TUTTI GLI UOMINI DELL'IMPERATORE
La
marcia
dei
seimila
militari a.u. del
Friuli
Orientale verso la
Galizia,
la
Serbia,
i
Carpazi,
i
porti
di Odessa,
Arcangelo
e Vladivostok...
di Giorgio Milocco
Dopo la dichiarazione
di guerra dell'Imperatore Francesco Giuseppe del 28 luglio 1914 (Ai
miei Popoli!) il primo fronte su cui furono utilizzati i militari
a.u. del Friuli Orientale fu quello serbo (1). La Serbia capitolò
soltanto nel 1915, dopo tre tentativi di invasione austroungarici tutti
svoltisi nel 1914, grazie al coraggio e al valore delle sue truppe e del
generale Radomir Putnik che si distinse nella battaglia di Kolubra.
L'alleata Bulgaria fronteggiò il tentativo anglo-francese di soccorrere
i serbi ed assieme agli austro-tedeschi invase la Romania. Le difficoltà
riscontrate dall'esercito austro-ungarico furono da subito evidenti.
Dopo la battaglia di Tannenberg (26.8-30.8.1914) e quella dei Laghi
Masuriani (5-15.9.1914) l'armata austriaca dovette infatti affrontare la
pesante sconfitta sul fronte di Grodek-Rava Ruska (8-12 settembre) e la
perdita di Leopoli (la città fortezza). La Galizia (2) era stata invasa
dalle truppe zariste che giunsero sulla "Cerniera dei Carpazi"
pronte a sferrare un altro attacco ed invadere l'Ungheria. Il
corrispondente di guerra del "Corriere della Sera" di Milano,
Arnaldo Fraccaroli, descrisse la partenza dei richiamati che lasciati
gli abiti di contadini e abbandonate le falci si erano dotati di
sciabole e di fucili in un clima di euforia: "E si va alla guerra,
alla guerra grande...". Dopo la presa di Leopoli da parte degli
zaristi e le battaglie galiziane il Comando Generale fu spostato a Neu
Sandez, a ben 160 Km da Przemysl. Tutta l'Austria-Ungheria si trasformò
in un immenso ospedale. Con i primi rovesci arrivarono a Trieste lunghi
convogli ferroviari carichi di feriti e notizie poco rassicuranti, fatti
ai quali "Il Piccolo" diede ampio risalto (3). In compenso giunsero
anche i primi film sui progressi fatti sui campi di battaglia di Liegi e
Bruxelles (Blitzkrieg) dalle truppe germaniche che vennero proposti
anche in replica dalla sala cinematografica la "Fenice". Una folla
interessata assistette agli spettacoli. I serbi erano riusciti a far
prigionieri decine di migliaia di austriaci che dovettero, più tardi,
trascinare con sé nella fuga, inseguiti dalle incalzanti e vincenti
truppe degli Imperi centrali (dopo l'ottobre del 1915). I ventitremila
prigionieri giunsero stremati, dopo un percorso di 710 chilometri, al
porto di Durazzo dove furono imbarcati con destinazione l'Italia (Isola
dell'Asinara) (4). I resti dell'armata serba dopo aver toccato Corfù e
la Tunisia vennero successivamente impiegati ad Odessa e Salonicco, su
un nuovo fronte.
La partenza per il fronte di battaglia dei richiamati della Bassa
avvenne a scaglioni. Essi vennero inviati a destinazione con l'ausilio
della ferrovia. I richiamati di Grado, Belvedere, Aquileia e Terzo
utilizzarono il tracciato ferroviario Cervignano-Belvedere, inaugurato
nel 1910, e con i coetanei della "Bassa" quello successivo della
Cervignano-Trieste (un numero alquanto limitato invece preferì la
stazione di Sagrado).
Battaglie di una certa cruenza si svolsero nella zona di Gorlice-Tarnow
e portarono gli a.u. il 14 maggio alla riconquista di Przemysl (5).
Il 24 maggio 1915 entrò in guerra l'Italia e si formò improvvisamente un
nuovo fronte lungo settecento chilometri (dal Trentino all'Isonzo).
Sarebbero seguiti tre lunghi anni di guerra di trincea con scarsi
risultati sul campo (Gorizia a parte). A seguito delle vittorie degli
Imperi Centrali sui russi il fronte a est si stava chiudendo
positivamente. Il prezzo pagato era stato però troppo alto. Dai
territori occupati si attendevano sostanziali aiuti alimentari con
l'armistizio chiamato "del pane" (carne, cereali, uova, verdura e
altro).
Con Caporetto il fronte giunse sul fiume Piave. Il fronte orientale
cessò di inghiottire prigionieri e depauperare il III° Corpo d'Armata
nel giugno del 1916 (Luzk). Dopo una serie di sconfitte subite dai russi
arrivò la pace di Brest-Litovsk (3.3.1918) che avrebbe alimentato a
dismisura l"'Ombra della rivoluzione".
Chi dal porto di Arcangelo era riuscito a rientrare in paese (qualche
decina tra aquileiesi e cervignanesi) fu costretto fuggire e seguire le
truppe italiane oltre il Piave per evitare un processo per diserzione.
Durante la guerra i soldati fatti prigionieri furono utilizzati come
forza lavoro nelle fabbriche, nei campi e per il ripristino di strade e
di canali di scolo. In molte regioni della Russia l'inverno era tanto
rigido da mettere a dura prova il fisico. I civili internati da ambo le
parti, previa autorizzazione militare, attraversavano la Svizzera (6)
per recarsi in Austria o in Italia. Dopo Caporetto grazie ad un altro
accordo internazionale (di Berna) l'Italia avrebbe potuto attuare uno
"scambio" di prigionieri con l'Austria-Ungheria, ma ciò non avvenne. La
Croce Rossa (Comite International de la Croix-Rouge), nonostante
il forte sostegno dell'opinione pubblica, potè inviare nei campi di
prigionia a.u. soltanto un quantitativo minimo di pacchi di
sostentamento i cui destinatari furono non i soldati semplici ma
soltanto gli ufficiali. Su 600.000 soldati italiani prigionieri circa
90.000 sarebbero morti per il freddo e la fame negli anni che vanno dal
1917 al 1918. Il blocco economico-commerciale cui era soggetta l'Austria-Ungheria
faceva sì che la fame unisse il prigioniero al carceriere.
Alcuni ricercatori hanno quantificato in 25.000 il numero dei richiamati
di nazionalità italiana che indossavano la divisa austro-ungarica fatti
prigionieri dai Russi, di cui da un minimo di mille a un massimo di
millecinquecento provenienti dal Friuli Austriaco. Alla luce di questa
ricerca agli scriventi risulta che più di settecento persone
provenissero dal solo Distretto di Cervignano, compreso Grado. È logico
ipotizzare di conseguenza che questo destino abbia segnato la vita di un
numero di persone originarie del Friuli Austriaco ben superiore a quello
sino ad oggi stimato. Le loro traversie interessarono un periodo che va
dall'autunno del 1914 sino all'aprile del 1920. Il loro viaggio di
ritorno ebbe inizio da luoghi, come Arcangelo e Vladivostok (porti
russi), sino ad allora sconosciuti e con svariati mezzi. Chi giunse nel
porto di Vladivostok (7) utilizzò il mitico tracciato ferroviario della
Transiberiana, che dal 1903 congiungeva l'Europa alle coste del Pacifico
(8) e attraversava città e località i cui nomi difficili da pronunciare
e ricordare echeggiarono a lungo nei ricordi dei reduci. Le memorie su
Tientsin e Pechino erano spesso collegate alle corse con il risciò (9).
Da Vladivostok dopo alcune tappe le navi giunsero a Honolulu, in pieno
Oceano Pacifico. Attraversati con la ferrovia gli Stati Uniti i
fortunati raggiunsero New York da cui compirono l'ultimo balzo
attraverso l'Atlantico e il Mediterraneo sino al porto di Genova. Ma la
via più frequentata passava per il periplo dell'Asia (Canale di Suez).
La leva
L'esercito che affrontò la prima guerra mondiale (1914-1918) si formò
nel 1868 ossia nell'anno successivo alla ristrutturazione dell'assetto
politico-istituzionale della monarchia asburgica, comunemente noto come
"compromesso". Furono creati un esercito comune e due eserciti nazionali
(uno austriaco o Landwehr e uno ungherese o Honvèd) e due milizie
territoriali o Landsturm (uomini della riserva). La Landwehr fu posta
sotto la guida del Ministero della Difesa di Vienna, la Honvéd, invece,
passò sotto la giurisdizione del Ministero della Difesa di Budapest.
L'età di leva fu fissata a vent'anni con un decreto imperiale che
introdusse la coscrizione generale in tutto il territorio della
Monarchia, mentre la durata del servizio effettivo nell'esercito comune
fu stabilita in tre anni. In seguito il militare in congedo avrebbe
passato sette anni nella riserva dell'esercito comune e due anni nelle
riserve dei rispettivi eserciti nazionali. I coscritti entrati
direttamente negli eserciti nazionali prestavano servizio attivo per due
anni, anziché tre, cui seguivano sempre nello stesso organismo, dieci
anni di servizio in qualità di riservisti. L'istituzione militare era
ben considerata dalle popolazioni per la consapevolezza di appartenere a
una realtà cosmopolita ("'). Per i soldati quell'esperienza era
formativa e come tutte le esperienze giovanili alla sua conclusione
lasciava un forte sentimento di nostalgia, sentimento che, in
definitiva, s'identificava con l'appartenenza all'impero.
Per descrivere la situazione in ambito locale vogliamo riportare un
numero di "Sot dal Tôr" di Aiello (Agosto 1999, Nr.4): "Negli
anni di fine '800 e poi nel '900 fino alla I guerra mondiale, ogni
autunno i coscritti, giovani paesani di 19 anni, andavano alla leva con
il Podestà come testimonio, si recavano a Sagrado, dove in una caserma
veniva la Commissione Medica. Dopo sei mesi quelli giudicati abili
andavano al Centro Raccolta di Lubiana (Laibach), qui venivano assegnati
a varie destinazioni e dovevano prestare servizio militare: per 4 anni
quelli di Marina e per 3 anni quelli di Terra. Inoltre ogni anno per 8
anni consecutivi avrebbero poi dovuto anche partecipare alle manovre che
duravano due mesi. Di solito da Aiello partivano una ventina di
coscritti a maggio e a giugno e si recavano a Lubiana. Finito il periodo
di servizio militare, tornati a casa, dovevano consegnare la divisa al "giandarma"
del Comune. Ogni paese doveva inviare un "tot" numero di giovani a fare
il soldato. Quelli, giudicati idonei alla leva, venivano
convocati in Comune e qui alla presenza delle autorità e dei genitori
estraevano da un vaso una pallina, se era bianca il giovane era
fortunato e stava a casa, ma se era nera doveva partire e rimanere
lontano anche 7 anni. Alcuni possidenti aiellesi per non mandare soldato
un figlio promettevano di donare una bella "braida" a chi lo avrebbe
sostituito nel caso questi avesse estratto la pallina nera, ciò per non
perderlo per sempre, perché succedeva che qualche giovane non tornava
più in paese".
Nota
Sul predetto periodico sono stati pubblicati anche alcuni testi di canti
di leva. Roberto Todero da parte sua ne riporta alcuni nel suo ultimo
volume.
Lo Statino di servizio ed altro
Gli "Statini di servizio" o ancor meglio "Sturmrolle" presenti in
gran numero all'Archivio di Stato di Trieste, sebbene lacunosi, danno
un'idea dei reparti in cui i soldati militavano e della cause più
diffuse di ricovero.
Molti i malati di malaria, come pure di colera, documentati gli
interventi chirurgici, le amputazioni e le lunghe degenze. Oltre ai
militari venivano ricoverati anche gli operai-militarizzati. Se il
malato riteneva di aver subito un danno fisiologico poteva chiedere il "superarbitrato-superarbitrium",
in sostanza un controllo sul suo stato di salute, per ottenere una
pensione di invalidità, un sussidio, il passaggio alla riserva al
congedo definitivo dall'esercito.
Non sempre la divisa indossata allo scoppio della guerra rimaneva tale
sino alla fine. Spesso i militari erano interessati ai cambi di reparto,
da un reggimento l'altro, dalla stessa marina alla fanteria o
addirittura dalla marina militare a quella civile. Rare le citazioni sui
fronti sui quali il soldato veniva impiegato. Soltanto dai fascicoli
riguardanti gli ufficiali si possono trarre maggiori dettagli sulle
vicende vissute in modo da ricostruire adeguatamente il loro percorso.
Il numero degli ufficiali che siamo riusciti ad oggi a censire è
limitato. Essi provenivano per lo più dalla classe medio alta in quanto
figli di nobili, possidenti, funzionari statali ecc. che avevano avuto
la possibilità di studiare e ottenere un diploma a Gorizia, Capodistria,
Trieste, Vienna, Innsbruck, Graz e, in qualche raro caso, di essere
inseriti nelle Accademie Militari. Tra di essi Dante e Virgilio Fornasir
(Cervignano), Cesare e Luigi Gortani (Terzo), i Lazzari (Muscoli),
Domenico Pinat e i conti Attems (Aiello), Carlo e Edmondo Serravalle,
Lodovico Dean, Luigi Rusin, Edoardo Verzegnassi (Fiumicello), Giulio
Cesare, Riccardo Strassoldo, Massimiliano Kuhn de Kuhnenfeld (Strassoldo),
Giovanni, Renè ed Egone Cantarutti (Campolongo), i conti Guglielmo e
Marino Pace (Tapogliano), Arturo Miani e Vincenzo Zandonati (Aquileia),
Teodoro Fillak (Saciletto), Vigilio Degrassi, Antonio Zuliani (Grado). I
baroni Andrian von Werburg Felice (1857-1940), Celestino (classe 1844) e
Antonio (1861-1944) di Fiumicello-Farra raggiunsero i più alti gradi
dell'esercito austro-ungarico (Tenente Maresciallo di Campo, Maggiore,
Generale). Ricordiamo inoltre Egone Cantarutti di Campolongo (colonnello-oberst)
ed il conte Alfredo Christalnigg di Scodovacca (colonnello-oberst). Due
soli i casi di arruolamento sotto l'esercito ungherese: Honvèd. Neppure
i medici sfuggirono alla chiamata alle armi. Al momento siamo in grado
di citare tre nominativi: Miceu (Perteole), Nadalini (Aiello), Lovisoni
(Cervignano) (12). Le nostre conoscenze sono infine completate da un
ristretto numero di sottufficiali.
Alla vigilia dell'entrata in guerra dell'Italia le autorità austriache
avevano arrestato decine di persone accusate di essere filo-italiane
(P.U., Politisch Unverlässlich) alcune delle quali, dopo aver
trascorso un periodo d'internamento in Austria, furono dichiarate abili
al servizio militare e inviate al fronte. Tra di esse Mario Verzegnassi
di Perteole, Alessandro Rizzatti, Sofronio Pocar di Fiumicello, Vincenzo
Parmeggiani di Cervignano e i gradesi Domenico Marchesini, Romano e
Augusto Cesare Marocco.
La diserzione dall'esercito a.u. e il conseguente arruolamento nelle
file dell'esercito italiano come volontari "irredenti" interessò meno
dello 0,5% del totale dei richiamati ed obbligati. I ruoli documentati
sono quelli di fante, jaeger (fanteria leggera), cannoniere di
artiglieria campale e da fortezza (a Pola ve n'era un consistente
numero), geniere, addetto alla sanità, marinaio, addetto ai trasporti
(13). Nel 1910 nella marina da guerra austro-ungarica la percentuale di
persone di lingua italiana raggiungeva il 18,30%, di croati e dalmati
29,8%. Una percentuale che si ripeteva nella Landwehr e nell'esercito
comune. I richiamati appartenevano alle classi più giovani (18 anni) ed
a quelle più anziane (50 anni). Nel 1918, cambiati i tempi e le
condizioni, furono arruolate le ultime classi fra cui quella del 1900.
Su oltre cinquemila censiti, tre (ma il numero doveva esser notevolmente
superiore) sono gli schedati come disertori d'oltre oceano: Giuseppe
Ulian di Aiello (America), Francesco Stabile di Aquileia (America) ed
Albino Lusin di Terzo (Buenos Aires) i quali, evidentemente emigrati in
precedenza verso quelle terre, nonostante gli obblighi di leva avevano
preferito rimanervi.
Abbiamo attinto un consistente numero di notizie sulle perdite del
k.u.k. Nr. 97° da un fondo conservato presso il Kriegsarchiv di Vienna (Verlustlisten).
Una simile ricerca potrebbe essere estesa con materiale d'archivio sul
noto K.k. Nr. 27° e sul Feldjägerbataillon Nr. 20 (FJB) ecc.
Per andare incontro alle richieste delle famiglie dei richiamati venne
istituito a Gorizia (passaggio Edling) un"'Ufficio Informazioni Durante
la Guerra" (1914). A Vienna il Deputato cattolico dell'Impero dr.
Giuseppe Bugatto si prodigò per far recapitare con una certa regolarità
le note liste delle perdite austro-ungariche allo stesso ufficio.
Dall'Archivio Storico del Comune di Cervignano (riordinato) abbiamo
attinto altre informazioni da pratiche di profughi, internati e
richiamati di altre località contermini. Il 20 maggio 1915 si arruolò
volontario a quasi sedici anni Ettore Tolloi, di Cervignano, nato in
Brasile il 12.6.1899, inquadrato nel VI° Battaglione "Giovani
Cacciatori" ed inviato a Gorizia assieme ad una trentina di giovani
della stessa età. Nel dicembre del 1915 il Tolloi prestava servizio a S.
Giovanni di Duino anche se non si sa con quali mansioni. Diversi,
coinvolgenti ed interessanti percorsi di guerra hanno interessato gli
stessi nuclei familiari data la presenza plurime di alcuni di loro. Le
documentazioni consultate registrano gli eventi ma non il dolore e le
tante amare conseguenze della guerra come la sofferenza della vedova per
la perdita del marito, lo strazio della madre che piange la morte di uno
o più figli maschi, il disorientamento dei figli rimasti orfani e
ospitati nelle apposite strutture. Più raramente ci si imbatte nella
gioia di famiglie che si ricompongono e che magari mettono al mondo
altri figli. A riprova della drammaticità della situazione riportiamo i
dati di una statistica datata inizio anni Venti che conta gli orfani
paese per paese: Aiello 25, Aquileia 104, Campolongo 46, Cervignano 118,
Fiumicello 149, Grado 184, Joannis 17, Muscoli-Strassoldo 61, Perteole
47, Ruda 43, San Vito 81, Scodovacca 48, Tapogliano 35, Terzo 70, Villa
Vicentina 45, Visco 27 (14).
Il rientro dei militari nelle proprie abitazioni non fu sempre
accompagnato da sentimenti di gioia. Qualche lutto in casa, la
precarietà del lavoro e dell'economia in generale, la nuova realtà
nazionale sin troppo diffidente e restia a concedere le aperture sociali
attuate dal passato regime, alimentò l'antipatia e le contestazioni. Per
un certo periodo i reduci dovettero perfino sottostare a un controllo
periodico che dal 1 novembre 1919 divenne di esclusiva competenza dei
Carabinieri Reali.
Alcuni militari avevano trovato l'anima gemella in Russia eleggendola a
nuova patria (15), altri dopo la prigionia ed il trasferimento a
Vladivostok avevano aderito al Corpo Italiano dell'Estremo Oriente,
altri ancora avevano preferito rimanere sul posto ostinatamente fedeli
al loro Imperatore. Più spesso accadeva che, come normale in tempo di
guerra, dopo aver intrecciato relazioni con ragazze del luogo (ucraine e
russe) e aver manifestato il desiderio di rimanere loro accanto, i
militari attanagliati dalla nostalgia per il proprio paese d'origine vi
facessero ritorno.
Per chi era rientrato subito da Arcangelo il posto di lavoro fu
assicurato. Una minuscola pattuglia prese lo spunto per terminare gli
studi in Italia. Immediatamente dopo la sottoscrizione della pace con la
Russia (10.2.1918) cominciarono ad affluire nel territorio controllato
dagli austro-ungarici migliaia di ex prigionieri, liberati dalle
autorità russe ma privi di mezzi di trasporto. Appena individuati dagli
effettivi del proprio reparto venivano messi in "Quarantena", rivestiti
di tutto punto (in quanto indossavano tutti le divise russe) e
restituiti ai rispettivi corpi di riserva dove sarebbero rimasti ancora
alcuni mesi prima di poter tornare definitivamente a casa.
Dopo il 4 novembre del 1918 tra i reduci c'erano i disertori, gli
autolesionisti, i decorati, gli ufficiali e i soldati scampati alla
morte certa che, per la promessa fatta a Dio, commissionarono dei "P.G.R."
in onore della Madonna di Barbana (16). Nella primavera del 1918 un
consistente numero di soldati-contadini rientrò nella bassa dopo alcuni
anni di forzata assenza, dispensato dall'indossare la divisa militare e
autorizzato a riprendere il proprio ruolo all'interno delle famiglie
patriarcali dedite all'agricoltura (17).Dopo la disfatta Caporetto e
sino al 4 novembre di quel 1918, chi aveva potuto era convolato a nozze
con le fidanzate lasciate anzitempo sole a casa. Le campagne erano state
trascurate a causa dell'assenza di braccia e della presenza di tante
strutture militari sul territorio. Il rientro coincise con un aumentato
proselitismo nelle file del partito socialista che aveva approfittato
dell'assenza sul campo dei dirigenti del movimento cristiano-sociale
(18) e della contemporanea libertà d'azione concessa dall'imperatore
Carlo I. La ripresa dell'attività per la stragrande maggioranza dei
coloni avrebbe dovuto coincidere con l'attuazione dei nuovi patti
colonici (teoricamente decorrenti dal 24 maggio del 1915) che erano
stati sospesi (novembre 1915) a causa dell'entrata in guerra dell'Italia
e di fatto non erano stati rispettati da più di un possidente locale.
Venne indetta il 30 giugno 1918 un'adunanza di coloni ad Aquileia che
vide una presenza massiccia a testimonianza della consistenza dei
rientri. Tra i relatori ufficiali i compagni Giuseppe Tuntar e Henrik
Tuma, il quale auspicò una causa comune tra i lavoratori del
proletariato industriale e della terra. Fece eco un grido che tanto sarà
ripetuto negli anni successivi: "La terra ai contadini!"(19).
I sintomi dell'ormai prossimo crollo dell'esercito austroungarico si
percepirono nell'ammutinamento del febbraio 1918 a Cattaro in fondo alla
Dalmazia e a Radkersburg (20).
Mancano elementi certi per individuare chi perse la vita per primo sul
fronte serbo e galiziano. Riteniamo però che una delle prime vittime sul
fronte italo austriaco sia stato un aquileiese di nome Eugenio Sandrigo
(nelle prime ore del 24.5.1915) a Porto Buso. L'ultimo, a guerra finita,
in data 27.11.1918, il rudese Giuseppe Morsut (a Monfalcone) morto a
causa di una fucilata partita da chi considerava suo fratello (21). I
deceduti residenti nel Basso Friuli, da noi censiti, si aggirano sui 750
(22). A queste persone che hanno perso la vita a causa della guerra non
è ancora dato un degno ricordo. Per il regime fascista infatti gli unici
caduti da ricordare erano quelli del Sacrario di Redipuglia. I corpi dei
"nostri" furono in parte sepolti negli improvvisati cimiteri disseminati
in tutta l'Europa Orientale e in luoghi ancor di più distanti ed in
parte furono dispersi nelle profondità del mare. Il saggista Andrzej
Stasiuk nel 2006 definiva i Bassi Beschidi (dorso centrale dei Carpazi)
come un luogo di spiriti, un regno del tempo passato dove non si contano
le necropoli militari in cui sono sepolti soldati di mezza Europa (tra
cui i nostri friulani del Reggimento di fanteria Nr.97 e della Landwehr
Nr.27).
Una intera generazione svanita e le rispettive famiglie ridotte in stato
di estrema povertà. Territori sconvolti, malattie, epidemie, freddo
intenso. Numerosissimi deceduti e invalidi di guerra. Tra tante
sofferenze furono molti coloro che morirono per le malattie contratte e
le ferite subite (23). I decessi iniziarono a diminuire agli inizi degli
anni Trenta, mentre il Regime di Mussolini progettava altre guerre in
terre lontane.
Le scritture di
guerra
Tra i pochi oggetti che i soldati austriaci di lingua italiana portavano
con se c'era un piccolo block-note su cui essi annotavano a matita i
principali ordini in tedesco, con il relativo significato in italiano, e
gli indirizzi dei commilitoni; un certo spazio era anche dedicato alla
"bella scrittura". Durante il conflitto molti pensarono di riportare sul
"notes", giorno dopo giorno, le proprie impressioni (Scritture di
guerra). Altri si decisero più tardi a raccogliere i propri ricordi,
compilando dei memoriali o degli appunti e concedendo interviste,
aiutati magari da qualche familiare. Grazie all'ottimo percorso
scolastico che molti dei militari provenienti dalle nostre zone, anche
se di classe sociale umile, avevano completato in gioventù (Scuola
Popolare), abbiamo oggi a disposizione diversi memoriali riguardanti
quelle tragiche vicende.
La corrispondenza con i cari avveniva tramite le note "Feldpostkarte".
Oltre alla propria foto ricordo, i "nostri" portavano con sé un'immagine
devozionale e una di Francesco Giuseppe, il loro imperatore.
Questa la lista di chi ci ha lasciato qualcosa di più di una cartolina o
di una foto: Aiello: Domenico Pinat, Mario Pinat, Carlo Spagnul, Ettore
Tramontini. Aquileia: Remigio Stabile, Pietro Scarel. Cervignano: Dante
Fornasir (?). Fiumicello: Siro Pellis, Domenico Rizzatti. Grado:
Francesco Degrassi. Joannis: Giuseppe Vrech. Muscoli-Strassoldo:
Giovanni Mulinari. Ruda. Francesco Ulian. San Vito: Virgilio Foschian.
Scodovacca: Giacomo Rigonat. Tapogliano: Pietro Bazzeu. Luigi Masutto.
Valentino Tomasin, Pietro Rosin (poesie), Marino Pace (una vicenda
guerresca).
Anche don Celso Costantini (Parroco reggente di Aquileia) e don Angelo
Molaro di Cervignano (catechista regnicolo) non si lasciarono sfuggire
l'occasione di redigere delle memorie, preceduti però in questo da don
Tita Falzari (Grado), don Giovanni Meizlich, don Francesco Spessot
(Aquileia) e don Giuseppe Maria Camuffo (Fiumicello).
Il quadro degli scritti memorialistici è completato dagli internati in
Italia e dai diari di alcuni cittadini che raccontano in cronaca la vita
trascorsa nei paesi di retrovia (Cervignano, Aiello, Scodovacca).
Se un giorno...
Se un giorno tornerò
voglio che tu mi dia un ciclamino
colto a Percedol o a Slivia.
S'è di marzo appena o febbraio
una primula pallida in seno tenuta a scaldare. Se torno nel pieno
dell'inverno
il fiore del tuo sorriso.
Ma se non torno, un ricordo
d'amore soltanto e presto dimentica,
senza rimpianto.(24)
Sui monti "scarpazi"
Quando fui sui monti Scarpazi
"miserere"
sentivo cantar.
T'ò cercato fra il vento e i crepazi
Ma una croce
soltanto ò trovò:
Oh mio sposo
eri andato soldato
per difendere
l'imperator,
ma la morte quassù hai trovato
e mai più non
potrai ritornar.
Maledeta la sia
questa guera
che mi ha dato
sì tanto dolor.
Il tuo sangue hai donato a la tera
hai distruto la
tua gioventù.
Io vorei
scavarmi una fossa
sepelirmi vorei
da me
per poter colocar le mie ossa
solo un palmo
distante da te (25).
NOTE:
1) Il numero dei
richiamati provenienti dal Friuli Austriaco potrebbe ammontare in totale
a trentamila persone.
2) Provincia dell'impero austro-ungarico, oggi divisa fra la Polonia e
l'Ucraina.
3) In particolare vedi le cronache dei giorni: 6.9, 14.9, 27.9, 17.11,
18.11, 19.11, 21.11,
22.11, 25.11, 1.12. 5.12, 8.12, 10.12, 15.12, 16.12, 17.12, 20.12,
22.12.1914 ecc. Furono attrezzati altresì a "Piroscafi-Ospedale" l'Elekta,
il Metcovich e il Tirolo. Parte dei feriti fece ritorno nelle proprie
dimore nell'aquileiese. I baroni Eugenio ed Ettore de Ritter di
Monastero prendendo spunto del rientro di alcuni dei loro coloni
allestirono un ricco pranzo nella loro stessa dimora (settembre 1914).
La festa fu dedicata agli Eroics Furlans.
4) All'epoca era stata utilizzata dalle autorità militari italiane come
colonia agri-cola penale. A fronte di una struttura che poteva contenere
120 persone, migliaia di prigionieri furono collocati in accampamenti
di fortuna. Per questo motivo in poco tempo si propagò un'epidemia di
colera, che causò una ecatacombe. Ermanno Di Bert di Cervignano del
Friuli (cl. 1921) aggiunge del suo quanto segue: " Me pari si clamava
Arturo (Turo, cl. 1893). Di mistîr al faseya al mulinâr e tal 1915 al
stava a 'Sevean dulà che al veva un mulin. Al era stat in vuera cu
l'Italia in chel an e un siart moment lu an incuadrât ta artilieria. In
chei timps si stava completant la ritirada dai serbos ch'e jerin stats
scunfits dai austro-ungarichis. Me pari mi a dît che 'l a assistût a
tantis senis. Cualchidun dai nestris, pensant di dagi una man, al
slungiava un toc di pan e i serbos a colavin par tiara sensa fuarza. I
militârs talians vevin vût cussì l'ordin di no dagi nuia e che bisugnava
partâiu diretamentri in ospedâl. Diseva simpri: a jerin crepis che
ciaminin, a jerin scheletros che cjaminavin. Son stats sucurûts cun li'
nâfs e cui vivars". Inf. Dicembre 2006. Fonti scritte rilevano che in
Albania erano state mandate le brigate di fanteria "Savona" e "Siena".
Ragguagli raccapriccianti sulla prigionia in Serbia e la lunga marcia
verso l'Albania da parte di un militare austro-ungarico di lingua
italiana si possono trovare nel bel volumetto di Valentino Semi
"Dall'Istria alla Serbia e alla Sardegna – memorie d'un prigioniero di
guerra", Padova 1961. Il Semi parla di 65.000 prigionieri a.u. presenti
a Nis (Nisch, Serbia) mentre quello riferenti successivamente alla data
del 31.7.1916 all'Asinara soltanto di 14.272.
5) Przemysl, città della Galizia (oggi Polonia) la cui fortezza,
costituente un nodo strategico sul fronte orientale, rimase isolata ed
accerchiata dopo la caduta di Leopoli. Cadde il 22 marzo 1915.
Attualmente conta 69.000 abitanti.
6) Nel corso della nostra ricerca abbiamo notato come spesso i
funzionari si riferissero alla Svizzera come Isvizzera. Forse l'uso
delle assonanze o consonanze portava all'epoca ad aggiungere la "i" al
nome Svizzera.
7) Vladivostok è la città
capoluogo della provincia di Primorie (Signora dell'est), nella Russia
orientale, in prossimità del confine con la Cina e la Corea del Nord.
Possiede il più grande porto russo sul Pacifico, sede dell'esercito
russo. Popolazione 590.330 ab. (2004).
8) Esso congiungeva: Mosca a Vologda, Kirov, Perm, Yekaterinburg, Tyumen,
Omsk, Novosibirsk, Belogorsk, Khabarovsk, Vladivostok. Si tratta del
tracciato ferroviario più lungo al mondo con i suoi 9.288 Km., 7 fusi
orari con 88 città dislocate lungo la tratta. Una deviazione della
stessa linea porta sulla linea cinese orientale, attraversa la Cina e
giunge ad Harbin (capoluogo della provincia di Heilongjang). Nonostante
Vladivostok si trovi alla stessa latitudine di Firenze, l'inverno può
risultare siberiano. In estate, invece, grazie alla vicinanza della zona
monsonica, il clima è temperato e piovoso.
9) Rickshaw. Calessino tirato a braccia. Le autorità cinesi ne vietarono
l'uso nel 1949 perché discriminante ed umiliante verso chi lo praticava
come professione.
10) L'esercito austro-ungarico
era composto infatti da numerose etnie: tedesca, boema, slovacca,
magiara, dalmata, bosniaca, croata, serba, ucraina, polacca, ebrea,
zingara, rumena, slovena ed italiana.
11) A.S.T., Miscellanea ex
a.u. S. Libera traduzione dal tedesco a cura di Maurizio Buora.
12) Tra i volontari per
l'Italia aggiungiamo un loro collega: il dottor Mario Quargnali (cl.
1882) di Muscoli in qualità di tenente medico.
13) Ogni Corpo d'Armata aveva uomini addetti ai trasporti e alla
conduzione dei carriaggi (K.u.k Traindivision).
14) Una ampia vicenda personale riferente una orfana di guerra si può
trovare in "I Senza storia — Uomini al servizio..." a pagg. 95/99.
15) Per il momento ho rintracciato soltanto due persone che si sono
unite in matrimonio con delle ragazze russe (una di Campolongo e l'altra
di Fiumicello). Vittorio Spanghero di Turriaco da parte sua aggiunge per
il suo paese natale tale Michele Bernardis di Antonio (cl. 1896).
16) Per esser esaustivi bisogna aggiungere che i più devoti della nostra
Contea si ripromettevano di effettuare il pellegrinaggio con tutta la
famiglia, confessarsi, fare la S. Comunione, assistere ad una S. Messa
di Ringraziamento, elargire una somma di denaro e abbonarsi al periodico
"La Ma-donna di Barbana". Non mancava poi chi, oltre a questo, voleva
vivere altri momenti di fede nella Basilica di Aquileia, al Santuario di
Monte Santo, e presso quello di S. Antonio di Padova.
17) Con decreto del Ministero Austriaco Sez. 10 n. 2453 si permise di
accordare nella più larga misura dei permessi a quei soldati che sono
oriundi da paesi ora liberati dal nemico e specialmente a quelli clic da
lungo tempo a causa gli avvenimenti della guerra non furono in grado di
visitare la loro patria (da L'Eco del Litorale del 2.2.1918).
18) Bisogna ricordare a tal riguardo che dopo il 24 maggio gli italiani
operarono oltre quattrocento internamenti nel Distretto di Cervignano. A
questo provvedimento furono soggetti soprattutto elementi vicini al
movimento cattolico, podestà e i parroci accusati di essere
"austriacanti e spie". Tutte le strutture cooperativistiche furono
azzerate per far posto ad altre fiancheggiatrici delle forze armate
italiane. Dopo il "Miracolo di Caporetto" i deputati Faidutti e Bugatto,
assieme a quei pochi che si erano "salvati" anzitempo, si adoperarono
senza sosta perla ricostruzione del territorio, dibattendosi però con
problemi più grandi di loro. A loro va inoltre il merito di aver
favorito l'approvazione in Dieta dei nuovi patti colonici. Il 7 marzo
1917 a Strassoldo ebbe luogo un incontro fra la proprietà dei conti
Strassoldo e alcuni coloni per fare un sunto della situazione venutasi a
creare in tempo di guerra (anni 1915-1916). Nove furono i casi
affrontati cui erano interessati: Antonio Del Frate, Michele Altran e
Antonio Comel, Libero Decorti, Giacomo Fedel, Francesco Pereson, Giacomo
e Giuseppe Perusin, Pietro Feresin, Antonio Comar, Francesco Carlet. I
punti trattati riguardavano a) la tenuta o meno dei bachi da seta b) gli
eventuali debiti residui e in che forma si prevedeva di saldarli c) se
per il futuro s'intendeva lavorare tutto il terreno preso in affitto.
Era stato proposto un solo caso alla Commissione Arbitrale: quello dei
fratelli Giuseppe e Giacomo Perusin.
19) "Il Lavoratore" di Trieste del 5.7.1918.
20) Bad Radkersburg. Cittadina della Stiria. Nel maggio del 1918 fu
teatro di un ammutinamento assieme a Judenburg e Murau.
21) Non fu soltanto questo il caso che lasciò sconcertata la popolazione
di Ruda. Risulta infatti che il 28 ottobre 1918 in piena smobilitazione
il sergente di marina Giuseppe Cian (classe 1873) venne ucciso senza
alcun motivo apparente mentre stava ormai ad un passo da casa (a
Cervignano presso la Stazione ferroviaria). Per parte italiana
ricordiamo che molto tempo prima, il 26.5.1915, nella Parrocchia di
Viscone veniva registrata la morte di Antonio Gualandi di Ferrara del
27esimo Reggimento Fanteria.
22) Una ricerca in tal senso l'aveva auspicata nel 1998 lo stesso
professor Ferruccio Tassin sul suo volume "Sul confine dell'Impero". Per
una documentazione esaustiva, ad ogni modo, riteniamo che ai dati
statistici sarebbe necessario affiancare una serie di iniziative
istituzionali.
23) Dopo il conflitto si
costituirono numerose associazioni in Italia fra cui una denominata
"Vedove dei tubercolotici di guerra".
24) Composta da un soldato del K.u.k. I.R. Nr. 97 originario di Duino
Aurisina, caduto in Galizia.
25) Da A. Mautone "Quando fui sui moral Scarpazi", Cremona 1997.
Tutti gli uomini dell'Imperatore
Edizioni della Laguna