Oscar Hermann Lamb nacque a Trieste il 28 novembre 1876; suo padre,
l’ingegner Giuseppe Hermann direttore dello Stabilimento Tecnico
Triestino fu anche insegnante di disegno alle Scuole “Reali”; il nonno,
paterno, anch’egli di nome Giuseppe, fu architetto e funzionario del
comune.
La famiglia cecoslovacca, originaria dei Sudeti, si trasferì da Leitomir
a Trieste verso il 1820.
A Trieste Giuseppe Hermann junior sposò Anne Lucy Lamb,
donna bellissima figlia di Annie Sanders e di Thomas Ayan Lamb
un
ufficiale di marina inglese.
I genitori,
entrambi inglesi, arrivarono nella periferia dell’Impero verso la metà
del secolo scorso e il padre di Lucy, macchinista navale, fu assunto dal
Lloyd Austriaco che aveva bisogno di personale specializzato addetto
alla manutenzione e al funzionamento dei motori a vapore. Del fascino di
quella giovane donna fa fede un magistrale ritratto di Tito Agujari,
autore tra l’altro di uno Sbarco dell’Arciduca Massimiliano a Trieste
tuttora conservato presso la Biblioteca Nazionale di Vienna. Il ritratto
di Anne Lucy Lamb che fa parte delle raccolte della Soprintendenza del
Friuli Venezia Giulia, fu esposto nel 1992 in occasione della mostra
“Donne e Primedonne in due secoli di storia e cronache Triestine”.
Purtroppo Anne Lucy morì immaturamente e non ebbe la fortuna di
conoscere il destino del figlio. Hermann Lamb compì gli studi di disegno
a Monaco di Baviera alla scuola di Ludwig Herterich, pittore di genere e
di soggetti storici che dal 1891 insegnò in quell’accademia: vi giunse
dopo i successi ottenuti a Berlino e nella città bavarese.
Monaco, com’è stato più volte rilevato, fu un “rito di passaggio” per
molti altri artisti triestini: in verità fu la sede prediletta, la città
delle speranze e di quell’iniziale metamorfosi del ‘gioco delle matite e
dei pennelli’ che di lì a poco, per molti di loro tra i quali Lamb, non
fu più tale e divenne mestiere definitivo. Nel caso di numerosi pittori
giuliani Monaco fu, più di Firenze, Roma, Venezia e Vienna (per ovvie
ragioni storiche!) il luogo adatto all’iniziazione pittorica europea: fu
così che alcuni di questi artisti, compreso Lamb, affrontarono la nuova
esperienza con l’appoggio economico di una famiglia benestante, ma i
fortunati non furono molti.
Del resto l’empatia culturale con la gente germanica, anche nei
triestini “adottati”, si manifestò progressivamente o per curiosità o
spesso per tradizione.
Tra coloro che furono a Monaco vanno ricordati Umberto Veruda, Isidoro
Grünhut, Vittorio Güttner, Edoardo Variano, Glauco Cambon, Riccardo
Cargnel, Arturo Fittke, Ugo Flumiani, Marcello Dudovich (in questi mesi
prepotentemente immesso sul mercato dai presentatori e venditori di Tele
Market), Gino Parin, Argio Orell, Cesare Sofianopulo e Edgardo Sambo.
Nel biennio 1895-1896 a Monaco Hermann Lamb fu compagno di Bruno Croatto
e d’Achille Tamburini. Successivamente, per due anni il pittore fu a
Roma dove frequentò l’Accademia inglese (vi andava di sera perché in
quell’accademia si disegnava soltanto e il disegno non lo interessava
più dopo i noiosi esercizi ai quali era stato ripetutamente costretto a
Monaco); nella città dei cesari “respirò” il profumo dei pini, le
inebrianti atmosfere, la classicità che prorompeva dovunque. Approfondì
le proprie conoscenze e frequentò gli studi di diversi pittori che
operavano a Roma: tuttavia nessuna opera tra quelle sue note lo
riconduce emotivamente a quella di qualche artista conclamato in quel
momento.
Ma il gusto del Classico, quello sì che rimase costantemente nel suo
animo e gli artisti classici rimasero per lui ineguagliabile fonte
d’ispirazione. Risalgono al 1897 le sue prime esposizioni triestine:
avvennero nei negozi degli ex soci d’affari Wendelino e Giuseppe
Schollian che si erano divisi dopo anni di lungimirante attività
commerciale comune e nelle sale della Permanente. Proprio dagli
Schollian molti pittori e scultori giuliani furono riconosciuti tali ed
elogiati pubblicamente soprattutto dai colleghi più anziani; negli
angoli polverosi dei rispettivi negozi d’arte, tra cornici e cavalletti,
poche “croste” e qualche capolavoro proveniente da Venezia o dall’Europa
centrale, si erano succedute generazioni intere d’artisti (fino al 1906
in verità anche se l’ultimo scorcio dell’Ottocento fu anche l’ultimo
d’egemonia delle bottegucce).
Nella loro modesta “galleria” tra il 1870 e il 1880 esposero vivaci
giovanotti di talento (Scomparini, Lonza, Barison, Garzolini, Beda,
Pogna per esempio), da loro s’erano accesi, dieci anni dopo, i primi
dibattiti del pubblico alla comparsa inattesa degli iniziali sprazzi
emancipati di tarda matrice francese di Veruda. Dagli Schollian
cercarono i quadri di Wostry e d’altri pittori emergenti anche alcuni
tra i maggiori rappresentanti della borghesia locale.
Altri dieci lustri ed apparvero sulla scena Grimani, Cambon, Zangrando,
Croatto, Fittke; infine, negli ultimi anni del secolo, Flumiani, Lucano,
Levier e Lamb appunto.
Uno dei suoi primi quadri esposti da Schollian fu l’olio su tela
intitolato “Fonditori” conosciuto anche con il titolo “Operai
della ferriera”. Il dipinto fu acquistato parecchi anni dopo la
realizzazione dal signor Bleckmann di Mürzuschlag, proprietario di una
delle più grandi acciaierie stiriane: rappresenta quattro fonditori che
lavorano negli altiforni ed è atipico rispetto alle altre opere note
dell’artista. Tre operai osservano attentamente da qualche metro di
distanza il vivido fuoco e lo alimentano introducendo una lunga pala nel
forno. Sembrano lavorare in coppia; Lamb coglie la luce che illumina gli
uomini, mette in risalto l’incandescenza di un ferro piegato ad angolo e
l’indispensabile gancio di una poderosa gru che scende da una
trabeazione dell’officina.
Si compiace soprattutto della serenità di uno degli operai, quello che
pone a sinistra dell’ampia tela che guarda i colleghi per nulla
impensierito dal pericolo, per niente sudato (come gli altri del resto);
Lamb lo caratterizza con un fazzoletto rosso al collo e sembra
compiacersi del suo sguardo disteso, alquanto improbabile.
L’opera che pur rivela un’inaspettata sensibilità del pittore per le
questioni sociali, è retorica; la concezione eroicizzante dell’uomo che
lavora fu propria dello scultore e pittore Costantin Meunier che fu
apprezzato dai Secessionisti ed ebbe un'importante mostra a Vienna nel
1906.
Il belga suggestionò anche il bravo Alfonso Canciani. I temi drammatici
della condizione operaia interessarono ancora per poco Lamb; va rilevato
piuttosto che con Canciani egli ebbe contatti a Trieste e Vienna e che
nel 1902 eseguì un ritratto all’amico.
Nel 1907 Canciani portò a termine la serie dei bronzetti raffiguranti i
quattro Lavoratori del ferro e del fuoco due dei quali sono
conservati al Museo Revoltella; anche la tela menzionata di Lamb e
ricomparsa recentemente, fa parte delle collezioni del museo: avrebbe
potuto finire nel circolo ricreativo della Ferriera di Servola e
…nessuno si sarebbe meravigliato.
Ma quali furono gli esordi del pittore a Trieste?
Fu dagli Schollian che il ragazzo firmò le proprie opere giovanili, i
suoi quadri, con entrambi i cognomi quello paterno Hermann e quello
materno Lamb: sembra che così fece (e non è da escludere che ciò gli
fosse suggerito nella tana del “gatto e della volpe”!), per distinguersi
da un artista austriaco omonimo o più verosimilmente dallo scultore
Herman Lambert.
Già nel 1900 Lamb fu in quella Vienna che Musil definì “meravigliosa e
incomparabile”.
All'inizio del secolo la capitale s’ inorgogliva della sua immagine di
Città dei Sogni, ma fu pure la città dei paradossi.
Il triestino giunse nel centro dell’Impero asburgico tre anni dopo il
battesimo della Secessione: era ventiquattrenne e si trovò proiettato
nel clima culturale di una città che aveva fretta di
“sprovincializzarsi”.
Vienna, agli inizi del secolo, poteva essere paragonata solo a Parigi:
era la città della borghesia, il simbolo di un modo di vita.
Nel 1902 mentre nel padiglione olbrichiano sulla Friedrichstrasse si
avvicendarono Böcklin, Klinger, Minne alla Hagenbund espose il gruppo
praghese con Jan Kotéra, l’anno successivo sempre alla Hagenbund ebbe
una retrospettiva Böcklin.
In questa città Hermann Lamb si trovò subito a proprio agio e si stabilì
al numero 14 in Kolschitzkygasse dove allestì uno studio; non c’è da
stupirsi se rimase quantomeno esterrefatto per non dire confuso dai vari
movimenti che si stavano rapidamente innescando e fu tentennante nelle
scelte artistiche.
Quali erano davvero gli aspetti della pittura che maggiormente lo
attraevano?
Per “affinità sanguigna” finì per guardare più alla pittura dei
preraffaelliti inglesi (gli piacquero soprattutto alcune figure
femminili di Dante Gabriele Rossetti come Astarte Syriaca, La
ghirlandata, La damigella del Santo Graal per dire
solo di alcune) che a quella dei suoi contemporanei austriaci, tedeschi
e ungheresi.
I giovani pittori
all’ombra dell’Hofburg o del Belvedere intendevano liberarsi
dell’autorità dell’Accademia e il bersaglio più diretto da colpire fu la
pittura trionfalistica di Hans Makart; Gustav Klimt dominava la scena!
L’associazione ufficiale dei pittori viennesi diretta da Eugen Felix
aveva la sua sede nella Künsterhaus e accanto agli esponenti di questo
gruppo poco omogeneo, il triestino incominciò confusamente e timidamente
a presentare i propri lavori.
Quali erano per lui i “modelli di buon gusto”?
I valori
prediletti della società austriaca erano la ragione, la perseveranza e
l’ordine ed egli li accettò perché erano anche i suoi; non avendo uno
stile proprio altri borghesi imitarono il passato in un’atmosfera satura
di valori estetici e trovarono nell’arte uno strumento d’educazione
morale ed estetica.
Le opere di Lamb che ci sono giunte sembrano corrispondere solo in parte
a questa tesi; inizialmente egli fu ritrattista nel senso più
tradizionale e lo rivela uno splendido autoritratto della collezione
Anninger-Annieri nel quale è in piedi e tiene una sigaretta nella mano
destra.
La città nella quale lavorò, ricca di deliziosi e confortevoli caffè
allineati lungo le strade dove si poteva sedere tutto il giorno con una
sola consumazione, leggendo la “Neue Freie Presse” e altri giornali e
riviste di tutto il mondo tra le quali difficilmente mancava il “Ver
Sacrum”, era pure un luogo ideale di facili incontri e di lavoro.
Fu con i ritratti che Lamb in parte si mantenne: li eseguì spesso con
perizia estrema per soddisfare una clientela assai esigente come i
membri della famiglia Boiler, grandi proprietari d’acciaierie. A loro
decorò pure alcuni interni della casa; ma appena poté pur rimanendo
pittore figurativo, si dedicò ad altre espressioni artistiche.
C’era dell’altro in lui e pian piano analizzò se stesso. I germi delle
teorie psicanalitiche di Freud lo contaminarono e incominciarono a
influenzare il suo Io: non furono gli unici!
Non era un caso, rilevò poi Stefan Zweig che la società austriaca fosse
allora preoccupata, profondamente preoccupata dall’idea del sesso. Forse
anche Lamb lo fu mentre dipingeva le sue modelle e le osservava nello
studio: spesso n’aveva davanti due o tre seminude da mettere in posa!
Probabilmente, in quella Vienna dove non era poi così difficile
conoscersi, qualche volta il pittore si sedette ai tavolini del caffè
Griensteidl accanto all’uomo che nel 1901 pubblicò le Corde d’argento.
Molti anni dopo, nel libro autobiografico Il mondo di ieri, Zweig
osservò: “Il fatto stesso che il sesso non dovesse mai essere trattato
apertamente era la miglior conferma che lo si aveva sempre in mente”.
Non solo i tabù sessuali, non aiutavano a raggiungere la purezza dei
pensieri e dei desideri, ma servivano a rendere la gente veramente
consapevole del sesso.
Nella borghesia viennese di quegli anni non esisteva alcun canale
socialmente accettato per esprimere quest’angoscia e anche Lamb provocò
quella “congiura del silenzio sul sesso” che altri grandi artisti
dell’epoca tra i quali von Stuck scardinarono prima di lui.
Lamb, più d’altri colleghi, sembrò interpretare attraverso la pittura le
idee di Karl Kraus secondo le quali la donna è un essere totalmente
sessuale: qualsiasi cosa essa faccia deriva dalla sua essenziale
sessualità… se l’uomo ha dei bisogni sessuali la donna è la sessualità,
ma è anche emozione, irrazionalità e sensualità incarnata, inconscia.
La concezione della femminilità di Lamb ha pure contatti con le idee di
Carl Dallago per il quale “l’essenza emotiva non è solo lasciva e
nichilista; piuttosto una tenera fantasia che funziona da origine
inconscia di tutto ciò che ha valore nell’esperienza umana ed è il luogo
dove risiede la fonte d’ogni ispirazione creativa”.
Il pittore dipinse le sue donne dosando in loro il duplice significato
d’invito e d’ostacolo. I suoi dipinti piacciono perché non solo vi è
spesso la difficoltà di decifrazione del messaggio simbolico, ma anche
perché le modelle del pittore appaiono donne inaccessibili che si
presentano sotto il segno della differenza: una differenza misteriosa
che via via, con il passar degli anni divenne decadenza. Dipinse nudi
perlacei, donne che sono linea, forma, somma delle bellezze e dei
desideri dell’anima, fanciulle esili simili a molte fotomodelle e
indossatrici dell’ultima generazione.
Scrive la Fasolato: “Singolare è il trattamento dei capelli delle donne
raffigurate; capelli curatissimi e splendenti, spesso ammatassati
secondo il gusto classico-simbolico caro, per esempio a Franz von Stuck
e, in genere, alla secessione monacense. Anche i rapidi disegni
preparatori a matita lo confermano; il profilo del volto è magari
delineato sbrigativamente, ma trecce e “chignon” sono definiti con ogni
possibile cura e minuzia. Non siamo al feticismo dei capelli di un
Fussli, ma ci andiamo forse vicino…”.
Dal bianco collo di queste creature, dalla loro pelle delicata sembra
emanare un erotismo cutaneo. La loro serenità è solo apparente: sono
estranee al tempo, semmai lo scandiscono nei loro intervalli di colore,
di silenzio: con la loro calma e lo sguardo assente, estraneo a loro
stesse come nella Coppa verde diventano insidiose: la loro grazia
è torbida, il loro fascino elusivo, mutevole. In sintesi turbano.
Talvolta quei corpi dipinti da Lamb sono stranamente immaturi,
trasmettono amarezza, presentimenti occulti, sogni travagliati. Lamb non
volle mai entrare in conflitto con il foglio e con la tela: nella
valutazione di se stesso egli non sperimentò mai dolorose cesure, nella
maturità d’artista non fu disorientato. Il clima estetico che espresse
fu libero da vincoli morali ed egli rimase legato a comportamenti ed
espressioni molto colti.
A Vienna Oscar
Hermann Lamb presentò alcuni lavori al palazzo d’esposizioni
Künstlerhaus (casa degli artisti) costruzione che aveva un gran
prestigio fin dal lontano 1864 quando l’imperatore stesso mise a
disposizione il terreno tra il Ring e la Karlsplatz per la sua messa in
opera.
Dal punto di vista artistico e ideale la Künstlerhaus si allineò per lo
più con la tradizione, tenendosi in parallelo con l’Accademia delle arti
figurative e con il Museo imperiale per l’arte e l’industria.
Il movimento secessionista all’interno della Künstlerhaus all’inizio non
fu un fatto eccezionale: l’abbandono dei secessionisti marchiò però la
Künstlerhaus come “istituzione antiquata”, e questo le fece perdere gran
parte della sua immagine originaria, che non riuscì mai recuperare
nonostante gli sforzi di molti illustri e potenti sostenitori.
Il ricco programma d’esposizioni culminò ogni anno in una mostra che
avvenne regolarmente dal 1869 al 1914 e anche Lamb fu ospitato anche se
in realtà, forse controcorrente, egli non divenne mai un operatore di
massa. Non deve sorprendere che nell’occasione scelse alcuni acquerelli:
egli predilesse questa tecnica e trattò la carta con gran perizia.
Ma come lavorava con i pennelli?
E’ Salvatore Sibilia a rivelarcelo: “Egli dipinge i suoi quadri cinque o
sei volte per poi lavarli e tornarli a dipingere un’altra volta perché
crede che l’acquerello non riesce mai alla prima pennellata. Il primo
abbozzo gli riesce di solito vuoto e senza corpo: è uno studio appena,
dal quale l’artista desume la costruzione panoramica e generale del
lavoro: e questo specialmente nella figura. Invece, qualche volta, nel
paesaggio egli riesce ad avere un effetto immediato, subito, perché il
paesaggio presenta minori necessità d’esattezze (anatomiche e
muscolari)”.
L’esecuzione fu sempre molto curata e altrettanto elaborata.
Nel 1912 Lamb fece un viaggio di qualche mese in Inghilterra, e cercò di
vedere le opere di Hunt, di Morris di Hughes e di Burne Jones.
Durante la guerra fu nuovamente a Vienna.
Nel 1918 espose un Nudo di donna sullo sfondo del quale si
ammirava in lontananza un paesaggio dolomitico; il quadro fu poi mandato
alla ditta Bruckmann che volle riprodurlo per la sua bellezza.
Sibilia oltre a ricordare Il bagno della dea, Al chiaro
di luna, Isabella, Danzatrice e Le vergini delle
rocce
esposti in una mostra alla Permanente nel marzo del 1921, fornì nel
modesto profilo, una chiave di lettura sul suo operato: “La tendenza
spirituale di quest’artista è stata, di solito, rivolta alla
composizione simbolica e all’idealizzazione di figure femminili, nelle
quali ha voluto racchiudere ed esprimere, forse, le aspirazioni della
sua anima mistica”.
Lunghi soggiorni estivi con la moglie Maria Xydias (cugina di quello
Spiro che cadde volontario con la divisa italiana nella prima guerra
mondiale) lo ricondussero a Trieste dove frequentò Flumiani e Grimani
che contribuirono a fargli osservare il mare con rinnovata passione.
Lamb cominciò a dipingere marine e alcuni suoi quadri, nei quali colse
lussuose barche a vela sbandate dal vento e dalla forza dell’acqua, sono
davvero formidabili per gli inconsueti punti di ripresa.
Nell’ultimo periodo della sua vita Lamb collaborò con l’Ufficio Stampa
del Lloyd Triestino per il quale realizzò alcune copertine della rivista
Sul Mare, fece dei bozzetti per manifesti, contribuì graficamente
alla realizzazione di pagine interne della rivista e dipinse degli
acquerelli per illustrare un racconto ambientato sull’isola di Rodi.
Eseguì pure lavori grafici per l’Austro Americana” (poi ”Cosulich”).
Diremo per concludere che nei suoi quadri ci sono sempre il pensiero, la
poesia e l’immaginazione: in una parola l’intelletto.