Luigi Celommi (Roseto degli Abruzzi 1933 - )
Nasce a Roseto degli Abruzzi nel 1933, dove attualmente vive e lavora. Sin da piccolo evidenzia le sue qualità pittoriche e molto spesso si reca nella studio paterno per disegnare con grafite e pastelli (suo padre, Raffaello Celommi – secondogenito della dinastia Celommi che ebbe come capostipite Pasquale Celommi - non gradiva che utilizzasse i colori ad olio, prima di aver avuto una discreta padronanza con il disegno). Dopo la scuola media, avendo avuto un’insegnate che gli aveva fatto odiare il latino, si iscrive all’Istituto tecnico per geometri, con l’erronea convinzione che, a diploma conseguito, potesse iscriversi alla facoltà di architettura. In quel periodo, però, l’ingresso in tale facoltà era consentita solo per coloro che avessero conseguito la maturità classica o scientifica. Non tralascia, durante gli sudi, la sua grande passione per la pittura e, già quattordicenne, esegue un ritratto ad olio del padre che conserva tutt’ora nel suo studio. Si diploma geometra nel 1951 (con anticipo di un anno) e non potendo iscriversi alla facoltà di architettura, pensando che una laurea sarebbe, comunque, stata necessaria, si iscrive alla facoltà di economia e commercio all’Università di Roma e supera dieci esami. Si accorge, però che tale facoltà non è adatta alle sue caratteristiche culturali e abbandona. Si getta nella sua passione di sempre e sotto la bonaria guida paterna acquisisce una notevole tecnica pittorica ed inizia anche a vendere qualche sua opera. Nel 1957, non ancora ventiquattrenne, suo padre muore ed è così, che rimasto privo di risorse economiche, deve mettere a frutto il suo titolo di studio impiegandosi quale tecnico presso il Comune di Roseto degli Abruzzi. Pur dovendo lavorare in tale ufficio, l’orario unico gli permette di dedicarsi alla pittura che diviene presto il suo secondo, ma forse primo, lavoro, utilizzando come studio quello paterno situato nel vecchio castelletto al mare realizzato da suo nonno Pasquale.. Entra in contatto con due gallerie di Roma (Galleria di Via Nazionale e Galleria degli Artisti in piazza Barberini), dove vende i suoi quadri. Nel 1986, si dimette dal suo incarico nel Comune di Roseto degli Abruzzi, per potersi dedicarsi meglio alla pittura. Nella sua fase iniziale della sua pittura i quadri risentono inevitabilmente della tecnica e della soggettistica di suo nonno e di suo padre. Poi, pur non rifiutando mai quella che fu la sua migliore linfa vitale, si accorge che il mondo è mutato; che il mare non è più quello popolato dalle variopinte vele; che le colline rosetane stanno mutando; che la vita sociale è disseminata di gente che soffre; che la condizione femminile è difficile. Nel 1963 si presenta a Teramo, nella vecchia Galleria S. Giorgio, con una sua mostra che può dirsi sia l’antesignana delle sue persona. Iniziano i suoi i ritratti di volti femminili (Ritratto della moglie del 1952; Ornella del 1969; Donna in verde del 1971), dove la sua giovanissima moglie è la sua musa ispiratrice. Nelle sue opere, molto spesso trova spazio il lavoro con “Il varo della barca” e i “Muratori” del 1953, “Il rammendo della rete” del 1964. “Donna delle pulizie” del 1970, ecc. Le sue donne – soggetto ricorrente – si velano di mestizia: I volti si fanno sofferenti e si affaccia la moltitudine reietta. Poi la società viene sconvolta da violenti eventi politici e naturali che non lo lasciano indifferente. Nascono “Bologna 2 agosto” del 1980, “Macerie” del 1990, “Bosnia 98” ed infine “Vittime innocenti” e “Tsunami” ambedue del 2004. Trovano asilo anche le tematiche più recenti della nostra società, che si ripercuotono in maniera più drammatica sulla donna. Appartengono a tale categoria: ”Stupro” del 1982, “Mendicante” del 1995; Angoscia” del 1998; “Lo sbarco” e “Via dal Kosovo” del 1999. Dipinge anche paesaggi e nature morte, nudi, nonché le sue numerose “Maternità” a volte velate da infinita tristezza ed altre volte cosparse di infinito amore.
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Hanno scritto su di lui:
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Hanno detto di lui:
«La rappresentazione della natura umana non è in Luigi Celommi un fatto singolo, ma diviene una figurazione vera in quanto il suo dire si snoda attraverso i suo dipinti in una sorta di discorso mediato. I suoi lavori sono una continua costante ricerca che indaga nell’approfondimento e nella tentata soluzione di un interrogativo che non conosce ancora una risposta definitiva. I nudi, vigorosi e teneri che siano, non suscitano afrore o sensualità, forse perché immaginati e resi in un rigore morale che diventa di per se stesso ragione di critica. Colpi di pennello non mai irruenti, bensì meditati, composizioni di forza che lo portano alla sintesi ed alla evidenza, trascurando ove gli sembra necessario, la resa del particolare. Sono i silenzi che rimangono gli abbandoni. Sono i silenzi che fondano le figure in un mondo loro. Tutto trascende, proprio per la concezione che l’artista ha, lo stesso momento in cui e gesti e persone e ricordi sono stati colti. Realtà è, infatti per Celomi non soltanto quella del momento, bensì degli intimi e non transeunti valori. Egli non scende a compromessi: sembra infatti dirci: accettatemi coi miei meriti e i miei difetti, ma riconoscetemi la sincerità assoluta e la continua ricerca della bellezza femminile. »
Antonio Canfora
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In un’epoca come la nostra in cui nel mondo dell’arte si è costantemente alla ricerca di una collocazione “avanguardistica” capace di evidenziare “ etichette” originali fecondate da mode evanescenti, un pittore come Luigi Celommi, che rifugge con decisione dalle intricate limitazioni di scuole e correnti, convalida l’interezza della sua opera. Il suo figurativismo estremamente sobrio e lineare, tutt’altro che statico ed uniforme, costituisce la risultante di uno sforzo che comprende un’elaborazione fatta di studio, di riflessione ed infine di espressione viva e schietta. Sul piano della coerenza e dell’onestà di intenti il pittore abruzzese riesce ad evidenziare un impegno di tipo umano caratterizzato da una passione che ha le sue profonde radici in una tradizione artistica di famiglia, qualcosa che lo ha spinto però a cercare con caparbia tenacia un’autonomia cromatica , una individualità creativa ed una trattazione stilistica raggiunti affrontando la figurazione con il corredo della sue precise e circostanziate esperienze pittoriche. Una notevole capacità espressiva accompagna una solida preparazione e ciò gli permette di risultare assai convincente sul piano della trasmissione dell’immagine e di tutto ciò che essa comporta come patrimonio di valori umani e come specifico impegno espressivo. L’emozione diventa per lui uno stimolo che lo porta a riconoscere pittoricamente ciò che vie è di valido sotto il profilo poetico in ogni soggetto.
Luigi Braccili
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Ho visto per la prima volta le tele di Luigi Celommi nel garage dell’amico Gino Marucci: un incontro davvero inconsueto. È bastato, comunque, per capire che il discorso di Celommi non è affatto complicato da segni incomprensibili che, troppo spesso, costituiscono le mistificazioni di chi vuole ad ogni costo imporsi come « innovatore », come « avanguardista », ma che in effetti si rivela « venditore di fumo ». Proprio su questo piano quello dell’onestà e della coerenza, si individua subito l’impegno di tipo umano che caratterizza i valori del pittore rosetano, nei quali i gesti, i personaggi sono patrimonio, certamente non solo emotivo, del vissuto quotidiano dell’artista. Talvolta basta un gesto, un accenno,magari uno scatto risentito del pennello, per svelare il segno di quella presenza umana che diventa simbolo. Evidentemente per Celommi la pittura è uno sfogo, un modo per uscire dalle banalità del quotidiano: per noi è talvolta un’emozione che ci riporta all’al di là dei valori stessi che essa tenta di imprigionare soprattutto attraverso un figurativo estremamente sobrio e lineare. In questa chiarezza, nelle linee precise del caldo cromatismo sta tutto il realismo di Celommi, che rifugge coscientemente dalle esagerazioni e dalle ricercatezza che sono la mistificazione della realtà. Egli, perciò, non vuole collocarsi, rifacendone il verso, entro i limiti di scuole e correnti varie , ma si impegna attraverso una liberta espressiva , che vuole solo cogliere ciò che di vero e di autenticamente umano c’è in ogni soggetto. Il risultato di questa operazione è un figurativismo vivo e attuale, in cui è sempre possibile trovare momenti di serena riflessione. Per capire Celommi, a mio parere, bisogna capire che non c’è niente da « capire ». Ma non è poi capire veramente?
Enzo Pupino
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Sue personali:
Teramo, 1963, presso
la Galleria S.Giorgio;
Ha vinto, tra l’altro:
1° premio “G. D’Annunzio” a Pescara nel 1963; 1° premio concorso Avis di Trieste nel 1964; 1° premo del pubblico, nel 1969, a Soresina; 4° premio G. D’Annunzio nel 1977 a Pescara.
Testi ed immagini per
gentile concessione dell'Artista.
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