Nasce a Trieste il 2 luglio
1901. La mamma, Antonia Brumat (poi Brumatti), è figlia di un proprietario
terriero friulano, il padre, Luigi Hermet, discende da una famiglia
armena-cristiana stabilitasi a Trieste verso il 1770. Il padre lo riconosce
figlio naturale, ma lo legittimerà solo poco prima della morte; poiché
l'attività di Brumatti inizia prestissimo, egli, attivo fin dal lontano 1926,
firma i suoi oli con il cognome materno. Nell'autunno del 1912 è iscritto al
primo anno dell'I.R. Ginnasio Reale Italiano, ma dopo pochi mesi abbandona gli
studi; nell'anno scolastico 1914-15 studia nel Ginnasio di Gorizia e incomincia
a dipingere nei momenti di svago. Lo scoppio della prima guerra mondiale lo
costringe a ritornare a Trieste; inizia un duro apprendistato nel rinnovato
anfiteatro Fenice, dove lavorano Giacomo Rossi e Giovanni Moscotto.
Quest'ultimo, che aveva dato i primi rudimenti della pittura ad Eugenio
Scomparini, dà a Brumatti i primi utilissimi consigli sull'uso del colore.
Dopo il 1922 incomincia ad esporre in mostre collettive del Circolo Artistico
Triestino accanto ad artisti affermati come G. Marchig, G. Parin, U. Flumiani,
T. Silvestri, G. Grimani.
Nel 1924 frequenta la scuola per capi d'arte di Trieste, passaggio obbligato di
molti pittori locali.
Con V. Cocever dipinge a Capodistria, e in città esegue lavori decorativi con S.
Bidoli; frequenta assiduamente M. Mascherini.
Nel 1926 lavora nel Duomo di Isola d'Istria, dove restaura alcuni affreschi;
stringe amicizia con A. Levier e D. Stultus.
La sua partecipazione alle mostre collettive si intensifica, ed espone a Pola e
a Milano.
È del 1929 la sua prima personale; nello stesso anno è presente a Roma alla
Mostra del Sindacato Artisti. Il decennio 1930-40 lo conferma artista in ascesa;
nel 1934 ottiene la medaglia d'oro del Comune di Pola, e nell'ottobre del 1935
il premio del Duce per la pittura.
È presente alla Biennale Triveneta di Padova, alla I Mostra Sindacale di
Firenze, alla XIX Mostra Biennale Internazionale di Venezia (1934), alla Mostra
Commemorativa del Quarantesimo Anno della Biennale nella città lagunare (1937),
a Roma, a Torino, ad Asti.
Nel 1933 incomincia in via sperimentale una collaborazione con l'ufficio stampa
della società triestina di navigazione Cosulich. Realizza affiches, disegni,
oleografie, calcografie e continua tale attività fino al 1942. Esegue sei
copertine della Rivista Sul Mare.
Verso la metà degli anni Trenta lavora con altri artisti triestini nella chiesa
della Beata Vergine delle Grazie di via Rossetti, ideata dall'architetto Carlo
Polli. Purtroppo la chiesa fu distrutta dal bombardamento che colpì la città il
10 giugno 1944.
Trascorre gli anni della seconda guerra mondiale a Trieste, dove continua ad
esporre nella galleria di U. Michelazzi. Nel 1943 ottiene un premio acquisto del
Ministero dell'Educazione Nazionale, a mezzo della Regia Soprintendenza alle
Gallerie di Venezia. L'anno seguente il Museo Revoltella gli acquista l'opera
intitolata La raccolta del grano. Si dedica all'arte sacra e partecipa a mostre
nazionali ed internazionali.
Nel 1949, con uno splendido quadro che rappresenta San Giusto, risulta vincitore
del premio P. Coscia.
Lavora nella libreria antiquaria di Umberto Saba, dove acquerella stampe antiche
e disegna cataloghi su commissione.
Nel 1951 è insegnante di disegno, pittura e materie tecniche professionali,
nonchè istruttore tecnico per le esercitazioni pratiche in un corso di
riqualificazione per pittori decoratori, istituito dal Ministero del Lavoro.
Partecipa a mostre a Milano, Novara, Cremona, Venezia, Assisi, San Benedetto del
Tronto, Brescia, Pallanza, Salerno, San Paolo, Bahia, Rio de Janeiro, Villaco,
Vienna. È presente alla Sala Comunale d'Arte di Trieste negli anni 1958, '61,
'62, '64.
Lavora per la Finmare ed esegue due quadri ad olio per il transatlantico Conte
Biancamano.
Nel 1966 collabora con altri artisti per illustrare il libro di Ketty Daneo
Un ragazzo, cento strade.
Nello stesso anno, in seguito ad una mostra personale a Gorizia, la Rai
documenta l'avvenimento con un servizio nelle Cronache Italiane.
Esegue un affresco, I pellegrini ad Emmaus, nella casa di campagna del
dott. Botteri a Gabrovizza.
Nel 1971, in occasione dei suoi cinquant'anni di pittura, l'amico poeta Carolus
Cergoly gli dedica la poesia Ritratto d'artista. Dipinge a Marano
Lagunare e si applica, stimolato da Bruno Ponte, all'incisione.
Nel 1978, in questa sala, ebbe luogo un'importante mostra personale, e
nell'occasione venne pubblicata una monografia con un attento saggio critico di
Sergio Molesi.
Nel 1988 il Gruppo Internazionale Hohensalzburg gli dedica una serata omaggio e
l'artista decano dei pittori triestini riceve dalle mani dell'assessore avvocato
Pacor una medaglia del Comune di Trieste.
L'amico cineamatore Alessio Zerial realizza un bellissimo filmato dal titolo
Sul pastino più alto, commentato da Carolus Cergoly, che rimane un documento
di grande bellezza e di indubbio valore storico sul 'personaggio' Brumatti. Nei
primi mesi del 1991 sono ben tre le gallerie triestine che, a poca distanza
l'una dall'altra, gli hanno dedicato mostre retrospettive; anche in questa
occasione s'è voluto rendere un dovuto omaggio al nostro 'poeta del Carso',
l'ultimo scomparso dei grandi vecchi, che nel corso della lunga vita ha
costruito e rifinito amorosamente, fin poche ore prima della morte, una sua
realtà che e insieme pittorica e morale, etica ed estetica. I quadri degli anni
giovanili sono perlopiù eseguiti su cartone e sono più materici; dal 1960 in poi
l'artista lavora principalmente sulla faesite, e qualche volta sulle tele.
Sono soprattutto i motivi carsici di Brumatti che suscitano fin dai primissimi
anni l'entusiasmo della critica. Sensibilissimo negli accostamenti tonali,
'architetto del cielo' come sottolinea Livio Rosignano, espertissimo nelle
mescole e nella preparazione dei colori, l'artista usa una tavolozza povera solo
in apparenza. Ciò è evidente anche in opere di formato ridotto, quale Neve a
Sgonico, piccolo capolavoro.
Brumatti si rivela felice interprete delle cose umili, dei paesaggi a noi
vicini, della loro povera terra, del contadino e della sua difficile vita, come
si può ammirare ne Il Seminatore, dove l'uomo vive in solitudine la 'sua'
terra, e il suo gesto diventa preghiera e ringraziamento alla natura.