Giulio
Romano
Vercelli
(Marcorengo
1871
–
Torino
1951)
Flavio Bonardo
Il
Monferrato
è
una
terra
che
si
estende
tra
le
provincie
di
Asti
e
Alessandria
con
alcuni
comuni
situati
all’estrema
periferia
della
provincia
di
Torino
ed
è
tutta
una
visione
di
dolci
colli
intervallati
da
amene
vallette,
oggi
patrimonio
dell’UNESCO.
Terra
cantata
da
Giosuè
Carducci
che,
nella
sua
Ode
–Piemonte-
la
descrive:
“…
Esultante
di
castella
e
vigne
suol
d’Aleramo…”
ma
il
Monferrato
fu
per
secoli
terra
di
miseria
e
d’abbandono,
in
particolare
all’affacciarsi
del
Novecento
da
parte
di
quei
giovani
contadini
che,
disubbidendo
ai
vecchi
andavano
in
città
oppure
emigravano
in
Sud
America
in
cerca
di
un
futuro
migliore.
Un
caro
vecchio
amico
(oggi
non
più
fra
noi)
nato
in
uno
di
quei
paesi
mi
raccontava
che
sua
nonna
soleva
spesso
ripetere:
“Monfrà
fatiga
e
fam”.
A
mio
parere
i
più
grandi
cantori
di
queste
terre
sono
stati:
Dumini
(Domenico)
Badalin
(Torino
1917–1980)
per
la
poesia
dialettale
e
Guglielmo
Bezzo
per
la
pittura.
Il
primo
con
le
–Listeurji
dij
Varèj-
dove
la
sua
forza
evocativa
parla
della
vita
contadina
compresa
tra
amore
e
fatica,
dolore
e
morte,
il
tutto
nell’esaltazione
della
bellezza
di
quel
paesaggio.
Per
l’epicità
dei
suoi
scritti,
il
giornalista
Anselmo
Bea
l’ha
nominato
l’Omero
del
Monferrato.
Guglielmo
Bezzo
(1892–1977)
invece,
spostandosi
di
poco
dalla
sua
casa
di
Tonco,
ha
per
anni
dipinto
queste
terre:
tutta
una
magia
di
silenzi,
trovando
ogni
giorno
per
cinquant’anni
soggetti
sempre
vecchi
ma
sempre
nuovi
da
riportare
sulla
tela.
Famose
sono
le
sue
visioni
aeree
con
i
campi
zonati,
i
vigneti
pettinati,
le
terre
dissodate
e
i
gerbidi
silenziosi;
opere
che
hanno
conosciuto
(nonostante
l’umiltà
dell’artista)
le
sale
della
Biennale
di
Venezia.
Il
Vercelli
pur
nelle
sue
peregrinazioni
in
America
Latina
tornava
spesso
al
paese
natio
per
dipingere
i
colli
monferrini.
Giulio
Romano
Vercelli
-
Cascinale
nella
pianura
piemontese.
Bra,
collezione
privata
Giulio
Romano
Vercelli
-
La
casa
del
nonno,
1926.
Già
mercato
antiquario
Egli
amava
in
particolare
ritrarre
la
cascina
del
nonno,
la
campagna
circostante,
le
piazze
assolate
di
quei
paesi
dove
dopo
la
messa
domenicale,
si
radunava
la
massa
contadina,
le
aie
con
i
bambini
vocianti
intenti
ai
loro
giochi,
lo
sfoglio
della
meliga
nell’ora
del
tramonto,
le
donne
tese
a
cucire,
a
fare
il
bucato
o
a
sciorinarlo,
tutte
tavolette
quasi
sempre
di
piccolo
formato
ricche
di
colori
puri.
Giulio
Romano
Vercelli
nacque
in
una
di
queste
terre
e
precisamente
a
Marcorengo
(frazione
del
comune
di
Brusasco)
il
3
luglio
1871
da
Angela
Emanuel
e
da
Giuseppe
(contadino
e
poeta).
Fin
dalle
scuole
elementari
mostrò
grande
interesse
per
il
colore:
si
narra
che
sbriciolasse
pastelli
e
gessetti
colorati
con
i
quali
preparava
gli
impasti
per
le
sue
pitture
in
questo,
sostenuto
dal
padre
che
gli
forniva
quelle
polveri
colorate
che
servivano
per
tinteggiare
gli
interni
e
gli
esterni
delle
abitazioni.
Giovanissimo
dipinse
piloni
votivi
e
piccole
cappelle
sparse
nelle
campagne,
suscitando
l’ammirazione
dei
suoi
compaesani.
La
genialità
del
giovane
non
sfuggì
a
Don
Eugenio
Dezzani
(parroco
di
quelle
terre)
il
quale,
avendo
un
amico
missionario
in
Brasile
che,
con
fatiche
inenarrabili
stava
costruendo
una
chiesetta
a
San
José
de
Picu
convinse
il
giovane
Giulio
(non
ancora
diciottenne)
a
recarsi
colà
per
affrescarne
le
pareti:
era
il
1888.
Si
racconta
che
come
compenso
ottenne:
farfalle
rare,
monete
antiche
e
una
sella
decorata
in
oro
e
argento.
Dopo
un
anno
di
lavoro
nel
maggio
del
1889
a
bordo
di
un
battello
a
vapore,
fece
ritorno
nel
vecchio
continente,
sbarcando
a
Marsiglia.
Durante
il
tragitto
aveva
conosciuto
monsieur
Targhetta
un
nizzardo,
amatore
d’Arte
che
aveva
capito
immantinente
di
trovarsi
davanti
a
un
giovane
talento.
I
fermenti
artistici
che
in
quegli
anni
scuotevano
l’Europa
convinsero
il
Vercelli
a
ripartire
ma
questa
volta
per
Parigi
dove
allora
confluivano
artisti
da
tutto
il
mondo
e
lì,
sempre
accompagnato
dall’amico
Targhetta
andò
a
conoscere
quei
maestri
che,
non
ancora
riconosciuti,
corrispondevano
ai
nomi
di
Monet
e
Cezanne;
quest’ultimo
lo
accolse
nel
suo
studio
e
dopo
averne
visionato
le
opere
(gliene
acquistò
una
che
a
tutti
i
costi
volle
pagare)
gli
disse:
“Ritornate
a
trovarmi
mio
giovane
amico
e
lavorate,
lavorate
molto
e
ricordatevi
che,
il
vostro
maestro:
il
migliore,
siete
voi
stesso.
Non
nell’arida
meditazione
ma
nel
silenzio
del
lavoro”.
In
proposito
il
Mandel
scrisse:
“l’incontro
con
questi
maestri
fu
per
il
Vercelli
una
rivelazione:
nell’ambiente
impressionista
e
postimpressionista
Egli,
scoprì
d’aver
seguito
individualmente
la
medesima,
la
stessa
strada,
e
d’esservi
riuscito
con
mezzi
propri
sino
al
punto
da
ottenere
le
sincere
lodi
dei
maestri”.
Quando
nel
luglio
del
1890
fece
ritorno
in
Italia,
confrontandosi
con
i
colleghi
torinesi,
si
evidenziò
in
lui
la
certezza
che
dalla
formazione
artistica
maturata
all’estero
ne
aveva
tratto
grande
vantaggio.
Luciano
Budigna
in
merito
ha
scritto:
“…E’
se
in
Giulio
Romano
Vercelli
l’insorgere
dell’empito
figurativo
si
modula
nella
ricerca
di
una
libertà
stilistica
che
tuttavia
ha
ben
presenti
le
intuizioni,
e
i
limiti
anche,
dei
Grandi
Maestri
dell’Ottocento
francese
la
cui
lezione
egli
fu
tra
i
primi
ad
avvertire
in
Italia
ma
principalmente
in
Piemonte
al
punto
d’andare
al
di
là
di
essa”.
A
Torino
negli
anni
1890-91
frequentò
gli
studi
di
Vittorio
Cavalleri
(1860-1938)
e
di
Giuseppe
Cavalla
(1859-1935)
ma
Giulio
non
volendo
legarsi
né
a
scuole
né
a
maestri,
ritornò
presto
ad
agire
secondo
il
suo
sentire.
In
merito
Giuseppe
Luigi
Marini
ha
scritto:
“Della
conoscenza
dell’opera
degli
impressionisti
e
di
Cézanne
(del
quale
visitò
lo
studio
due
volte)
derivò
le
caratteristiche
salienti
della
sua
espressione,
da
cui
non
lo
distolsero
la
frequenza
torinese
degli
studi
di
Cavalla
e
Cavalleri
disponibile
a
evoluzioni
verso
un
esteriore-fauvisme-“.
Giulio
Romano
Vercelli
-
Sottobosco,
1914.
Già
mercato
antiquario
La
sua
ricerca
della
–luce-
insistita
sino
al
finire
degli
anni
trenta
fu
veramente
tale
da
sfiorare
il
fauve
e
a
testimonianza
ci
sono
diverse
tavolette
ma
su
tutte
quelle
visionate
mi
piace
citare
–Il
temporale-
del
1906
ma
più
ancora
–Sottobosco-
del
1914.
Giulio
Romano
Vercelli
-
Mele,
1912.
Già
mercato
antiquario
Gabriele
Mandel
in
merito
ha
scritto:
“La
qualità
luministica
di
Vercelli
conducendolo
a
una
risoluzione
corposa
del
colore
e
a
una
vibrazione
nervosa
della
pennellata,
non
gli
hanno
esclusa
nessuna
via:
natura
morta,
paesaggio,
scena
di
genere
si
apparentano
al
ritratto,
a
riprova
della
maestria
del
pittore
e
della
validità
del
suo
segno”.
Nel
1896
fu
invitato
alla
Triennale
di
Torino
dove,
presentò
due
tavolette
titolate:
-Una
sera
a
Nole
Canavese-
e
–Mattino
a
Messina-.
Guido
Martinelli
su
Emporium
del
mese
di
giugno
dopo
aver
criticato
aspramente
gli
organizzatori
per
aver
dato
spazio
a
personaggi
che
forse
era
meglio
lasciare
in
disparte
che
con
l’Arte
a
suo
dire
avevano
poco
da
spartire
al
riguardo,
cita
il
pensiero
di
Edgard
Allan
Poe:
“L’imitazione
della
natura
per
quanto
esattissima,
non
permette
a
nessuno
di
prendere
il
sacro
nome
di
artista:
se
dovessi
definire
brevemente
la
parola
Arte
la
direi,
la
riproduzione
di
quello
che
i
sensi
scorgono
nella
natura
,
attraverso
il
velo
dell’anima”.
Analizzando
poi
i
vari
artisti
a
proposito
del
Nostro
scrisse:
“Il
Vercelli
presenta
due
quadretti
dalle
tinte
antiche
ma
vigorosissime
e
personali”.
Nel
1900
l’amico,
il
buon
prete
di
campagna
Don
Dezzani
partì
anche
lui,
destinazione
Brasile
per
raggiungere
la
missione
di
San
José
de
Picù.
Giulio
Romano
rimase
un
po’
demoralizzato:
la
perdita
temporanea
di
un
amico
sincero
e
per
lui
pieno
di
consigli
lo
turbava
e
al
contempo
riscontrava
che,
la
sua
pittura
d’avanguardia
guardata
quasi
con
sospetto,
trovava
purtroppo
pochi
compratori
ma,
nel
1902
con
lettera
scritta,
Don
Eugenio
lo
richiamò
verso
quelle
terre
che
già
aveva
conosciuto.
Dopo
una
permanenza
breve
ma
molto
attiva
in
Brasile
si
spostò
in
Argentina:
dove,
(come
ho
già
detto
all’inizio
di
questo
scritto)
la
miseria
nostrana,
aveva
portato
colà
in
cerca
di
fortuna,
due
suoi
fratelli
che
l’occasione
gli
permise
di
riabbracciarli.
Dall’Argentina
passò
in
Uruguay
(paesi
questi
che
rivisitò
ancora
negli
anni
dieci
del
Novecento)
esponendo
ovunque
andasse
in
Personali
e
Collettive.
Il
–Pais-
quotidiano
di
Montevideo
lo
descrisse
come:
“El
celebre
pintor
Julio
Vercelli”.
Tornato
in
Italia
sul
finire
del
1903
conobbe
colei
che
doveva
diventare
la
compagna
della
sua
vita:
Maria
Giuseppina
Carolina
Frisone
(l’amatissima
Mary
di
ben
nove
anni
più
giovane
di
lui)
che
condusse
all’altare
il
18
settembre
del
1904.
Da
quest’unione
vi
nasceranno:
Renato
Angelo
(5
ottobre
1909)
pittore;
Aroldo
(2
febbraio
1911)
architetto;
Gemma
(13
maggio
1913)
pittrice
definita
dalla
critica
del
tempo:
“Soave
e
angelica”;
e
infine
nel
1920
Vally
che
purtroppo
morì
appena
tredicenne.
Nel
1906
entrò
a
far
parte
della
Società
Promotrice
di
Torino
e
nell’annuale
rassegna
espose
–Frutteto
d’Aprile-
che
acquistata
dalla
Società
stessa
fu
sorteggiata
fra
i
soci.
Forse
fu
in
quell’occasione
che
nacque
il
sodalizio
con
l’albese
Giovanni
Rava
di
tre
anni
più
giovane
ma
anche
Lui
impegnato
a
conquistarsi
uno
spazio
di
riguardo
nell’arte
sua.
L’amicizia
tra
i
due
sarà
lunga
e
durerà
tutta
la
vita,
portandoli
a
dipingere
in
America
Latina,
sulla
Costa
Ligure
e
su
quella
Azzurra
con
l’allestimento
di
mostre
nelle
varie
città.
Giulio
Romano
Vercelli
-
Case
sotto
la
neve,
1917
-
Già
mercato
antiquario
In
quegli
anni
d’inizio
novecento
dipinse
alcuni
studi
di
neve
dove
l’ombra
della
stessa
era
blu
e
non
nera,
contrariamente
a
quanto
sino
allora
l’avevano
dipinta
i
maestri
scolastici
che
lo
tacciarono
di
“Pasticcione”
come
a
suo
tempo
avevano
considerato
Antonio
Fontanesi.
Nel
1907
fu
ancora
la
Promotrice
di
Torino
ad
accogliere
le
sue
opere
e
nell’annuale
rassegna
vi
figurarono
–Impressione-
e
–Parco
fiorito-
ma,
quello
fu
anche
l’anno
in
cui
l’amico
e
sostenitore
Don
Dezzani
fece
ritorno
alla
Casa
del
Padre.
Nel
1911
dopo
essere
stato
presente
in
aprile
all’annuale
rassegna
della
Promotrice
con
–Primavera-
e
–Alberi
in
fiore-,
reclamato
con
insistenza
dagli
estimatori
sudamericani
e
con
il
beneplacito
della
moglie,
ripartì
per
quelle
terre.
Fu
un
anno
di
grande
lavoro
con
Personali
in
Brasile,
Argentina
e
Uruguay
e
quando,
agli
inizi
del
1912
fece
ritorno
a
Torino,
si
portava
appresso
un
bel
gruzzolo,
frutto
della
vendita
delle
opere
che
là
aveva
dipinto.
Giulio
Romano
Vercelli
-
La
spiaggia
di
Noli,
1918.
Già
mercato
antiquario
La
sua
invidiabile
capacità
lavorativa
lo
portò
alla
scoperta
della
marina
ligure,
innamorandosene
follemente:
dipinse
a
Camogli,
Celle
Ligure,
Sestri
Levante,
Noli,
Spotorno,
Alassio,
Laigueglia,
Albisola,
spiagge
allora
segnate
principalmente
dal
duro
lavoro
dei
pescatori
e
dal
lavorio
delle
donne
e
dei
vecchi
intenti
a
rammagliare
le
reti.
Tutti
quei
lavori
furono
poi
esposti
in
due
mostre
tenutesi
a
San
Remo
nel
1917
e
nel
1918.
Nel
1916
fu
invitato
all’annuale
Mostra
della
Permanente
di
Milano
tenutasi
nel
palazzo
di
Brera
dal
8
settembre
al
12
ottobre.
Nella
sala
VII
accanto
a
opere
di
Luigi
Serralunga,
Giovanni
Battista
Carpanetto,
Oreste
Pizio
e
l’amico
Giovanni
Rava
che,
esponeva
una
miniatura
su
avorio;
faceva
bella
mostra
di
se
il
suo
dipinto
titolato
–Ciliegie-
che
fu
acquistato
da
S.
M.
il
Re.
Nel
1917
fu
il
Circolo
degli
Artisti
di
Torino
ad
accogliere
nelle
sue
sale
la
mostra
dicembrina
che
ospitava
i
soci
della
Promotrice
e
quelli
della
Società
d’Incoraggiamento
alle
Belle
Arti:
di
Giulio
RomanoVercelli
figurava
–Fiori
di
campo-
che
ottenne
il
premio
acquisto.
Nel
1919
l’amico
Targhetta
diventato
in
Francia
uno
dei
più
ascoltati
patrocinatori
d’Arte,
lo
invitò
a
esporre
nella
sua
Nizza
e
Giulio
portando
con
sé
la
famiglia,
vi
soggiornò
per
diverso
tempo.
Dopo
aver
lavorato
alacremente,
espose
a
Parigi.
Tornato
a
Nizza,
allestì
su
invito,
una
grande
mostra
al
Salon
de
l’Artistique
e
la
Societée
Des
Beaux
Arts
de
Nice
gli
chiese
di
fare
parte
attiva
della
stessa.
Nel
1920
alla
Promotrice
di
Torino
espose
cinque
opere:
-Gregge
quieto-;
-Primavera-;
-Alberi
in
fiore-;
Cielo
e
mare-;
-Impressione
di
spiaggia-;
quest’ultima
fu
scelta
per
partecipare
al
Premio
Gualino.
In
quegli
anni,
Giulio
pur
attratto
fortemente
dal
paesaggio,
non
dimenticò
mai
il
“Sacro”
che
era
stato
il
suo
primo
impegno
e
nel
1922
invitato
alla
Mostra
d’Arte
Sacra
di
Venezia
ottenne
una
medaglia
d’oro.
In
maggio
alla
Promotrice
di
Torino
espose
due
opere:
-Confidenze-
e
gli
–Amanti-
quest’ultima
contrassegnata
col
n°
XLI
partecipò
all’assegnazione
del
Premio
Fontanesi.
Sempre
in
quell’anno
su
iniziativa
dell’avvocato
Felice
Gherzi
Paruzza
(pittore
e
presidente
del
Circolo
degli
Artisti
di
Torino)
e
del
concittadino
Giovanni
Rava
(pittore)
coadiuvati
da
Giulio
Romano
Vercelli
allestirono
in
Alba
una
grande
“Mostra
d’Arte
Moderna
in
onore
di
Macrino
d’Alba”
con
una
sezione
di
Arte
Sacra.
Tra
gli
invitati
(pittori
e
scultori)
la
“Creme
de
la
Creme”
degli
artisti
piemontesi.
La
stessa
fu
inaugurata
il
21
agosto
nelle
aule
del
“Liceo
Ginnasio
Govone”
con
un
discorso
ufficiale
di
Emilio
Zanzi
e
Vercelli
fu
citato
nella
recensione
di
Anonimo
(ma
sicuramente
dello
stesso
Zanzi)
sul
“Corriere
Albese”
per
“…alcuni
quadri
superbi
per
colorazione”.
Nel
1921
anticipatrici
delle
Quadriennali,
nacquero
le
Biennali
Romane
con
l’intento
di
creare
un
evento
artistico
e
mondano
tale
da
contrastare
quello
della
Serenissima.
Purtroppo
si
fermarono
a
tre
e
a
quest’ultima
(1925)
Giulio
fu
invitato
ottenendo
anche
un
premio.
Nel
1926
a
Milano
presso
la
Galleria
d’Arte
denominata
“Bottega
di
Poesia”
di
Raffaello
Giolli
espose
un
nutrito
gruppo
di
sue
opere
affiancate
da
una
decina
di
lavori
della
giovane
figlia
Gemma
appena
tredicenne.
Recensore
della
stessa
fu
l’amico
Carlo
Carrà
che
già
in
altra
occasione
aveva
avuto
parole
di
elogio
per
i
suoi
lavori.
Nel
1928
la
città
di
Torino
si
apprestò
a
celebrare
due
grandi
avvenimenti:
il
IV
Centenario
di
Emanuele
Filiberto
di
Savoia
e
il
X
Annuale
della
Vittoria,
furono
inaugurate
varie
Mostre
Industriali
e
Coloniali
il
tutto,
sotto
gli
auspici
e
la
guida
di
S.
A.
R.
il
Duca
d’Aosta.
Il
Presidente
della
Società
Promotrice
di
Torino
Ing.
Salvadori
di
Wiesenhoff
in
una
lettera
agli
–Artisti
d’Italia-
in
data
30
novembre
scrisse:
“All’antica
e
gloriosa
Società
Promotrice
di
Belle
Arti
venne
dato
l’incarico
di
allestire
la
Mostra
Nazionale
di
Belle
Arti.
E’
nell’intento
degli
organizzatori
di
questa
Esposizione
che
si
aprirà
nel
mese
di
Aprile
1928
che
essa
sia
una
eletta
e
compiuta
raccolta
di
tutti
i
segni
più
espressivi
del
fervido
animarsi
di
aspirazioni
e
di
lavoro
che
tende
a
sospingere
il
nostro
paese
a
riprendere
nel
mondo
dell’Arte
il
posto
degno
delle
sue
tradizioni”.
Nella
sala
XI
accanto
a
–Contadina-
di
Cesare
Ferro
e
a
–Paesaggio
dell’astigiano-
di
Giuseppe
Manzone
figuravano
con
il
n°
401
e
402
due
opere
del
Vercelli
titolate
–Boschetto-
e
–Processione-
quest’ultima
sicuramente
di
“buone”
dimensioni
poiché
il
prezzo
indicato
fu
di
Lit.
4.500.
Giulio
Romano
Vercelli
-
La
moglie
Mary.
Già
mercato
antiquario
Il
1930
fu
per
Vercelli
un
anno
tristissimo;
la
non
ancora
cinquantenne
moglie,
l’adorata
Mary
morì
privandolo
del
suo
sostegno.
A
dolore
si
aggiunse
dolore,
tre
anni
dopo
anche
la
figlia:
la
giovanissima
Vally
(appena
tredicenne)
salì
al
cielo.
Giulio
Romano
pur
sostenuto
dai
tanti
amici
in
Italia
e
all’estero
che
volevano
correre
in
suo
soccorso
decise
di
rituffarsi
nel
suo
lavoro
aiutato
in
questo
dalla
figlia
Gemma
e
dal
figlio
Renato
Angelo
che,
inseriti
nel
mondo
dell’Arte
stavano
ottenendo
riscontri
positivi.
Il
II
conflitto
mondiale
sconvolse
il
nostro
Paese.
Chiamato
alle
armi
il
figlio
Aroldo,
teneva
col
fiato
sospeso
il
suo
illustre
genitore
che,
nonostante
le
difficoltà
insite
negli
spostamenti
fu
ospite
presso
un
amico
a
Savona
(prima
dell’ottobre
quando
la
stessa
fu
duramente
bombardata)
dove
dipinse
marine,
paesaggi
locali
e
una
Madonna
col
Bambino
Gesù
opere
tutte
datate
1943
e
tre
di
queste
donate
all’amico
e
conservate
tuttora
dagli
eredi.
Il
1944
fu
ancora
per
Giulio
un
anno
di
dolore:
il
figlio
Aroldo
cadde
in
battaglia;
gli
verrà
assegnata
una
medaglia
al
valore
militare.
Fortemente
provato
nel
morale,
decise
di
rinunciare
a
esporre
le
sue
opere,
ma
di
dedicarsi
in
modo
particolare
a
seguire
la
figlia
Gemma
ormai
pittrice
affermata.
Il
cerchio
stava
per
chiudersi
definitivamente,
la
sua
forte
tempra
colpita
da
così
tanti
lutti
era
divenuta
cedevole.
Ricoverato
presso
l’Ospedale
–Le
Molinette-
di
Torino
in
seguito
a
un
non
meglio
identificato
malessere,
assistito
amorevolmente
dalla
figlia
Gemma,
chiuse
la
sua
vita
terrena
all’età
di
79
anni:
erano
le
ore
21
del
16
giugno
1951.
Chi
fu
Giulio
Romano
Vercelli!
Un
profilo
dell’uomo
ce
lo
traccia
un
suo
allievo
rimasto
ignoto:
“Quando
conobbi
Giulio
Romano
Vercelli,
fui
subito
colpito
dalla
serena
cordialità
del
maestro,
dalla
bontà
e
pazienza
del
suo
insegnamento
così
incline
al
rispetto
della
–personalità-
dell’allievo
e
così
alieno
da
ogni
professorale
atteggiamento
cattedratico
(…)
Ma
ancora
più
mi
colpiva
il
volto
solennemente
bonario
del
maestro,
il
suo
sguardo
vivace
e
inquieto,
la
riflessiva
arcata
del
suo
sopracciglio,
la
fronte
spaziosa
e
la
corona
dei
capelli
fluenti”.
Dopo
le
prime
lezioni
pomeridiane,
un
giorno
mi
disse:
“Tu
sei
tu
e
devi
disegnare
secondo
la
tua
ispirazione.
Solo
così
potrai
fare
qualcosa
di
utile
per
te.
Io
ti
sorveglio,
ti
seguo,
ti
aiuto
e
se
è
necessario
ti
correggo.
Ma
tu
non
sforzarti
d’imitarmi.
Non
usare
verso
di
me
questo
riguardo
che,
non
gioverebbe
a
me,
e
nuocerebbe
a
te”.
Dopo
la
sua
morte,
le
retrospettive
si
susseguirono
a
cominciare
dal
1953
con
le
sue
opere
esposte
presso
il
salone
della
Stampa
di
Torino.
Nel
1956
la
Galleria
Martina
di
Torino
riunì
le
opere
dei
“Tre
Vercelli”
che
nel
1960
furono
ospitate
a
New
York
presso
la
Galleria
Duncan,
nel
1961
a
Milano
al
Centro
Artistico
San
Babila,
a
Parigi
presso
la
Galleria
Marcel
Bernheim
e
ancora
a
Torino
alla
Galleria
Caver
gestita
all’epoca
dal
figlio,
Renato
Angelo.
Nel
1967
a
Milano
presso
la
Galleria
dell’Istituto
Europeo
di
Storia
dell’Arte
fu
allestita
una
Mostra
titolata:
“Premesse
allo
studio
dell’Impressionismo
Italiano”:
di
Giulio
Romano
Vercelli
furono
esposte
11
opere
assieme
a
lavori
di
Mosé
Bianchi,
Pompeo
Mariani,
Emilio
Gola,
Francesco
Mancini,
Adriano
Cecioni
e
Sivestro
Lega.
Giulio
Romano
Vercelli
nel
lungo
corso
della
sua
vita
artistica,
dipinse
paesaggi
con
forti
note
cromatiche,
nature
morte
con
pennellate
tumultuose,
ritratti
nei
quali
anticipò
Kokoschka
e
soggetti
sacri
con
tante
e
sentite
–Via
-.
Giulio
Romano
Vercelli
-
Via
Crucis
(VIII
stazione),
1914.
Bra,
collezione
privata
Le
sue
opere
disperse
in
Sud
America
e
nel
nostro
Paese
trovano
protezione
presso
collezionisti
e
musei
di
tutto
il
mondo.
Tra
questi
ultimi,
ricordo
quelli
di
Biella,
Buenos
Aires,
Casablanca,
Genova,
Lione,
Milano,
Montevideo,
Nizza,
Parigi,
Pavia,
Torino,
Roma,
San
Paolo
del
Brasile
e
Vercelli.
Il
comune
di
Brusasco
al
suo
illustre
concittadino,
gli
ha
intitolato
una
via.
Chiudo
queste
brevi
note
ancora
con
una
affermazione
di
Gabriele
Mandel
circa
l’artista:
“Giulio
Romano
Vercelli
fu
tra
i
primi,
e
di
notevole
portata,
a
mostrare
come
l’arte
è
specchio
di
sensazioni,
di
là
dalla
sola
resa
delle
apparenze
esteriori”.
Bibliografia:
G.
Martinelli
–
L’Esposizione
di
Torino
–
Emporium
n°
18
giugno
1896;
AA.VV.
–
I
Tre
Vercelli
–
Libraria
Tipografica
Editrice
–
Torino,
novembre
1960;
G.
Mandel
–
L’Impressionismo
Italiano
e
G.
R.
Vercelli
–
Stab.
Grafici
Pinelli
–
Milano,
aprile
1967;
E.
Bellini
–
Pittori
Piemontesi
dell’Ottocento
e
del
I°
Novecento
–
Libreria
Piemontese
–
Torino
1998;
F.
Sottomano/M.
Galli
–
Giovanni
Rava
–
Gall.
La
Finestrella
–
Canelli
2004;
G.
L.
Marini
–
Il
Valore
dei
Dipinti
dell’Ottocento
e
del
I°
Novecento
-
Editrice
Allemandi
–
Torino
2006;
L.
Balice
–
Servizi
Demografici
Città
di
Torino
–
Torino,
giugno
2017.