Condividi su Facebook

 

 

 

 

Giovanni Rovero (Mongardino d'Asti 1885 – Noli 1971)


 

 

 

Giovanni Rovero - Autoritratto. Firenze, Galleria degli Uffizi

 

 

 

     Mongardino d’Asti posto a 292 mt. sul livello del mare, è terra da vino e fa parte di quella cerchia di colli astesi dove le viti regnano sovrane e dove l’autoctono barbera dal colore rosso rubino con sfumature granate, dal profumo intenso, vinoso, dal sapore fruttato di frutti rossi, ha conquistato negli anni il marchio docg. Un adagio locale recita: “Coj ‘d mongardin diso che ‘l asinel a fa ‘l vin”. In sostanza ciò che fa il buon vino è l’acino quando è bello pieno e maturo. Mongardino pur essendo un piccolo paese, ha dato nei secoli i natali a personaggi importanti e possiamo citare: Giovanni Antonio Giobert (1761 – 1834) professore di economia rurale, chimica e mineralogia presso l’Università di Torino; Don Alfredo Bianco (1898 – 1965) educatore e maestro di vita e che del paese ne scrisse la storia; Gigi Monticone (1925 – 1973) capo partigiano con l’appellativo di “Nettuno” sindacalista, consigliere comunale di Asti e scrittore. Colui che maggiormente è entrato nel cuore e ha smosso i più reconditi sentimenti dei mongardinesi è il loro amatissimo pittore Giovanni Rovero così come Giovanni Rava lo è per Magliano Alfieri; Massimo Quaglino per Refrancore e Giuseppe Cerrina per Murazzano Langhe. Giovanni Rovero nacque a Mongardino d’Asti il 19 ottobre 1885 da Teodora e da Giuseppe portanti entrambi gli stessi cognomi. Terminate le Scuole Elementari, per motivi di lavoro del genitore la famiglia si trasferì ad Asti dove Giovanni trovò lavoro come apprendista tipografo, diventando in breve un perfetto compositore. In quegli anni sulla piazza di Asti operava il “Grande Vecchio” Michelangelo Pittatore (Asti 1825 – 1903) abile ritrattista, pittore di Santi e di soavi Madonne; ma altri artisti sulla stessa piazza mostravano la loro bravura a cominciare dall’ottimo paesista e ritrattista Giulio Musso (Asti 1851 – 1915) e poi Paolo Arri (Asti 1868 – 1940) diplomato all’Albertina di Torino e allievo del succitato Pittatore abile nella ritrattistica e superbo naturamortista e da non dimenticare Paolo Berrino (S. Michele di Asti 1869 - Cremona 1933) che alla scuola di Lorenzo Delleani aveva appreso il dettato paesaggistico. Fu sicuramente qualcuno di questi che si fece garante presso gli organi comunali quando il giovane Rovero manifestò il desiderio di apprendere il “mestiere” di pittore, se i responsabili dello stesso si convinsero ad assegnargli una Borsa di Studio di lire 300 annue che, gli permise d’iscriversi all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino: era il 1904. All’Accademia imperavano due illustri professori: Paolo Gaidano insegnante di disegno e figura e Giacomo Grosso titolare della cattedra di pittura e che per meriti artistici era stato nominato Senatore del Regno. Mauro Galli ha scritto: “…Apprezzati dalla vecchia aristocrazia sabauda ma anche dalla borghesia emergente nella Torino impegnata nel processo d’industrializzazione, si erano attardati su una ritrattistica che tendeva al vero ma lo ricreava artificiosamente nello studio con pose stereotipate e teatrali ambientazioni”. Già al terzo anno di Accademia Giovanni fu invitato a esporre alla Promotrice di Torino e fu così che fece il suo esordio espositivo con un “Autoritratto” eseguito a pastelli colorati. Angelo Dragone scrisse: “…Non aveva certo la pretesa di farsi notare. L’opera un pastello, comparve segnata in catalogo col n° 157 fra un -Ritratto di signora- di Giovanni Giribone (oggi pressoché sconosciuto ma pittore di colorite finezze alla maniera di un Angelo Pascal) e un -Gruppo d’alberi- di Decoroso Bonifanti. Senza indicazione di prezzo, era poco più di un biglietto da visita”.

 

Giovanni Rovero - Innocenza. Già mercato antiquario

 

 

Benché ancora “corsista” all’Accademia, ebbe inizio da quel momento il suo iter espositivo che si protrarrà per oltre cinquant’anni e le sue opere troveranno spazio nelle più importanti rassegne italiane e mondiali. Nel 1908 fu presente alla seconda Quadriennale di Torino con l’opera: “Ritratto di un giovane scultore” e da quell’anno ebbe anche inizio il suo peregrinare dal Piemonte alla Liguria fra Torino e Noli dove abitava il suo genitore.

 

 

 

Giovanni Rovero - Noli dal mare. Bra, collezione privata

 

 

 

Il mare diventerà per lui la sua palestra preferita, dal quale trarrà gli esiti migliori: affascinato come fu da subito, dai suoi giochi di luci sulle acque, dalle albe scintillanti nella calma marina col ritorno dei pescatori e dagli scogli di Capo Noli sbattuti dalle onde emettenti un canto sinfonico sempre nuovo. Nel 1911 fu tra i diplomandi dell’Albertina ma a differenza di altri suoi colleghi, egli ne uscì con una Borsa di Studio del Ministero della Pubblica Istruzione di lire 2.000 che gli consentì di dare l’avvio alla sua attività professionale, favorendone l’inserimento nell’ambiente artistico e culturale della capitale subalpina. In aprile fu presente all’annuale rassegna della Promotrice di Torino con l’opera: Riviera solitaria e sempre in quell’anno allestì nella sua città (Asti) la prima “Personale” seppure in coabitazione col collega e amico Giuseppe Manzone. L’anonimo relatore della stessa, su il “Cittadino” del 13 dicembre 1911 scrisse: “Espone il Rovero una copiosa raccolta di quadri di figura e di paesaggio che appagano l’occhio e si accaparrano subito la simpatia del visitatore. Egli dal complesso dei suoi studi, dimostra a prima vista un temperamento spontaneo e sincero che, alieno da tutto quanto sappia d’artificio o di convenzionalità, si ripropone esclusivamente di riprodurre il vero qual’è, e come lo sente”.

 

 

 

Giovanni Rovero - Riflessi di luce autunnale. Già mercato antiquario

 

 

 

Nel 1913 all’Esposizione Nazionale della Regia Accademia di Milano con l’opera “Primavera” vinse il Premio Fumagalli. Emilio Zanzi in merito scrisse: “Nel 1913 visitando la Mostra milanese delle opere concorrenti al premio Fumagalli per il paesaggio, avevo notato con un’unghiata sul catalogo, un quadro di bella e solida costruzione pittorica, ampia di cielo, tra una musica di verdi, freschi e umidi sul declivio della collina prativa, saporosa di terra e di pace. Due giorni dopo a quel quadro “Primavera sui colli torinesi” la Giuria assegnava con voto unanime, l’ambitissimo premio (…) Il pittore era piemontese ed ignoto negli ambienti artistici, letterari e giornalistici milanesi”. E Zanzi continua tracciandone un delicato profilo: “Qualche giorno dopo in un caffè di Via Po a Torino, allora frequentato da un manipolo di artisti, mi fu presentato Rovero. Biondo, modesto, dalla parola sommessa, dal chiaro occhio sereno, parco di parole, dai gesti un po’ impacciati, mi parlò dei suoi sogni, delle sue speranze, dei suoi lavori, con umile e serena parola, ma con sicurezza”. Profondamente cristiano con animo francescano, sempre in quell’anno, si dedicò in gran segreto all’illustrazione dei vangeli: lavori eseguiti con tecnica mista (matita, pastello, tempera) con tocchi fitti e filamentosi di chiara matrice divisionista. Luisella Viviani (attrice e cantante napoletana) scrisse: “Le battaglie della vita si combattono con la fede” e Giovanni Rovero questa la espresse nel suo lungo e profondo studio, affrontando con amore fraterno il percorso evangelico, dipingendo i miracoli e i momenti più salienti della vita del Salvatore. Lavori eseguiti con impegno e amore e che nel 1920 all’Esposizione d’Arte Sacra di Venezia gli valsero una sala personale, nella quale espose sedici grandi disegni colorati. Nel 1914 fu invitato a esporre alla LXXXIIIa Esposizione Società Cultori e Amatori di Roma dove presentò l’opera “Funerale” dipinto nel quale applicando una tecnica povera, quasi rudimentale per certi versi, ma dalla scena commovente, come annotò Tommaso Sillani: “…Il suo Funerale con la candida teoria delle fanciulle trascorrenti entro due ombre, oltre il pilastro nero d’un rozzo portico, con la mestizia che accascia le figure di cui è composto riesce a farci sostare ed a commuoverci”. L’opera rimandava a “Fienile” del grande Pellizza da Volpedo ma più prospettica e il dipinto fu riproposto in mostra l’anno seguente alla Permanente di Milano. A Roma ritornerà l’anno successivo con le opere: “Lago di Avigliana” e “Ritratto” (raffigurante quella che sarebbe poi diventata sua moglie).

 

 

Giovanni Rovero - Inverno sul Tanaro. Bra, collezione privata

 

 

Nel dicembre del 1915 fu presente alla Mostra del Circolo degli Artisti di Torino con due opere: “Sera nel bosco” e “Il Tanaro” (altro soggetto a Lui caro). Alfredo Vinardi su Emporium del marzo successivo, nella sua recensione “Le Mostre d’Arte a Torino” scrisse: “Ed eccoci, da ultimo al Circolo degli Artisti. La Mostra annuale ebbe, quest’anno, il concorso della Società Promotrice di Belle Arti e della Società d’Incoraggiamento, così che è riuscita più completa, più varia degli anni precedenti. (…) Degli artisti più noti al pubblico nessuno o quasi è mancato all’appello. Ecco il Follini ecco il Pollonera ecco il Rho probo e coscienzioso e poi ancora, il Falchetti paesaggista, sempre ottimo e studioso non superficiale della montagna, così come il Rava e poi il Conterno, il Bosia che guarda a mete lontane, il Serralunga, il Bozzalla, il Sobrile, l’Omegna, il Gachet, il Rovero“. Vinardi passa poi a elencare gli artisti soldati che in qualche modo sono riusciti a presentare le loro opere: Giovanni Depetris, Alberto Cibrario, Lidio Ajmone, (ferito in guerra) Cesare Maggi, (già promosso a tenente sciatore) Oreste Pizio, Vittorio Petrella da Bologna e Guido di Montezemolo. Agli inizi del 1916 l’Italia era in guerra ormai da oltre sei mesi e Giovanni fu chiamato a battersi contro gli austriaci e arruolato in qualità di caporale di un reparto di Zappatori del Genio. La qualifica di Zappatore era la più semplice qualifica attribuibile a un soldato del Genio e deriva dalle prime tecniche di avanzamento. Gli Zappatori erano chiamati a costruire passerelle leggere per il superamento di fossi, canali, fiumi o aprire varchi nelle opere difensive avversarie. Successivamente essendo egli pittore fu trasferito presso il comando di battaglione con l’incarico di disegnatore e rilevatore topografico. Della tragicità di quegli eventi, ne trasse un diario titolato “Memorie di Guerra” al quale affiancò diversi disegni (il tutto oggi fa bella mostra nelle sale del Museo del Risorgimento di Torino, donati dalla famiglia nel 1998). Quando si leggono queste pagine, si evidenziano le disumanità della stessa: “La guerra continua e dilaga sempre più spietata e cruenta, ingoiando nuove genti e moltiplicando gli orrori e le vittime. Alle terribili armi già esistenti si sono aggiunte quelle diaboliche e vili della chimica, dei gas asfissianti e dei lanciafiamme”. In certi momenti invece, si ha l’impressione di stare nella poetica ungarettiana: “Si camminava come un gregge che emigra per terre sconosciute: che va e va e nulla domanda”. Poi nelle stesse il pittore durante la marcia poetizza quanto osserva: “Le nubi arrampicandosi su per le rupi a picco, a mano a mano che salivano s’imporporavano orlandosi di oro purissimo. Sprazzi di azzurro e violetto si aprivano e chiudevano come grandi finestre nel cielo per mostrarci i più smaglianti colori, le più celestiali visioni, mentre una divina sinfonia di luci s’innalzava oltre la cortina delle nubi”. Questi scritti mi ricordano quelli di un altro grande artista, il napoletano Giovanni Panza: pittore, poeta e nipote di pittori (Salvatore e Luca Postiglione) anch’egli lassù a combattere. Raccontò che il suo Reggimento aveva subito un duro bombardamento con morti e feriti da parte degli austriaci a S. Pietro sull’Isonzo; ma subito dopo scrisse: “…Nel silenzio che seguì al trambusto giungeva fresca e sonora la voce dell’acqua scorrente sulla ghiaia: era l’Isonzo”. A guerra conclusa, riprese la vita di pittore e in quel 1919 condusse all’altare la sua amata Placidia (Placidia Capello) che già più volte aveva ritratto; nasceranno Vanna (conservatrice delle sue opere e promotrice della sua figura d’artista dopo la morte) e Giorgio il quale, dopo la seconda Guerra Mondiale andrà sposo con la pittrice braidese (Bra) Emma Savanco. Nel 1919 la Promotrice di Torino fu la prima a riprendere l’attività con un’Esposizione Nazionale, veramente degna di questo nome. Raffaele Calzini su Emporium di quel dicembre scrisse: “L’aspettazione di quanti si attendevano di trovare a questa Mostra un’opera nata dalla guerra o di scoprirvi un’artista rivelato dalla ispirazione immediata della guerra è andata delusa. Si direbbe visitandola che la guerra non sia avvenuta. Ma bisogna rammentare che essa è ancora troppo vicina alla sensibilità dell’artista per essere sintetizzata od evocata in un’opera”. Nell’ambito dell’Esposizione scrisse ancora il Calzini: “La Società degli Amici dell’Arte Cristiana aveva indetto un concorso per una rappresentazione figurativa della Madonna della Pace e l’esito del concorso, a quanto appare dalla Sala di Arte Cristiana dell’Esposizione torinese, è riuscito negativo. Passate singolarmente in esame tutte le opere inviate, i membri della Commissione dovettero con doloroso rammarico concludere e riconoscere che, nessuna delle opere inviate corrispondeva ai desideri e alle intenzioni dei banditori del concorso e poteva non solo essere premiata; ma nemmeno essere esposta”.

 

 

Giovanni Rovero - Lasciate che i fanciulli vengano a me. Torino, collezione eredi

 

 

Mentre invece, prosegue ancora il Calzini: “Le illustrazioni dei Vangeli di Giovanni Rovero hanno tolto ai libri immortali piuttosto gli elementi esteriori che non la bellezza essenziale: sono più drammatici che religiosi”. E Giovanni Mussio sul Corriere d’Italia del 3 novembre scrisse: “Giovanni Rovero è giovanissimo e modesto (…) Nessuno sapeva che lavorava attorno a certe illustrazioni del Vangelo nelle quali la sua anima cristiana voleva e doveva avere la sua parte. Un amico lo rivelò agli organizzatori della sezione dell’Arte Cristiana ed ecco come il Rovero figura fra gli espositori di questa sala. E vi figura degnamente. Ben dieci sono le sue illustrazioni del Vangelo e sono dieci piccoli capolavori di ispirazione cristiana, di un’artista che anche tecnicamente sa il conto suo”. Dopo aver guardato agli inizi degli anni ’10 del novecento a Fontanesi ebbe successivamente un occhio di riguardo per i Simbolisti e per i Nabis: Boecklin, Puis de Chavannes, Odilon Redon, Paul Serusier. In quel 1920 che fu per Lui un anno ricco di soddisfazioni, dopo aver partecipato agli inizi della primavera all’annuale esposizione della Promotrice di Torino si apprestò ad esporre per la prima volta alla Biennale Internazionale di Venezia col dipinto: “Luce tra le tenebre” mostrante appunto valori mistico-simbolici. Franco Fabiano (titolare della Galleria d’Arte -La Finestrella- di Canelli) nella sua analisi circa il dipinto ha scritto: “…nella quale la figura di Gesù sembra quasi doversi dissolvere in una massa di purissima luce, coinvolgendo e rendendo parimenti incorporeo il gruppo di pellegrini che le sta più d’appresso; e l’altra parte della folla –questa però ben delineata sulla vasta superficie scura – popola il quadro di altri pellegrini d’ogni età, raccolti in mesti atteggiamenti di preghiera, i cui volti ritagliati nella penombra osano appena guardare la vera Luce: quella della loro salvezza”. Sempre nella capitale lagunare fu presente nel mese di settembre alla prima Esposizione Nazionale di Arte Sacra, dove gli fu riservata una sala nella quale poté presentare tutta la serie dei vangeli, composta da sedici grandi disegni colorati raffiguranti i miracoli di Nostro Signore. Le sue sempre più assidue frequentazioni nella Liguria di Noli e la sua assunta notorietà, lo posero all’attenzione degli organizzatori di mostre e alle direzioni delle Società Promotrici e fu proprio quella di Savona che lo iscrisse tra gli invitati nel 1921 dove il Maestro presentò quattro dipinti raffiguranti quel mare tanto amato e sempre in quell’anno, nel mese di novembre fu presente all’Esposizione Artistica Regionale Piemontese a Casale Monferrato con -Primavera in Liguria- e -Uscita dalla messa-. Il 1923 fu per Lui un anno di grazia: dopo aver partecipato alla Quadriennale di Torino, all’Esposizione della Società degli Amici dell’Arte, all’Esposizione Artistica astigiana, nel mese di ottobre fu invitato a esporre alla Esposizione Nazionale d’Arte della Regia Accademia di Brera a Milano e il suo –Tremolar della marina- venne acquistato nientemeno che da S. M. il Re. Nel 1924 oltre alle solite esposizioni della Promotrice e della Società Amici dell’Arte di Torino, fu nuovamente invitato alla Biennale Internazionale di Venezia dove espose –Pianto sul mare (o Motivo triste)- che rimandava a –L’annegato- di Pellizza da Volpedo. Nel 1925 si tenne a Roma la Terza Biennale Romana e nell’ambito della stessa fu allestita la Mostra Internazionale d’Arte Cristiana Moderna; in quest’ultima Rovero espose due lavori, -La moltiplicazione dei pani- e -Un miracolo di Gesù- (delicate e chiare armonie dove eccelle la qualità) come ebbe a scrivere A. Lancellotti. Quest’ultimo lavoro, su scelta del Ministro della Pubblica Istruzione gli permise l’anno seguente di essere invitato alla rassegna denominata “Exibition of modern Italian Art” che si tenne a Brighton presso la Public Art Galleries Museum and Fine Art; con Rovero figuravano: il “Pictor Optimus” Giorgio De Chirico, Giulio Aristide Sartorio, Arturo Tosi, Aldo Carpi, Pietro Marussig e Arturo Martini. Nella primavera di quel 1926 con –Primavera in collina- e –Motivo triste- fu presente alla Esposizione Nazionale della Promotrice di Torino: Il recensore della mostra Emilio Zanzi su Emporium del mese di giugno scrisse: “Il paesaggio sovrabbonda e di nature morte ce ne sono per tutti i gusti e per tutte le tasche. Dal –Paese maremmano- del Valinotti alle –Rose- del Grosso e ai –Fiori- di Bosia; delle opere dei veterani degnissimi Follini, Calderini, Belloni, Pugliese-Levi, si passa alla nobile pittura di Giovanni Rovero che nel tragico motivo –C’è un morticino sulla spiaggia- ritorna a dire con un’arte tutta ricerche tonali e serietà, le parole gravi e religiose dette dieci anni or sono con i suoi paesi monferrini e con i Vangeli colorati”. L’attività espositiva nel 1927 si aprì con la Quadriennale di Torino e Rovero vi figurò con due opere: -La moltiplicazione dei pani– e –A messa- quest’ultima riprodotta a catalogo. Ne seguì la collettiva presso la Galleria “Arti Belle” e sempre in Torino nel tardo autunno, fu presente con cinque opere all’Esposizione degli Amici dell’Arte. Da quel momento iniziò a sottrarsi dagli ambienti culturali di regime, limitando negli anni successivi la sua presenza alle rassegne cui era tradizionalmente legato: Promotrice, Amici dell’Arte, Circolo degli Artisti e le Sindacali torinesi. Libero così di agire secondo i suoi desideri, Giovanni si dedicò all’affresco e il suo primo lavoro fu portato a termine nel 1929 a Noli sulla Porta di Città raffigurante i Santi protettori della stessa. Nel 1931 sempre a Noli furono inaugurati gli affreschi eseguiti nella cattedrale di S. Pietro raffiguranti i Santi Patroni: Sant’Eugenio, San Paragorio e San Michele e nella cappella del Sacro Cuore raffigurò la Sacra Famiglia con San Giovannino. Negli anni successivi realizzò affreschi nella chiesa parrocchiale di Tosse; nelle nuove scuole di Noli e a Torino presso il Cimitero Monumentale, la tomba del barone Mazzonis. Nel mese di febbraio del 1934 allestì una Personale presso la Galleria -Il Cenacolo- di Genova. La stessa fu recensita da Arrigo Ortolani che sul Giornale di Genova del 28 febbraio scrisse: “In questi quadri del Rovero; superata la prima impressione (che è quella, appunto d’un effetto voluto e lambicato) si capisce che il pittore opera in una specie di clima sentimentale vissuto, sofferto, respirato; ben lontano da ogni forma d’artificio: (…) E certe luci bianche, compatte, lattiginose che percorrono queste distese di mare o di campi creano sovente l’illusione del soprannaturale”. Nel 1939 presso l’Opera Luigi Defferrari di Noli, si tenne una doppia Personale: Giovanni Rovero e l’amico torinese Metello Merlo misero in mostra un congruo numero di loro opere, ammirate da moltissimi amatori e non solo liguri. Ancora una volta a recensire la stessa fu Arrigo Ortolani che sul Giornale di Genova del 22 luglio scrisse: “Ieri abbiamo affrontato il dolce pendio che porta alla Mostra, contenti di rivedere ancora una volta, prima dell’apertura, le opere di due artisti, in cui si rivive tutta la poesia artistica di questa Noli eternata nel Divino Poema. …Sosti ad ogni quadro e senti la voce dell’autore che in sordina te ne sussurra il motivo. Odi il Mare agitato; il risucchio, il mormorio dell’onda accarezzante la scogliera di Capo Noli. Vivi la pace della campagna nel suo rigoglioso manto primaverile. Odi in queste opere il cicaleccio dei pescatori e il ritmico battito dei remi; ti senti investito dal gelido vento delle Alpi in un paesaggio ricoperto di abbondanti nevi e l’umido della pianura piemontese”. La II Guerra Mondiale ridusse notevolmente le attività artistiche e negli anni successivi, Rovero si dedicò prevalentemente al paesaggio con marine e scene agresti, “staccandosi ulteriormente dall’ambiente artistico culturale” come ci riferisce Francesco Sottomano. Nel 1951 e nel 1955 fu presente alle Quadriennali di Torino con – Uscita da messa – e -Paesaggio-. Nel 1959 si tenne a Asti la seconda edizione del Premio -Vittorio Alfieri- riferita al “Ritratto” e Giovanni espose – Ritratto di mia figlia Vanna-. Nello stesso anno per incarico dei Monaci Benedettini di Monte Oliveto realizzò una grande Via Crucis ad olio e un mosaico sul timpano nel Santuario della Madonna del Pozzo di San Salvatore Monferrato. Nel 1960 su incarico dei responsabili della Chiesa Parrocchiale di Gorra (frazione di Finale Ligure) realizzò una Pala d’altare dipinta ad olio. Nel 1967 allestì una personale presso la Galleria “Le Tre Arti” di Noli dove a grande richiesta fu ancora presente l’anno successivo. Intanto la sua salute già malferma iniziò a peggiorare e il 24 agosto 1971 la morte lo colse nella sua Noli: quella Noli che aveva tanto amato e dipinto, quel mare dal quale aveva tratto ogni ansito, ogni palpito come fosse un cuore umano. Silvia Taricco ricordandone la figura scrisse: “Le sue spoglie riposano nel piccolo cimitero alto sulle rocce, nel silenzio appena rotto dall’amico rumore delle onde”.

 

 

Giovanni Rovero - Inverno rigido. Già mercato antiquario

 

 

 

Dopo la sua morte, nel 1977 fu la città di Asti a ricordarlo con una “Antologica” nel Battistero di San Pietro e nell’occasione venne presentata la monografia dell’artista a cura di Angelo Mistrangelo. Nel 1986 fu la Galleria Fogliato di Torino a commemorarlo con una mostra titolata “Giovanni Rovero a cent’anni dalla nascita”, nell’occasione furono esposte 127 opere con testo in catalogo a cura di Angelo Dragone. Il sodalizio instauratosi tra la Galleria La Finestrella di Canelli e Vanna la figlia dell’artista, fece si che le opere di Rovero figurassero sempre nelle annuali rassegne “Testimonianze d’Arte” sino a sfociare nella Postuma del 1989, nelle “Tenebre e la luce” riferita ai Vangeli del 1997 e poi ancora nella Postuma del 2001 con 34 opere scelte. A proposito di –Artefigurale- oggi piuttosto maltrattata e quasi messa in disparte, in chiusura voglio ricordare quanto ebbe a scrivere il pittore e scrittore napoletano Ferdinando Del Basso: “Quando l’arte è guidata dal sentimento non potrà mai morire”.

 


Flavio Bonardo – sabrotu@yahoo.it -

 


Bibliografia:
A. Vinardi – Le mostre d’arte a Torino – Emporium n° 255 Marzo 1916
R. Calzini – L’Esposizione Nazionale di Torino – Emporium n° 300 Dic. 1919
E. Zanzi – LXXXIV Promotrice di Torino – Emporium n° 378 Giu. 1926
E. Zanzi – La Quadriennale di Torino – Emporium Lug. 1927
A. Ortolani – Giovanni Rovero – Giornale di Genova – Genova 28-2-1934
A. Ortolani – Giovanni Rovero e Metello Merlo – Giornale di Genova – Genova 22-7-1939
A. Ponsiglione – Giovanni Panza (l’uomo e l’artista) – Edit. Agar – Napoli 1971
A. Mistrangelo – Giovanni Rovero – Lit. Massena Torino 1977
De Caria/F.Fabiano/F. Sottomano – Le tenebre e la luce – Gall. La Finestrella – Canelli Dic.1997
M. Galli/F. Sottomano – Giovanni Rovero a 30 anni dalla scomparsa – Gall. La Finestrella – Canelli Dic. 2001