Giulio Romano Vercelli (Marcorengo 1871 – Torino 1951)

 

 

Flavio Bonardo


 

 

 



Il Monferrato è una terra che si estende tra le provincie di Asti e Alessandria con alcuni comuni situati all’estrema periferia della provincia di Torino ed è tutta una visione di dolci colli intervallati da amene vallette, oggi patrimonio dell’UNESCO. Terra cantata da Giosuè Carducci che, nella sua Ode –Piemonte- la descrive: “… Esultante di castella e vigne suol d’Aleramo…” ma il Monferrato fu per secoli terra di miseria e d’abbandono, in particolare all’affacciarsi del Novecento da parte di quei giovani contadini che, disubbidendo ai vecchi andavano in città oppure emigravano in Sud America in cerca di un futuro migliore. Un caro vecchio amico (oggi non più fra noi) nato in uno di quei paesi mi raccontava che sua nonna soleva spesso ripetere: “Monfrà fatiga e fam”. A mio parere i più grandi cantori di queste terre sono stati: Dumini (Domenico) Badalin (Torino 1917–1980) per la poesia dialettale e Guglielmo Bezzo per la pittura. Il primo con le –Listeurji dij Varèj- dove la sua forza evocativa parla della vita contadina compresa tra amore e fatica, dolore e morte, il tutto nell’esaltazione della bellezza di quel paesaggio. Per l’epicità dei suoi scritti, il giornalista Anselmo Bea l’ha nominato l’Omero del Monferrato. Guglielmo Bezzo (1892–1977) invece, spostandosi di poco dalla sua casa di Tonco, ha per anni dipinto queste terre: tutta una magia di silenzi, trovando ogni giorno per cinquant’anni soggetti sempre vecchi ma sempre nuovi da riportare sulla tela. Famose sono le sue visioni aeree con i campi zonati, i vigneti pettinati, le terre dissodate e i gerbidi silenziosi; opere che hanno conosciuto (nonostante l’umiltà dell’artista) le sale della Biennale di Venezia. Il Vercelli pur nelle sue peregrinazioni in America Latina tornava spesso al paese natio per dipingere i colli monferrini.

 



Giulio Romano Vercelli - Cascinale nella pianura piemontese. Bra, collezione privata
 

 


Giulio Romano Vercelli - La casa del nonno, 1926. Già mercato antiquario
 

 


Egli amava in particolare ritrarre la cascina del nonno, la campagna circostante, le piazze assolate di quei paesi dove dopo la messa domenicale, si radunava la massa contadina, le aie con i bambini vocianti intenti ai loro giochi, lo sfoglio della meliga nell’ora del tramonto, le donne tese a cucire, a fare il bucato o a sciorinarlo, tutte tavolette quasi sempre di piccolo formato ricche di colori puri. Giulio Romano Vercelli nacque in una di queste terre e precisamente a Marcorengo (frazione del comune di Brusasco) il 3 luglio 1871 da Angela Emanuel e da Giuseppe (contadino e poeta). Fin dalle scuole elementari mostrò grande interesse per il colore: si narra che sbriciolasse pastelli e gessetti colorati con i quali preparava gli impasti per le sue pitture in questo, sostenuto dal padre che gli forniva quelle polveri colorate che servivano per tinteggiare gli interni e gli esterni delle abitazioni. Giovanissimo dipinse piloni votivi e piccole cappelle sparse nelle campagne, suscitando l’ammirazione dei suoi compaesani. La genialità del giovane non sfuggì a Don Eugenio Dezzani (parroco di quelle terre) il quale, avendo un amico missionario in Brasile che, con fatiche inenarrabili stava costruendo una chiesetta a San José de Picu convinse il giovane Giulio (non ancora diciottenne) a recarsi colà per affrescarne le pareti: era il 1888. Si racconta che come compenso ottenne: farfalle rare, monete antiche e una sella decorata in oro e argento. Dopo un anno di lavoro nel maggio del 1889 a bordo di un battello a vapore, fece ritorno nel vecchio continente, sbarcando a Marsiglia. Durante il tragitto aveva conosciuto monsieur Targhetta un nizzardo, amatore d’Arte che aveva capito immantinente di trovarsi davanti a un giovane talento. I fermenti artistici che in quegli anni scuotevano l’Europa convinsero il Vercelli a ripartire ma questa volta per Parigi dove allora confluivano artisti da tutto il mondo e lì, sempre accompagnato dall’amico Targhetta andò a conoscere quei maestri che, non ancora riconosciuti, corrispondevano ai nomi di Monet e Cezanne; quest’ultimo lo accolse nel suo studio e dopo averne visionato le opere (gliene acquistò una che a tutti i costi volle pagare) gli disse: “Ritornate a trovarmi mio giovane amico e lavorate, lavorate molto e ricordatevi che, il vostro maestro: il migliore, siete voi stesso. Non nell’arida meditazione ma nel silenzio del lavoro”. In proposito il Mandel scrisse: “l’incontro con questi maestri fu per il Vercelli una rivelazione: nell’ambiente impressionista e postimpressionista Egli, scoprì d’aver seguito individualmente la medesima, la stessa strada, e d’esservi riuscito con mezzi propri sino al punto da ottenere le sincere lodi dei maestri”. Quando nel luglio del 1890 fece ritorno in Italia, confrontandosi con i colleghi torinesi, si evidenziò in lui la certezza che dalla formazione artistica maturata all’estero ne aveva tratto grande vantaggio. Luciano Budigna in merito ha scritto: “…E’ se in Giulio Romano Vercelli l’insorgere dell’empito figurativo si modula nella ricerca di una libertà stilistica che tuttavia ha ben presenti le intuizioni, e i limiti anche, dei Grandi Maestri dell’Ottocento francese la cui lezione egli fu tra i primi ad avvertire in Italia ma principalmente in Piemonte al punto d’andare al di là di essa”. A Torino negli anni 1890-91 frequentò gli studi di Vittorio Cavalleri (1860-1938) e di Giuseppe Cavalla (1859-1935) ma Giulio non volendo legarsi né a scuole né a maestri, ritornò presto ad agire secondo il suo sentire. In merito Giuseppe Luigi Marini ha scritto: “Della conoscenza dell’opera degli impressionisti e di Cézanne (del quale visitò lo studio due volte) derivò le caratteristiche salienti della sua espressione, da cui non lo distolsero la frequenza torinese degli studi di Cavalla e Cavalleri disponibile a evoluzioni verso un esteriore-fauvisme-“.

 


Giulio Romano Vercelli - Sottobosco, 1914. Già mercato antiquario

 


La sua ricerca della –luce- insistita sino al finire degli anni trenta fu veramente tale da sfiorare il fauve e a testimonianza ci sono diverse tavolette ma su tutte quelle visionate mi piace citare –Il temporale- del 1906 ma più ancora –Sottobosco- del 1914.


 

Giulio Romano Vercelli - Mele, 1912. Già mercato antiquario
 


Gabriele Mandel in merito ha scritto: “La qualità luministica di Vercelli conducendolo a una risoluzione corposa del colore e a una vibrazione nervosa della pennellata, non gli hanno esclusa nessuna via: natura morta, paesaggio, scena di genere si apparentano al ritratto, a riprova della maestria del pittore e della validità del suo segno”. Nel 1896 fu invitato alla Triennale di Torino dove, presentò due tavolette titolate: -Una sera a Nole Canavese- e –Mattino a Messina-. Guido Martinelli su Emporium del mese di giugno dopo aver criticato aspramente gli organizzatori per aver dato spazio a personaggi che forse era meglio lasciare in disparte che con l’Arte a suo dire avevano poco da spartire al riguardo, cita il pensiero di Edgard Allan Poe: “L’imitazione della natura per quanto esattissima, non permette a nessuno di prendere il sacro nome di artista: se dovessi definire brevemente la parola Arte la direi, la riproduzione di quello che i sensi scorgono nella natura , attraverso il velo dell’anima”. Analizzando poi i vari artisti a proposito del Nostro scrisse: “Il Vercelli presenta due quadretti dalle tinte antiche ma vigorosissime e personali”. Nel 1900 l’amico, il buon prete di campagna Don Dezzani partì anche lui, destinazione Brasile per raggiungere la missione di San José de Picù. Giulio Romano rimase un po’ demoralizzato: la perdita temporanea di un amico sincero e per lui pieno di consigli lo turbava e al contempo riscontrava che, la sua pittura d’avanguardia guardata quasi con sospetto, trovava purtroppo pochi compratori ma, nel 1902 con lettera scritta, Don Eugenio lo richiamò verso quelle terre che già aveva conosciuto. Dopo una permanenza breve ma molto attiva in Brasile si spostò in Argentina: dove, (come ho già detto all’inizio di questo scritto) la miseria nostrana, aveva portato colà in cerca di fortuna, due suoi fratelli che l’occasione gli permise di riabbracciarli. Dall’Argentina passò in Uruguay (paesi questi che rivisitò ancora negli anni dieci del Novecento) esponendo ovunque andasse in Personali e Collettive. Il –Pais- quotidiano di Montevideo lo descrisse come: “El celebre pintor Julio Vercelli”. Tornato in Italia sul finire del 1903 conobbe colei che doveva diventare la compagna della sua vita: Maria Giuseppina Carolina Frisone (l’amatissima Mary di ben nove anni più giovane di lui) che condusse all’altare il 18 settembre del 1904. Da quest’unione vi nasceranno: Renato Angelo (5 ottobre 1909) pittore; Aroldo (2 febbraio 1911) architetto; Gemma (13 maggio 1913) pittrice definita dalla critica del tempo: “Soave e angelica”; e infine nel 1920 Vally che purtroppo morì appena tredicenne. Nel 1906 entrò a far parte della Società Promotrice di Torino e nell’annuale rassegna espose –Frutteto d’Aprile- che acquistata dalla Società stessa fu sorteggiata fra i soci. Forse fu in quell’occasione che nacque il sodalizio con l’albese Giovanni Rava di tre anni più giovane ma anche Lui impegnato a conquistarsi uno spazio di riguardo nell’arte sua. L’amicizia tra i due sarà lunga e durerà tutta la vita, portandoli a dipingere in America Latina, sulla Costa Ligure e su quella Azzurra con l’allestimento di mostre nelle varie città.

 

 


Giulio Romano Vercelli - Case sotto la neve, 1917 - Già mercato antiquario

 

In quegli anni d’inizio novecento dipinse alcuni studi di neve dove l’ombra della stessa era blu e non nera, contrariamente a quanto sino allora l’avevano dipinta i maestri scolastici che lo tacciarono di “Pasticcione” come a suo tempo avevano considerato Antonio Fontanesi. Nel 1907 fu ancora la Promotrice di Torino ad accogliere le sue opere e nell’annuale rassegna vi figurarono –Impressione- e –Parco fiorito- ma, quello fu anche l’anno in cui l’amico e sostenitore Don Dezzani fece ritorno alla Casa del Padre. Nel 1911 dopo essere stato presente in aprile all’annuale rassegna della Promotrice con –Primavera- e –Alberi in fiore-, reclamato con insistenza dagli estimatori sudamericani e con il beneplacito della moglie, ripartì per quelle terre. Fu un anno di grande lavoro con Personali in Brasile, Argentina e Uruguay e quando, agli inizi del 1912 fece ritorno a Torino, si portava appresso un bel gruzzolo, frutto della vendita delle opere che là aveva dipinto.


 

 


Giulio Romano Vercelli - La spiaggia di Noli, 1918. Già mercato antiquario
 


La sua invidiabile capacità lavorativa lo portò alla scoperta della marina ligure, innamorandosene follemente: dipinse a Camogli, Celle Ligure, Sestri Levante, Noli, Spotorno, Alassio, Laigueglia, Albisola, spiagge allora segnate principalmente dal duro lavoro dei pescatori e dal lavorio delle donne e dei vecchi intenti a rammagliare le reti. Tutti quei lavori furono poi esposti in due mostre tenutesi a San Remo nel 1917 e nel 1918. Nel 1916 fu invitato all’annuale Mostra della Permanente di Milano tenutasi nel palazzo di Brera dal 8 settembre al 12 ottobre. Nella sala VII accanto a opere di Luigi Serralunga, Giovanni Battista Carpanetto, Oreste Pizio e l’amico Giovanni Rava che, esponeva una miniatura su avorio; faceva bella mostra di se il suo dipinto titolato –Ciliegie- che fu acquistato da S. M. il Re. Nel 1917 fu il Circolo degli Artisti di Torino ad accogliere nelle sue sale la mostra dicembrina che ospitava i soci della Promotrice e quelli della Società d’Incoraggiamento alle Belle Arti: di Giulio RomanoVercelli figurava –Fiori di campo- che ottenne il premio acquisto. Nel 1919 l’amico Targhetta diventato in Francia uno dei più ascoltati patrocinatori d’Arte, lo invitò a esporre nella sua Nizza e Giulio portando con sé la famiglia, vi soggiornò per diverso tempo. Dopo aver lavorato alacremente, espose a Parigi. Tornato a Nizza, allestì su invito, una grande mostra al Salon de l’Artistique e la Societée Des Beaux Arts de Nice gli chiese di fare parte attiva della stessa. Nel 1920 alla Promotrice di Torino espose cinque opere: -Gregge quieto-; -Primavera-; -Alberi in fiore-; Cielo e mare-; -Impressione di spiaggia-; quest’ultima fu scelta per partecipare al Premio Gualino. In quegli anni, Giulio pur attratto fortemente dal paesaggio, non dimenticò mai il “Sacro” che era stato il suo primo impegno e nel 1922 invitato alla Mostra d’Arte Sacra di Venezia ottenne una medaglia d’oro. In maggio alla Promotrice di Torino espose due opere: -Confidenze- e gli –Amanti- quest’ultima contrassegnata col n° XLI partecipò all’assegnazione del Premio Fontanesi. Sempre in quell’anno su iniziativa dell’avvocato Felice Gherzi Paruzza (pittore e presidente del Circolo degli Artisti di Torino) e del concittadino Giovanni Rava (pittore) coadiuvati da Giulio Romano Vercelli allestirono in Alba una grande “Mostra d’Arte Moderna in onore di Macrino d’Alba” con una sezione di Arte Sacra. Tra gli invitati (pittori e scultori) la “Creme de la Creme” degli artisti piemontesi. La stessa fu inaugurata il 21 agosto nelle aule del “Liceo Ginnasio Govone” con un discorso ufficiale di Emilio Zanzi e Vercelli fu citato nella recensione di Anonimo (ma sicuramente dello stesso Zanzi) sul “Corriere Albese” per “…alcuni quadri superbi per colorazione”. Nel 1921 anticipatrici delle Quadriennali, nacquero le Biennali Romane con l’intento di creare un evento artistico e mondano tale da contrastare quello della Serenissima. Purtroppo si fermarono a tre e a quest’ultima (1925) Giulio fu invitato ottenendo anche un premio. Nel 1926 a Milano presso la Galleria d’Arte denominata “Bottega di Poesia” di Raffaello Giolli espose un nutrito gruppo di sue opere affiancate da una decina di lavori della giovane figlia Gemma appena tredicenne. Recensore della stessa fu l’amico Carlo Carrà che già in altra occasione aveva avuto parole di elogio per i suoi lavori. Nel 1928 la città di Torino si apprestò a celebrare due grandi avvenimenti: il IV Centenario di Emanuele Filiberto di Savoia e il X Annuale della Vittoria, furono inaugurate varie Mostre Industriali e Coloniali il tutto, sotto gli auspici e la guida di S. A. R. il Duca d’Aosta. Il Presidente della Società Promotrice di Torino Ing. Salvadori di Wiesenhoff in una lettera agli –Artisti d’Italia- in data 30 novembre scrisse: “All’antica e gloriosa Società Promotrice di Belle Arti venne dato l’incarico di allestire la Mostra Nazionale di Belle Arti. E’ nell’intento degli organizzatori di questa Esposizione che si aprirà nel mese di Aprile 1928 che essa sia una eletta e compiuta raccolta di tutti i segni più espressivi del fervido animarsi di aspirazioni e di lavoro che tende a sospingere il nostro paese a riprendere nel mondo dell’Arte il posto degno delle sue tradizioni”. Nella sala XI accanto a –Contadina- di Cesare Ferro e a –Paesaggio dell’astigiano- di Giuseppe Manzone figuravano con il n° 401 e 402 due opere del Vercelli titolate –Boschetto- e –Processione- quest’ultima sicuramente di “buone” dimensioni poiché il prezzo indicato fu di Lit. 4.500.
 

 

 


Giulio Romano Vercelli - La moglie Mary. Già mercato antiquario



Il 1930 fu per Vercelli un anno tristissimo; la non ancora cinquantenne moglie, l’adorata Mary morì privandolo del suo sostegno. A dolore si aggiunse dolore, tre anni dopo anche la figlia: la giovanissima Vally (appena tredicenne) salì al cielo. Giulio Romano pur sostenuto dai tanti amici in Italia e all’estero che volevano correre in suo soccorso decise di rituffarsi nel suo lavoro aiutato in questo dalla figlia Gemma e dal figlio Renato Angelo che, inseriti nel mondo dell’Arte stavano ottenendo riscontri positivi. Il II conflitto mondiale sconvolse il nostro Paese. Chiamato alle armi il figlio Aroldo, teneva col fiato sospeso il suo illustre genitore che, nonostante le difficoltà insite negli spostamenti fu ospite presso un amico a Savona (prima dell’ottobre quando la stessa fu duramente bombardata) dove dipinse marine, paesaggi locali e una Madonna col Bambino Gesù opere tutte datate 1943 e tre di queste donate all’amico e conservate tuttora dagli eredi. Il 1944 fu ancora per Giulio un anno di dolore: il figlio Aroldo cadde in battaglia; gli verrà assegnata una medaglia al valore militare. Fortemente provato nel morale, decise di rinunciare a esporre le sue opere, ma di dedicarsi in modo particolare a seguire la figlia Gemma ormai pittrice affermata. Il cerchio stava per chiudersi definitivamente, la sua forte tempra colpita da così tanti lutti era divenuta cedevole. Ricoverato presso l’Ospedale –Le Molinette- di Torino in seguito a un non meglio identificato malessere, assistito amorevolmente dalla figlia Gemma, chiuse la sua vita terrena all’età di 79 anni: erano le ore 21 del 16 giugno 1951. Chi fu Giulio Romano Vercelli! Un profilo dell’uomo ce lo traccia un suo allievo rimasto ignoto: “Quando conobbi Giulio Romano Vercelli, fui subito colpito dalla serena cordialità del maestro, dalla bontà e pazienza del suo insegnamento così incline al rispetto della –personalità- dell’allievo e così alieno da ogni professorale atteggiamento cattedratico (…) Ma ancora più mi colpiva il volto solennemente bonario del maestro, il suo sguardo vivace e inquieto, la riflessiva arcata del suo sopracciglio, la fronte spaziosa e la corona dei capelli fluenti”. Dopo le prime lezioni pomeridiane, un giorno mi disse: “Tu sei tu e devi disegnare secondo la tua ispirazione. Solo così potrai fare qualcosa di utile per te. Io ti sorveglio, ti seguo, ti aiuto e se è necessario ti correggo. Ma tu non sforzarti d’imitarmi. Non usare verso di me questo riguardo che, non gioverebbe a me, e nuocerebbe a te”. Dopo la sua morte, le retrospettive si susseguirono a cominciare dal 1953 con le sue opere esposte presso il salone della Stampa di Torino. Nel 1956 la Galleria Martina di Torino riunì le opere dei “Tre Vercelli” che nel 1960 furono ospitate a New York presso la Galleria Duncan, nel 1961 a Milano al Centro Artistico San Babila, a Parigi presso la Galleria Marcel Bernheim e ancora a Torino alla Galleria Caver gestita all’epoca dal figlio, Renato Angelo. Nel 1967 a Milano presso la Galleria dell’Istituto Europeo di Storia dell’Arte fu allestita una Mostra titolata: “Premesse allo studio dell’Impressionismo Italiano”: di Giulio Romano Vercelli furono esposte 11 opere assieme a lavori di Mosé Bianchi, Pompeo Mariani, Emilio Gola, Francesco Mancini, Adriano Cecioni e Sivestro Lega. Giulio Romano Vercelli nel lungo corso della sua vita artistica, dipinse paesaggi con forti note cromatiche, nature morte con pennellate tumultuose, ritratti nei quali anticipò Kokoschka e soggetti sacri con tante e sentite –Via -.

 

 


Giulio Romano Vercelli - Via Crucis (VIII stazione), 1914. Bra, collezione privata

 


Le sue opere disperse in Sud America e nel nostro Paese trovano protezione presso collezionisti e musei di tutto il mondo. Tra questi ultimi, ricordo quelli di Biella, Buenos Aires, Casablanca, Genova, Lione, Milano, Montevideo, Nizza, Parigi, Pavia, Torino, Roma, San Paolo del Brasile e Vercelli. Il comune di Brusasco al suo illustre concittadino, gli ha intitolato una via. Chiudo queste brevi note ancora con una affermazione di Gabriele Mandel circa l’artista: “Giulio Romano Vercelli fu tra i primi, e di notevole portata, a mostrare come l’arte è specchio di sensazioni, di là dalla sola resa delle apparenze esteriori”.


 

Flavio Bonardo stragat@alice.it

 


Bibliografia:
G. Martinelli – L’Esposizione di Torino – Emporium n° 18 giugno 1896;
AA.VV. – I Tre Vercelli – Libraria Tipografica Editrice – Torino, novembre 1960;
G. Mandel – L’Impressionismo Italiano e G. R. Vercelli – Stab. Grafici Pinelli – Milano, aprile 1967;
E. Bellini – Pittori Piemontesi dell’Ottocento e del I° Novecento – Libreria Piemontese – Torino 1998;
F. Sottomano/M. Galli – Giovanni Rava – Gall. La Finestrella – Canelli 2004;
G. L. Marini – Il Valore dei Dipinti dell’Ottocento e del I° Novecento - Editrice Allemandi – Torino 2006;
L. Balice – Servizi Demografici Città di Torino – Torino, giugno 2017.