Angelo Malinverni (Torino, 1877 – 1947)

 

Flavio Bonardo

 

 


Angelo Malinverni - Il pianto delle dalie - Bra, collezione privata

 

 

Nel 1934 sulla -Rivista d’Arte ABC- di Torino, Teresio Rovere a proposito di Malinverni così scrisse: “Il futuro Vasari che si accingerà a scrivere la vita dei pittori, scultori e architetti del 1° Novecento, quando giungerà al nome Angelo Malinverni, lo unirà idealmente a quello dei medici artisti e letterari che nei secoli passati fiorirono in Italia, segnatamente nel Cinquecento toscano e nel Settecento piemontese”.

 

Ma anche sul finire dell’Ottocento in Piemonte nacquero diversi artisti che, solo in ossequio ai genitori si laurearono prima in medicina per poi dedicarsi esclusivamente all’Arte Pittorica. Tra questi mi balzano alla mente oltre al succitato: Corrado Filippa medico e pittore, ideatore di un tipo di pittura denominato raschiatura. Pier Antonio Gariazzo medico, pittore e fine incisore, aveva appreso quest’arte, frequentando lo studio romano di Francesco Vitalini. Carlo Levi, medico, pittore e autore del capolavoro letterario –Cristo si è fermato a Eboli-. Gli unici a esercitare la professione e nello stesso tempo dipingere, furono: Alberto Cibrario (laureato in medicina e chirurgia) e il langarolo Franco Garelli il quale, dotato di grande vitalità fu medico, pittore, scultore, insegnante di otorinolaringoiatria chirurgica presso la facoltà di medicina di Torino e nel decennio 1950/60 di anatomia artistica all’Accademia Albertina. Anche il più giovane Alberto Burri si laureò in medicina che, esercitò solamente durante la seconda guerra mondiale, per dedicarsi poi all’arte: famosi i suoi cretti nella martoriata Gibellina distrutta dal terremoto nel 1968.

 

 

 

rose

Angelo Malinverni - Inverno sui monti - Già mercato antiquario

 

 

Angelo Malinverni nacque a Torino il 14 febbraio 1877 da una stimata famiglia vercellese trasferitasi nella Capitale Sabauda. Per motivi di lavoro del genitore all’inizio degli anni novanta dell’Ottocento la famiglia si trasferì temporaneamente a Venezia, dove il giovane Angelo proseguì gli studi e fu proprio lì che nel quarto anno ginnasiale, mostrando grande propensione per il disegno e abilità caricaturale, fece pervenire alcuni suoi lavori a un giornale satirico della città che ne rese pubblicazione. Fu un episodio sporadico che ebbe breve durata, ma gli fece capire che i suoi lavori erano stati apprezzati. Tornato con la famiglia a Torino e animato da interessi scientifici, s’iscrisse all’Università degli Studi, facoltà di Medicina ottenendone la laurea. Con l’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale avvenuta il 24 maggio 1915, l’ormai trentasettenne Angelo fu chiamato al fronte e inserito nei quadri della Croce Rossa con destinazione un Ospedale da Campo. Nel suo temperamento però, questo gli suonava nella mente come un privilegio e dopo pochi giorni, chiese di essere inviato al fronte, concessione avvenuta il 5 giugno con assegnamento al IV Reggimento Battaglione Ivrea. Era l’undicesimo giorno di guerra e la battaglia scoppiò violenta allo Sleme o Slerme (montagna nella valle dell’Isonzo) dove il battaglione fu decimato e lo stesso Malinverni ferito. Quella terribile guerra fu principalmente di trincea e fu così che durante i brevi ozi riemerse in lui la passione per il disegno: schizzi di camminamenti, cavalli di frisia, sagome di muli, soldati in trepida attesa o feriti, scorci di montagne arrossate dal fuoco delle artiglierie. Tutto questo attirò su di lui, l’attenzione dei superiori che gli assegnarono il compito delicato e pericoloso di ricognitore. Nel suo Battaglione fu combattente e curatore di feriti ma con la nomina a Capitano, dovette lasciare il fronte sul quale aveva valorosamente combattuto, ricevuto encomi ed era stato decorato con medaglia d’argento. Reperita (non si sa come) una scatola di colori, nel 1917 dipinse con tecnica verista: -Pendici del Monte Pari- (1988 di altitudine) e –Camminamenti in Val di Ledro-.

Tornato a Torino a guerra conclusa, si mise in contatto con gli amici artisti deciso da quel momento in poi a fare il pittore. Lo studio medico rimase chiuso e i suoi arnesi di lavori divennero i pennelli e i tubetti dei colori. Sulla piazza di Torino imperava quella ieratica figura di Vittorio Cavalleri, maestro di pittura riconosciuto in Italia e all’estero e Angelo che un tempo ne aveva curati gli acciacchi divenne suo allievo: era il 1919. Furono quattro, anni tutti dediti ad apprendere da quel taciturno Vate, che solamente quando saliva in cattedra dava sfogo a tutta la sua loquacità repressa. Angelo ne assimilò i canoni espressivi armonizzando i colori, cimentandosi in soggetti che il Cavalleri indicava, lavorando in silenzio e umiltà, sicuro di vincere quell’ardua battaglia nella quale, in qualità di novizio, ambiva. Nel 1920 divenne socio del Circolo degli Artisti e nel 1923 fu iscritto fra quelli della Promotrice, esordendo alla Quadriennale di quell’anno.

 

 

 

Angelo Malinverni - Pascolo montano, 1919 - Già mercato antiquario

 

 

Al paesaggio tradizionale che sino a quel momento ricalcava le orme del suo maestro, (vedi –Pascolo montano 1919- qui pubblicato) ora Angelo lo leggeva e lo trascriveva sulla tela con nuova personalità, ma la novità assoluta, fu che aveva iniziato a dipingere fiori con stilemi diversi dai suoi amici pittori.

 

 

 

Angelo Malinverni - Vaso con rose - Già mercato antiquario

 

 

Nel 1925 alla Promotrice di Torino espose queste opere che richiamarono l’attenzione del pubblico e della critica. Si trattava di lavori impostati su tavoli con piani di vetro, sui quali intelligentemente posava vasi e anfore ripiene di fiori vivaci e multicolori, disponendone alcuni recisi, in fase di appassimento e altri vizzi che, come in un sogno si riflettevano iridescenti sul piano a specchio del tavolo: mai nessuno aveva osato tanto. Giacomo Grosso e Marco Calderini, maestri indiscussi, si fermarono ad ammirare quelle composizioni così diverse dalla tradizione, mentre Carlo Follini, sulla soglia degli ottant’anni disse: “E’ la prima volta che un quadro di fiori m’interessa” e di rimando, Vittorio Cavalleri esclamò “Malinverni ha saputo far parlare le rose” e proprio uno di questi lavori dedicato alla regina dei fiori fu acquistato da S.M. il Re. Sulla cresta dell’onda, espose a Milano, Roma, Firenze e alla Prima Internazionale di Fiume che si tenne dal 1/8 al 30/9. Nel 1926 espose alcune opere alla Promotrice di Torino e il Museo Borgogna di Vercelli gli acquistò il dipinto: -Il pianto delle rose-. Nel 1927 alla mostra della Società Amici dell’Arte di Torino sue opere figurarono accanto a quelle di Enrico Reycend, Venanzio Zolla e alle superbe incisioni di Ercole Dogliani. Ormai lanciatissimo, nel 1928 allestì una Personale nella sede della Cucina Malati Poveri di Torino, che fu inaugurata dal Conte Adriano Tournon all’epoca podestà di Vercelli e poi senatore del Regno. Il Conte con un commosso discorso ricordò il valoroso combattente e l’impegno che in seguito Angelo aveva profuso e continuava a profondere nella battaglia dell’arte. Nel 1931 fu invitato alla Mostra Nazionale di Brera a Milano, dove tra l’altro espose il dipinto –Piccoli amici-. Soggetti del quadro furono gli amici di sua figlia, la piccola Maria Rosa: una bambola di pezza posta su di un orsacchiotto giallo, e accanto a questi, un pupazzo di stoffa seduto su un triciclo e guardato furbescamente da un finto gatto d’angora; composizioni che ripresenterà ancora, sempre utilizzando i giochi della sua amatissima figlia. Nella primavera del 1932 a San Remo (la città dei fiori) fu allestita la Prima Mostra d’Arte Floreale che, vide artisti provenienti da tutta Italia: ad Angelo fu assegnato il primo premio con annessa medaglia d’oro. Sempre in quell’anno, alla Promotrice di Torino, espose il dipinto –Dalie-, dove sopra un tavolo di cristallo, campeggia un vaso ripieno di quel bellissimo fiore che ci giunse dal lontano Messico. Il tutto, visto di fronte a una finestra che si apre sul paesaggio montano dove s’intravede un pilone votivo insito tra gli alberi. Una nota al retro tavola ne dichiara la realizzazione avvenuta nel comune di Chialamberto in val di Lanzo. Sempre presente alle esposizioni della Promotrice di Torino, nel 1936, all’ottava Esposizione del Sindacato Interprovinciale Fascista di Belle Arti, espose –Rose-, un olio su tela di cm. 77,5 x 87 che fu acquistato dalla Provincia di Torino. Le notizie critiche circa il dipinto recitano: “Stilisticamente, il pittore appare molto attento allo sfumato, con precisione naturalistica, alla qualità del colore, spesso giocato su gamme chiare, quasi a volere spiritualizzare la materia trattata”. Nel 1938 fu invitato alla Biennale di Varallo Sesia e nello stesso anno, dette alle stampe presso la Casa Editrice ABC di Torino il libro: -O luna, o luna, tu me lo dicevi…-, interamente dedicato alla Guerra 1915/18 che lo aveva così fortemente segnato. Un libro che giunto alla sua terza edizione, è un monito alla gioventù di oggi e a quelle che verranno, e suona come un inno all’amore e alla pace. Le scene di morte di questi giovani che tutto sognavano salvo che perire in guerra si susseguono strazianti, e a narrarle, è uno che la morte la sfiorata (ferito) e con essa ha convissuto per tutta la durata del conflitto: Stralci: “Il caporale abbandonato il fucile, si rizzò accanto a me, stralunando gli occhi, annaspando con le mani per aria, gettando un urlo strozzato; e si riversò supino, accompagnato nella caduta da me che lo sorreggevo. Boccheggiò un istante, un po’ di schiuma gli apparve sulle labbra: era morto”. In altri momenti invece si manifesta il pittore poeta: “L’Isonzo ingrossato dalle piogge aveva perduto il suo bel colore malachite e rumoreggiava torbido e giallastro”. Oppure: “I primi raggi aureolano lo scuro imminente torrione di Monte Nero e saettano il cielo cristallino spazzato dal temporale”. Altri artisti, come lui coinvolti in quella tragedia bellica avevano dato il loro contributo con disegni: ricordiamo quelli di Carlo Servolini, e di Pietro Morando e con scritti -Memorie di Guerra- di Giovanni Rovero e –Poesie di trincea- di Giovanni Panza, che in una di queste titolata -Surdato d’o Piave-, evidenzia la nostalgia per la casa: “…Chiammeno ‘a posta ‘n miezo ‘a batteria/ Napule accumparisce int’o penziero/ e te scuorde d’a guerra e d’o cannone;/ e suspire e ‘o suspiro è na canzone/”.

 

 

 

Angelo Malinverni - Tempo grigio - Già mercato antiquario

 

Lo scoppio della seconda guerra mondiale ridusse fortemente l’attività espositiva e Angelo ne approfittò per aggiornare il suo libro: -O luna, o luna, tu me lo dicevi… -che fu ristampato dalla Casa Editrice Montes di Torino nel 1942. Sempre in quell’anno di guerra riuscì ancora ad allestire con successo una Personale presso la Galleria Civica di Arte Moderna di Milano. Il precipitare degli avvenimenti rese Torino una città a rischio e come tanti altri dovette sfollare con la famiglia in un luogo meno pericoloso. Tornato a Torino a guerra conclusa, riprese la sua attività pittorica che purtroppo fu breve: il primo giugno del 1947 fu ritrovato defunto nel suo studio. Nel mese di agosto di quello stesso anno, sue opere figurarono all’Esposizione di Arte Contemporanea Italiana a Caracas e un suo dipinto fu acquistato dal -Museo De Arte Contemporaneo-, oggi intitolato a Sofia Imber che per trent’anni lo diresse. Nel 1951 presso il Salone della Gazzetta del Popolo di Torino fu allestita la Prima Mostra Nazionale di Medici Pittori e per gentile concessione della figlia Maria Rosa, furono esposte anche sue opere.  Dopo la sua morte, l’artista non fu dimenticato anzi, i suoi lavori furono esposti più volte in collettive e in postume. Un particolare riguardo verso il medico/pittore lo ebbe la Galleria Berman di Torino che, dal 1978 al 2009 organizzò ben sei postume. In una di queste (marzo 1991) con opere di figure ambientate nel paesaggio naturale e urbano, il critico d’arte Vittorio Bottino recensendo la stessa, così si espresse: “Una cura attenta nella ricerca descritta, con pennellate di origine impressionista con lievi proiezioni nell’espressionismo, per meglio incidere il soggetto tra realtà contingente, poesia e memoria”. Angelo Malinverni da buon piemontese dipinse paesaggi montani nelle varie stagioni, si soffermò a ritrarre paesi e borgate sempre con tecnica impressionista e a tratti espressionista. Amò il mare dipingendone angoli e coste spostandosi sulla Riviera Ligure da levante a ponente, operando a San Remo, Oneglia, Lavagna, Camogli e in tanti altri luoghi suggestivi, ma dove eccelse, fu nelle composizioni di fiori e frutta, poetiche raffigurazioni, evanescenti e mirabili per lucentezza, nelle quali mostrò un modo nuovo di fare -natura morta-. Il 15 settembre 2018 presso la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, (sita al civico 3 di Via Carlo Alberto) col patrocinio del Ministero dei Beni Culturali e della Galleria Berman, è stata allestita una mostra del nostro artista, che sarà visitabile gratuitamente sino al 24 ottobre. Sarà così facile per coloro che accostatisi da poco all’Arte Pittorica non hanno ancora fatto conoscenza con Angelo Malinverni, di prendere atto delle sue grandi qualità di artista e di uomo espresse per oltre un quarantennio.

 

 

Flavio Bonardo – sabrotu@yahoo.it -

 


Bibliografia:

Teresio Rovere – Angelo Malinverni – Rivista d’Arte ABC – Casa Edit. A.B.C. – Torino, Maggio 1934
Angelo Malinverni – O luna, o luna, tu me lo dicevi… - Edizioni Montes – Torino 1942
Armando Ponsiglione – Giovanni Panza (L’uomo e l’artista) – Edit. Agar - Napoli, 1971
Vittorio Bottino – Insolito Angelo Malinverni - Corriere di Torino e della Provincia – Marzo 1991
Eraldo Bellini – Pittori Piemontesi dell’Ottocento e del 1° Novecento – Edit. Lib. Piemontese – Torino 1998