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Dolores Del Giudice

 

Massimo Campigli (Berlino 1895 - St-Tropez 1971)

 

 

 

Massimo Campigli, La scalinata, olio su tela, 1955. Vallunga, Collezione Bianchedi Bettoli.

 

 

"Ho incominciato a dipingere delle donne e continuerò a dipingere delle donne. Niente altro che delle donne. Questo corrisponde, se voglio parlare solo di pittura, al fatto che la donna è il soggetto perfetto,che nell’arte del mondo intero ci sarà sempre la donna e l’uomo è assolutamente in secondo piano. E non potrei concepire altro".

(M. Campigli)

 

Max Ihlen-feld (poi Massimo Campigli) nasce a Berlino il 4 luglio 1895. La madre Anna Pauline Louisa Ihlenfeld ha solo diciottanni, è di origine borghese e benestante, e per evitare uno scandalo in società si trasferisce con la madre e le sorelle a Settignano. Max viene affidato alla nonna materna senza che Anna si riveli al figlio come sua madre. La donna va ad abitare a Firenze dove nel 1899 sposa Giuseppe Bennet, rappresentante di una ditta di colori inglesi, e decide di portare con sé il figlio. Nel 1909 si trasferiscono a Milano, dove solo l’anno dopo, oramai quindicenne, Max scopre casualmente che la "zia" Anna è invece sua madre. Episodio quest’ultimo che non altera i rapporti con la famiglia, ma l’argomento delle sue origini rimarrà un tabù per tutta la vita. Nel 1914 inizia a lavorare come segretario di Renato Simoni, direttore del supplemento letterario del Corriere della Sera, e al contempo frequenta gruppi di artisti, soprattutto si avvicina ai futuristi Balla e Boccioni. Scrive per il periodico "Lacerba" il testo futurista Giornale + Strada, di estrema importanza perché si firmò per la prima volta con il suo nome italianizzato Massimo Campigli.

Allo scoppio della prima guerra mondiale si arruola volontario, ma solamente dopo due anni di prigionia nel 1918 farà ritorno a Milano, dove legalizza il proprio nome e ottiene la cittadinanza italiana. Scopre la vocazione pittorica quando giunge a Parigi nel 1919 come corrispondente del Corriere della Sera e inizia subito a dipingere da autodidatta, favorito da un’ attitudine innata che affianca ad un tenace lavoro: «[…] Dopo aver lavorato sin tardi nella notte era duro alzarsi la mattina. Mettevo la sveglia per dipingere. Eliminai ogni distrazione: per sette anni non andai al cinema neanche una volta, non lessi un libro che fosse soltanto dilettevole». Impegno presto ricompensato se pensiamo che nel 1922 Léonce Rosenberg, il mercante di Picasso e dei cubisti, gli acquista dei quadri, e che l’anno dopo tiene la sua prima mostra personale alla galleria Bragaglia di Roma. Inoltre espone regolarmente in Italia e all’estero con il "Novecento Italiano" e con il gruppo degli "Italiens de Paris", del quale fanno parte anche de Chirico, Savinio e De Pisis. I quadri degli esordi sono contraddistinti da figure longilinee dal cranio rasato, simili a manichini, poste all’interno di angusti spazi prospettici, come appare nei Giocatori di scacchi del 1921. Ma non soddisfatto dei risultati raggiunti, dopo una crisi creativa durata un anno, dal 1924 al 1928 nuove soluzioni stilistiche prendono il sopravvento: i suoi quadri ora accolgano figure imponenti e solenni, rigidamente definite, soprattutto soggetti femminili che manifestano l’influenza di Picasso e Léger, nonché la conoscenza dell’arte classica e di quel monumentalismo diffusosi in Italia negli anni Venti. Tale ascendenza è particolarmente visibile nella Donna con le braccia conserte del 1924, in cui l’assetto compositivo e la solidità scultorea della figura rimandano chiaramente a Sironi. Tuttavia il clima artistico del momento non distoglie Campigli dall’interesse per l’antico, in modo particolare durante le sue visite al Louvre rimane estremamente colpito dall’arte egizia. Ma fatale per il suo percorso pittorico sarà l’incontro con un’altra civiltà, vale a dire quella etrusca, che gli si rivela durante la visita, in compagnia della moglie Magdalena Radulesch, al Museo di Villa Giulia a Roma. L’importanza di questo evento è sancita dalle parole di Campigli: «[…] Comunque comincia da quell’incontro con gli etruschi la mia pittura tipica, mentre sconfesso quella di prima del 1925 che mi pare di una qualità pietosamente scadente. […] Era una pittura infelice. E a cominciare dal 1928 è una pittura felice». Ciò che lo affascina dell’arte etrusca è la libertà nel trattare le forme, esente da ogni normativa, una spontaneità che Campigli non tarderà a tradurre in pittura durante un viaggio in Romania. Da ora in poi il taglio con la produzione precedente si fa netto: sostituisce le possenti figure femminili con donnine stilizzate, rigidamente definite, dalla caratteristica forma a clessidra e sospese in uno spazio atemporale; il colore viene steso sulla tela a macchie, a volte con l’ausilio della spatola, e la gamma cromatica si riduce ai toni del bianco, ocra, marrone e rosso terracotta. Questo nuovo modo di esprimersi conferisce ai suoi dipinti un sapore di antico, magnificamente ricreato negli sfondi ruvidi e biancastri delle tele, che paiono dipinte "affresco" sull’intonaco della parete, e non ad olio come realmente lo sono. Appartengono a questo periodo Gli zingari 1928, Donna alla fontana 1929, La canicola 1928, che sono solo alcune delle opere che entusiasmeranno la critica in occasione della mostra alla galerie Jeanne Bucher di Parigi nel 1929 e alla galleria del Milione di Milano nel 1931. Durante gli anni Trenta partecipa a numerose mostre, Biennali e Quadriennali, e notevoli sono le personali tenute all’estero, New York, Parigi, Amsterdam e Bucarest, che gli procurano molte committenze pubbliche e private. Esegue ritratti di noti personaggi del tempo quali Bruno Barilli, Achille Funi, Curzio Malaparte, Carlo Cardazzo, e riceve commissioni più impegnative: l’arazzo per il transatlantico Conte Biancamano e l’affresco Le madri, le contadine, le lavoratrici per la V Triennale del 1933 andato distrutto poco dopo su ordinanza fascista. In seguito sottoscrive il Manifesto della pittura murale, pubblicato nel dicembre del 1933, insieme a Sironi, Funi e Carrà. Vanno inoltre ricordati l’affresco realizzato per il Palazzo delle Nazioni di Ginevra del 1937, e quello enorme di 250 metri per il Liviano di Padova in onore di Tito Livio. Quando scoppia la seconda guerra mondiale Campigli si trasferisce insieme alla seconda moglie Giuditta Scalini a Venezia, dove inizia ad occuparsi di illustrazione di libri ed entra in contatto con i celebri stampatori Ulrico Hoepli e Carlo Cardazzo. Quest’ultimo è anche collezionista e proprietario della galleria del Cavallino a Venezia, in cui Campigli espone annualmente dal 1942 al 1963. Alla fine del conflitto ritorna a Parigi dove inizia una fruttuosa collaborazione con la galerie de France e nel contempo continua ad essere presentato in Italia da autorevoli gallerie. Conosciuto e apprezzato a livello internazionale, in Olanda e Inghilterra le sue opere entrano a far parte di due grandi collezioni, quella di P. A. Regnault e di Eric Estorick; inoltre mostre personali si susseguono all’estero: a Monaco nel 1959 e 1963, Berlino nel 1961, partecipa alla I e II Biennale di São Paulo, e a molte esposizioni itineranti in America. Realizza mosaici di grande formato per la Banca Nazionale del Lavoro di Bologna e per i grandi magazzini la Rinascente di Milano. Campigli lavora intensamente, la sua produzione pittorica non conosce interruzioni, l’universo femminile rimane tuttora il protagonista indiscusso delle sue opere, ma a partire dagli anni Quaranta lo arricchisce di nuove soluzioni sceniche. Ed ecco ritrovare le preziose figurine (che negli anni Trenta ritraeva singolarmente o in gruppo) a teatro, al circo, al lavoro, nell’atelier o colte mentre danzano e giocano tra di loro; a partire dagli anni Cinquanta questi temi saranno sviluppati in serie. Moltissimi i quadri a riguardo, oltre cento, dimostrativi come Teatro del 1943, Donne al piano del 1947, la serie avente per soggetto le tessitrici, le donne al caffè, e le giocatrici di diabolo. Un ulteriore e più radicale cambiamento investe la sua pittura sul finire degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta: le donne dai vitini sottili, dalle movenze rigide e dallo sguardo fisso verso lo spettatore, vengono ora sottoposte a un processo di stilizzazione, liberate dal superfluo e ridotte a puri ornamenti geometrici, come rombi, croci, rette, linee a zig zag. Una tendenza a geometrizzare, come ebbe a dire Campigli, è istintiva in tutta la sua pittura, ma è indubbio che l’influenza dell’arte africana l’abbia poi portato a rasentare l’astrazione come appare in Composizione del 1962. Gli anni Sessanta li trascorre tra Parigi, Roma, Saint-Tropez e Milano, dove nel 1967 viene allestita una grande retrospettiva a Palazzo Reale, a cui collaborò lo stesso artista. Muore il 31 maggio 1971 per un attacco di cuore.

 

 

Dolores Del Giudice

 

 

 

Bibliografia:

Weiss Eva, Saggio critico: "Nel regno dei segni". Sulla vita e sull’opera di Massimo Campigli, (saggio in Pdf su www.campigli.org)

Dizionario dell’Arte, coordinatore Dossi Eugenia, L’UNIVERSALE: La Grande Enciclopedia Temetica, Milano, Garzanti, 2005.

Campigli Massimo, Scrupoli, opera autobiografica, Venezia, Cavallino, 1955

Pallini Nicoletta, Massimo Campigli. Il tempo delle donne: opere 1922-1966, Milano, Mazzotta, 2002

 

 

Sitografia:

www.campigli.org