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Gianfranco Ferroni (Livorno 1927 – Bergamo 2001)

 

 

Ferroni va considerato, tra i pittori italiani figurativi del dopoguerra, uno dei più importanti. Dotato d’un segno degno di Schiele egli è autodidatta, a causa dell’ostilità dei genitori al percorso pittorico. A Milano, dove si era trasferito nel 1944 con la famiglia, si avvicina all’ambiente di Brera e conosce il critico Franco Passoni oltre agli artisti Crippa, Dova ed altri. Negli anni ’50 arrivano i successi, le personali, le collettive e soprattutto l’interesse per l’incisione che lo mostra eccezionalmente portato. Ma è negli anni di Viareggio (dal 1968 al 1972) che vivendo una fase particolarmente critica e tormentata, realizza opere splendide, contraddistinte da interni silenti grigi e desolanti, impregnate d’una atmosfera malata e depressa. Ferroni, più che guardare a Bacon, a Morandi o Giacometti (tenuti bene a mente dal pittore, ovviamente), ha come punto costante quei dipinti del danese Hammershoi così intrisi di spiritismo nel senso più desolato del termine, dove il pianoforte suona Chopin da solo. In questo senso, ottimi dipinti, sono: Oggetti da toilette del 1975, Interno del 1976 o Nello studio del 1972 (sebbene ancora non personalissimo a causa d’un certo iperrealismo). Col tempo la sua pittura si declina verso una luce più serena ma l’Autoritratto del 1989 realizzato a matita, è elegantemente desolante.

 

 

Matteo Gardonio