Guglielmo Bezzo (Nanaymo (Canada), 1892 – Asti, 1977)

 

 

Flavio Bonardo


 

 

 

 


Guglielmo Bezzo - Giovanetta a l'harmonium - Paris 1910 - Asti, collezione privata



 
Il filosofo greco Aristotele circa la modestia diceva: “La modestia non può essere una virtù, perché assomiglia più a una sofferenza che a una qualità”. Alessandro Manzoni invece affermava che: “La modestia è una delle più amabili doti dell’uomo superiore. La superiorità non è altro che un grande avanzamento nella cognizione e nell'amore del vero: la prima rende l’uomo umile e il secondo lo rende modesto”. Se la modestia potesse considerarsi una virtù, tra i pittori che ho avuto il piacere e l’onore di conoscere la palma del più virtuoso la darei sicuramente a Guglielmo Bezzo artista, oggetto di questa ricerca. Guglielmo Bezzo nacque a Nanaymo una città del lontanissimo Canada, da genitori piemontesi colà emigrati, il 26 luglio 1892. Non era ancora in età scolare quando la famiglia fece ritorno alla terra di origine cioè Tonco Monferrato. Grandemente predisposto per l’arte, durante le lezioni scolastiche riempiva i quaderni con la sua matita, ritraendo la Maestra o i
suoi compagni di classe, in questo ripreso più volte poiché allora come oggi non era consentito. Attratto dalla musica e aiutato dal padre, apprese a suonare il clarinetto cosa che gli permise di entrare a far parte della Banda locale (La Bersagliera). Nelle mie ricerche, ho notato che i pittori dotati di grande sentimento spesso abbinano l’amore per l’arte pittorica alla musica. Filippo Vacchetti suonava la chitarra e il violino; Roberto Luciano la chitarra, il mandolino, il violino e la viola; Eso Peluzzi il violino ma, questo strumento era anche quello prediletto da Giuseppe Cerrina che, col suono del quale limava le sue ansie; per non dire di Giovanni Colmo che nelle sue escursioni montane per dipingere, sovente se lo portava appresso e nelle pause pittoriche (tenendo sempre stretta fra le labbra l’inseparabile pipa) atteggiandosi a Paganini lanciava nell’aria pura dei monti vibranti e struggenti note, applaudito dai colleghi presenti. Nel 1910 Guglielmo fu iscritto nei registri di leva ma fu anche l’anno in cui compì un viaggio a Parigi. Lo testimonia un dipinto da me visionato una decina di anni fa raffigurante un interno con una giovanetta intenta a suonare a l’harmonium (dipinto firmato, titolato e datato) che mostrava in tutto la lezione tardo ottocentesca piemontese mentre, quella che sarà poi la sua cifra era ancora in divenire. Il servizio di leva obbligatorio (naja) era compreso tra il 18° e il 25° anno ma, Guglielmo anticipò la chiamata chiedendo di essere inserito nella Banda Militare. La sua richiesta venne accettata e fu così aggregato al 92° Reggimento Fanteria di stanza a Torino. Durante la ferma i suoi superiori gli concessero di frequentare il Corso di Disegno presso le Scuole Tecniche S. Carlo di Torino, (operanti sin dal 1848) che conclusetra i premiati.  Assolto il suo obbligo e tornato al paese, il giovane contadino (ma che di contadino teneva solo l’origine) riprese a disegnare ritraendo amici e conoscenti, a dipingere copiando Santi e Madonne e a esercitarsi dal vero sul paesaggio locale. La Grande Guerra fermò il suo ardore e chiamato al fronte, operò in zona di ostilità come disegnatore e porta ordini. Catturato dagli austriaci, soffrì undici mesi di prigionia, durante i quali grazie alle sue capacità pittorico-disegnative, riuscì a sfamarsi tanto da sopravvivere. In quegli anni del 1° dopoguerra le sue esercitazioni dal vero s’intensificarono. Si narra che un giorno presso la sua vigna incontrò un pittore che con gesto elegante era intento a trasferire sulla tela quel paesaggio. Forse fu lo stesso Giuseppe Manzone (pittore astigiano diplomato all’Albertina di Torino) quel pittore occasionale che visti i suoi lavori, gli fu prodigo di consigli convincendolo a proseguire sulla strada intrapresa e col quale sviluppò negli anni rapporti di collaborazione e di amicizia. Nel 1921 ad Alessandria si tenne una Mostra Provinciale di Pittura e su invito di Manzone, (che l’aveva scoperto) Guglielmo fece il suo esordio artistico presentando tre opere: -Verso il tramonto- Colline astigiane- Da casa mia-, (quest’ultima sarà poi riproposta nel 1922 all’annuale rassegna della Promotrice di Torino).

 

 

 

Guglielmo Bezzo - Da casa mia, 1921 - Già mercato antiquario

 

 

Tra i membri della giuria figuravano: l’alessandrino Pietro Morando, il tortonese Angelo Barabino (che si era fatto carico della pesante eredità lasciatagli dal suo maestro Pellizza da Volpedo) e Leonardo Bistolfi. Quest’ultimo nel discorso d’inaugurazione, ebbe parole d’elogio per il giovane esordiente ed Emilio Zanzi che, dove c’erano tele che odoravano di fresco era sempre presente, su -Il Momento- di Torino del 16 giugno di quell’anno tra l’altro scrisse: “Finezza di tocco, sicurezza di disegno, prospettiva aerea perfetta”. Sempre in quell’anno, condusse all’altare la tonchese Maria Stobbione (maestra elementare del paese) che conosceva sin da bambino. Maria sarà per lui la spalla ideale, gli infonderà fiducia e lo sosterrà sempre anche nei momenti più difficili. Con lei, visiterà le città d’arte della nostra penisola soffermandosi a studiare gli antichi maestri ma, soprattutto guarderà ai suoi colleghi che della pittura avevano fatto una ragione di vivere. Nel 1924 fu accettato alla 14° Biennale di Venezia e Ugo Nebbia nella sua recensione su Emporium circa i pittori italiani, nella sua introduzione scrisse: “…Il compito che mi sono prefisso, di rassegna cioè degli aspetti più notevoli di un evento come quello odierno, sempre fra i più fortunati, per non dire dei più importanti del genere nessun’altra battuta introduttiva concede se non per affermare –e qui vorrei essere creduto- che l’addentrarsi in qualche particolare esame d’appartenenza critica, è ben più malagevole compito, che riassumere e sentenziare in forma generica”. Davanti a oltre mille elaborati di artisti italiani, anche lui come altri prima è colpito dal modo di dipingere del Bezzo e rilascia questa breve nota: “D’altra indole, nitidissima e piena d’ariosa modellazione di distanze prospettiche di colli e di filari di viti, è –L’estate sul Monferrato- di Guglielmo Bezzo”. Intanto sempre in quell’anno, alla Promotrice di Torino fu presente con –Fiori- e –Paesaggio del Monferrato (Valle del pozzo a Tonco) quest’ultimo fu insignito del “Premio Raymond”.

 

 

 

Guglielmo Bezzo - Valle del pozzo a Tonco, 1924 - Asti, collezione privata

 

 

 

Nel 1925 fu ancora la Promotrice di Torino ad accogliere le sue opere: -Meriggio invernale- Verso la primavera- e -Fiori - che, suscitarono l’interesse di Emilio Zanzi il quale, sulla rivista bergamasca Emporium, in –Cronache Torinesi- soffermandosi sul nostro artista scrisse: “Più a lungo vorremmo soffermarci a indagare per scoprirlo, il segreto pittorico di Guglielmo Bezza, artista contadino, che ha un suo stile e una sua maniera nel dipingere, accurato come un alluminatore e sicuro come un topografo. Il digradare dei bei colli vitiferi, i campi segnati dall’aratro, i prati ingialliti dal primo freddo e dall’ultimo sole sono descritti e definiti dal Bezzo con un’inimitabile ingenuità e con perizia istintiva”.

 

 

 

Guglielmo Bezzo - Zinnie, 1925 - Bra, collezione privata

 

 

Sicuramente il suo modo di dipingere con pennellate lunghe e sottili, poste sulla tela con grande perizia e richiedenti tanto tempo nel disporle, pur non rispondendo ai canoni della pittura divisa e puntinista, catturava la luce: quella vibrazione luminosa che nella pittura a impasto è più difficile da ottenere. A proposito di divisionismo, (separazione dei colori accostati e interagenti tra di loro) Gaetano Previati uno dei massimi esponenti di questa tecnica affermava che: “L’armonia dei colori è subordinata all’armonia delle luci e delle ombre”. Nel 1925 dall’1/8 –al 30/9 si tenne la -Prima Esposizione Internazionale Fiumana di Belle Arti- sotto il patronato della città di Fiume. La Mostra fu divisa, in tre sezioni: Ungherese, Jugoslava e Italiana. Tra i piemontesi invitati figuravano: Cesare Maggi, Alessandro Lupo, Giovanni Giani, Guido di Montezemolo, Ernesto Barbero, Filippo Omegna e il nostro Guglielmo Bezzo. Il 1926 fu un anno di grandi soddisfazioni - in aprile il suo dipinto –Colline del Monferrato- fu accettato alla Biennale di Venezia e acquistato da S. M. il Re e Ugo Nebbia su Emporium dopo aver parlato di Giuseppe Manzone che esponeva: “Un pingue Paesaggio dell’astigiano- con quella tecnica un po’ duretta ma efficace (…) E’ un po’ il fare che, con risultato non diverso mi sembra adoperi pure Guglielmo Bezzo per descrivere invece con non minor diligenza topografica, le luminose distanze e i caratteri delle Colline del Monferrato”. Sempre nel 1926 a maggio si tenne l’ottantaseiesima mostra della Promotrice di Torino e di Bezzo furono esposte le opere: -Fiori- Paesaggio del Monferrato- e  Villadeati Monferrato- quest’ultima ottenne il “Premio Arbarello”. Il sempre presente Emilio Zanzi, su Emporium di giugno scrisse: “Contadino solitario come il Rovero e il Manzone è Guglielmo Bezzo autore del paesaggio –Villadeati Monferrato-. Bezzo oggi vittorioso a Venezia, l’ho scoperto a una piccola mostra di Casale. Un’atmosfera afosa, di meriggio estivo: una fredda aria d’inverno subalpino sano, sono fermate sulla dozzina di opere, tutte rurali, lentamente elaborate da questo semplice uomo, diventato pittore sulla trentina, dopo aver visto un ignoto artista lavorare dal vero presso la sua vigna, sotto il suo cielo. Questo quadro che purtroppo si perde nella debolezza dei primi piani nella diffusa luce meridiana che affievolisce i colori, ma rivela i particolari delle piante dei filari e delle zolle, definisce il volto geologico, il colore locale e il genio del luogo monferrino. La tela può non entusiasmare per l’insistenza minuta ed elementare di una tecnica tra puntinista e divisionista e appare un po’ mappale e prosaica. Ma l’affettuosa fedeltà alle vigne, agli orti di un’artista che non rinnega la sua origine e dipinge –in dialetto- e sa restare timido e muto davanti alle cose e agli uomini, trionfa in questo quadro non immune da deficienze tecniche: che non si trovano nel quadro”. Emilio Zanzi nelle sue recensioni aveva l’abitudine di racchiudere col termine –contadino- i pittori astigiani: così per Giuseppe Manzone che, nato ad Asti a soli tredici anni era già allievo di Carlo Artuffo e poi di Paolo Arri prima, di frequentare l’Albertina di Torino; della quale, fu allievo anche Giovanni Rovero che, trasferitosi giovanissimo con la famiglia, da Mongardino ad Asti aveva appreso dapprima l’arte tipografica; così Andrea Pistarino (Padre Angelico) che, nato ad Alessandria a quindici anni si trasferì ad Asti per apprendere l’arte pittorica; di Bezzo ho già detto più sopra. L’amore per la sua terra, (a vocazione contadina) Bezzo la espresse nei titoli dei suoi elaborati. E’ sufficiente sfogliare i cataloghi della Promotrice torinese (dove, fu sempre presente dal 1922 sino al 1940 per riconfermarsi dopo il conflitto bellico) e leggere i titoli dei suoi lavori. L’amato Monferrato fu sempre presente a volte anche quando non si trattava di paesaggi, ma di nature morte o fiori,la precisazione per lui era sempre d’obbligo: ricordo una natura morta titolata –Ciliegie monferrine-. A conferma di quanto detto sopra rileggiamo i titoli dei suoi lavori esposti alla Promotrice di Torino nel 1928. Figuravano col n° 380 – Paesaggio del Monferrato-; col n° 381 –Case rustiche del Monferrato-; e col n° 383 –Paesaggio del Monferrato (angolo rustico)-. Come una pianta rara, che nasce e cresce in un unico posto, così quella georgica estensione di valli e di colli portata nel cuore, fu da lui tratta nelle sue tele con grande sentimento. Vorrei ricordare un altro cantore di queste terre, il professore colto e poeta Diego Garoglio (Montafia d’Asti 1866 – Firenze 1933) che tutti gli anni tornava dalla Toscana a trascorrere le vacanze nella frazione di Lussello del comune di Villadeati e che, nei suoi “Canti del Monferrato” scriveva: “…Ma più mi piace l’umile fatica/oggi dei monferrini miei fratelli/curvi al quotidiano aspro lavoro/sopra la dura ma feconda terra”. Quando la clorofilla assorbe tutte le lunghezze d’onda della luce tranne il verde, e questo canta nelle sue tonali attrattive, allora e primavera. Un anonimo poeta finlandese ha scritto: “Ho visto la primavera/ E’ verde come una mela selvatica/ E’ allegra come la coda di uno scoiattolo/ Parla con parole di vento/ Quando credi che pianga/ E’ solo una goccia di pioggia”. Di Bezzo esiste un periodo che qualcuno ha voluto denominare “Verde” e che si riferisce in particolare agli anni trenta del suo operare, quando il suo animo di poeta intenerito dalle verdi gamme primaverili della campagna circostante dipinse questi soggetti. In realtà questi elaborati compresi nel verde salvo i rossi che il fornaciaio ha dato ai tetti dei cascinali o le ocre e il bianco dei muri figuravano già in lavori risalenti agli “anni venti”.

 

 

 

Guglielmo Bezzo - Rione di Tonco, 1924 - Asti, collezione privata

 

 

 

–Rione di Tonco- del 1924 è tutta una sinfonia di questo colore che abbraccia cielo e terra; idemin -Vallata- del 1925; -Paesaggio del Monferrato- del 1937 e ancora –Dalla finestra- del 1940. Dal dipanarsi delle stagioni, Bezzo ha tratto da ognuna sentite pennellate per la sua tavolozza. Nel 1931 fu ancora la Promotrice di Torino ad accogliere le sue opere: -Marzo piovoso- e l’ennesimo –Paesaggio del Monferrato- che, ancora una volta fu acquistato da S. M. il Re. La sua attività lavorativa non ebbe soste e la partecipazione alle rassegne della Promotrice di Torino, al Circolo degli Artisti o in altre manifestazioni lo videro spesso tra i premiati (Medaglie d’oro, targhe d’argento, premi acquisto ecc.) ma, la sua umiltà che nasceva dalla consapevolezza che niente ha valore oggettivo, non gli permise mai di vantarsi dei suoi successi. Nel 1948 la Società Promotrice di Belle Arti di Torino, celebrò la sua 104° Esposizione. Dopo il conflitto bellico, la sede provvisoria era presso il Circolo degli Artisti sito al n° 9 di via Bogino. Le opere (Dipinti, disegni, miniature e sculture) furono esposte presso il Salone di -La Stampa- e nella Galleria della -Gazzetta del Popolo-, siti entrambi nella centralissima via Roma. All’interno della Mostra, figurava una sezione “Concorso per una natura morta di carne bovina” promossa dalla federazione nazionale macellai. Tra i titoli degli elaborati, tutti un po’ crudi si distingueva quello della pittrice pinerolese Maria Magnetti –Carne bovina con fiori-. Nella sezione dipinti, Guglielmo Bezzo fu presente con l’opera –Marzo-.

 

 

 

Guglielmo Bezzo - Autunno 1945 - Già mercato antiquario

 

 

 

Nel 1950 partecipò alla Mostra Provinciale di Casale Monferrato e la sua –Primavera- fu acquistata per la Pinacoteca del Comune. Nel 1957 le sue opere figurarono alla “Mostra d’Arte Pura di Napoli” e –Estate nel Monferrato- fu premiata con medaglia d’oro. Nel 1962 la città di Asti organizzò l’ottava edizione del -Premio Alfieri di Arte Contemporanea-, -Febbraio nel Monferrato- di Bezzo ottenne il Premio Acquisto: oggi il dipinto fa bella mostra di se presso la Fondazione Piera, Pietro e Giovanni Ferrero di Alba.  Nel dicembre del 1967 nell’annuale rassegna al Circolo degli Artisti, il suo dipinto –Dalla finestra- ottenne il “Premio Buffaglia” (Augusto Buffaglia avvocato e pittore) e ancora nel 1973 sempre presso quest’associazione ottenne il Premio Follini-Querqui per il dipinto –Autunno-. Nel 1968 la direzione del Circolo degli Artisti di Torino volle premiare il suo anziano socio con una –Personale- contenente oltre cinquanta opere che andarono ad abbellire le pareti dei saloni di Palazzo Graneri. Su -Stampa Sera- del 19 febbraio di quell’anno, il professor Angelo Dragone scrisse: “I primi saggi del Bezzo autodidatta, si ritrovano ancora oggi nelle georgiche sue vedute monferrine esposte in Palazzo Graneri.

 

 

 

Guglielmo Bezzo - Vallata, 1925 - Asti, collezione privata

 

 

 

Sono immagini che si sono fatte forse più descrittive e meno ingenuamente istintive, ma che in –Vallata- offrono un esempio di pittura saporosa, con ben modulate tonalità e saldamente costruite attraverso un autentico carattere della sua pennellata”. Mentre Marziano Bernardisu -La Stampa- di Torino in data 3 marzo 1968 scrisse: “Da più di mezzo secolo il Bezzo dipinge paesaggi monferrini, dividendo con Giuseppe Manzone questo primato di fedeltà alla propria terra amata, un amore che si palesa con la medesima pacata osservazione della realtà naturalistica regionale, ma con linguaggi diversi: più sintetico quello del Manzone, più analitico quello del Bezzo”.  Nel 1972 la città di Asti per onorare il suo artista che festeggiava l’ottantesimo compleanno, gli allestì nel mese di giugno, una grande Mostra Antologica. Gli elogi si sperticarono ma qui ancora una volta, fu evidenziata la sua grande modestia. José Salvadore nella sua recensione del 24 giugno scrisse: “La grande Personale di Guglielmo Bezzo allestita nel Battistero di San Pietro auspice il comune di Asti e con la collaborazione di molti collezionisti che hanno prestato le opere di loro proprietà, intende sancire con un riconoscimento ufficiale l’importanza di un pittore, oggi ottantenne, così modesto e schivo di pubblicità, da aver sempre taciuto i successi riportati a partire dal lontano 1921, rimanendo pressoché ignorato da troppi concittadini”. Mentre Valerio Miroglio (Varese 1928-Asti 1991, giornalista e pittore) su –La Nuova Provincia- del 7 giugno, analizzando la pittura del Bezzo scrisse: “I suoi quadri sono costruiti con il rigore formale di uno scienziato che analizza il paesaggio in ogni sua singola componente per cavarne fuori non già una copia perfetta, ma una sua anatomia, e tutto questo avviene fuori dalla volontà cosciente dell’autore, che svolge piuttosto la funzione di catalizzatore delle proprie emozioni”. Nel 1976 una delle più antiche Galleria d’Arte di Torino, quella dei Fratelli Fogliato sita al civico 9 di via Mazzini, nell’annuale rassegna primaverile titolata -900 Piemontese- rese  omaggio a Guglielmo Bezzo. A onorare l’umile artista furono esposti dipinti di Felice Carena, Cesare Maggi, Francesco Menzio, Domenico Valinotti, Giuseppe Manzone ecc. Su –La Stampa- del 16 aprile il professor Marziano Bernardi scrisse: “La pennellata fitta che a volte, soltanto vagamente può rammentare quella dei divisionisti, la compattezza della visione in certi casi così topografica, conferiscono al quadro uno straordinario senso di calma e di silenzio. Con questo spirito, con questi mezzi, Bezzo è giunto a creare dei piccoli capolavori”. Renzo Guasco che visitò lo studio del pittore nel 1976 traendone poi una monografia e che, con l’artista ebbe un lungo colloquio, scrisse: “Nell’opera di Bezzo, come tutti i pittori, i quadri nati sotto il segno della grazia non sono moltissimi, ma in numero sufficiente per porre il suo nome tra quelli dei migliori pittori del Monferrato di questo secolo”. Come già detto, la sua palestra preferita, fu il Monferrato con particolare riguardo per i paesi di Tonco, Villadeati, Lussello, Frinco, Sanico, Alfiano Natta, Villa S. Secondo, Calliano, Castel Alfero, Castagnole, Rocca d’Arazzo, e dalle campagne di questi, trasse gran parte dei suoi lavori, dove la figura umana appare raramente; contrariamente a quanto espresse l’amico e collega Giuseppe Manzone che nelle sue tele campagnole, evidenziò il lavoro dell’uomo mostrando spesso le sue fatiche, le sue gioie e purtroppo anche i suoi dolori. Un amore per lui fu anche la Riviera Ligure, specie quella di Levante, e a Santa Margherita dipinse dei veri capolavori. Si dedicò anche ai fiori e alla natura morta dove sovente, si sente cantare il pennello cezanniano. Rari furono invece i lavori montani. Si spense nel mese di marzo del 1977 mentre una primavera ancora timorosa cercava di mettersi alle spalle l’ormai stanco generale inverno, lasciando nella vasta schiera dei suoi estimatori e collezionisti un profondo cordoglio. Sempre in quello stesso anno, la Galleria Braidense di Milano volle ricordarlo con una grande Postuma. Franco Passoni presentandola, nell’intento di spiegare il suo –Paesismo aereo-lo accostò alle esperienze futuriste e aeropittoriche di due grandi come Gerardo Dottori e Fedele Azari. Le opere di Guglielmo Bezzo sono conservate presso musei, pinacoteche, fondazioni, collezioni private; molte all’estero, in particolare in California dove, una colonia di monferrini a messo radici e il ricordo della terra lontana è quotidianamente conservato in quelle tele.

 

 

Flavio Bonardo stragat@alice.it

 


Bibliografia:
E. Zanzi – Mostra Provinciale di Pittura di Alessandria - Il Momento – Torino, giugno 1921 ;

U. Nebbia – La Biennale di Venezia degli Italiani – Emporium n° 353 Maggio 1924 ;

E. Zanzi – Cronache Torinesi – 83a Promotrice di Torino – Emporium n° 366 – Gen. 1925 ;

U. Nebbia – La 15° Biennale di Venezia (Gli Italiani) – Emporium n° 376 – Aprile 1926 ; 

E. Zanzi – Cronache Torinesi – 84° Promotrice di Torino – Emporium n°378 – Giu. 1926 ;

Salvadori di Wiesenhoff – Agli Artisti d’Italia – Promo-To 1928 – Torino, Nov. 1927 ;

D. Garoglio – Canti del Monferrato – Edit.Miglietta – Casale M. 1936 ;

AAVV. – 104° Esposizione Promo-To (Celebrazioni Centenarie) – Torino, Sett./Ott. 1948 ;

A.M. Comanducci – Dizionario Pittori Incisori Italiani – PatuzziEdit. 1962 ;

V. Miroglio – Gli Ottant’anni di G. Bezzo – La Nuova Provincia – Asti, Giu. 1972 ;

R. Guasco – Il Pittore Guglielmo Bezzo (Monografia) –Ist. Grafico S. Basile – Genova 1976 ;

P.L. Sacco Botto – La quiete del Monferrato in G. Bezzo – La Piega – Asti 1984 ;

E. Bellini – Pittori Piemontesi dell’Ottocento e del 1° Novecento – Edit. Lib. Piemontese – Torino 1998 ;

M. Galli – Angelo Barabino – Galleria d’Arte La Finestrella – Canelli, feb./mar. 2004.