Annibale Galateri (Cesena 1864 – Savigliano 1949)
Annibale Galateri - Vele in porto. Torino, collezione eredi.
Dipartendosi dai piedi del Monviso si estende la parte nord della pianura padana. La prima che s’incontra è quella saluzzese (Saluzzo) e in seguito quella saviglianese (Savigliano) che poi allargandosi raggiunge da un lato il carmagnolese (Carmagnola) e successivamente Torino e dall’altra il cuneese (Cuneo). Plaghe fertili con allevamenti di bestiame e coltivi vari, anche se oggi alcune parti sono occupate dall’industria. Savigliano, le cui origini risalgono a prima dell’anno mille, ha ospitato fin da quell’epoca nobili famiglie tra cui quella dei Galateri. Padre Placido Bacco da Giaveno ne compilò una minuta genealogia, facendo risalire lo stipite al nobile Galatero vivente nel 1150 che era a capo dei ghibellini di Savigliano. I Galateri (Signori di Savigliano) sin dall’inizio della loro dinastia, si segnalarono nelle Armi, nelle Lettere, nella Religione e soprattutto nella Pubblica Amministrazione per la loro probità. Annibale Galateri nacque a Cesena il 29 settembre 1864 dalla Contessa Ester Lamberti e dal Conte Luigi ufficiale di carriera. Il Conte Annibale, come il suo nobile genitore, era destinato alla vita militare ma pur disponendo di un fisico eccezionale (era cresciuto alto e forte) fin da bambino mostrò grande propensione allo studio e un amore viscerale al disegno evidenziando la personalità dell’artista. Cresciuto nel castello di famiglia, sito nella frazione di Suniglia nel comune di Savigliano proprio in questa città frequentò il primo corso ginnasiale, ottenendo la menzione di “onorevole”; studi classici che portò poi a termine a Torino con una brillante votazione. Emilio Bissoni scrisse: “Si aprivano così per il giovane le porte dell’Università, avrebbe potuto iscriversi all’Università e conquistarsi con la facilità cui gli dava diritto la fresca intelligenza, quella qualsiasi laurea che è come il lasciapassare per accedere a posti eminenti nella società, nella politica, tanto più quando si è fregiati di un nome come il suo”, ma Annibale contravvenendo ai desideri della famiglia e senza esitazioni, s’iscrisse all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Qui ebbe a maestri Enrico Gamba per il disegno (che nel 1854 in seguito ad un riordino dell’Accademia voluto dal Re Vittorio Emanuele II e portato a termine dal Duca Ferdinando Breme di Sartirana era stato nominato Professore) e Andrea Gastaldi per la pittura, (che la nomina a Professore l’aveva ottenuta nel 1858) ai quali come riportò lo Stella “si sottopose pazientemente all’autorità degli esigentissimi maestri”.
Annibale Galateri - Il tempo minaccia. Bra, collezione privata.
Andrea Gastaldi infondeva innanzitutto ai suoi allievi la persuasione delle difficoltà dell’arte, dei sacrifici che essa esige dai suoi cultori dell’infaticabile applicazione che è indispensabile per conseguire lo scopo. A proposito di nobili dediti all’arte, fra i tanti ricordiamo il Conte Marcello Panissera di Veglio che subentrato al Duca di Breme alla direzione dell’Accademia Albertina, lasciò la divisa di Ufficiale d’Artiglieria per dedicarsi totalmente alla pittura di paesaggio. Leggiamo ancora Bissoni: “Sarebbe interessante scrivere la storia dell’influenza, o meglio della partecipazione diretta e attiva di gran parte della nobiltà piemontese allo sviluppo delle arti in Piemonte nel secolo XIX; perché la lotta contro pregiudizi e abitudini d’una nobiltà guerriera ma parruccona, leale finché si vuole, ma chiusa ed inerte, dev’essere stata sorda e dolorosa da parte dell’aristocrazia giovane, dalle idee liberali, sensibile a tutto che di buono e di bello si andava concretando fuori dal Piemonte”. Terminati gli studi accademici, assolse gli obblighi militari congedandosi con il grado di Tenente di Fanteria.
Annibale Galateri - Il cielo si schiara. Bra, collezione privata.
Lasciata Torino per Roma nella Capitale s’iscrisse ai corsi dell’Accademia di S. Luca diretti dal senese Cesare Maccari che aveva raggiunto la notorietà per avere eseguito degli affreschi nella sala del Senato. A Roma Annibale conobbe lo scultore Giulio Monteverde grande rappresentante della scultura ufficiale e che nel 1873 aveva raggiunto grande fama con il “Jenner che inocula il vaccino”, ammaliato da questi, il giovane Conte decise all’improvviso di dedicarsi seriamente anche allo studio dei valori plastici. Antonino Olmo scrisse: “Abbiamo affermato come inizialmente il Galateri avesse deciso di dedicarsi in modo esclusivo alla pittura –disegnava e dipingeva con grande rapidità e disinvoltura- quest’aspirazione sopraffatta, ma mai sostituita interamente dalla sua posteriore attività plastica, alla quale dobbiamo le opere più note, rimase sempre viva in lui, anche quando abbandonati per l’età, la creta e lo scalpello, non volle mai rinunziare al disegno e alla pittura”. Appresi in fretta i primi rudimenti della scultura, Annibale Galateri fece ritorno a Torino affidandosi alle cure di Odoardo Tabacchi (che nel 1867 aveva ottenuto la cattedra di scultura su segnalazione del suo predecessore Vincenzo Vela che scomparirà a Mendrisio il 3 ottobre del 1891) il quale annoverava tra i suoi allievi: Pietro Canonica, Davide Calandra, Edoardo Rubino e quel Leonardo Bistolfi che avrebbe poi raggiunto grande fama non solo come scultore ma anche come pittore di piccole tavolette ricercatissime dai collezionisti. Leggiamo ancora quanto scrisse Antonino Olmo: “ L’educazione artistica del giovane patrizio procedeva di pari passo con l’acquisizione di una cultura umanistica sempre più approfondita e con molti interessi verso le manifestazioni per la vita politica e amministrativa, alla quale avrebbe dedicato per più di un quarantennio, le più assidue e intelligenti cure della sua lunga giornata”.
Annibale Galateri - La contessa Emilia, bronzo. Torino, collezione eredi.
Annibale Galateri - Signora con cappello, terracotta. Torino, collezione eredi.
Nel 1888 Annibale entrò a far parte del Circolo degli Artisti di Torino dove espose anche nel 1889, 1891, 1895, 1901 presentando i suoi lavori che consistevano in piccoli bronzi, crete, disegni e dipinti. In quegli anni, Annibale condusse all’altare Emilia Rossi di Montelera sorella di Teofilo che diventerà dapprima Sindaco della città di Torino e poi Ministro del Regno. Non si conosce la data esatta di questo evento ma da un dipinto datato 1895 che ritrae la Contessa all’armonium, si deduce che questo avvenne prima. Il primo incarico gli fu affidato nel 1897: si trattava di onorare la memoria del Generale saviglianese, Giuseppe Edoardo Arimondi (Savigliano, 26 aprile 1846 – Adua, 1 marzo 1896) vincitore della battaglia di Agordat combattuta il 21 dicembre del 1893 tra le truppe coloniali italiane e i mahdisti del Sudan. La commissione artistica di vigilanza era composta dagli scultori: Odoardo Tabacchi, Angelo Cuglierero e da Guido Rey (scrittore, alpinista e fotografo). Opera impegnativa per l’allora trentatreenne Annibale il quale, si offrì di eseguirla gratuitamente. Il monumento eretto in Savigliano fu inaugurato ufficialmente il 15 ottobre 1899 alla presenza di S.M. il Re Umberto I e dal ministro della guerra Giuseppe Mirri. Nel 1905 il suo nome figurò tra i membri del comitato esecutivo all’Esposizione di Milano del 1906 per l’inaugurazione del valico del Sempione e nel 1911 fu membro della commissione artistica, alla mostra romana d’arte regionale antica. Nel 1911 fu eletto Sindaco della città di Savigliano e nello stesso anno eresse il monumento al suo indimenticato maestro Vincenzo Vela (vincitore assoluto del concorso su 24 concorrenti). Noemi Gabrielli scrisse: “Sebbene non avesse preoccupazioni economiche, si compiaceva di affermare di non avere mai concesso un’ora all’ozio ma di riposarsi dalle occupazioni derivanti dall’amministrazione pubblica o dai suoi possedimenti terrieri, dedicandosi alla scultura e alla pittura”. I luoghi deputati a quello che Lui chiamava “riposo” erano lo studio di Torino sito in via Passalacqua o quello di Savigliano presso il suo castello di Suniglia. In quegli anni di fine Ottocento fu nominato Consigliere della Società Promotrice di Torino dove poté assistere al cambiamento della pittura piemontese che lasciato il buio degli studi, si andava sviluppando “In plein air” attraverso a quei Maestri che rispondevano ai nomi di: Antonio Fontanesi, Giovanbattista Quadrone, Marco Calderini, Vittorio Avondo, Carlo Pollonera, Carlo Follini, Lorenzo Delleani, Enrico Reycend, i due Giani (padre e figlio) e i comprovinciali Giacomo Gandi e Matteo Olivero. In qualità di Consigliere della Promotrice, non ritenne consono partecipare attivamente come espositore anche se, vi figurò nel 1908 con Ritratto (forse quello del figlio Teofilo) e ancora nel 1920. Il 4 giugno 1910 moriva a Milano l’astronomo saviglianese Giovanni Virginio Schiaparelli e il Galateri nominato Sindaco di Savigliano l’anno successivo, propose di onorare l’illustre concittadino. L’incarico per un monumento bronzeo cadde sul torinese Davide Calandra considerato –saviglianese per affetto- il quale onoratissimo lo accolse, ma questi, in seguito a grave malattia moriva l’otto settembre 1915. Lo scoppio della prima Guerra Mondiale bloccò l’iniziativa che, ripresa a guerra conclusa fu affidata al Galateri il quale, nel frattempo aveva portato a termine il suo mandato presso il comune. Il monumento fu inaugurato il 15 novembre 1925 alla presenza del Duca di Pistoia in rappresentanza del Re, dal ministro della Pubblica Istruzione e da tante altre personalità della politica, della cultura e dell’arte: l’oratoria ufficiale fu affidata al ministro Teofilo Rossi di Montelera (cognato dell’artista). Il 6 aprile del 1910 moriva a Torino il sacerdote salesiano Don Michele Rua (oggi Beato e primo successore di Don Bosco) e a realizzare il monumento funebre fu chiamato Annibale Galateri. Postosi davanti a un blocco di marmo bianco di Carrara il Galateri realizzò uno stupendo cenotafio. Su Arte Salesiana dell’ottobre 2011 in un articolo titolato: “Quel cenotafio è un Capolavoro” Natale Maffioli ha scritto: “La figura del beato e collocata in un arcosolio, disteso su una lastra di marmo e rivestito con camice e piviale. Il capo poggia su un doppio guanciale mentre i piedi sono raccolti da un cuscino cilindrico. Il viso scarno è composto nella serenità della morte; lo scultore vi ha impresso un leggero sorriso come se sul suo corpo morto si riflettesse la gioia della vita eterna. Il sembiante di Don Rua è di un potente realismo e produce una forte reazione emotiva in chi lo osserva, tale che non lascia indifferenti”. Oggi il monumento funebre e conservato nella cappella ipogea detta delle reliquie, nella basilica di Santa Maria Ausiliatrice a Torino. Nel 1932 all’età di ottantacinque anni, morì Giacomo Gandi (Savigliano 1846 – Saluzzo 1932) e nello stesso anno perì tragicamente (suicida) Matteo Olivero (Acceglio 1879 – Verzuolo 1932) lasciando un profondo vuoto artistico nella provincia di Cuneo. L’anno successivo la città di Saluzzo volle ricordare i suoi due illustri figli, allestendo una mostra con un centinaio di opere di Olivero e una cinquantina tra acquerelli e oli di Gandi. Annibale Galateri fu invitato a esporre una sua opera per onorare i colleghi scomparsi ed Egli concesse agli organizzatori una tela di grandi dimensioni titolata: “La sacra fatica” (l’aratura) lungamente ammirata ma oggi purtroppo irreperibile. In merito il prof. Bissoni scrisse: ”…Il cielo che si allontana veramente dietro l’orizzonte, le colline degradanti, il paesello occhieggiante nell’ultimo piano, le zolle grosse e profonde, sollevate dall’aratro tirato dai buoi bellissimi, sono opera pienamente pittorica e di un grande pittore”. L’ultima fatica gli fu commissionata nel 1938 si trattava di realizzare un grande bassorilievo rappresentante Carlo Alberto entrante nel Real Collegio di Moncalieri (27 ottobre 1838) nel centenario della fondazione. In merito un cronista dell’epoca scrisse: “Chi lo ideò, lo compose è il Conte Annibale Galateri di Genola e di Suniglia, architetto, pittore e scultore, notissimo nel mondo artistico per le svariate, pregevolissime sue opere”. Il 1938 fu anche l’anno delle sue dismissioni collaborative dall’attività politica, alla quale aveva dato tanto sia per la provincia di Cuneo che per la sua Savigliano (contrasti con la dittatura fascista) motivandole con la scusante delle sue precarie condizioni di salute, ritirandosi così a vita privata nella sua villa “la Gabriella” sita nei pressi del suo castello di Suniglia dedicandosi a opere pie e beneficando i poveri e gli emarginati. Antonino Olmo dopo un accurato conteggio riferì che, la produzione plastica del Galateri consta di quarantadue opere tra monumenti celebrativi e funerari, statue, ritratti, bassorilievi, busti, tondi, lunette e medaglioni. In pittura non si contano i suoi lavori che eseguì a matita, all’acquerello, a olio e all’incisione; opere mai mercificate ma che Egli soleva donare a chi mostrava d’amarle e desiderava possederle e per questi motivi, reperirle oggi è veramente un’impresa. L’undici novembre del 1944 lasciò questa vita terrena la moglie Contessa Emilia Rossi Galateri lasciandolo fortemente attristato e solo, nonostante la presenza del figlio Teofilo che, lo assistette sino a che la morte non lo colse: era il 13 settembre del 1949. La necrologia pubblicata sul Saviglianese del 22 settembre 1949 tra l’altro recitava: “…Una lunga vita spesa interamente al servizio della Patria, della Provincia di Cuneo e della sua amata Savigliano” e Antonino Olmo aggiunse: “Una vita che volle nobilitare l’azione e la fatica giornaliera con il continuo esercizio dell’arte”.
Flavio Bonardo (sabrotu@yahoo.it)
Bibliografia: E. Bissoni – Conte Annibale Galateri di Genola e Suniglia: architetto, pittore, scultore – Subalpina, anno II n° 1 1929; A. Olmo – Il Conte Annibale Galateri – Arti Grafiche di Savigliano – Novembre 1967; E. Bellini – Pittori Piemontesi dell’800 e del I° Novecento – Edit. Libreria Piemontese – Torino 1998; N. Maffioli – Quel Cenotafio è un Capolavoro – Arte Salesiana – Ottobre 2011.
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