Cesare Maggi mostra la consueta sua bravura di pennello nel fissare non senza scenografica artificiosità, i prediletti effetti di nero; a un mediocre paesaggio del Tavernier e ad un mediocre ritratto di Cavalleri”. Del dipinto –Nel cortile del castello d’Issogne- neppure una nota mentre Marziano Bernardi anni più tardi circa lo stesso, scrisse: “Se noi osserviamo invece –Il cortile del castello d’Issogne- (1909) subito vi ritroviamo la calma, la gentilezza, il mistero, la grazia vagamente idillica, quel che di patetico e di trepido che formava la condizione spirituale del Cavalleri migliore”. Nel 1908 alla Quadriennale torinese, con l’opera –Verso l’ignoto- gli fu assegnato il Premio Bricherasio ex aequo con l’amico e collega Paolo Gaidano. Nel 1912 Alfredo Vinardi scrisse: “Vittorio Cavalleri ha compiuto, nel suo grande studio di Tetti Varrò presso Torino il ritratto del Duca d’Aosta col grande manto dell’ordine della Giarettiera ordinato dal Duca al pittore piemontese per farne omaggio a Re Giorgio”. Dopo averne fatta una disamina (dimensioni e contenuto) continuò dicendo: “Il forte pittore piemontese, ancora affermatosi nell’ultima Promotrice con due tele veramente indovinate, soprattutto una suggestiva rappresentazione dell’Ottobre- che, meritò le lodi dei tecnici e dei buongustai”. Oggi il ritratto sopra citato è esposto nella Galleria degli Insigniti alla Corte d’Inghilterra. Nel 1920 all’annuale rassegna della Promotrice di Torino in occasione del suo 60° genetliaco, gli fu reso onore, con una sala personale nella quale espose quarantatré opere. Nel 1923 a Torino si tenne la Quadriennale di Belle Arti: Ernesto Quadrone nel suo articolo circa il vernissage, sulla Gazzetta del Popolo del 14 aprile di quell’anno, scrisse: “Cavalleri ha tre brillanti ritratti, del quale uno specialmente, quello della signora C: M. T., è dipinto con doviziosa tavolozza. Certi gialli dello sfondo brillano intensamente, dando uno spiccato e piacevole risalto al rosso vestito della dama; la quale dama è animata in un armonioso e rapido movimento che la fa passare traverso ad una gamma crescente di colore. Una simile profusa ricchezza di tinte forse nuoce alquanto all’evidenza ritrattistica del quadro, ma è pur sempre una piacevolissima ed incantevole gioia visiva”. Oltre che pittore fu anche un bravo affreschista e ne sono testimonianza quelli eseguiti nel 1917 al Santuario della Madonna Nera di Oropa raffiguranti: La pace e La guerra e quelli della Parrocchiale di Frabosa Serro nel cuneese, dedicata ai Santi Giacomo e Filippo. Qui in due estati (1924 – 1925) con l’aiuto del fido allievo Mario Gachet e del giovanissimo Italo Cremona arricchì la suddetta di trentanove affreschi. Ernesto Billò ha scritto: “Vittorio Cavalleri ritrattista alla moda della borghesia torinese, superiore a volte a Giacomo Grosso si tuffò qui con l’aiuto di Mario Gachet e qualche pennellata del giovane Italo Cremona in un’atmosfera misticheggiante, congeniale ai decadenti: sublimò in angeli le creature femminili e ne fece delle sagome luminescenti; immerse, in una fissità emblematica gli oggetti della Passione e profuse simboli di fede e di speranza, ispirò ambienti e folle al gusto esotico, tipico di quegli anni. Soffuse sul tutto tonalità dorate e lattiginose, con un risultato raffinato e brillante”. Insegnante presso l’Accademia Albertina di Torino come riferì Alessandro Lupo (uno dei suoi allievi migliori) il Maestro, aveva una specie di orrore per la polemica ed eludeva ogni pensiero che potesse turbare la quiete necessaria alla sua arte, unica realtà. Solitario e chiuso in se stesso, lo si poteva incontrare sotto i portici di via Po mentre si recava in Accademia sempre con l’eterna cartella sotto il braccio, assorto nei suoi pensieri ma, quando saliva in cattedra i suoi occhi s’illuminavano, le sue braccia gestivano le parole che fluivano rapide dalla sua bocca e andavano a stamparsi nei cervelli dei suoi allievi come frecce nel bersaglio. Nel mese di gennaio del 1936 presso il salone del giornale La Stampa di Torino fu, allestita una mostra in onore di Giovanni Giani che, con quella comparsa in pubblico, chiuse la sua attività espositiva. Alle sue opere più rappresentative furono affiancate quelle del carissimo amico Vittorio Cavalleri e quelle degnissime del giovane Giuseppe Manzone. Italo Cremona recensendo l’avvenimento sulla rivista bergamasca Emporium scrisse: “Onorando Giovanni Giani e affiancandogli le opere più intime e studiose di Vittorio Cavalleri e quelle di fresco dipinte di Giuseppe Manzone il quotidiano La Stampa ha favorito gli amatori dell’arte piemontese, almeno di quella che si adorna di una certa bonaria appartenenza, ispirandosi al costume e al paesaggio subalpino, al fine di indicare la continuità non ben chiara ma piuttosto sotterranea ed in ogni modo assai generica d’alcuni caratteri tolti a precipui di quella pittura”. La sua morte avvenne il 22 maggio del 1938 e nei mesi successivi nell’annuale rassegna della Promotrice furono esposti nove lavori del compianto, tra i quali figurarono: -Il ritratto del pittore Carlo Stratta- e la grande tela –Empirismo- che, nel lontano 1896 erano state esposte alla Prima Triennale torinese. Analizzando la sua opera, Marziano Bernardi scrisse: “Tutto lo interessava: il fulgore dell’estate come il niveo candore dell’inverno o l’opaco silenzio della nebbia autunnale; l’illimitata immensità del mare e la solenne ampiezza degli orizzonti subalpini; l’intimità di un salotto, come l’addensarsi d’un temporale sulla vuota campagna; l’atteggiamento d’un principe ed il gesto di una contadina; un bimbo ridente ed una vecchia assorta presso il fuoco; un giardino fiorito e un funerale; la gaiezza e la malinconia sia degli uomini che della natura. In ciascuno di questi argomenti egli metteva tutto se stesso, la sua raffinatezza di colorista, la sua bravura disegnativa, il senso innato della composizione, con uguale trasporto”. In chiusura leggiamo ancora quanto scrisse circa il nostro artista, il noto scrittore e critico d’arte Alessandro Stella: “In Lui la destrezza dell’esecuzione, l’amore della natura e il rispetto della realtà vivente; in Lui la finezza delle sensazioni vissute e la bella indipendenza dei propri convincimenti. Nato pittore, attraversò la scuola per acquistare i mezzi necessari a manifestare l’abilità della mano, la sensibilità pittorica dell’occhio, la vivacità dell’intelligenza e la libertà di spirito”. Questi fu Vittorio Cavalleri un Maestro (con la M maiuscola) dell’Arte Pittorica in Piemonte del II° ottocento e del I° novecento e le sue opere, sono sparse in collezioni pubbliche e private in tutto il mondo. Un’artista che meriterebbe più attenzione, non solo dai collezionisti nostrani (piemontesi) ma anche da quelli di altre regioni della nostra amata penisola.
 

 

Flavio Bonardo  (sabrotu@yahoo.it)

 

 

Bibliografia:
G. Lavini – Album della Promotrice – Soc. Promo. Delle Belle Arti – Torino 1889;
A. Stella – Pittura e Scultura in Piemonte (1842-1891). Stamperia Reale – Torino 1893;
E. Aitielli – La Quadriennale di Torino – Emporium n° 94 – Ottobre 1902;
V. Pica – L’Arte mondiale alla VIII Biennale di Venezia – Emporium n° 178 – Sett. 1909;
V. Pica – L’Arte mondiale alla IX Biennale di Venezia – Emporium n° 191 – Nov. 1910;
A. Vinardi – Artisti piemontesi alla Promotrice di Torino e loro opere – Emporium n° 212 – Ago. 1912:
A. M. Comanducci – I Pittori dell’Ottocento – Edit. Artisti d’Italia – Milano 1934;
M. Bernardi – Ottocento Piemontese – Ediz. Palatine di R. Pezzani – Torino 1946;
A. Oberti – Arte Italiana per il Mondo – Edit. Celit – Torino 1978;
E. Billò – Artigiani e Artisti a Mondovì – Amici di Piazza – Mondovì 1978;
A. Pandolfelli – Dizionario Biografico dei Pittori Italiani – Enc. Treccani Vol. 22 – Milano 1979;
E. Bellini – Pittori piemontesi dell’Ottocento e del I° Novecento – Edit. Libreria Piemontese – Torino 1998;
P.G. Dragone – Pittori dell’Ottocento in Piemonte – (Unicredit Banca) – Arti Grafiche Giacone – Torino Novembre 2003.