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La Società di Belle Arti e la nascita del sistema museale triestino
 

 

Massimo De Grassi

 

 

 

 


Nel presentare al pubblico la nuova collezione d'arte antica appena allestita nei locali del cosiddetto "castelletto" di Miramare, l'allora soprintendente ai beni storico-artistici Bernardo Civiletti aveva sottolineato come l'impulso per fondare una nuova pinacoteca venisse dalla "necessità di dotare la città di Trieste di una Galleria d'arte antica essendosi notato che, sebbene ricca di una civica collezione d'arte moderna quale il Museo Revoltella, ben pochi esempi di pittura rinascimentale e barocca si potevano agevolmente vedere in città"
1. L'acquisto della collezione Mentasti e il successivo arrivo di altri lavori di diversa provenienza porteranno così alla formazione della Galleria Nazionale d'Arte Antica di Trieste, "ricca di pezzi veramente importanti come di esempi di primo piano"2. Fino a quel momento, le raccolte pubbliche triestine, nonostante le acquisizioni dell'immediato dopoguerra che avevano arricchito non poco il patrimonio museale, non offrivano certo un panorama ricco e rappresentativo della storia artistica nazionale, mentre ben più vasto e articolato era il nucleo di lavori ottocenteschi e di primo Novecento di respiro internazionale. Un campo dove la città, grazie soprattutto all'istituzione nel 1872 del Civico Museo Revoltella, era stata all'avanguardia nel costruire una notevole collezione d'arte contemporanea intorno al lascito dell'imprenditore3. Non che a Trieste mancassero o fossero mancati nuclei collezionistici o dipinti antichi anche di grande importanza, ma queste raccolte, salvo alcune eccezioni, erano state ben presto disperse lasciando poche tracce di sé sul territorio4. Soltanto a Novecento inoltrato, grazie alla presenza di istituzioni cittadine ormai consolidate, diventerà prassi comune per le famiglie locali lasciare alla comunità un segno tangibile della propria munificenza. Si trattava tuttavia di raccolte in massima parte composte da opere ottocentesche, direttamente commissionate agli artisti più importanti del momento o acquistate sul mercato locale che presentava delle dinamiche e dei volumi piuttosto interessanti, già in parte analizzati dalla storiografia ma ancora da valutare nella loro complessità.
In questa sede si vuole dare un primo sguardo d'insieme sull'attività espositiva della "Società di Belle Arti", attiva a Trieste tra il 1870 e il 1882 e che avrà un ruolo quanto mai importante nell'assecondare, e in qualche caso determinare, l'evoluzione del gusto collezionistico locale e quindi anche degli attuali assetti del patrimonio museale cittadino.
Già dai primi anni Cinquanta dell'Ottocento si erano da più parti levate voci auspicanti la costituzione di una nuova compagine che contribuisse a rinnovare la fiorente stagione delle mostre-mercato allestite dalla Società triestina di Belle Arti nel decennio precedente, le prime ad alimentare in modo sistematico il mercato artistico giuliano almeno fino al 1847, quando l'associazione aveva chiuso i battenti
5. Nel cercare di prenderne il posto Carlo Luigi Tedeschi aveva fondato nel 1855 una "Promotrice delle Belle Arti in Trieste", che si associò fin dai suoi inizi a quella viennese6. La struttura non ebbe però vita lunga, se già nel marzo del 1857 limitava ai soli festivi l'apertura un tempo giornaliera dell'esposizione, che peraltro presentava un numero di opere ben più modesto rispetto alle prime edizioni. Esaurita questa breve ma interessante esperienza, cui mancava un'adeguata dotazione finanziaria e i cui obiettivi erano fin troppo ambiziosi, gli anni Sessanta vedono allestire in città soltanto due esposizioni di belle arti di un certo respiro: la prima, tenutasi nel 1864 nel Palazzo della Borsa7, era riservata alle opere di proprietà di trentasette collezionisti triestini, che presentavano alcuni dei dipinti più importanti delle proprie raccolte, affiancate da quella allestita da pittori da tempo operanti in città come Tito Agujari, Domenico Acquaroli, Wilhelm Beuerlin, Giuseppe Lorenzo Gatteri e Cornelis van Hülstyn.
Un'altra rassegna, promossa dall'Associazione Triestina di Belle Arti, ebbe luogo nell'autunno dell'anno successivo e aveva il merito di riproporre quel carattere di internazionalità che a Trieste mancava da tempo, annoverando tra i 158 lavori esposti opere di artisti - soprattutto pittori - che gravitavano sui più importanti centri culturali e artistici italiani, ma anche di personalità provenienti da diversi paesi europei. Così spiegava allora la stessa direzione: "L'Associazione della Scuola Triestina di Disegno [...] deliberò nell' anno 1864 di attivare in via di esperimento una esposizione di oggetti di Belle Arti esistenti nelle collezioni degli amatori residenti in Trieste, nell'intendimento di far servire tale pubblica mostra di eccitamento a far risorgere tra noi un'Associazione Triestina di Belle Arti", che grazie alla "nomina di corrispondenti ed agenti esteri della Francia, Belgio e Germania, nei reciproci rapporti stabiliti colle Società estere di Belle Arti, attivando uno scambio di azioni con quelle di Torino, Bologna, Genova, Milano, Venezia, Francoforte e Monaco, e poiché ognuno sa come acquistino importanza le istituzioni, ove meglio siano conosciute col diramare inviti e circolari nei centri e circoli artistici i più rinomati, nello stabilire un turno di dipinti colla consorella Società Promotrice Veneta conseguendo con ciò e più efficaci rapporti, e vantaggiosi d'altronde per le compensazioni ottenute nei trasporti"
8 .
Nel 1866, quando anche l'Associazione Triestina di Belle Arti andava spegnendosi dopo la mostra allestita nel palazzo della Borsa nell'anno precedente
9, la Società di Schiller aveva ripreso le proprie iniziative interrotte all'inizio del decennio organizzando una personale di Bernhard Fiedler10, ben noto in città per il suo oleografico orientalismo, che restò tuttavia un episodio isolato, per quanto non privo d'interesse, visto lo scarsissimo numero di mostre personali allestite in quegli anni. Quest'ultima Società era partita con fruttuose rassegne nel luglio e nell'agosto 1862, cui avevano fatto da coronamento ulteriori esposizioni nel maggio e nell'ottobre dell'anno successivo e ancora nel maggio del '64. La società aveva in seguito interrotto le esposizioni, per quanto la propria attività non si sovrapponesse con quella di altre associazioni, privilegiando di fatto i dilettanti triestini - soprattutto donne - e artisti di lingua tedesca - in modo particolare paesaggisti - con un bacino d'utenza che è facile ipotizzare fosse essenzialmente piccolo borghese. Continuando nella disamina delle rassegne artistiche triestine degli anni Sessanta, una ristretta anche se qualificata selezione di opere d'arte era presente in margine all'Esposizione artistico industriale in Trieste del 1868, che comprendeva lavori di proprietà e opere inedite11.
Il quadro cittadino appariva in ogni caso inadeguato a soddisfare la crescente domanda di beni artistici di buon livello. Sulla scia di tutti questi tentativi poco riusciti, e cercando di non ripeterne gli errori organizzativi, sarà creata alla fine del decennio una nuova "Società di Belle Arti" a opera di un gruppo di collezionisti, mecenati e mercanti che cercavano così di rilanciare l'appannata immagine della città di San Giusto nel campo delle arti
12. Si trattava di Marco de Morpurgo, Achille Carcassone, Marco Amodeo, Carlo de Rittmeyer, Giuseppe Mondolfo, Enrico De Ritter e Wendelino Schollian, quest'ultimo apprezzatissimo mercante d'arte come il fratello Giuseppe, i cui esercizi in Ponterosso e al Corso compaiono spesso nelle cronache cittadine come sedi di piccole mostre "che possiamo chiamare la nostra esposizione permanente"13, oppure, secondo un ardito paragone del cronista de "L'Adria", "quello che è il negozio del signor Goupil a Parigi, è a Trieste [...] il negozio del Sig. Schollian, al Corso", premurandosi tuttavia di precisare "s'intende nelle proporzioni in cui stanno le due città"14. Tra i protagonisti del direttivo Marco Amodeo lascerà l'incarico nello stesso anno, rimpiazzato da Carlo Latard. Negli anni successivi Giuseppe Mondolfo sostituirà Achille Carcassone alla vicepresidenza, mentre il collezionista Antonio Caccia prenderà il posto di Enrico De Ritter15.
Come recitava l'atto di fondazione, la Società nutriva la speranza di: "progredire sempre meglio e consolidarsi e recare vantaggi materiali e morali ai nostri artisti, diletto agli amatori di Arti belle e pascolo gentile al sentimento estetico, di cui ogni uomo ha in sé il germe più o meno sviluppato". Il 16 maggio 1870, una volta raccolti ben 524 soci e stabilite relazioni con altre nove associazioni congeneri, la società inaugurò con successo la sua prima esposizione, dotata di 274 dipinti e di 12 sculture; lavori provenienti da ogni regione d'Italia e dell'Impero, da molte località tedesche e con un paio di presenze olandesi
16 . Uno schieramento che si ripresenterà notevolmente ampliato l'anno successivo in occasione di un evento destinato a diventare la più importante rassegna cittadina di tutto l'Ottocento. L'Esposizione Agricolo-Industriale e di Belle Arti, sarà infatti la prima tenuta a Trieste con padiglioni espressamente costruiti per l'occasione, con criteri moderni nei servizi forniti e con il determinante apporto della "Società di Belle Arti in Trieste" per l'allestimento della sezione artistica17 (fig. 1).

 

 

 

1. L'interno della sezione di Belle Arti all'Esposizione Agricolo-Industriale e di Belle Arti di Trieste nel 1871, foto d'epoca

 

 

Una mostra che mirava quindi a stimolare una pluralità di interessi e a inserirsi nel viνο del dibattito sociale cittadino; non senza polemiche, come testimoniano le diverse posizioni dei giornali locali, basti pensare allo scarsissimo rilievo dato alla manifestazione dal filoaustriaco "L'Osservatore Triestino"18, ma anche dal periodico progressista "Libertà e Lavoro"19, diretto da Giuseppe Caprin, senza poi dimenticare l'atteggiamento ostile del cattolico "L'Ancora" e le pesanti critiche mosse da Guido Oddo, direttore de "Il Cittadino" che, pur avendo dato alla mostra larghissimo spazio, chiosava i suoi ripetuti interventi con un lapidario "dobbiamo constatare che l'Esposizione del 1871 non fu tale da incoraggiare le Esposizioni future" riguardo certi dilettanteschi atteggiamenti del comitato direttivo20. Non sarà benevolo neppure l'anonimo recensore de "L'Arte"21, che non mancherà di manifestare le proprie perplessità riguardo la conduzione della sezione di "Belle Arti", a suo dire poco professionale nella scelta dei dipinti da acquistare: "chiudiamo la nostra rassegna col ricordare alla Società triestina di Belle Arti, che l'ostinarsi nel non far presiedere à suoi giudizi, nell'acquisto dà migliori dipinti per i soliti premi ai loro soci, persone dell'arte la conduce ad errori deplorevoli, e a dar saggi sempre più sconfortanti di poco buongusto e poco sano criterio estetico".
Al di là di polemiche di poco conto, le esposizioni di questa nuova associazione proseguiranno, come si vedrà, fino al 1882 con cadenza annuale - con le sole eccezioni del 1871 e del 1874, quando le mostre raddoppieranno - per complessive quindici rassegne che manterranno costante il numero e il carattere internazionale delle presenze.
Purtroppo non è possibile ricostruire interamente gli elenchi delle opere partecipanti e l'andamento commerciale delle esposizioni, visto che nelle biblioteche cittadine non sono conservati tutti i cataloghi delle mostre allestite né i preziosi resoconti a stampa destinati a documentare il volume delle vendite e l'andamento dei conti della Società. Tuttavia, sovrapponendo le informazioni desunte dalle pubblicazioni rintracciate e i commenti della stampa locale, si è potuto almeno in parte ricostruire i dati, fornendo un quadro sufficientemente attendibile delle dinamiche economiche e artistiche generate da quegli eventi, soprattutto per quanto riguarda le opere che, in momenti diversi, sono andate a incrementare il patrimonio museale triestino. Su di un altro versante è interessante notare come la copertura giornalistica sia stata in ogni occasione piuttosto ampia, offrendo nel contempo anche molte angolature di lettura: da quelle 'tradizionaliste' de "L'Osservatore triestino" e de "L'Adria" alle più 'moderne' proposte de "L'Indipendente", che prendono corpo soltanto a partire dal 1878, e de "Il Cittadino", che non mancheranno di riservare critiche anche feroci all'operato della Società di Belle Arti e al pubblico locale, spesso - e con ragione - accusato di possedere vedute assai ristrette. Da questo punto di vista è facile notare come rispetto alle mostre degli anni Quaranta fosse aumentato il numero di quanti si levavano a commentare gli eventi artistici, ma nel contempo si potesse avvertire nel panorama critico la mancanza di voci più documentate e autorevoli come quelle di Francesco dell'Ongaro o Pacifico Valussi che nei decenni precedenti avevano alimentato il dibattito sulle pagine di periodici come "La Favilla"
22, non sostituito, per fare un esempio, da fogli importanti e qualificati come "Libertà e Lavoro", diretto da Giuseppe Caprin, che si occuperà soltanto in un'occasione, nell'ottobre del 1874 e per mano di Giuseppe Garzolini, di recensire le mostre della Società di Belle Arti23, limitandosi poi a fugaci e miratissimi interventi in altre occasioni.
Nei primi anni di attività della nuova "Società di Belle Arti" sarà soprattutto dalla pagine de "L'Osservatore triestino" che verranno gli incoraggiamenti più forti e circostanziati, anche in virtù della comune appartenenza politica filogovernativa del presidente, Carlo de Rittmeyer, e di gran parte del consiglio direttivo: poco prima dell'apertura della quinta mostra, alla fine di maggio del 1873, un anonimo giornalista annotava come questa fosse "più ricca e più pregevole e più istruttiva delle altre quattro", visto che "l'amore tra noi sempre più crescente per la conoscenza e lo studio delle Belle Arti vi contribuiscono la loro parte. L'incoraggiamento che la Società dà ai nostri artisti, e la speranza de' Soci e dei Partecipanti di venire per sorteggio, in possesso  o di sculture o di pitture o di incisioni di pregio non comune, non possono che invaghire i fautori delle Belle Arti e coloro a cui sta a cuore l'onore e il prosperamento dell'amata nostra patria, perché d'essa si distingua anche in questo gentile ramo dell'attività dell'umano ingegno"
24. Emblematica in questo senso anche l'esortazione che si poteva leggere sulle pagine de "Il Cittadino" del 15 maggio 1873, alla vigilia dell'apertura della quinta mostra, "siamo sicuri che l'annunziata pubblica mostra supererà di molto le precedenti sia in ricchezza, sia in merito. Laonde le pronostichiamo che le faranno buon viso gli amatori di belle arti, ed i ricchi e le corporazioni cittadine vi contribuiranno la parte loro, perché la Società di belle arti, incoraggiata dal loro valido e necessario sostegno, prosperi ognora più ad onore e decoro della nostra città e infonda negli animi il senso e l'amore del bello". Le aspettative sull'attività del sodalizio triestino degli intenditori locali erano quindi molto alte, anche in vista delle potenzialità d'acquisto che le opere proposte nella rassegna sottendevano anche e soprattutto per l'espansione della nuova galleria d'arte moderna. Fondamentale per la Società e per tutto il movimento artistico cittadino era stata infatti nel 1872 l'apertura al pubblico del Palazzo Revoltella, donato dal defunto commerciante di origine veneziana alla città. L'evento, foriero di notevolissimi sviluppi, era stato così salutato nel resoconto annuo pubblicato nei primi mesi del 1873: "lo scrivente crede segnalare un fatto gradito alla maggioranza dei Sig. Soci, accennando ai locali in cui ebbe sede l'ultima Esposizione (Ottobre 1872). Si fu con questa Esposizione che il Palazzo Revoltella, dal generoso defunto destinato alla formazione d'un Museo di Scienze ed Arti ebbe, quasi, la sua inaugurazione; ed il Curatorio preposto al Museo ed il patrio Consiglio, rispondendo con gentile condiscendenza alle istanze del Comitato di Belle Arti, vollero accogliere, non solo, nelle sale di quell'Edifizio la Mostra anzidetta, ma ne promisero puranco la concessione gratuita per le Esposizioni future"25. Primo firmatario del testo era il barone Carlo de Rittmeyer in qualità di presidente della Società, ma lo stesso Rittmeyer era anche uno dei consiglieri del Curatorio del neonato Museo, e lo sarà fino al 188526. Va da sé che alla luce di queste sinergie sarà proprio tra le opere presentate dalla Società che l'istituto museale farà i suoi primi acquisti destinati a incrementarne le collezioni, non senza aspre polemiche all'interno dello stesso organo dirigenziale del Museo, diviso tra le prospettive che gli erano offerte dalle esposizioni locali e la necessità di aprirsi su nuovi orizzonti inviando il conservatore Augusto Tominz alle più importanti rassegne italiane e tedesche27. Non va poi dimenticato come lo stesso Tominz dal 1875 in poi rivestirà anche la carica di segretario della Società di Belle Arti, trovandosi così al centro di un vistoso anche se non venale conflitto d'interessi, visto che "come conservatore del museo, proponeva l'acquisto di opere che egli stesso metteva in vendita come segretario della Società"28.
Del resto, polemiche sulla politica degli acquisti del Curatorio non mancheranno anche nei decenni successivi, additando ora l'eccessivo provincialismo delle scelte ora tacciandole di esterofilia, fino a rivendicare inesistenti politiche nazionalistiche all'indomani della Prima guerra mondiale, quando Trieste verrà annessa all'Italia: "nei tristi anni della dominazione austriaca, il Curatorio, del quale furono parte alcuni del nostri patriotti più insigni - valga per tutti il nome di Felice Venezian - volse costantemente il pensiero a moltiplicare con gli acquisti le opere d'arte italiana, in modo che riuscisse evidente il carattere italiano del Museo e che tenesse vivo il sentimento nazionale a traverso il culto dell'arte nostra"
29. Cosa vera in parte e soltanto a partire dal 1886 con l'entrata di Venezian nel Curatorio30, primo liberal-nazionale a far parte della compagine e capofila di quel vero e proprio rivolgimento politico che di lì a poco consegnerà le redini della città al partito filo-italiano.
Tornando alle mostre, vale la pena di prendere in esame un ideale grafico delle presenze: a scorrere gli elenchi delle opere proposte nelle varie esposizioni, salta immediatamente agli occhi l'enorme sproporzione tra i dipinti a soggetto storico, che si contano sulle dita di una mano, e le decine e decine di opere di genere, con una netta preferenza per paesaggi e vedute. Una tendenza già ben individuabile nelle mostre degli anni Quaranta
31, ma che si era andata se possibile amplificando anche in virtù dell'ampliamento di quel tessuto sociale e culturale medioborghese e sostanzialmente filoaustriaco così ben rappresentato - almeno a livello di gusto - dal comitato di gestione della Società di Belle Arti. A questo proposito Guido Oddo, tra i commentatori più acuti di questa stagione, si rivelerà caustico come non mai lamentando già dalla prima edizione della mostra l'asservimento al facile mestiere nella stragrande maggioranza delle opere presenti dove, a suo parere, "cerchiamo indarno la storia, la sintesi immaginativa dell'artista, la nobile passione, il concetto sovrano [...] ci troviamo invece perpetuamente fra le ghiacciaie del Nord e gli adusti terreni del tropico; fra le burrasche, i tramonti le aurore e le notti [...] molte di queste coserelle sono divinamente ritratte! Noi non lo neghiamo [...] ma le son sempre coserelle"32. Secondo il giornalista manca poi un afflato 'civile': "ma permetteteci di domandare: dove è la storia? Almeno qualche episodio di quella storia contemporanea così ricca di nobili avvenimenti, così forte ispiratrice di profonde sensazioni? Non un solo episodio del Risorgimento italiano, né della confusione spagnola, né dell'audacia feniana, né del risveglio francese, neppure del concilio ecumenico, che è tutto dire! E se a Rotta è lecito farci ridere col suo parrucchiere33, perché altri non ha pensato di farci ridere con la questione dell'infallibilità?". Pur con queste premesse, inevitabili e perfettamente connaturate con il carattere mercantile delle rassegne, le ricognizioni giornalistiche continuavano imperterrite a lasciare uno spazio assolutamente spropositato a opere, quelle a soggetto storico, che solo in pochissimi casi troveranno un compratore.
La polemica sui generi, riflesso pallidissimo di quello che in Italia era stato per anni il dibattito per eccellenza, toccherà poi accenti ancora più provinciali quando entreranno in gioco le aspettative del pubblico e della critica riguardo gli artisti locali. Esemplare il caso della mostra del maggio 1873 analizzata dalle pagine de "L'Osservatore Triestino", dove la consueta sequenza per generi era stata preceduta da un insolito atto di cavalleria dove si manifestava "un certo speciale riguardo al gentil sesso", ma anche si preferivano i "nostri pittori triestini", così da "far precedere le pittrici e i nostri dipintori a quadri storici e ad altri di vario genere"
34. Del resto la difficoltà di trovare un mercato per i quadri storici in una città come Trieste era ben chiara allo stesso cronista che poche righe sotto notava: "scarsa è la pubblica mostra di quadri storici, tra i quali primeggia quello del nostro Gatteri, già sopra ricordato [e redarguito per le dimensioni troppo contenute della sua tela]. Comprendiamo bene che tali dipinti sono opera di lunga lena, che esigono profondi studi storici e perfetta conoscenza de' caratteri de' protagonisti e dei costumi dell'epoca e se non sono somamente perfetti, trovano difficilmente amatori che ne facciano acquisto35.
In effetti, tra i dati che al momento è possibile estrapolare, gli acquisti di opere storiche sono davvero in numero esiguo: dal l'Enrico II che visita Tiziano di Francesco Beda, comprato nel 1870 dalla stessa Società come settimo premio e aggiudicato al signor Teodorovicht
36, al Cristoforo Colombo di Cesare dell'Acqua acquistato da Francesco Ferrari alla rassegna primaverile dell'anno successivo. Due le opere vendute nel 1872: Alfredo Tominz cederà il suo Caterina de Medici che istiga Carlo IX a tirare sugli Ugonotti al signor Neumann di Vienna, mentre Angelo Motta acquisterà Un episodio dei prussiani a Parigi di Alessandro Reati". Nemmeno il Curatorio del Revoltella si dimostrerà particolarmente sensibile alle opere di carattere storico, nonostante arrivassero da più parti stimoli in questo senso, soltanto nel 1877 verrà acquisito il piccolo olio di Alejandro Ferrant y Fischermans con Cristiani che trasportano il corpo di san Sebastiano dalla Cloaca Massima, segnalato da più parti "come uno dei lavori più rimarchevoli dell'esposizione"38 , dove era stato presentato con il più circostanziato titolo di I cristiani levano dalla Cloaca Massima il corpo di san Sebastiano ove fu gettato dopo il martirio39. Volendo poi allargare il discorso alla scene in costume antico, spesso al limite tra il genere e la pittura di storia vera e propria, va citato almeno il Glauco e Nidia del bolognese Alfonso Savini, venduto all'Esposizione agricolo industriale del 1871 (fig. 2).

 

 

 

2. Alfonso Savini, Glauco e Nidia, Esposizione Agricolo-Industriale e di Belle Arti di Trieste, 1871, foto d'epoca
 

 

A decretare il pressoché definitivo accantonamento del genere accademico per eccellenza si può poi chiamare in causa l'assenza quasi totale della pittura di storia nelle mostre degli anni successivi.
Ben più lungo è l'elenco degli acquisti tra le opere dei generi cosiddetti minori: in questo senso a fare da battistrada saranno proprio le opere prescelte dalla Società, che andavano a costituire il montepremi da mettere a sorteggio. Scorrendo gli elenchi delle acquisizioni rintracciati, purtrοpρo soltanto nove su quattordici mostre, si nota infatti una piena consonanza tra gli indirizzi di gusto dei lavori selezionati dal consiglio direttivo della Società e quelli acquistati "da particolari", eccezion fatta per le più impegnative opere di scultura. Del resto, una simile convergenza non poteva destare sorpresa, visto che i componenti del consiglio, oltre ad acquistare in prima persona lavori da destinare alla proprie collezioni private, erano tra gli esponenti più in vista di quello stesso tessuto sociale che costituiva il pubblico principale delle esposizioni triestine. Emblematici, in questo senso, alcuni episodi: alla prima edizione della mostra la Cancelleria nella scuola di San Rocco in Venezia di Luigi Querena, messa a sorteggio dalla Società, verrà aggiudicata al vice presidente Achille Carcassone; mentre, a ottenere il secondo premio, la Modestia eseguita dal milanese Giosuè Argenti, l'unica scultura a essere sorteggiata in tutte le edizioni della mostra sarà addirittura il podestà di Trieste Massimiliano D'Angeli
40. Per il resto, il montepremi dell'edizione del 1870, composto da dodici opere, era completato dal citato Enrico III che visita Tiziano di Francesco Beda e da dipinti equamente ripartiti tra scene di genere e paesaggi41, con una netta preferenza per autori residenti nel territorio imperiale ma con significative aperture verso la Francia e i Paesi Bassi. Un andamento pressoché analogo avranno le "opere acquistate da particolari", tra le quali avevano furoreggiato i paesaggi di Anna Baar (ben cinque lavori venduti oltre a quello acquistato dalla Società) e una serie di dipinti di genere che spaziavano dalle reminescenze pseudo-etnografiche della Romagnola di Anna Fries, della Giovane Ciucciara di Gustav Müller o della Zingara di Gianfrancesco Locatello42, alle scene d'interno d'ambientazione ora ricreativa ora moraleggiante43, fino a spingersi in direzione dell'orientalismo oleografico di Bernard Fiedler, la cui Corte al Cairo sarà acquistata dal barone Elio Morpurgo.

 

 

 

 

3. Augusto Tominz, Romana, Esposizione Agricolo-Industriale e di Belle Arti di Trieste, 1871, foto d'epoca
 

 

 

La sostanziale convergenza tra il carattere delle opere messe a premio e quello dei lavori acquistati dai singoli collezionisti perdurerà anche nelle edizioni successive - basti pensare alla Romana di Augusto Tominz venduta nel novembre 1871 (fig. 3) - a dimostrazione della stretta connessione tra i gusti del pubblico e quelli della commissione preposta all'acquisto. Per quanto riguarda quest'ultima, va evidenziato come, anche negli anni a seguire, cercasse di mantenere un sostanziale equilibrio nella tipologia e nella qualità delle opere da scegliere, tenendo nel contempo in dovuta considerazione anche le esigenze di bilancio, come del resto veniva sottolineato nelle edizioni a stampa del resoconto annuale. Sarà infatti a causa di un eccesso di spese di trasporto che nel 1880 non si darà corso ad alcun sorteggio, lasciando ai soci soltanto una riproduzione dello "splendido dipinto del Comm. Hayez rappresentante: «L'incoronazione di Gioas» di recente acquistato dal Civico Museo" distribuita salomonicamente a tutti44. Una moderazione che si rifletteva anche nell'appartenenza geografica degli autori selezionati, considerato che si tendeva a privilegiare i residenti entro i confini dell'Impero senza nel contempo trascurare gli aspetti e i legami internazionali45, come dimostra la composizione 'nazionale' dei prescelti per le estrazioni a sorteggio. Ancor più metodica poi la presenza, tra le opere messe a premio, di lavori di artisti locali, per nascita o per consolidata attività sul posto. Un elenco dove a turno compariranno tutti i più quotati pittori cittadini, da Beda al naturalizzato Beurlin fino ai più giovani Lonza, Scomparini, Barison e Alfredo Tominz.
Proprio il neosettecentismo di Francesco Beda troverà un eloquente riscontro anche nelle immagini fotografiche scelte dalla Società tra le opere esposte ed estratte tra i soci come premio di consolazione: nel 1878 infatti il suo assai apprezzato Una macchia inaspettata, oltre a venire acquistato per essere messo a sorteggio
46, diverrà anche un "ricordo dell'esposizione" (fig. 4).

 

 


4. Francesco Beda, Una macchia inaspettata, Decima Esposizione della Società di Belle Arti di Trieste, 1878, foto d'epoca

 

 

Meno 'fortuniano' ma non meno settecentesco nello spirito era anche la Doppia sorpresa (epoca Luigi XV) di Antonio Pascutti scelto due anni prima (fig. 5).

 

 


5. Antonio Pascutti, Doppia sorpresa (epoca Luigi XV), Ottava Esposizione della Società di Belle Arti di Trieste, 1876, foto d'epoca

 

 

 

Tutt'altro genere aveva invece l'oleografica Zingara del magiaro György Vastag, presentata nel 1874 e campione di quella pittura 'etnografica' così gradita al pubblico (fig. 6).

 

 


6. György Vastag, Zingara, Sesta Esposizione della Società di Belle Arti di Trieste, 1874, foto d'epoca

 

 

Non dev'essere stato poi difficile nel 1879 scegliere di proporre ai soci un'immagine dell'Esopo di Roberto Fontana (fig. 7), si trattava infatti della replica di una tela che tre anni prima, con il titolo completo di Esopo racconta le sue favole alle ancelle di Xanto, aveva vinto il premio "Principe Umberto" alla mostra dell'accademia braidense di Milano, ed era stato riproposto anche all'Esposizione Universale di Parigi del '7847.

 

 

7. Roberto Fontana, Esopo, Undicesima Esposizione della Società di Belle Arti di Trieste, 1879, foto d'epoca

 

 


Un capitolo a parte va riservato alla politica degli acquisti portata avanti dal Curatorio del Civico Museo Revoltella che, come si è detto in precedenza, si troverà a operare in stretta sinergia con il consiglio direttivo della Società di Belle Arti. In questo specifico campo raggiungeranno il loro acme le derive campanilistiche, rinfocolate a gran voce dalla stampa. Non mancheranno infatti sul piano giornalistico spinte atte a influenzare le scelte intraprese dal neonato Curatorio che, proprio nelle esposizioni cittadine, vedeva com'è naturale il primo contesto in cui focalizzare l'attenzione. Si trattava per lo più di spinte di carattere localistico, che documentano in modo assai trasparente le dinamiche provincialistiche che continuavano ad appesantire il dibattito culturale cittadino. Emblematico in questo senso l'atteggiamento de "Il Cittadino" , che nel marzo del '74 pur "vedendo che il sullodato Curatorio procede con rara intelligenza nello impiego di mezzi destinati alla raccolta di lavori artistici" - con l'acquisto a quella esposizione di Una campagna romana del romano Vertumni e de L'altare di Santa Tecla del milanese Bisi - non mancava di pungolare l'organismo di gestione del museo: "vogliamo sperare che non avrà dimenticato il bel quadro storico [uno dei pochissimi quadri di quel tipo esposti nell'occasione], del nostro giovine ed abile concittadino signor Lonza, Lorenzo de' Medici e fra Savonarola, del quale tutta la città ha con compiacenza constatato il merito reale, sia per disegno, sia per colorito e composizione"
47. Un auspicio che verrà pοi in qualche modo esaudito in seguito, quando la grande tela, donata dall'autore al consiglio comunale cittadino nel maggio di quello stesso 1874 come ringraziamento per la borsa di studio ottenuta, verrà dal consiglio stesso destinato al Museo Revoltella49, certificandone in qualche modo l'auspicata (dall'autore) destinazione museale. Non mancheranno poi le lodi per la scelta di pittori sulla cresta dell'onda come Aurelio Tiratelli, di cui si acquisirà nel 1877 il rifinitissimo "Un carro di buffali nella Maremma Romana" (fig. 8).

 

 


8. Aurelio Tiratelli, Un carro di buffali nella Maremma
Romana
, nona Esposizione della Società di Belle Arti di Trieste, 1877, foto d'epoca

 

 

Meno tenero con l'attività del Curatorio si dimostrerà in seguito il cronista de "L'Adria" a proposito di un acquerello di Pio Bianchi acquistato alla mostra del 1876 in omaggio alla sempre più pressante moda dell'orientalismo: "gli acquerelli sono oggetti d'arte che sono assai al posto loro in una sala ed in un boudoir che in un pubblico Museo. D'altronde, co' limitati fondi che il civico Museo aveva disponibili, poteva risparmiare di spendere in un acquerello, che qui od altrove avrebbe certo trovato compratore, una somma relativamente considerevole, ed impiegarla assai meglio, acquistando uno o più quadri di quei nostri concittadini che meritano d'essere sostenuti ed incoraggiati, ovvero un quadro ad olio, anche di piccole dimensioni, d'autore il cui nome portasse nuovo decoro alla incipiente civica pinacoteca"50. Non dissimile il tono dei commenti de "Il Cittadino" ancora a proposito del dipinto di Bianchi: "ci rincresce in parola d'onore, ma prima di discorrere dei pochi quadri che figurano alla esposizione nel museo Revoltella, ci corre obbligo dire qualche cosa sugli acquisti, parecchio cattivi, fatti dal curatorio di detto civico Museo", rincarando poi la dose "nel cui seno, se pure vi sono delle brave persone che di arte se ne intendono punto e poco, c'è però un artista di merito e capace di giudicare qualsiasi opera di quell'arte nella quale egli s'è fatto buon nome"51. Tanto più che, nella prosa puntuta del redattore, il soggetto principale del dipinto in questione, La Favorita, "è così brutta e così gialla che pare - Dio ce lo perdoni! - affetta di peste bubonica; ma transeat ancora; mettiamo sia un capolavoro, ma è sempre un acquerello; ed un Museo che deve ornarsi d'opere durature da tramandare ai posteri, come mai può farsi acquirente d'un lavoro che va a deperire giorno per giorno, e per conservarlo bisognerebbe sottrarlo alla luce, all'aria, alla vista di tutti? È un errore così madornale che maraviglia i più profani".
Anche in questo caso però, al di là del merito e del valore dei singoli dipinti, si continuava a rimproverare al Curatorio la scarsa attenzione per i pittori locali, in particolare per quell'Antonio Lonza autore di un applauditissimo Giocolieri giapponesi
52. Dopo aver tessuto le lodi di quest'ultimo, "giovane a cui è serbato splendidissimo avvenire", il cronista si concentrava polemicamente su di un altro acquisto di quell'anno53: "orbene, sanno invece che cosa dall'intelligente e coscienzioso curatorio fu scelto? Un ritratto del primogenito, del milanese Luigi Bianchi; quadro che non è senza pregio, ma ove non c'è soggetto, non composizione che giustifichino la scelta. O che? L'essere triestino e per sopra mercato valente, costituisce un peccato originale, per essere scacciato dall'Eden Revoltella? Tacciamo del Pascutti, che non ha certo bisogno d'aggiungere fronda alla sua bella corona d'artista; ma il Lonza, meritava egli cotale ostracismo?"54 .
Tornava insomma quella prospettiva conservatrice e prettamente localistica che aveva animato pressoché tutte le pagine critiche dedicate alle rassegne della Società di Belle Arti da "L'Osservatore Triestino" prima e dal suo supplemento "L'Adria" poi. Tuttavia, nonostante le intemperanze che accompagneranno ancora a lungo la politica di acquisti nei primi anni di esistenza del museo
55, l'attenzione della stampa locale per l'attività della Società di Belle Arti rimarrà sempre molto alta e pronta a rimarcare l'importanza che quest'ultima rivestiva per l'arricchimento del tessuto culturale cittadino. Ancora nel 1877, non senza enfasi, il cronista de "L'Adria" sottolineava "questa Esposizione, che è la nona, supera tutte le precedenti pel numero dei lavori, che vi figurano già o vi figureranno in seguito; imperocchè sono tanti i quadri inviati, che non hanno potuto essere collocati tutti a posto; così la Mostra verrà divisa in due periodi; i quadri ora esposti cederanno il posto ad una seconda serie. Già di questo successo dobbiamo rallegrarci; l'Esposizione di Trieste ora conta tra le più nominate, ed artisti di primo ordine di tutti i paesi si danno premura d'inviarvi le opere loro, nella speranza, spesse volte non delusa, di trovare acquirenti, e nella certezza di averne aumentata la fama"56.
Quello stesso 1877 sarà l'anno forse più ricco di sorprese (positive) per la scultura: la mostra vedrà infatti presenti tra gli altri Francesco Barzaghi, con una redazione della sua celebre Frine ritratta nuda davanti ai giudici ateniesi, e Donato Barcaglia, con il gruppo marmoreo a grandezza naturale La vita che tenta di arrestare il Tempo (fig. 9), reduce da una trasferta all'esposizione universale di Filadelfia "ove fu premiato come il più bello dei lavori di scultura. E chi lo esamina, non può che confermare il verdetto del giurì artistico internazionale"
57.

 

 


9. Donato Barcaglia, La vita che tenta di arrestare il Tempo, nona Esposizione della Società di Belle Arti di Trieste, 1877, foto d'epoca
 

 

"L'Adria" si farà portavoce di una campagna di stampa affinché " l'insigne gruppo del Barcaglia non parta da Trieste, ma vi rimanga a decoro del Civico Museo che ne acquisterebbe grandissimo lustro. E questo voto non lo esterniamo in nostro nome soltanto, ma in nome di distinti, intelligentissimi cittadini, che amando sinceramente e con tutta la potenza dell'anima la patria, ambiscono vederla prosperare vieppiù ne' commerci e vieppiù ingentilirsi nel culto del Bello"58.

Una richiesta questa che sarà esaudita poco dopo tra il plauso della stampa59 corredandola anche con due busti in terracotta del romano Adalberto Cencetti, quasi a voler bilanciare, con il fresco macchiettismo di quest'ultimo, l'impegno moraleggiante della grande scultura del milanese.
Dal punto di vista dello sforzo finanziario quello del gruppo di Barcaglia sarà l'acquisto più impegnativo portato a termine dal Curatorio del Museo Revoltella alle mostre triestine della Società di Belle Arti
60, per una volta senza suscitare polemiche e raccogliendo invece gran messe di lodi. La presenza di Barcaglia sulla scena triestina, dove la sua grande perizia esecutiva gli consentirà di ricevere committenze per numerosi monumenti funerari, certificava anche il monopolio che la scultura milanese aveva ormai raggiunto sulla piazza giuliana scalzando del tutto quegli artisti veneti che vi avevano regnato incontrastati per moltissimi anni. Un predominio che si era andato consolidando sin dalla prima edizione e che si concretizzerà in seguito in ulteriori acquisti. Se l'esposizione del '77 aveva visto portare a termine preziose acquisizioni per il patrimonio museale, la decadenza era però dietro l'angolo, e saranno i più esigenti cronisti de "L'indipendente" a segnalarlo sin dall'edizione successiva: "c'è poco da vedere, e non molto da encomiare. Predomina quest'oggi il paesaggio: lande nevicate, praterie, laghi, marine, accesi orizzonti, moltissime vedute della classica Venezia coi suoi canali superbi, colle navate imponenti delle sue chiese, con le sue storiche sale famose, con le lagune romantiche e piene di mistero. È difficile il trovare, come dice un elegante scrittore moderno, i pittori poeti, che san creare canzoni con ogni pennellata, ma d'altro canto è sconfortante (come in questa esposizione) lo scorgere la quasi totale assenza delle idee grandi, ardite e forti e, stretta la fantasia tra i ceppi plumbei del convenzionale, limitarsi l'attività di parecchi artisti pur promettenti, al puro e umile tecnicismo"61. L'esperienza della Società di Belle Arti si chiuderà nel 1882 denunciando una certa stanchezza non tanto nel numero delle opere esposte, quanto nella loro qualità e soprattutto nella risposta sempre meno corale del pubblico. Quest'ultimo evidentemente sempre più vicino alla vivace descrizione che ne aveva fornito Nino Nix nell'ottobre 1879: dopo aver tratteggiato brevemente il profilo del visitatore-tipo nei giorni feriali, il giornalista era infatti passato alla situazione domenicale quando "dalle undici della mattina una folla grandissima si urta, si pigia, - venuta lì per vedere e per farsi vedere. Carovane complete: mamma, babbo, due tre marmocchi: Fanciulle da marito, col cappellino nuovo e l'abito nuovo, - che dinanzi a certe licenze libertine delle sculture esposte, voltan via la testa [...] per guardare lui, ritto in fazione all'angolo opposto della sala. I bimbi a vedere tutto quel marmo e tutti quei colori, principiano a seccarsi e chiedono a babbo se li condurrà a comperarsi il cartoccio di confetti. - Si parla forte, si critica ad alta voce, -esclamazioni su tutta la gamma musicale, - osservazioni di tutti i colori. È qualche volta il giudizio della cuoca di Molière: rude, semplicione, ma in fondo giusto: - è però più spesso lo sproposito marchiano, che domanderebbe il posto d'onore nella più umoristica raccolta di barzellette"62.
"L'Indipendente" iniziava così il racconto della mostra del 1882: "l'annuale esposizione di Belle Arti si è aperta pochi giorni or sono e quasi duecento tele sono distese nella lunga fila di sale del Museo Revoltella. Abbiamo di già accennato altra volta alla decadenza della Mostra, oggi a malincuore ci tocca confermare che purtroppo essa discende una rapida curva. Sarebbe inutile indagarne i motivi; crediamo ch'essi non esistano interamente nell'azione del comitato direttivo della Società, ma nel succedersi frequente di esposizioni nelle città capitali, dove gli artisti sono attratti dall'interesse a concorrervi. Contiamo quattro o cinque bei nomi, ma non vi ha una sola tela che sorprenda il visitatore. Le mediocrità sono numerose, e le cattive opere completano la somma"
63.
Il progressivo calare della curva degli acquisti era stato senza dubbio uno dei fattori che avevano portato al declino delle esposizioni triestine, ma pesava anche la contemporanea apertura verso l'Italia e le grandi mostre internazionali dei committenti più facoltosi e interessati e del Museo Revoltella, che cominceranno a cercare altrove quei lavori "di merito" che la natura sempre più commerciale delle rassegne locali di fatto escludeva.
Chiusa mestamente la vicenda della Società di Belle Arti, con un'ultima rassegna soffocata dalla grande kermesse agricolo-industriale del 1882, occorrerà attendere il 1890 per rivedere la grande arte in città, quando il Circolo Artistico Triestino, dopo una lunga e complessa gestazione, riuscirà ad allestire una rassegna di prestigio e respiro autenticamente internazionale, consegnando al pubblico cittadino e al Museo Revoltella la possibilità di godere e di dotarsi di opere aggiornate e degne di un museo moderno.
 

 

 

 

 

NOTE:

1 B. C. [Benedetto Civiletti], La Galleria d'Arte Antica a Trieste, "Annali della Pubblica Istruzione", IV, 10, 1958, p. 600. Sull'argomento anche R. Fabiani, Nel cuore della città come scuola di insegnamento e di educazione artistica. La Galleria Nazionale d'Arte Antica a Trieste, in Cranach Tintoretto Bernini e capolavori della Galleria Nazionale d'Arte Antica di Trieste, catalogo della mostra a cura di L. Caburlotto, M. C. Cadore, R. Fabiani (Pavia, Scuderie del Castello Visconteo), Cinisello Balsamo 2011, pp. 11-12.
2 Ivi. Per un'attenta ricostruzione dell'iter di formazione della raccolta cfr. F. Magani, La Galleria Nazionale d 'Arte Antica... e alcuni appunti per la storia del collezionismo triestino, in La Galleria Nazionale d'Arte Antica di Trieste dipinti e disegni, a cura di F. Magani, Trieste 2001, pp. 13-30.
3 M. Masau Dan, Pasquale Revoltella e l'arte: dalla collezione al museo, in Pasquale Revoltella (1795-1869). Sogno e consapevolezza del cosmopolitismo triestino, catalogo della mostra (Trieste, Museo Revoltella), Udine 1996, pp. 71-110.
4 Per una prima sistematica indagine sulle collezioni triestine: O. Basilio, Saggio di storia del collezionismo triestino, in "Archeografo Triestino" , s. III, XIX (XLVII), 1934, pp. 157-224.
5 Per un'attenta disamina dell'attività della Società, nota "anche con la denominazione statutaria di si veda: D. Levi, Strutture espositive a Trieste dal 1829 al 1847, in "Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di lettere e Filosofia", s. III, XV, 1, 1985, pp. 232-301.

6 L'istituzione attivò un'esposizione permanente presso la sede in via Cavana prevedendo annualmente due grandi mostre con premi da tenersi dal primo aprile al sedici maggio e dal primo ottobre al sedici novembre.
7 Cfr. Catalogo della Esposizione di Belle Arti nell'Edifizio della Borsa nell'autunno 1864, Trieste 1864; Esposizione di Belle Arti nella grande sala dell'edifizio di Borsa di Trieste, in "L'Osservatore Triestino", 9 novembre 1864, 256, pp. 2049-2050.

8 Associazione Triestina di Belle Arti autunno 1865, Trieste 1865, s.n.
9 Sulla mostra, cfr. Anno primo. Catalogo della Esposizione di Belle Arti nell'Edifizio della Borsa nell'autunno 1865, Trieste 1865; Esposizione di Belle arti nell' edifizio di Borsa, in "L'Osservatore Triestino", 3 ottobre 1865, 226, p. 1810; Esposizione di belle arti, in "Il Diavoletto", 12 ottobre 1865, 237, p. 974; Esposizione di Belle arti nell'edifizio di Borsa, in "L'Osservatore Triestino", 4 novembre 1865, 252, p. 2019.
10 Sull'attività triestina di Fiedler, si veda: A. Drigo, Bernhard Fiedler: appunti sull'attività triestina, in "Arte in Friuli Arte a Trieste", 20, 2000, pp. 123-150. Sulle mostre della Società cfr. La Società Schiller e la sua prima esposizione di belle arti, in " L'Osservatore Triestino", 14 agosto 1862, 186, p. 1504; Esposizione di Belle Arti nella società del Casino Schiller, in "L'Osservatore Triestino" , 18 maggio 1863, 111, pp. 881-882; Esposizione di belle arti, in "L'Osservatore Triestino " , 22 luglio 1863, 164, p. 2217; Società Schiller, in "L'Osservatore Triestino", 14 maggio 1864, 110, p. 869; Esposizione di Belle Arti nella sala della Società Schiller, in "L'Osservatore Triestino", 4 aprile 1866, 76, p. 604.
11 Tra le presenze spiccava senz'altro quella dello scultore milanese Pietro Magni, la prima, La leggitrice, era stata commissionata quattro anni prima da Nicola Bottacin e al suo arrivo in città aveva riscosso un incondizionato successo, per quanto si trattasse della replica di un lavoro presentato a Brera nel '56; la seconda era la Famiglia del caporale (fig. 1), che verrà riproposta alla mostra della Società di Belle Arti di due anni dopo, quando sarà acquistata dalla famiglia Currò: cfr. M. De Grassi, Committenti triestini di Pietro Magni, in "Arte in Friuli Arte a Trieste", 20, 2000, pp. 161-176. Sulla mostra: Prima Esposizione artistico-industriale di Trieste, in " L'Osservatore Triestino " , 16 ottobre 1868, 238, p. 1948.
12 Una prima embrionale disamina dell'attività espositiva a Trieste nell'Ottocento in O. Basilio, Saggio..., cit., 1934, pp. 168-173.

13 Belle Arti, in "L'Adria", 14 dicembre 1876.
14 Belle Arti, in "L'Adria", 21 ottobre 1876.
15 I dati si desumono dai resoconti a stampa dell'attività della Società, Cfr. Società di Belle Arti in Trieste, Trieste 1870, p. 3; Società di Belle Arti in Trieste, Trieste 1871, p. 3; Società di Belle Arti in Trieste, Trieste 1873, p. 2; Società di Belle Arti in Trieste, Trieste 1880, p. 3.
Sull'ordinamento bloccato della Società e sul fatto che le sue cariche non fossero elettive si soffermerà polemicamente Guido Oddo (G. Oddo, Esposizione di Belle Arti in Trieste. I, in "Il Cittadino", 5 giugno 1870).
16 In quell'occasione verrà anche dato alle stampe il primo catalogo per cura della Tipografia del Lloyd Austriaco: Catalogo degli oggetti d'arte costituenti la prima Esposizione attivata dalla Società di Belle Arti in Trieste nel maggio 1870, Trieste 1870.
17 Catalogo Ufficiale della Esposizione Agricola Industriale e di Belle Arti Triestina tenuta nei mesi settembre ottobre 1871, Trieste 1871; Sezione di Belle Arti, in "Giornale Ufficiale della Esposizione Triestina del 1871", I, 5 novembre 1871, 15, pp. 58-59. Per un riepilogo recente sull'argomento, cfr. M. De Grassi, Trieste e l'Esposizione Industriale Artistica del 1871, tra Venezia, Milano e Vienna, in Artisti in viaggio 1750-1900. Presenze foreste in Friuli Venezia Giulia, atti del convegno a cura di M. P. Frattoli. (Udine, 20-22 ottobre 2005), Venezia 2006, pp. 283-312.
18 Cfr. Esposizione di Belle Arti, in " L' Osservatore Triestino", 24 aprile 1871, 93, col. 738.
19 Cfr. Esposizione Agricola-Industriale e di Belle Arti triestina, in " Libertà e lavoro", 25 ottobre 1871, 20.

20 G. Oddo, Esposizione Agraria-Industriale e di Belle Arti di Trieste, XXV, in Il Cittadino , VI, 4 novembre 1871; Idem, Esposizione Agraria-Industriale e di Belle Arti di Trieste, XXVI, in "Il Cittadino", VI, 8 novembre 1871.
21 Esposizione Agraria - Industriale e di Belle Arti in Trieste, II, in "L'Arte", 23 ottobre 1871, 30; B., Esposizione Agraria-Industriale e di Belle Arti in Trieste, in "L'Arte", II, 22 dicembre 1871, 36.
22 Per un quadro del dibattito critico di quegli anni: D. Levi, Strutture espositive..., cit., 1985, pp. 292-301.

23 G. Garzolini, Sesta esposizione di belle arti in Trieste, in " Libertà e lavoro " , VIII, 19, 14 ottobre; 20, 29 ottobre; 21, 12 novembre 1874.
24 Società di Belle Arti in Trieste, in "L'Osservatore Triestino", 5 maggio 1873, p. 406. L'articolo continuava poi rivolgendosi "ai moltissimi tra noi, cui fortuna e agiatezze arridono, perché o come Soci contribuenti o come Partecipanti concorrino ad appoggiare validamente questa Società di Belle Arti, ond'essa possa non solo presentare nel corrente mese una copiosa e pregevole Mostra di Belle Arti, ma procuri eziandio ad essi stessi, per sorteggio, la possibilità d'ornare la propria casa di qualche scultura, o pittura od incisione non spregevole; e la Società stessa aiuti qualche giovane artista, ingeneri e renda tra noi più famigliare l'amore delle Arti belle, e possa un dì concorrere all'aumento della Pinacoteca tergestina".

25 Società di Belle Arti in Trieste, Trieste 1873, p. [1].

26 Cfr. Il Civico Museo Revoltella di Trieste. Catalogo della Galleria d'Arte Moderna, Trieste 1933, pp. 177-178.
27 Sulle politiche di acquisizione del Curatorio cfr. M. Masau Dan, La politica delle acquisizioni del Museo Revoltella dalla fondazione al 1914. Formazione e crescita di una galleria d'arte moderna tra internazionali e vita di provincia, in Arte d'Europa tra due secoli: 1895-1914. Trieste, Venezia e le Biennali, catalogo della mostra a cura di M. Masau Dan, G. Pavanello (Trieste, Civico Museo Revoltella), Milano 1995, pp. 10-11 B. Cuderi, L'impronta delle Biennali nelle collezioni del Museo Revoltella, in Arte d'Europa tra due secoli..., cit., 1995, pp. 72-74.
28 B. Cuderi, L'impronta delle Biennali..., cit., 1995, p. 73.

29 Catalogo delle opere d'arte esistenti nel Civico Museo Revoltella di Belle Arti di Trieste, Trieste 1920, p. 4.

30 B. Cuderi, L'impronta delle Biennali..., cit., 1995, p. 74.

31 Cfr. D. Levi, Strutture espositive..., cit., 1985, pp. 232-301.
32 G. Oddo, Esposizione di Belle Arti in Trieste, I, in "Il Cittadino" , V, 5 giugno 1870.
33 Si trattava peraltro dell'opera acquistata dalla Società e scelta come primo premio per l' estrazione destinata ai soci (cfr. Società di Belle Arti in Trieste, Trieste 1870, p. 4).
34 Pubblica Mostra di Belle Arti in Trieste, in "L'Osservatore Triestino" , 30 maggio 1873, p. 490. Qualche riga prima il cronista aveva precisato che "nelle rassegne di belle Arti di vario genere costumasi, e con ragione, osservare certo ordine sistematico, vale a dire, tenere discorso prima dei quadri storici, indi di quelli di genere, poscia dei paesaggi e delle marine, in seguito dei ritratti ed in fine di quelli che rappresentano animali, fiori e frutta".

35 Ivi.

36 Cfr. Società di Belle Arti in Trieste, Trieste 1871, pp. 4-5.
37 Cfr. Società di Belle Arti in Trieste, Trieste 1873, p. 4.

38 L'Esposizione di Belle Arti. V, in "L'Adria" , 31 ottobre 1877.
39 Catalogo degli oggetti d'arte costituenti la nona Esposizione attivata dalla Società di Belle Arti in Trieste nell'ottobre 1877, Trieste 1877, cat. 92.

40 Cfr. Società di Belle Arti in Trieste, Trieste 1871, pp. 4-5.
41 Questo l'elenco delle opere dalla prima alla dodicesima: Antonio Rotta, Un Parrucchiere, aggiudicato a Edoardo Landauer; Giosuè Argenti, La Modestia, aggiudicata a Massimiliano D'Angeli; Charles Houget, Strada di Bretagna, aggiudicato a D. Morpurgo; Ugo Kaufmann, I giocatori, aggiudicato a Tommaso Macale; Luigi Steffani, Campagna lombarda, aggiudicato a Carlo Levy; Elias von Bommel, Naufragio, aggiudicato a Guglielmo Polli; Francesco Beda, Enrico III che visita Tiziano, aggiudicato a Drago Teodorovich; Luigi Querena, Cancelleria nella Scuola di San Rocco in Venezia, aggiudicato ad Achille Carcassone; Abram Wyngaart, La raccolta del formento, aggiudicato alla Società di Belle Arti di Firenze; Fredrick Friedländer, Il primo amore, aggiudicato a Giuseppe Cravagna; William Fredrich Beurlin, Tramonto, aggiudicato al Cavalier Stalitz de Valrisano e infine il Paesaggio di Anna Baar vinto da Giovanni Janesich.
42 Le prime due saranno acquistate rispettivamente dal presidente e dal vicepresidente della Società, Carlo de Rittmayer e Achille Carcassone, mentre la Zingara di Locatello entrerà nelle collezioni di Luigi Franellich (cfr. Società di Belle Arti in Trieste, Trieste 1871, p. 6).
43 Al primo genere apparteneva senz'altro All'osteria di Werner Hahn, comperata da Carlo Hütterott, al secondo la Lettura morale in famiglia di Gianfrancesco Locatello, acquistata da Anastasio Vardacca.
44 Società di Belle Arti in Trieste, Trieste 1880, p. [ 1 ].

45 Per l'elenco completo delle opere acquisite, si rimanda a un successivo intervento.
46 Esposizione di Belle Arti, in "Il Cittadino ", 23 ottobre 1878.
47 Sul dipinto: L. Caramel, C. Pirovano, Musei e Gallerie di Milano. Galleria d'arte moderna. Opere dell' Ottocento, vol II, Milano 1975, p. 320.
48 Belle Arti, in "Il Cittadino", 4 marzo 1874; continuava poi così il cronista " offerto al consiglio della città, venne de questo deliberato di rimettere tale offerta al curatorio del museo Revoltella perché se ne faccia acquirente, se degno d'acquisto ritiene quel pregevole lavoro" , ipotesi quest'ultima sfumata, anche se poi la grande tela entrerà comunque a far parte delle collezioni cittadine.
40 Cfr. A. Drigo, scheda, in Il Museo Revoltella di Trieste, a cura di M. Masau Dan, Vicenza - Trieste 2004, p. 231
50 Esposizione di Belle Arti. I, in "L'Adria" , 26 ottobre 1876.
51 Esposizione di Belle Arti, in "Il Cittadino", 18 ottobre 1876. Il riferimento era naturalmente riservato ad Augusto Tominz, dal 1875 segretario della Società.
52 Così commentava il 28 ottobre 1876 Yung sulle colonne di " Libertà e Lavoro " : "I giocolieri giapponesi hanno confermato la speranza che il nostro paese nutriva per il Lonza. Nessuno si sarebbe aspettato un così rapido progresso. Due soli anni, spesi indefessamente a Roma crearono d'un giovane che altrimenti sarebbe rimasto nel ristretto ambiente dei pittori di maniera, un bell'ingegno, a cui l'avvenire non negherà la fortuna d'un bel nome. La riuscita di Lonza e Scomparini dimostra come quello stipendio che essi godono per ispeciale deliberato del consiglio comunale, non è da comprendersi tra le spese inutili, e come per risvegliare nella nostra città l'amore per le arti belle sia necessario l'appoggio delle corporazioni che stanno a capo della pubblica cosa" (Yung, Esposizione triestina di Belle Arti, "Libertà e lavoro", 28 ottobre 1876.
53 Entrambe le opere non figurano nell'inventario del Museo in quanto permutate in seguito con altri lavori.
54 Ancora più polemiche le righe successive: "meritava egli di vedere l'opera sua, alla quale consacrò un anno intero di assiduo, coscienzioso lavoro posposta ad altre dall'opinione pubblica dichiarate di gran lunga inferiori alla sua? È così che s'incoraggia un giovane ingegno che dimostrò luminosamente con questo suo ultimo lavoro, di quanta gratitudine sia compresa l'anima sua per l'aiuto che il municipio triestino gli diede onde farsi provetto in arte nella città eterna? È una enorme ingiustizia! Questa è la voce generale, e noi ce ne facciamo eco", Esposizione di Belle Arti, "Il Cittadino", 18 ottobre 1876. Un articolo molto polemico nei confronti del Curatorio e dei suoi rapporti con l'amministrazione comunale uscirà pochi giorni dopo: Il curatorio del Museo, in "Il Cittadino", 24 ottobre 1876.

55 Sulla politica di acquisizioni di quegli anni cfr. M. Masau Dan, La politica delle acquisizioni..., cit., 1995,
pp. 10-12.
56 L'Esposizione di Belle Arti. I, in "L'Adria", 4 ottobre 1877.
57 Ivi.

58 L'Esposizione di Belle Arti. I, in " L'Adria " , 5 ottobre 1877.
59 "Lo spettabile Curatorio può essere sicuro che tutto il paese gli sarà grato della sua deliberazione, che arricchisce il patrio Museo di un insigne lavoro della statuaria moderna", cfr. L'Esposizione di Belle Arti. II, in "L'Adria", 16 ottobre 1877. Di Barcaglia lo stesso museo aveva già acquistato la Vergognosa, esposta alla rassegna triestina del 1873.
60 Cfr. B. Cuderi, L'impronta delle Biennali..., cit., 1995, p. 73.
61 L'esposizione al Museo Revoltella. II, in "L'Indipendente", 8 ottobre 1878.

62 N. Nix, Belle Arti. L'Esposizione al Museo Revoltella, in "L'Indipendente", 12 ottobre 1879.
63 Esposizione di Belle Arti, in "L'Indipendente ", 23 agosto 1882.

 

 

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