Trieste di ieri e di oggi
Il Gruppo "Trieste di ieri e di oggi", nasce con l'intento di far conoscere la storia di Trieste e del suo Territorio. Sulla piattaforma Facebook sarà possibile trovare e condividere notizie, immagini da fotografie, cartoline, stampe, ma anche opere di artisti triestini e molto altro.
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TRIESTE ROMANA - TERGESTE
Nel 183 a.C., Roma iniziò una campagna militare contro gli Istri. I tergestini a quel tempo erano governati dal re degli Istri Aipulone o Epulone - regulus Aepulo, come viene riportato da Tito Livio. A seguito della conquista romana del II secolo a.C., Tergeste iniziò a sviluppandosi progressivamente, raggiungendo la sua massima espansione durante l'impero di Traiano, con una popolazione che, secondo gli storici, poteva contare 12.000 abitanti. Nel 178, il console Manlio Vulsone mosse da Aquileia alla conquista dell'Istria e dei confini orientali, portando un esercito nei pressi di Basovizza. Lo storico Marchesetti propone quale alternativa l'attendamento romano tra Montebello e Cattinara, dove spesso vengono rinvenuti cocci romani e dove maggiore è la vicinanza al mare e dalla flotta navale di supporto. Una prima battaglia si risolse con la vittoria degli Istri, ma i Romani, riorganizzatisi portarono un micidiale contrattacco disperdendo l'esercito nemico. Il grosso delle legioni rientrarono a svernare ad Aquileia, in attesa della nuova campagna che si sarebbe tenuta a primavera. Nei territori conquistati vennero lasciati presidii romani d'occupazione. L'anno seguente (177 a.C.), i consoli Manlio Vulsone e Giunio Bruto, successivamente sostituiti dal console Appio Claudio Pulcro, invasero l'Istria fino a Nesazio, l'attuale località di Altura (Valtura) e di Monticchio (Muntić), nell’Istria meridionale.
Gli scavi archeologici, iniziati da Pietro
Candler sul finire del XIX secolo, hanno messo in luce un
castelliere con annessa necropoli, precedente a Nesazio, il
maggiore centro e capitale degli Istri. Nesazio, assieme a
Mutila e Faveria fu una delle ultime sacche di resistenza alla
conquista romana e sopportò un lungo assedio prima d’essere
espugnata e saccheggiata.
Il re Epulone e
l’intera sua corte, come buona
parte della residua popolazione,
si diedero la morte prima dell’entrata delle truppe romane per
non cadere in schiavitù.
La vicenda è narrata nel “De Bello Histrico”
(opera perduta) e ci viene riportata da Ennio nei suoi
Annales e da Livio nel Ab Urbe condita.
Scavi del 1909 in via S. Caterina, resti architettonici del Tempio della Bona Dea. Foto P. Opiglia. Fototeca dei Civici musei di Storia ed Arte
1913, Piazzetta Riccardo. Scavi presso l'Arco di Riccardo. Fototeca dei Civici musei di Storia ed Arte
Un primo recupero della storia e del patrimonio artistico dell'antica Tergeste si può far risalire agli inizi del Trecento. Trieste si apprestava a divenire libero Comune e sulla facciata della Cattedrale e del campanile di San Giusto, vennero fatte murare, quali elementi decorativi, iscrizioni e bassorilievi; nell'area circostante trovarono buona collocazione marmi e architetture. Un nuovo atto di valorizzazione si ebbe nel 1688, quando su autorizzazione del Capitano Giovanni Filippo di Coblentzl, il Consiglio dei Patrizi fece disporre in piazza San Pietro (oggi piazza Unità) la base della statua equestre di Lucio Fabio Severo, tre iscrizioni romane e una testa femminile. Oltre a rievocare la storia antica della città, l'iniziativa voleva sensibilizzare e sollecitare la popolazione ad aver cura di questi reperti.
Orto Lapidario, anni Venti
Orto Lapidario, terrazzamento sopra il monumento a Winckelmann, anni Venti
Nel 1831, l'area dove oggi si trova l'Orto Lapidario, in precedenza utilizzata come cimitero, resasi disponibile con il trasferimento dello stesso fuori dal centro cittadino, venne destinata dal Comune a sede delle antichità.
Orto Lapidario e monumento a Winckelmann, come si presenta attualmente
Nel 1833 fu collocato al suo interno il cenotafio a Winckelmann e nel 1843 venne inaugurato ufficialmente l'Orto Lapidario. Il direttore, Pietro Kandler predispose il primo nucleo di reperti in esposizione: quattro sarcofaghi, otto bassorilievi, otto teste ritratto, capitelli, cornici e un'ottantina di iscrizioni, provenienti anche da Aquileia e dal Litorale istriano.
Frammento (lastra in calcare) rappresentante un tritone che suona una lira. Venne rinvenuto durante i lavori per la ferrovia, assieme ad altri due, tra il 1860 e il 1870, presso Ronchi dei Legionari, tra la chiesa di San Lorenzo e le colline di Selz. Era stato reimpiegato nell'acquedotto. Trieste, Orto Lapidario
Della Trieste romana è possibile una ricostruzione storica e
geografica grazie ai numerosi resti e reperti archeologici
venuti alla luce,
dal Colle di
San Giusto fino al mare.
Le strutture portuali rinvenute lungo via del Teatro Romano e via Cavana, risalenti al I - II° secolo d.C., utilizzate almeno fino al V secolo, ci rivelano che il mare era parecchio più avanzato di quanto lo sia oggi. La città era suddivisa funzionalmente in tre aree: vicino al porto si svolgevano i commerci, nel primo entroterra la zona residenziale e sul colle di San Giusto il centro politico e religioso.
Sul Colle si trovano i " Templi ", dedicati a Giove ed Atena (alcune strutture architettoniche sono nelle fondamenta della Cattedrale) e la " Basilica Paleocristiana ", edificata fra il IV e il V secolo.
Un importante monumento è l" Arco di Riccardo ", antica porta cittadina o forse ingresso monumentale ad un tempio, risalente alla seconda metà del I secolo a.C., alto m. 7,20 e largo m. 5,30, con una certa sproporzione fra la luce e l'altezza. Mostra il rifacimento di un passaggio nelle antiche mura fatte costruire da Augusto nel 33-32 a.C. L'Arco è ornato da lesene e nel sottarco da un motivo vegetale. Se la tradizione ne ricondurrebbe il nome al leggendario passaggio in città di Carlo Magno o di Riccardo Cuor di Leone, le più recenti ipotesi degli storici lo farebbero una corruzione del nome del “cardo” (strada romana) o dal medioevale termine “ricario” (magistratura medievale).
Dagli scavi di via Bramante, iniziati nel 1907, emersero una serie di monete del I secolo d.C. e un complesso romano lungo la via per l'Istria, costituito da un insieme di stabili adibiti ad usi artigianali, tra cui forse una bottega di fabbro, una panetteria con un piccolo forno, un pozzo, una latrina con canale di scarico e una serie di tombe a inumazione di epoca tarda, sovrapposte ai resti degli edifici.
Durante gli scavi del 1909-1912 per le fondamenta del Palazzo Greinitz (documentati dalle foto di Pietro Opiglia) in via Santa Caterina, venne alla luce un edificio, con funzione di culto, composto da un recinto quadrilatero al cui interno si ergeva un piccolo tempio con pronao a quattro colonne: il " Tempio della Bona Dea " (divinità romana, nume salutare e di fecondità), risalente ai primi anni dell'Impero e in uso fino al IV secolo dopo Cristo.
Nell'estate del 1913, durante la demolizione di alcune case nella piazzetta di Riccardo, atte alla liberazione dell'Arco, emerse un ampio complesso di costruzioni disposte su più livelli, tra le quali lo Sticotti individuò, in base a testimonianze epigrafiche e in relazione con il preesistente Arco di Riccardo (monumento di impianto augusteo), un tempio dedicato alla Dea Cibele o Mater Magna, risalente al primo quarto del I sec. d.C..
Alla base della scalinata della chiesa di Santa Maria Maggiore, ci sono i resti di un torrione della cinta difensiva, eretta tra fine IV e inizio V secolo d.C., dove sono presenti anche materiali di recupero appartenenti a monumenti funerari e forse del Teatro Romano. Nella zona di Crosada, durante gli scavi per il "progetto Urban" e i più recenti scavi per il Park San Giusto, sono venuti alla luce resti archeologici risalenti alla fine del I° secolo a.C., quali strutture murarie, sistemi di terrazzamento e di scorrimento delle acque con un sistema di drenaggio articolato attraverso anfore capovolte, assieme a resti di edifici altomedievali e trecenteschi collegati da pastini. Alla base della via dei Capitelli, è stata riportata alla luce la parte inferiore di una porta monumentale costituita da quattro pilastri in pietra d’Aurisina, decorati con motivi vegetali e colonne scanalate agli angoli.
Sempre in via dei Capitelli, all’interno dell’edificio al numero civico 8 è visibile un frantoio per olive, realizzato nel V secolo utilizzando un monumento funerario più antico (I secolo d.C). Nella stessa area, in via Crosada, importanti scavi hanno portato alla luce parte del sistema di terrazzamento utilizzato per le abitazioni soprastanti (divise in zone rustiche destinate alle attività domestiche e quelle residenziali, caratterizzate da raffinati mosaici e affreschi). L’area, attualmente protetta, sarà oggetto di una futura valorizzazione.
Negli anni Sessanta, in via Madonna del Mare al numero civico 11, sono stati ritrovati i resti di una Basilica paleocristiana con due pavimenti musivi sovrapposti, uno databile alla fine del IV, inizi V secolo e il secondo al VI secolo, con iscrizioni inserite nel pavimento dove viene nominata per la prima volta la Sancta Ecclesia Tergestina e alcuni nomi di donatori, anche di origine greca e orientale. Nel presbiterio, sopraelevato rispetto all’aula, si riconosce un loculo per le reliquie, posto probabilmente sotto la lastra dell’altare. Il sito è visitabile il mercoledì dalle 10 alle 12.
Basilica paleocristiana della Madonna del Mare. Foto E. Marcovich
La Basilica paleocristiana della Madonna del Mare La zona oltre le mura romane e poi medievali verso il mare (attuale Borgo Giuseppino) fu zona cimiteriale su cui successivamente sorsero tante chiese, di cui rimane la sola chiesa della Beata Vergine del Soccorso detta pure S. Antonio Vecchio, le altre essendo state fatte abbattere dai decreti di Giuseppe II nel 1785 e successivi anni.
In
epoca
antica
era
percorsa
da
una
strada
commerciale
che
seguendo
la
riva
del
mare
(di
allora)
serviva
il
porto
romano.
A
monte
di
essa
era
presente
una
grande
Basilica
paleocristiana
che
probabilmente
era
nata
come
basilica martiriale
per
ospitare
le
reliquie
forse
dello
stesso
san
Giusto,
il
cui
corpo,
come
dal
racconto
della
Passio
del
santo,
fu
ritrovato
sulla
riva
del
mare
proprio
su
quella
spiaggia.
La
via
continuava
verso
la
necropoli
fra
tombe
ed
edifici
funerari. La Basilica, con impianto cruciforme con transetto, abside e presbiterio sopraelevati, conobbe due fasi principali corrispondenti a due pavimenti gettati a pochi centimetri l'uno dall'altro, alcuni pezzi sono stati staccati ed esposti nell'atrio.
Il Teatro Romano durante i lavori che lo riportarono alla luce
Il " Teatro ", risalente alla fine del I secolo
a.C. (ampliato sotto Traiano) è certamente la testimonianza più
suggestiva dell'antica Tergeste. Si trova ai piedi del colle di San Giusto, tra via Donota e via del Teatro Romano. La sua costruzione viene datata tra la fine del I secolo e l'inizio del II secolo d.C., presumibilmente per volere del procuratore Quinto Petronio Modesto, sacerdote di Marco Ulpio Nerva Traiano (citato in diverse iscrizioni, secondo alcune fonti, ne curò solamente alcuni interventi di rinnovamento). Nell'antica Roma venne utilizzato a modello il teatro greco, al quale vennero apportate alcune modifiche. La struttura architettonica di questi teatri era fondata su murature radiali e concentriche spesso arricchite con marmi pregiati. I primi teatri furono certamente costruiti in legno, ed avevano carattere provvisorio, ma in età imperiale, dalla metà del I sec. d.C. vennero realizzati interamente in muratura. Il primo tra questi a noi pervenuto fu quello di Pompeo, del 55 a.C..
Le
differenze
fra
i
teatri
romani
e
quelli
greci:
la
struttura
del
teatro
greco
utilizzava
colline
naturali,
quelli
romani
erano
costruiti
in
piano,
con
un
palcoscenico
più
ampio
rispetto
a
quello
greco.
Il
teatro
romano
aveva
funzione
di
svago,
il
teatro
greco
contribuiva
all'istruzione
e
alla
formazione
morale
dei
cittadini. Il
teatro
romano
era
costruito
in
piano
e
non
su
un
declivio
naturale
come
quello
greco,
ed
ha
una
forma
chiusa,
che
non
consentiva
la
copertura
con
un velarium,
utilizzato
per
riparare
gli
spettatori
dal
sole.
Le
gradinate
semicircolari
della
cavea
sono
collegate
alla
scena
con
loggiati
laterali
poggianti
su
archi
e
volte
realizzati
in
muratura.
La
facciata
della
scena
era
a
numerosi
piani
e
decorata
a
rappresentare
vie,
piazze
o
un
paesaggio,
prismi
triangolari
rotabili
con
i
lati
dipinti
con
una
scena
tragica
su
un
lato,
comica
su
un
altro
e
satiresca
sul
terzo.
La
facciata
esterna
era
ornata
e
resa
monumentale
da
statue.
L'auditorium,
l'area
in
cui
erano
collocati
i
posti
a
sedere
talvolta
utilizzava
una
piccola
collina
o
pendio,
nella
tradizione
dei
teatri
greci,
come
nel
teatro
di
Trieste,
dove
si
rese
necessario
un
sostegno
strutturale
e
muri
di
contenimento. Con il trascorrere dei secoli, in stato di totale abbandono,
il
teatro
triestino venne ricoperto da edificazioni abitative. Dimenticato, venne individuato soltanto nel 1814 dall'architetto Pietro Nobile, e riportato alla luce nel 1938, durante le opere di demolizione della città vecchia. Le statue e le iscrizioni rinvenute durante gli scavi sono conservate presso il Lapidario Tergestino al Castello di san Giusto.
Saltuariamente
è
stato utilizzato per spettacoli estivi all'aperto.
Scavi di via Donota, 1984
Scavi di via Donota - Rota, 1986
L’area retrostante via del Teatro romano, che comprende via Donota, via Battaglia, via del Crocefisso, via del Seminario, oltre ad essere nota per il rinvenimento del Teatro e degli edifici di destinazione sepolcrale e funeraria, è stata oggetto di numerose campagne di scavo tra il 1982-1987, in conseguenza degli interventi di emergenza e manutenzione fognaria. Varia la tipologia sia dei manufatti sia delle sepolture rinvenute, queste ultime ricoperte da lastroni di reimpiego, da mattoni, da coppi, in anfore o in contenitori di fortuna. Di rilievo, inoltre, la documentazione epigrafica.
Via del Seminario durante gli scavi del 1986
Via del Seminario, novembre 2016
In via del Seminario è ora visibile una porzione delle antiche mura costituite da blocchetti di arenaria, alla cui base si trova un canale per il deflusso delle acque provenienti dal fianco del colle. Scendendo di un centinaio di metri via del Seminario, in via di Donota troviamo l’Antiquarium, costituito da una zona archeologica e da una espositiva, con reperti provenienti dagli scavi di recupero edilizio, iniziati negli anni '80. Durante gli scavi sono venuti alla luce i resti di un edificio con gli interni in intonaco affrescato e decorazioni in stucco, risalente al primo secolo d.C. Probabilmente si trattava di un nucleo abitativo, realizzato su piani diversi sfruttando il declivio della collina. All'interno dello stesso. Dal IV° al VI° secolo l’area venne utilizzata per la tumulazione in in anfore, in tombe a cassa e a fossa. Durante il periodo medievale la zona venne ricoperta dalle mura cittadine.
Nel passato sono stati rinvenuti resti di ville, erette nel I e II secolo d.C., a Barcola, Grignano e altre località della costa. Alla fine dell’Ottocento, vennero alla luce a Barcola i resti di una grande villa romana del I sec. a.C., di circa 200 metri, posta sul fronte mare. L’edificio, disposto su più terrazze, era composto da numerosi ambienti residenziali e di servizio: un peristilio, impianti termali, un’esedra, una palestra, un giardino e un ninfeo. La grandezza del complesso, la ricchezza delle decorazioni e dei mosaici, indica che la villa apparteneva a personaggi di alto rango. Nel 1887 Alberto Puschi venne incaricato dal Civico Museo di Antichità si eseguire degli scavi nel fondo di proprietà di Enrico de Ritter-Zahony, i quali portarono alla luce i primi ruderi in elevato e pavimenti musivi di considerevole qualità. La scoperta indusse a proseguire le ricerche negli anni successivi (1888-1889; 1890-1891) individuando una notevole documentazione epigrafica. Vennero rinvenute diverse monete le quali furono d'aiuto per una datazione del sito.
Scavi di via Battaglia, 1981 - tomba romana a cassetta con scheletro di giovane
Scavi di via Battaglia, 1982
Scavi di via Battaglia, 1984
Scavi di via Battaglia, 1984
Costanzo II (337-361) moneta in rame
Durante gli interventi eseguiti nel 1982 in via Donota, vennero rinvenute due monete romane in bronzo: Costanzo II e Costanzo II per Costanzo Gallo (351-354 d.C.), entrambe riconducibili all’ultima utilizzazione del sepolcreto, per la tipologia di sepolture in casse e anfore, e ad un precedente ritrovamento di monete in bronzo, rinvenute intorno alle sepolture e databili tutte entro il IV sec. dopo Cristo, da Costanzo II a Velentiniano II”. Scavi successivi hanno portato alla luce mura romane in via Cereria, all'incrocio con via San Michele.
Scavi di via Cereria, incrocio via San Michele, lungo il fianco della chiesa Anglicana. Foto Benussi 1989
Durante gli scavi effettuati tra il 1888 e il 1889 venne rinvenuta una statua marmorea, rovesciata a terra e spezzata in più parti, che probabilmente era collocata nel complesso della palestra. Il ritrovamento valse al complesso il nome di “Villa della Statua”.
Foto E. Marcovich
La scultura in marmo greco, di ottimo livello qualitativo, alta 1,24 m. è stata realizzata in varie parti tenute assieme con dei perni di ferro, le cui tracce sono ancora visibili. Sul retro della gamba destra conserva una porzione del sostegno originale. Replica del Diadoumenos di Policleto, scultore greco del V sec. a.C., il soggetto (in greco Diadúmenos, cioè "che si cinge la fronte con la benda della vittoria"), rappresenta un giovane atleta appoggiato sulla gamba destra, la sinistra flessa e portata in avanti, piuttosto in voga nel mondo greco e romano per le numerose repliche giunte fino ai giorni nostri. In età romana l’occupazione del territorio si attua attraverso il moltiplicarsi di ville, urbano-rustiche, che utilizzano le risorse locali e avviano delle attività economiche. Possiamo dedurre che la presenza romana fosse collocata in prevalenza lungo la costa, in relazione con i commerci, resi sempre più intensi dalla continua espansione di Aquileia. Nella zona costiera, fino a Sistiana, specialmente nei siti dove si trovavano approdi per le navi, sono stati rinvenuti numerosi resti romani, appartenenti anche a ville rustiche, probabilmente in relazione con l'attività estrattiva della pietra. Nel territorio carsico, più ci si allontana dal mare, più i resti di vasellame (anfore e vasi di uso domestico) si fanno più scarsi e sono riconducibili ad attività agricole e pastorali. Nel caso di ville affacciate o vicine al mare, le indagini archeologiche hanno portato alla luce piccoli porticcioli annessi, i quali consentivano i trasporti marittimi. Tale sistema, estensibile almeno fino a Sistiana e in molte località costiere dell’Istria, rivela la presenza di una organizzazione produttiva e ricchi traffici. Il paesaggio tra Sistiana e Trieste, in quel tempo, non doveva essere molto diverso da oggi: ville basse dissimulate tra la vegetazione, con piccoli approdi sul mare. Cassiodoro, in una sua epistola del 537, accennando ai frequenti e ricchi palazzi fabbricati sulla nostra riviera, la dice non inferiore per bellezza all'incantevole paradiso di Baja, dove gli imperatori e i patrizi Romani si ritiravano a godere la vita degli Dei; e concludeva “ l'Istria era ornamento dell'impero d'Italia ”. Con alle spalle la fiorente industria di estrazione litica di Aurisina, il materiale atto alla costruzione di queste ville non mancava (dalla fine del I secolo avanti Cristo, le cave di Aurisina fornivano copioso materiale da costruzione e decoro per Aquileia. Le pietre estratte venivano calate per mezzo di giganteschi scivoli, costituiti da lastre di piombo, lungo il ciglione carsico e giungevano a destinazione via mare). Marziale racconta che intorno al Timavo si producevano grandi quantitativi di lana grezza, e quindi dovevano esserci consistenti allevamenti ovini, con produzione anche di derivati del latte, quale il formaggio, ipotesi confermata dal rinvenimento dei caratteristici contenitori in coccio. I vari processi di lavorazione (tosatura, lavaggio, cardatura - mungitura, cagliata e formatura), si svolgevano presumibilmente nelle ville. Plinio ci riporta notizie della produzione di un uvaggio, il Pucino, che si ritiene essere stato vinificato nella zona tra Duino e il Villaggio del Pescatore. La maggior parte di queste ville, urbane o rustiche che fossero, presentano un tipico schema ad U, con una vasta area centrale scoperta che fungeva da centro di collegamento dell’edificio. I terrazzi inferiori, disposti su corridoi porticati, rivelano ornati di mosaici, e si affacciavano su un’area interna scoperta. In molte di queste ville si è rinvenuta la presenza di ambienti riscaldati, talora di piccole dimensioni. Sotto il pavimento, in opus spicatum (mattoni rettangolari disposti di taglio a spina di pesce), circolava dell’aria calda; era lo stesso principio usato nel Calidarium delle terme. Il porto romano era situato in zona Campo Marzio, con una serie di scali di più modeste dimensioni lungo il litorale: sotto San Vito, a Grignano, a Santa Croce, ecc.. Due acquedotti alimentavano la città, quello di Bagnoli e quello di San Giovanni di Guardiella. Ricostruzione del castrum, individuato da Guido Zanettini (dal sito National Geografic) In un primo tempo si pensava che la Tergeste romana fosse sorta sul colle di San Giusto, in un'area che offrisse riparo dal vento, ma nel 2013, grazie a un radar ottico chiamato lidar (light detection and ranging), montato su un aeroplano, e a un georadar per lo studio del paesaggio, sono emersi dei nuovi insediamenti situati tra Montedoro e la baia di Muggia, porto naturale. La scoperta, che ha portato alla luce un accampamento romano con due castrum minori risalenti al 180 a.C., si deve all'archeologo Federico Bernardini dell'Istituto Internazionale di Fisica Teoretica Abdus Salam di Trieste e del Museo Storico della Fisica e Centro di Studi e Ricerche Enrico Fermi a Roma. Annunciata sulla rivista dell'Accademia di Scienze degli Stati Uniti (Pnas), il ritrovamento avrebbe quindi portato alla luce la "prima" Tergeste romana.
Nel 2013, l'archeologo Federico Bernardini del Museo Storico della Fisica e Centro di Studi e Ricerche Enrico Fermi a Roma, grazie all'utilizzo di un radar ottico chiamato lidar (light detection and ranging), montato su un aeroplano, e di un georadar per lo studio del paesaggio, è riuscito ad individuare dei nuovi insediamenti situati tra Montedoro e la baia di Muggia, porto naturale molto usato dai romani. La scoperta, ha portato alla luce un accampamento romano con due castrum minori risalenti al 180 a.C., che potrebbe essere la "prima" Tergeste romana, in contrapposizione alla teoria che questa fosse sorta sul colle di San Giusto.
Approfondimenti "Trieste Romana - Tergeste" su: " TriesteStoria.it "
E. Generini, Trieste Antica e Moderna, Trieste 1884; A. Puschi, La necropoli preromana di Nesazio, in Atti della Società istriana di archeologia e storia patria, XXII, 1905; A. Tamaro, Storia di Trieste, I, Roma 1924; G. Gartner, La basilica di S. Giusto, Trieste 1928; Sergio Tavano - Giuseppe Bergamini, Storia dell'Arte nel Friuli-Venezia Giulia. Reana del Rojale (Udine), 1991; Maurizio Buora, Le fibule in Friuli tra Tène e romanizzazione, in Quaderni Friulani di Archeologia II/, 1992; Terre di Mare, Atti del Convegno Internazionale di Studi Trieste, 8-10 novembre 2007, a cura di Rita Auriemma e Snježana Karinja; F. Fontana, La villa romana di Barcola. A proposito delle villae maritimae della Regio X, Roma 1993; L’Architettura privata ad Aquileia in età romana, Padova, 2011; Terre di mare, Giulia Mian, L’atleta della villa di Barcola, 2012.
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