Dolores Del Giudice
Umberto Boccioni (Reggio Calabria 1882 - Sorte di Verona 1916)
Umberto Boccioni nasce il 19 ottobre del 1882 a Reggio Calabria da genitori originari della Romagna. Il padre è un funzionario di prefettura costretto per lavoro a continui spostamenti che compie insieme alla moglie e ai due figli: per tre anni soggiornano a Forlì, nel 1888 sono a Padova, e nel 1897 solamente Umberto seguirà il padre a Catania, mentre la madre e la sorella rimangono nella città veneta. Dopo aver conseguito il diploma presso l’Istituto Tecnico locale si trasferisce a Roma dalla sorella del padre e inizia a frequentare lo studio di un noto illustratore e cartellonista. Insieme a Gino Severini, da poco conosciuto, nel 1901 frequenta la Scuola libera del nudo di via di Ripetta e l’anno dopo avviene l’incontro con Giacomo Balla, che divenuto maestro di entrambi li avvierà alla tecnica divisionista. La figura e il paesaggio sono i soggetti dei suoi esordi pittorici: del 1903 è il primo quadro datato di Boccioni Campagna romana, e dello stesso anno è il pastello Ritratto femminile; in queste prime prove egli supera la visione frontale tramite tagli prospettici ed effetti di luce. Dal 1903 al 1906 espone all’annuale mostra della Società Amatori e Cultori di Roma. Nel 1905 quasi tutte le opere di Boccioni saranno respinte dalla giuria di ammissione ed esposte in segno di disapprovazione alla “Mostra dei rifiutati”, da lui organizzata insieme ad altri pittori non accettati. Nel marzo del 1906 Boccioni si reca per la prima volta a Parigi e alla fine di agosto parte per la Russia, il mese di novembre ritorna in Italia e si stabilisce per sei mesi a Padova, dove vivono la madre e la sorella. In questo arco di tempo dipinge soprattutto ritratti di gusto post-impressionista di affermati professionisti cittadini, quale l’avvocato Gopcevich, il dottor Tian, e i fratelli Brocchi. Nel contempo inizia a scrivere il suo diario, che stende tra il 1906-07, dalle cui pagine emerge il bisogno di trovare nuovi temi e soggetti per i suoi quadri, un'ansia di rinnovamento che la provincia veneta non è in grado di soddisfare: «Sento che voglio dipingere il nuovo, il frutto del nostro tempo industriale. Sono nauseato di vecchi muri, di vecchi palazzi, di vecchi motivi di reminiscenze: voglio avere sott’occhio la vita d’oggi». Nell’aprile del 1907 Boccioni si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove studia, disegna e inizia ad incidere, allontanandosi dallo studio oggettivo e naturalistico della figura e del paesaggio di ascendenza balliana, per approdare ad un divisionismo rivisitato in chiave simbolica che risente dell’influenza di Previati. Ha modo di ammirare le opere di quest’ultimo alla Biennale di Venezia del 1907, dove l’artista ferrarese espone il trittico Il giorno, e di incontrarlo per la prima volta l’anno dopo a Milano; qui Boccioni giunge alla fine del 1907 alla ricerca di nuovi scenari da dipingere. L’ammirazione per Previati giustifica l’uso di colori vivi, stesi tramite pennellate filamentose caratterizzanti i quadri di questo periodo, mentre la conoscenza di Marinetti alimenterà l’interesse per i soggetti cittadini. Realizza in questi anni il Ritratto della Signora Massimino, l’Autoritratto del 1908 e Officine a Porta Romana del 1909. Sempre nel 1909 viene pubblicato sul Figaro di Parigi del 20 febbraio il Manifesto del Futurismo di Marinetti, poi tradotto in italiano su Poesia. Nel febbraio del 1910 Boccioni firma insieme a Balla, Carrà, Russolo e Severini il Manifesto dei pittori futuristi, al quale segue nell’aprile il Manifesto Tecnico della pittura futurista, dove vengono enunciati i capisaldi inerenti l’aspetto figurativo del movimento. Essi gridano l’esigenza di un rinnovamento estetico nella forma e nei contenuti, l’arte nuova deve rispecchiare il proprio tempo, deve portare in pittura il dinamismo incessante della vita moderna. L’arte futurista rifiuta il figurativismo Divisionista e gli spiritualismi del Simbolismo, ai quali contrappone contenuti attuali: la città, le scoperte scientifiche, e una tecnica compositiva veloce dai colori emozionali. La modernità e la velocità fanno la loro comparsa nei quadri Rissa in galleria (1910) e Città che sale (1910-11), dove l’artista conduce le sue ricerche sul dinamismo e sulla simultaneità che portano al disfacimento della figura; mentre stilisticamente è ancora legato al Pointillisme di Seurat nel primo quadro, e al divisionismo italiano nel secondo, che abbandonerà solo dopo essersi recato in Francia nell’inverno del 1911. In queste opere realizza figurativamente quanto viene dichiarato in una frase del manifesto: «È vitale soltanto quell’arte che trova i propri elementi nell’ambiente che la circonda. Possiamo noi rimanere insensibili alla frenetica attività delle capitali? Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido. Una figura non è mai stabile intorno a noi, ma appare e scompare incessantemente». Anche nella prima versione degli Stati d’animo, realizzata nella primavera del 1911, Boccioni è ancora visibilmente attratto dalla pittura di Previati, come si evince nella stesura della pennellata e nella fusione atmosferica tra figure e sfondo. Questi retaggi stilistici verranno presto superati quando, insieme a Russolo, Carrà, e Marinetti, si recherà nella capitale francese ed entrerà in contatto con le novità cubiste. Impressionato dai quadri di Picasso, realizza la seconda versione degli Stati d’animo del 1912, dove scomposizione cubista del soggetto e dinamismo futurista si fondono insieme. Stilisticamente simili sono Materia, Elasticità, Antigrazioso, in cui ritornano i temi della simultaneità e compenetrazione dei piani tipici di Boccioni e la sfaccettatura cubista della forma. I futuristi ottengono piena notorietà con l’esposizione tenutasi il 5 febbraio alla Galleria Bernheim di Parigi, seguita poi da innumerevoli mostre nelle maggiori capitali europee, come Londra, Amsterdam e Bruxelles. Il 1912 è un anno prolifico per Boccioni, che si dedica alla scultura e pubblica nell’aprile Il Manifesto tecnico della scultura futurista. L’introduzione del polimaterismo (gesso, bronzo, vetro, legno) e le ricerche sul dinamismo e la simultaneità compiono una «completa rinnovazione di quest’arte mummificata» come ebbe a scrivere all’amico Vico Baer. Questi studi sono visibili in Forme uniche della continuità nello spazio 1913, esposta alla prima mostra di scultura futurista dell’artista alla Galerie La Boétie, dove avviene una fusione dinamica fra il soggetto plastico e l’ambiente circostante. L’attività scultorea è sempre affiancata da una copiosa realizzazione pittorica, nel 1913 nasce la serie dei Dinamismi (di un ciclista, di un footballer, di un corpo umano…), in cui continua le sperimentazioni sui concetti di simultaneità e compenetrazione dei piani. Nel 1914 scoppia la guerra, i futuristi sono a favore dell’intervento, Boccioni insieme a Marinetti, Russolo e Sant’Elia nel 1915, anno dell’ingresso italiano nel conflitto, si arruola nel Battaglione Volontari Ciclisti e Automobilisti. Il dipinto Carica dei lancieri (1915), rappresentazione dinamica tra lancieri e soldati, nasce da questa esperienza. Nei quadri successivi abbiamo un ritorno all’analisi formale e alla figurazione alla maniera di Cézanne, visibile in Testa di donna (Ritratto della signora Busoni; Studio n. 2), e nel più noto Ritratto del maestro Ferruccio Busoni, entrambi del 1916. Stilisticamente affini e realizzati nel medesimo anno sono anche alcuni Paesaggi. Ha termine così, con uno sguardo al passato la sua multiforme attività artistica: Boccioni muore il 16 agosto 1916 a Sorte di Verona in seguito a una caduta da cavallo.
Bibliografia: Vinari Monica, Boccioni, I Classici dell’Arte, Milano, Skira, 2004. Gaspare De Fiore (direttore), Boccioni, Collana, Capire la pittura, Milano, Fabbri, 1994. Coen Ester, Futurismo, Art Dossier, Giunti. Pirovano Carlo, La pittura in Italia. Il Novecento/1: 1990-1945, Milano, Electa, 1991.
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