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Dolores Del Giudice

 

Filippo De Pisis (Ferrara 1896 - Milano 1956)

 

 

 

Filippo De Pisis, Fiori di campo, 1953. Fondazione Cariplo.

 

 

Luigi Filippo Tibertelli (in arte Filippo De Pisis, dal nome di un suo antenato) nasce a Ferrara nel 1896 da Giuseppina Donini e dal conte Ermanno. I genitori affidano l’istruzione dei propri figli ad alcuni precettori, e Luigi, terzo di sette fratelli, inizia a disegnare giovanissimo sotto la guida del professor Odoardo Domenichini, più tardi prenderà lezioni di disegno anche da Angelo e Giovanni Longanesi. Del 1908 sono le sue due prime tavolette, I Passeri e Le Passere, e al 1912 risalgono alcuni ritratti dal vero, Lo zio e L’illusionista Pikman. Eppure, nonostante questo esordio precoce, fino agli anni Venti De Pisis considera la pittura un ausilio per registrare le sue curiosità botaniche, antiquarie, o per realizzare copie dagli antichi, mentre si dedica con fervore alla scrittura e alla poesia. Passione quest’ultima che coltiverà per tutta la vita, invero anche dopo essersi affermato come pittore si sentirà innanzitutto un poeta, queste infatti le sue parole, pochi anni prima di morire, rivolte ad un visitatore: «[…] si ostinano a considerarmi un pittore, ma in realtà sono meglio come poeta».

Dopo aver frequentato il ginnasio vicino a Cento, si iscrive al liceo a Ferrara, fra i suoi compagni c’è anche Italo Balbo. Al 1912 risale un diario, dei saggi descrittivi e delle novelle, inoltre colleziona farfalle e fiori selvatici che poi donerà all’Università di Padova. L’anno dopo inizia uno Zibaldone 1913-1917 che testimonia la sua ammirazione per Leopardi, e dove per la prima volta si firma con il pseudonimo De Pisis. La pittura rimane per ora uno dei suoi molteplici interessi, del 1914 è un Autoritratto, alcuni dipinti e numerosi disegni che raffigurano chiese, monumenti e sculture della città di Ferrara. Nel 1915 è chiamato a Venezia per la visita militare ma viene riformato per nevrastenia. Nel 1916 pubblica l’opera letteraria I canti della Croata che dedica a Giovanni Pascoli. Dopo un breve soggiorno a Bologna, nel 1916 ritorna a Ferrara dove  incontra i fratelli De Chirico e Carrà e partecipa all’avanguardia metafisica. De Pisis tentò più volte di collaborare con Tzara e Soffici inviando a loro testi e foto dei suoi disegni, che definiva «frutto della grande arte metafisica», ma non ottenne mai risposta. Gli sforzi maggiori li dedica ancora all’attività letteraria, che tra il 1916 e 1920 risulta piuttosto intensa: scrive il racconto metafisico Mercoledì 14 novembre 1917, una raccolta di prose metafisiche, e pubblica nel 1920 il romanzo autobiografico Il signor Luigi B. con lo pseudonimo Maurice Barthelon. Non tralascia comunque l’attività pittorica, anzi alle consuete nature morte e ai paesaggi si aggiunge ora l’interesse per il corpo umano, soprattutto figure efebiche e statuarie. Appartengono alla stagione metafisica: Natura morta metafisica, L’ora fatale e L’uomo col tubino. Continua a collaborare con la rivista “La Riviera Ligure”, pubblica un articolo sul primo numero di “Valori Plastici”, e nel 1919 frequenta il gruppo della “Ronda” a Bologna dove incontra Morandi. Nel 1920 decide di lasciare Ferrara e di trasferirsi a Roma, dove ritrova De Chirico e altri suoi amici, e dove la Casa d’Arte Bragaglia organizza la sua prima mostra personale comprensiva di disegni, tempere, pastelli e qualche collage, ma l’esposizione non riscuote successo né di critica né di pubblico. Ciononostante è proprio durante il soggiorno nella capitale che prende seriamente in considerazione l’idea di “farsi pittore”, infatti fino ad ora la pittura rientrava fra i molti interessi da lui coltivati, ma non era certo il più importante. La vocazione pittorica si palesa definitivamente nel 1923 durante un viaggio ad Assisi, dove ammira Giotto e  Lorenzetti, esegue copie di affreschi, e dipinge tele che hanno come soggetto la campagna umbra. Ritornato a Roma incontra i poeti Onofrio e Moscardelli, ritrae Giovanni Verga, e frequenta il gruppo del secondo futurismo: Panneggi, Prampolini, Evola e Dottori. Nel contempo studia nei musei  romani le opere di Rubens, Guercino, Poussin, e le nature morte del Seicento napoletano (Recco, Ruoppolo). Durante questi anni dipinge nature morte marine, paesaggi e interni di osteria con personaggi derelitti, Il poveraccio. I primi riconoscimenti critici De Pisis li ottiene in occasione della mostra allestita nel ridotto del Teatro Nazionale a Roma dove espone gli ultimi lavori, molti dei quali saranno acquistati da Angelo Signorelli. Ma il successo e la fama non tardano ad arrivare, è sufficiente che egli si trasferisca a Parigi perché la sua pittura trovi apprezzamento. Nella «Città “metafisica” per eccellenza», come lui la definisce, giunge nel 1925 e vi rimane fino allo scoppio della seconda guerra mondiale; De Pisis è rapito dalla bellezza degli edifici e dalla ricchezza del Louvre , e da tale profusione di stimoli  nascono delle stupende vedute parigine, libere copie dall’antico (Manet, Daumier, Delacroix), nature morte e studi di nudo. L’amore per le lettere non viene meno, scrive il romanzo autobiografico Il marchesino pittore, per poi confessare ad un amico: «Già i mercanti mi fanno buon viso, quasi non si discute più che io sia un bon peintre che avrà successo […] Ma ahimè io so di essere soprattutto uno scrittore, ed allora di tanto in tanto “ritempro la penna”». Nella capitale francese incontra De Chirico, che presenta nel 1926 una sua mostra alla Galerie au Sacre du Printemps. Intanto cresce la fama di De Pisis anche in Italia: nel medesimo anno si tiene a Milano alla Saletta Lidel una sua personale con una presentazione di Carlo Carrà, partecipa alla I Mostra del Novecento italiano con tre opere, ed è presente alla Biennale di Venezia con una natura morta. A Parigi entra a far parte del gruppo Les italiens de Paris, costituito da Tozzi, De Chirico, Severini, Campigli e Paresce, insieme a loro espone al Salon de l’Escalier nel febbraio del 1928. Partecipa alla XVI Biennale di Venezia con una Natura morta marina nella sala dedicata alla “scuola di Parigi”. Nel 1929 la morte della madre lo segna profondamente, ma l’attività espositiva non si arresta, l’anno dopo si apre alla Galleria di Milano una sua personale.

Nel 1931 è presenta alla I Quadriennale di Roma con cinque opere. Scrive articoli per “L’Arte” di L. Venturi, “Il Selvaggio” e “L’Italia Letteraria”. Il crescente successo lo porta a viaggiare incessantemente: in Italia è a Roma, a Milano, a Venezia, e ogni estate in Cadore; poi di nuovo a Parigi, dove oramai le mostre a lui dedicate si fanno sempre più numerose, ed infine a Londra, nel 1933 e nel 1935 su invito del mecenate Zwemmer, che inaugura una sua personale con molti dipinti realizzati sul posto. Anche stavolta ottiene larghi consensi. Ritornato a Parigi De Pisis acquisisce uno stile più maturo e personale: guardando sia all’impressionismo francese che al cromatismo dei fauves il suo tocco si fa veloce e liquido pronto a cogliere la fugacità atmosferica del luogo. Nel 1939 partecipa alla prima edizione del Premio Bergamo e ottiene il secondo premio con La chiesa di Cortina; proprio a Cortina d’Ampezzo soggiornerà tutte le estati nell’albergo dell’amico Mario Rimoldi, diventando uno dei pittori più rappresentativi della sua collezione. Allo scoppio della seconda guerra mondiale lascia definitivamente Parigi e rientra in Italia. Nel 1940 esegue diversi ritratti, fra cui L’uomo leone e Il beato labre. Soggiorna a Milano fino al 1943, anno in cui si trasferisce a Venezia. De Pisis non manca di cogliere con il suo pennello ogni angolo della città lagunare, che fissa in innumerevoli tele aventi come soggetto le facciate delle chiese di San Moisè, San Vida, San Marco, la Salute, e gli scorci dei canali (il Canal Grande, il ponte di Rialto, il bacino di San Marco). In queste vedute il colore si stempera sotto l’impeto di una pennellata sempre più febbrile e nervosa, caricandosi di accenti drammatici negli ultimi anni della sua vita. Sempre a Venezia scrive una raccolta di poesie intitolate Cattività veneziana. Nel 1944 l’editore Damiani di Milano pubblica Il Viaggio sentimentale di Sterne nella traduzione di Ugo Foscolo, illustrato da otto tavole a colori di De Pisis, e l’anno dopo dà alle stampe Poesies di Verlaine con dieci riproduzioni di suoi acquarelli. La Galleria del Cavallino di Venezia gli dedica due personali nel 1945 e 1946, e sempre a Venezia nel 1948 è presente alla Biennale con trenta opere dal 1926 al 1948, lo presenta  Rodolfo Palucchini. Il suo stato di salute, fortemente compromesso da una grave forma di arteriosclerosi lo costringe a passare l’ultima parte della sua vita a Brugherio, nei pressi di Milano, in una clinica per malattie nervose. Le mostre a lui dedicate non vengono meno, fra il giugno e luglio del 1950 si tiene al Castello Estense la sua prima antologica, curata da Giuseppe Raimondi. Nel 1953 perde quasi del tutto le facoltà mentali; muore il 2 aprile 1956. In giugno la Biennale di Venezia affida a Umbro Apollonio e Marco Valsecchi l’organizzazione di una vasta retrospettiva con 65 opere presentata da Francesco Arcangeli.

 

Dolores Del Giudice

 

 

 

Bibliografia:

 

Salvagnini Sileno, De Pisis, Art Dossier, Giunti

 

Dizionario dell’Arte, coordinatore Dossi Eugenia, L’UNIVERSALE: La Grande Enciclopedia Temetica, Milano, Garzanti, 2005

 

 

Sitografia:

www.filippodepisis.org