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Giuliana De Simone
Prevenzione e conservazione in biblioteca
Introduzione
Quale può essere il senso della presenza dell’intervento di un bibliotecario nel contesto di questo volume, che affronta i temi della conservazione e della prevenzione del materiale archivistico e librario in un’ottica prevalentemente tecnico-scientifica da parte dei maggiori esperti del settore? La domanda non è del tutto retorica, specie per quanto riguarda il mondo bibliotecario (il settore archivistico è sempre stato più attento alle tematiche conservative). L’ovvia risposta sta nella considerazione che, senza un bibliotecario che abbia consapevolezza, esperienza e competenza in questi temi, tutti gli studi e le ricerche più avanzate non avrebbero alla fine applicazione alcuna sul campo per mancanza della controparte. Quando si immagina il bibliotecario conservatore il pensiero quasi sempre va alla figura del responsabile dei fondi antichi, che sovrintende alla parte considerata più preziosa di una biblioteca, che coincide abitualmente con i manoscritti, gli incunaboli e le cinquecentine. Le competenze che gli sono richieste sono soprattutto bibliografico-catalografiche e in campo conservativo riguardano in modo particolare l’autorizzazione e le modalità di consultazione del patrimonio antico, l’adempimento delle formalità burocratiche in caso di prestiti per mostre, l’individuazione e preparazione del materiale da sottoporre a restauro e la compilazione (ma non è detto) delle relative schede di restauro. Sino a qualche anno fa la parola conservazione è stata costantemente letta come sinonimo di restauro. Questo ha comportato scarsissima se non nulla attenzione per gli aspetti preventivi che, se correttamente attuati e finanziati, potrebbero portare ad evitare o procrastinare l’intervento di restauro. Al restauro si dovrebbe ricorrere solo nei casi in cui non farlo metterebbe a rischio la sopravvivenza stessa del bene culturale. Il ricorso al restauro, quando non sia determinato da accadimenti indipendenti da incuria (alluvioni, terremoti, frane etc.), è l’ammissione di una sconfitta o per lo meno di una incapacità di attuare una corretta attività di tutela. Inoltre è molto diffusa la tendenza a concentrare l’attenzione sul materiale più antico che, essendo stato prodotto in modo artigianale e con materiali assai più robusti (carta fatta a mano, stampa col torchio manuale, illustrazioni e decorazioni con incisioni xilografiche e calcografiche, legature manufatte sull’esigenze dei singoli clienti, preziosi unicum), è di solito più durevole di quello contemporaneo e, se non ha subito vicende travagliate legate alla sua storia, è in condizioni migliori di un volume del primo Novecento, prodotto con carta acida e legature economiche e poco curate. La conservazione del materiale contemporaneo spesso viene trascurata anche da quelle istituzioni che hanno come compito specifico la sua conservazione (es. biblioteche depositarie della copia d’obbligo). Le funzioni di un bibliotecario conservatore dovrebbero essere molto più ampie e trasversali e soprattutto non dovrebbero limitarsi al materiale antico. Di seguito cercherò di delineare un percorso organizzativo, partendo dal concreto della mia realtà operativa, che è quella di una biblioteca statale1 di dimensioni medie, con compiti principalmente, ma non unicamente conservativi (caratterizzanti le Biblioteche statali)2, non dotata di laboratorio di restauro interno, che opera in una città di ca. 37.000 abitanti, capoluogo di una provincia con un panorama bibliotecario sul territorio piuttosto ricco e vivace, che ospita due sedi universitarie staccate di due diverse università (Trieste e Udine), ciascuna fornita di propria biblioteca ben funzionante. Il servizio di prevenzione e conservazione infatti, pur rifacendosi a principi metodologici univoci, non può che essere tagliato e confezionato, come un abito su misura, su una determinata realtà bibliotecaria, della quale è necessario conoscere storia, mission, caratteristiche edilizie, climatico-ambientali, impiantistiche, patrimoniali sia dal punto di vista bibliografico che bibliologico, organizzazione dei servizi, prassi e tradizioni organizzative del lavoro, tipologia e inclinazioni del personale e dell’utenza. Tutti questi fattori vanno ponderati come un insieme di componenti, sia interne che esterne, strettamente correlate e finalizzate a una gestione che porti alla massima soddisfazione degli utenti e a nessun danno o al minimo danno per le raccolte. In genere l’utente non tollera divieti e limitazioni di alcun genere alla sua libertà di consultazione e uso delle raccolte, essendo la sua ottica limitata all’hic et nunc delle sue necessità, né lo sfiora il pensiero che il resto dell’utenza presente e, soprattutto, futura ha gli stessi suoi diritti di fruizione. La posizione di centralità dell’utente nell’attuale concezione del servizio bibliotecario rendono l’azione di tutela più delicata e indirizzata a mettere in atto tutte le alternative possibili alla consultazione indiscriminata dell’originale ogniqualvolta le sue condizioni lo rendano sconsigliabile. Il punto di partenza, però, è che si prenda coscienza dell’indifferibilità che al bibliotecario conservatore si dia una formazione adeguata, un aggiornamento costante e che si riconosca, da parte di tutte le componenti della struttura bibliotecaria, una funzione di consulenza e di coordinamento sia interno che esterno, delle professionalità e delle competenze specialistiche nei vari settori.
Il modello organizzativo
Gli sviluppi tecnologici che hanno investito a partire dagli anni ‘80 gli istituti bibliotecari si uniscono ad una nuova idea di gestione, sempre meno legata a una struttura gerarchica dell’organizzazione, rigidamente compartimentata per funzioni tra loro separate e poco comunicanti (i tradizionali uffici: delle acquisizioni, della catalogazione, dei periodici, etc.), e sempre più prossima a uno stile di gestione connotato da flessibilità, dinamicità, efficienza ed efficacia (Gestire il cambiamento. Nuove metodologie per il management della biblioteca a cura di Giovanni Solimine. Milano, Bibliografica, 2003; Giovanni Di Domenico, Percorsi della qualità in biblioteca. Manziana, Vecchiarelli, 2002). Questo modello in qualche modo favorisce l’azione di prevenzione/conservazione, che non può che tagliare trasversalmente l’organizzazione: essa infatti gestisce e coordina attività che sono di competenza delle diverse funzioni, ma allo stesso tempo il suo sviluppo non appartiene a nessuna di esse, prescindendo dal tradizionale ordinamento gerarchico. Significativa è stata in questa prospettiva l’introduzione di SBN nelle Biblioteche statali (http://www.iccu.sbn.it), utilizzato per tutto il complesso iter non solo catalografico ma anche gestionale del materiale bibliografico, che ha portato ad uno stravolgimento organizzativo e ad una «trasparenza» della situazione del patrimonio bibliografico stesso, che costringe gli operatori ad una gestione efficiente e puntuale dei documenti e della loro situazione fisica, in una azione sinergica e collaborativa. L’indisponibilità per i più svariati motivi (perché mancante, perché deteriorato etc.), di un volume visibile in opac come «disponibile al prestito» o anche «per sola lettura» scatena inevitabilmente un vero e proprio conflitto con l’utenza, assolutamente da evitare. Stabilito il carattere di «pervasività» dell’attività di prevenzione/conservazione, cercherò di individuare quali sono gli snodi nevralgici dell’organizzazione bibliotecaria dai quali partire e sui quali agire, per cercare di attuare un’azione efficace di prevenzione che non si risolva solo nel «salviamo il salvabile» che sfocia inevitabilmente nell’attività di restauro, nel migliore dei casi, o nell’esclusione dalla consultazione in attesa di finanziamenti nel peggiore. Prima di affrontare l’argomento però, può essere utile ricordare quali sono gli articoli del Regolamento recante norme sulle biblioteche pubbliche statali (D.P.R. n. 417, del 5/7/1995), nei quali il legislatore dà indicazioni dirette o indirette, in merito alla prevenzione e alla conservazione. Dopo aver posto nel Titolo primo (le biblioteche pubbliche statali e i loro compiti) la conservazione a fondamento dei compiti delle biblioteche statali, affermando all’art. 2 (Compiti) che … le biblioteche pubbliche statali hanno i seguenti compiti: a) raccogliere e conservare la produzione editoriale italiana a livello nazionale e locale; b) conservare, accrescere e valorizzare le proprie raccolte storiche … ma anche d) … assicurare la circolazione dei documenti, affida nel Titolo secondo (ordinamento interno), agli art. 3 (Tutela del patrimonio) e 4 (Notifica delle sottrazioni) al direttore la tutela della biblioteca e del patrimonio in esso custodito e agli impiegati l’obbligo di informarlo tempestivamente su qualunque sottrazione, dispersione, disordine o danno di cui abbiano conoscenza diretta o indiretta. Seguono articoli che dettano regole minuziose sulla tenuta e sulla tipologia dei registri e dei cataloghi, specialmente del registro cronologico d’entrata, che rende i beni librari in esso iscritti beni immobili ai fini inventariali. Di conseguenza ogni smarrimento deve essere accuratamente annotato in apposito registro. L’art. 13 (Trattamento dei documenti), al comma 4. prescrive che il numero d’entrata deve essere iscritto alla fine del testo di ogni manoscritto o stampato, in modo da non danneggiare il documento e restare indelebile. Seguono norme sull’applicazione della collocazione, che tengono sempre presente l’istanza del rispetto dell’estetica. L’art. 14 (Indicazione di appartenenza) dà indicazioni su dove e come apporre il timbro di appartenenza e il comma 3. prescrive che Il tipo, il colore, le dimensioni e la posizione del timbro debbono essere tali da non pregiudicare l’estetica, la conservazione e l’uso del documento e dell’oggetto. L’art. 16 (Registrazioni del materiale sottoposto ad interventi di conservazione e restauro) in particolare detta indicazioni sui registri su cui annotare i documenti affidati per interventi finalizzati alla conservazione. L’art. 22 (Interventi di prevenzione, conservazione e tutela) si articola in due commi: 1. Per garantire la conservazione ottimale del patrimonio documentario vanno eseguiti controlli periodici sul medesimo e laddove le condizioni lo richiedano, si deve prontamente provvedere ai necessari interventi di prevenzione, conservazione e tutela; 2. Le operazioni di cui al comma precedente vanno effettuate con maggior frequenza quando le condizioni dei servizi lo consentano, in particolare nelle biblioteche e nei reparti dove, per l’ubicazione o per la natura del patrimonio documentario, o per altri motivi, sia maggiore l’accumulo di polvere o il pericolo di agenti dannosi. L’art. 23 (Revisioni) impone revisioni parziali periodiche del materiale, ma solo al fine di verificarne l’eventuale sparizione. 1. Devono essere eseguite periodicamente revisioni parziali del materiale documentario della biblioteca sulla scorta degli inventari. Nel Titolo terzo (apertura e chiusura) art. 28 (Chiusura per revisioni) il comma 1. prevede: Allo scopo di effettuare interventi di revisione e riordinamento, nonché di prevenzione, conservazione o restauro, il direttore della biblioteca può disporre la chiusura al pubblico dell’istituto per non più di due settimane nel corso dell’anno. L’art. 30 (Apertura e chiusura), recita al comma 3. Debbono essere comunque osservate le seguenti misure di prevenzione: a) tutti gli accessi alla biblioteca devono essere protetti da sistemi di sicurezza [non meglio precisati], in particolare quelli relativi ai locali in cui è custodito il materiale di pregio. Nel Titolo quarto (servizi al pubblico: lettura) l’art. 32 (Accesso e comportamento) recita, al comma 3. che In particolare è rigorosamente vietato: a) danneggiare, in qualsiasi modo, il patrimonio dell’istituto; b) far segni o scrivere, anche a matita, su libri e documenti della biblioteca … Inoltre all’art. 36 (Richiesta di documenti in lettura), comma 3. è detto che Il direttore della biblioteca può, in casi particolari, rifiutare la concessione in lettura di qualsiasi documento, motivandone le ragioni. 4. È vietata la consultazione di materiale documentario per il quale non siano state effettuate le operazioni prescritte dagli articoli 5, comma primo, 6, comma quarto, 8, comma secondo, 13, comma primo, e 14, comma primo, o che non si trovi in buono stato di conservazione. Elenco poi rapidamente altri articoli di interesse per l’argomento conservazione e prevenzione: Art. 37 (Consultazione di materiale manoscritto, raro o di pregio), comma 2. La consultazione e lo studio del materiale manoscritto, raro o di pregio devono avvenire, secondo le modalità stabilite nel regolamento interno di ciascun istituto, nelle sale appositamente riservate; ove sale speciali non esistano, la consultazione del materiale manoscritto, raro o di pregio dovrà avvenire in un sala di consultazione, a tal fine parzialmente destinata, comma 6. I manoscritti e i documenti rari o di pregio vengono dati in lettura uno per volta, salvo motivate esigenze di studio, comma 8. Il materiale manoscritto, raro o di pregio deve essere consultato con idonee e necessarie cautele per assicurarne la salvaguardia. In ogni caso l’utente deve effettuare la consultazione sui tavoli appositamente riservati e riconsegnare all’assistente il documento avuto in lettura ogni volta che si allontani dalla sala anche per breve tempo. Art. 38 (Consultazione di documenti riprodotti) 1. Al fine di tutelare il patrimonio documentario, qualora la biblioteca disponga di una riproduzione, su qualsiasi supporto, del documento richiesto, questa deve essere data in lettura in sostituzione dell’originale, a meno che l’utente non dimostri la reale necessità di servirsi dell’originale medesimo. Titolo ottavo (servizi al pubblico: riproduzioni) Art . 46 (Tutela del materiale) 1. È cura dell’incaricato dalla direzione della biblioteca, dopo avere accertato che lo stato di conservazione lo consente, controllare che il tipo di riproduzione sia adatto al materiale specifico trattato e che l’intero procedimento sia attuato con le dovute cautele onde evitare deterioramenti agli esemplari per i quali è stata richiesta la riproduzione. 2. Qualora la biblioteca sia in possesso del negativo o di altro supporto riproducibile la riproduzione richiesta viene tratta dal medesimo. Art. 49 (Riproduzioni di cimeli e interi fondi) 1. L’autorizzazione alla riproduzione di cimeli, nonché di interi fondi, di parti di fondi o di serie di documenti omogenei, per qualsiasi motivo venga richiesta, è concessa dal Ministero, sentito il parere del competente comitato di settore. 2. La richiesta ... è inoltrata, con motivato parere, al Ministero dal direttore della biblioteca, il quale deve, inoltre, fornire le seguenti indicazioni: ... b) se lo stato di conservazione dell’esemplare consente la riproduzione, ove questa non sia già posseduta dalla biblioteca, o, anche se posseduta, non sia utilizzabile per lo scopo richiesto. Titolo nono (servizi al pubblico: prestito) Art. 54 (Oggetto del servizio) 2. È di regola escluso dal prestito in originale il materiale: a) sottoposto a vincoli giuridici; b) soggetto a particolari tecniche di protezione; c) in precario stato di conservazione; d) periodico, sia in fascicoli sciolti che rilegato; e) miscellaneo legato in volume; f) di consultazione generale, ivi compresi i dizionari, le enciclopedie, i repertori catalografici e bibliografici, o considerato di rilevanza bibliografica in rapporto alla specificità ed integrità delle raccolte. 3. Il prestito di manoscritti e del materiale raro o di pregio si attua esclusivamente tra biblioteche e nel rispetto delle norme di tutela. Per i manoscritti, in particolare, è obbligatorio osservare tutte le norme previste per la loro consultazione. Art. 56 (Garanzie a tutela del materiale) 1. L’addetto al prestito deve controllare l’integrità, lo stato di conservazione del documento e le particolarità di rilevante interesse dell’esemplare, nonché eventuali allegati. Tali elementi, unitamente alle mancanze ed ai guasti eventualmente riscontrati che non incidano sulla conservazione del documento richiesto e ne consentano quindi il prestito, vanno fatti rilevare agli utenti individuali ed alle biblioteche e sono, comunque, annotati sui rispettivi moduli ... Come si può vedere tutto l’impianto regolamentare è attento soprattutto all’aspetto patrimoniale, alla prevenzione di sottrazioni e furti e al controllo dell’eventuale danno ex post. Solo l’art. 22 è dedicato agli interventi di prevenzione, conservazione e tutela e anche qui non si va oltre a controlli periodici, prevedendo il ricorso ai necessari interventi di prevenzione, conservazione e tutela solo laddove le condizioni lo richiedano, come se l’azione preventiva non fosse una costante, da esercitare sempre e comunque. Nessun accenno ad attrezzature per il monitoraggio termoigrometrico (termoigrografi, data logger etc.), per il controllo dell’inquinamento e il filtraggio dell’aria, ad eventuali impianti di condizionamento o climatizzazione, ma solo un generico accenno a dispositivi di sicurezza. Dunque, se per l’allestimento dei cataloghi e per gli standard di catalogazione da adottare si danno indicazioni precise, viene lasciata alla sensibilità e discrezionalità dei singoli direttori la scelta dei mezzi e dei metodi da impiegare per garantire l’attuazione di quello che dovrebbe essere invece uno dei compiti fondamentali: conservare e tutelare. Vi sono delle circolari (cito senza pretesa di esaustività) come quella dell’allora Ministero della Pubblica istruzione, Direzione generale delle accademie e biblioteche e per la diffusione della cultura, datata 23 marzo 1973, sull’uso di prodotti insetticidi in cui si danno indicazioni su misure di prevenzione quali spolveratura periodica, controllo dei valori termoigrometrici, controllo dei materiali impiegati nel restauro e nella legatura dei libri; la circolare del Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni librari e gli istituti culturali del 20 febbraio 1992 sulla disinfezione e/o disinfestazione di materiale librario, ma la maggioranza di esse riguarda esclusivamente il restauro del materiale bibliografico raro e di pregio e la fotoriproduzione (per una panoramica completa delle circolari cfr. Beni culturali e prassi della tutela: circolari ministeriali 1975-1990. Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio Studi, a cura di Vincenzo Cazzato. Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, 1992; Beni culturali e prassi della tutela: circolari ministeriali 1991-98. Ministero per i beni e le attività culturali, Ufficio studi e osservatorio dello spettacolo, a cura di Vincenzo Cazzato. Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, 2002). Come organizzare allora un vero e proprio servizio di prevenzione e conservazione? Un possibile schema di partenza è l’«albero dei processi» (fig. 1) proposto in: Applicare la norma UNI EN ISO 9001:2000 nelle biblioteche. Milano, UNI, 2002, p. 19, figura 2, che riassume i principali processi per la realizzazione dei servizi di una biblioteca. In questo grafico manca completamente l’aspetto edilizio, come se l’attivazione e lo svolgimento di determinati servizi non fosse anche legata e condizionata dal loro contenitore e la sua corretta gestione non fosse anch’essa un processo. Nel pianificare una buona azione di prevenzione non può mancare un’analisi dell’edificio che ospita la biblioteca al fine di determinarne i punti critici. Nel caso dell’Isontina l’edificio, nato con altre funzioni e scopi, si articola su tre corpi. I muri sono realizzati con blocchi di pietra che si presentano con diverso spessore (da 40 a 80 cm.). I depositi librari (la biblioteca è strutturata a scaffale chiuso) sono ubicati su ogni piano dell’edificio, dal pianterreno alla soffitta, con tutte le problematiche che ne conseguono. Un piccolo deposito è situato anche nel piano interrato. Il monitoraggio termoigrometrico è svolto da una ventina di data logger (scala di misura da -40° a +85° C, UR da 0 a 100%, programmati a 22 giorni con rilevazioni ogni 10 minuti, con sensore interno per temperatura e umidità del tipo T-TEC 6-1C fornito da La Filotecnica SRL di Milano, programmabile tramite software Windows) posizionati nei vari ambienti mediante supporti che ne consentono una collocazione fissa alle pareti. Le rilevazioni hanno evidenziato condizioni di umidità e temperatura molto diverse da un ambiente all’altro, pur rimanendo nei limiti delle cosiddette fasce di benessere, con sbalzi nell’arco della giornata e delle stagioni superiori ai limiti considerati ottimali. Sarebbe utile poter monitorare anche il microclima all’interno delle scaffalature del tipo compactus fornito da LIPS VAGO. L’attività di monitoraggio, di controllo degli ambienti e della eventuale presenza di insetti (tramite il posizionamento di trappole entomologiche) e roditori, di flora microbatterica o fungina è di difficile collocazione nello schema proposto nella figura 1. Certamente le figure professionali dell’addetto al prestito e alle funzioni di custodia sono quelle che più di ogni altra frequentano i magazzini, ma lo fanno nel quadro di una attività avente finalità diverse, né tutto il materiale viene movimentato per le esigenze dell’utenza. L’uso, purché oculato, del materiale è anche garanzia della sua buona conservazione, perché ne viene effettuato un esame, se pur sommario, dello stato di conservazione. Sarebbe dunque utile istituire, in momenti prefissati dell’anno e del mese, in primavera soprattutto, ricognizioni periodiche3 nei vari depositi, per esaminare lo stato degli scaffali, dei pavimenti, delle murature, degli infissi e di una campionatura di volumi, specialmente di quelli con circolazione scarsa o nulla (oggi facilmente rilevabile con la gestione automatizzata delle collezioni), sui quali riscontrare la presenza di muffe, attacchi fungini, insetti o danni da roditore, stoccaggi sbagliati. Questo tipo di esame dovrebbe rientrare nelle attività istituzionali, come l’inventariazione, la catalogazione etc. La redazione puntuale di un resoconto consentirebbe di ricostruire in ogni momento una sorta di anamnesi di ogni deposito e di osservare gli effetti dell’interazione tra manufatto e ambiente. Altrettanto consuetudinaria dovrebbe essere la programmazione di spolveratura da attuarsi periodicamente, limitata solo all’esterno dei volumi oppure estesa all’interno di essi, e a diversi livelli di accuratezza, riservando quella unicamente manuale, sotto cappa aspirante o su tavolo aspirante, al materiale più prezioso o a quello più deteriorato, e quella supportata dall’ausilio di macchine apposite al materiale moderno e integro. Anche la pulizia periodica dei depositi è fondamentale per una buona attività di prevenzione, con l’uso di attrezzature con filtri e impiegando prodotti idonei. Meno abituale e riservato a fondi particolari potrebbe essere il censimento sistematico dello stato di conservazione di materiale librario, attuato su lotti omogenei per tipologia o epoca (le cinquecentine oppure i periodici etc.). La registrazione dei dati rilevati potrebbe venir inserita direttamente in SBN, nei campi che pacchetti gestionali come Sebina Indice riservano allo stato del materiale e alla proposta di restauro, rendendo così più facile la programmazione degli interventi opportuni. Assegnando un codice di gradazione del danno si riuscirebbe anche a istituire una scala di priorità nella scelta del materiale, che è poi il problema più assillante che il bibliotecario conservatore di solito si trova a dover affrontare. Alcuni progetti (cfr. a titolo esemplicativo quello curato da Gisella Marco Landolfi, Il CercaGuasti, in: Biblioteche oggi, gen/feb. 2006, p. 33-39, oppure il Progetto SALVARE della Biblioteca Casanatense o quello finanziato dalla Regione Lazio alla Biblioteca Lancisiana, che utilizza la tecnologia RFID) cercano di creare database in grado di predisporre meccanicamente i volumi danneggiati in una scala di precedenza di intervento oggettiva. Varrebbe la pena però a mio avviso sfruttare anche per questa attività SBN, magari implementando aree più ampie e articolate per la descrizione della legatura o dei restauri da effettuare o già attuati. Accenno qui soltanto all’altro problema cruciale legato alla valutazione di merito su quello che per una determinata istituzione è materiale da privilegiare nei progetti di restauro, su cosa sia da considerare materiale di supporto allo studio, con valore meramente strumentale, e su cosa costituisca il patrimonio irrinunciabile e prezioso dell’ente. A questo tema si ricollega il problema delle motivazioni del restauro e dei diversi modi e livelli di intervento sul bene. È un discorso complesso, in cui entrano in gioco componenti legate alla realtà locale e alla situazione generale a livello nazionale e internazionale e che esula dal contesto del presente intervento. Una seconda fase fondamentale per la vita di un documento è il momento del suo ingresso in biblioteca (approvvigionamento, acquisto dei materiali documentari). Nel caso di volumi contemporanei è importante predisporre da subito eventuali custodie o contenitori in materiale durevole per la conservazione e della giusta misura per volumi che presentino dimensioni particolari, caratteristiche editoriali della coperta o delle carte tali da sconsigliare uno stoccaggio senza condizionamento. La stessa scelta del tipo di circolazione (trattamento fisico-gestionale) e delle modalità di consultazione, che avviene di solito in questa fase, sarà fondamentale per il futuro dell’integrità del libro. In questo secondo caso, al di là della scelta dettata dall’aspetto esteriore del volume, entra in gioco anche la sensibilità e il fiuto del bibliotecario nel cogliere la potenziale rarità e pregio dell’oggetto che sta trattando, riservandogli da subito un trattamento di riguardo. L’arrivo di materiale antico o di modernariato pone problematiche diverse e più complesse. In linea di massima è consigliabile trattenere per un certo lasso di tempo il materiale in aree della biblioteca separate dal rimanente materiale, per verificare l’assenza di infestazioni o infezioni in atto e per programmare eventuali spolverature, condizionamenti o restauri. Sarebbe auspicabile inserire nelle raccolte materiale che non presenti già all’inizio problematiche destinate ad aggravarsi nel tempo se non trattate tempestivamente. Un discorso a parte merita la conservazione del materiale periodico e in particolare dei giornali. Manca allo stato attuale un’emeroteca nazionale che si faccia carico della conservazione di almeno un esemplare di tutti i quotidiani che ogni giorno vengono stampati in Italia, che, proprio per la loro finalità di materiale destinato a durare per un giorno solo, sono stampati su carta estremamente degradabile e che facilmente deperisce. Inoltre proprio il grande numero di copie stampate paradossalmente è causa di scarsa conservazione (di 7-800.000 copie prodotte solo poche decine vengono conservate). Conservare tutto il materiale seriale comporta oneri enormi, in termini di impegno di spesa e in termini di spazio. Gestire in modo corretto i seriali è indubbiamente più problematico del materiale monografico. Lo spezzettamento in più unità fisiche, il frequente cambio di formato e di veste grafica che caratterizza questo tipo di materiale, la presenza molto spesso di supplementi o allegati di ogni tipo e su ogni supporto sono solo alcune delle variegate problematiche. L’uso di rilegare i fascicoli a scapito spesso dei dorsi e del tipo di legatura, nei casi migliori, o di intere coperte nei peggiori, è stato giustificato con la necessità di garantire l’integrità della raccolta. Oggi si tende a rispettare la natura segmentata del periodico, ricorrendo a contenitori o, per i giornali, all’inserimento in buste di polietilene sotto vuoto. Per chi volesse comunque ricorrere alla legatoria, è bene si attenga a norme univoche e rispettose, per quanto possibile, del bene, evitando rifilature dei margini e eliminazione delle coperte originali. Un ulteriore problema è costituito dal fatto che l’intervento di rilegatura o condizionamento può aver luogo solo al completamento dell’annata del periodico, che spesso e per i più svariati motivi avviene in momenti anche molto distanti dal quello dell’accessionamento del primo fascicolo. Per quanto riguarda l’acquisto di strumenti e di attrezzature, è importante ricordare che scaffalature e contenitori in genere per i diversi supporti devono rispondere a ben precisi requisiti tali da non danneggiare il materiale e non favorire infestazioni di insetti e formazioni di microclimi dannosi o condensa. Lo stesso vale per la scelta del tipo di illuminazione artificiale e la schermatura delle fonti di luce naturale, sia mediante l’applicazione di pellicole filtranti direttamente sui vetri sia mediante l’uso di schermature più tradizionali, per ovviare al fotodeterioramento. Occorre inoltre dotarsi di strumenti quali luxmetro, uvmetro, acquaboy, psicrometro per poter sempre valutare lo stato del materiale e degli ambienti. In quest’area di attività rientra anche l’acquisto di attrezzature per la consultazione delle copie su altri supporti e la loro manutezione. Anche il posizionamento delle scaffalature è cruciale per la buona conservazione del materiale bibliografico. Sui dispositivi di sicurezza mi limito solo a ricordare l’importanza di sistemi di prevenzione di furti e incendi e di strumentazioni di telesorveglianza. Il trattamento catalografico ormai in tutte le biblioteche è di alto livello, per cui è quasi superfluo accennare al fatto che una descrizione accurata evita inutili movimentazioni e stress da trasporto e usura. L’unica osservazione che vorrei fare su questo argomento è che, mentre per l’antico la descrizione bibliologica dell’esemplare in SBN costituisce parte integrate della descrizione, anche se residente solo in polo, per il moderno non è previsto nulla di simile. Riservare qualche parola alla descrizione di coperte o sovraccoperte editoriali, a particolarità della veste grafica, al materiale illustrativo, ai dati d’esemplare finirebbe con il costituire un serbatoio di notizie estremamente utile al bibliofilo del presente e, soprattutto, del futuro. Il materiale di epoca moderna, prodotto del processo industriale, a parte l’editoria di pregio che costituisce una fetta estremamente ridotta della produzione, presenta componenti strutturali ed estetiche meno preziose dell’antico ma non meno significative (fotografie, colori, opere di grafica). Ogni elemento che ne fa parte ha uno scopo e veicola determinate informazioni anche di carattere bibliografico. Il materiale moderno negli anni diventerà (almeno questo è l’auspicio) antico e porsi sin d’ora in quest’ottica risparmierebbe agli studiosi del futuro molte faticose ricerche. L’annotazione poi di eventuali lacune o danni già presenti nei volumi eviterebbe all’utente richieste inutili. Infine va attuato un controllo delle operazioni di timbratura, apposizione di cartellini, apposizione di strisce antitaccheggio, microchips o codici a barre, che devono sempre rispettare l’oggetto libro e la sua estetica. In particolare adesivi e inchiostri impiegati devono rispondere a determinati requisiti di idoneità alla conservazione. Un altro momento delicato nell’attività di prevenzione/conservazione è l’erogazione/fruizione. Per questo punto possiamo fare riferimento al grafico riprodotto in fig. 2 Esempio di processi (semplificati). Le attività dalla ricerca in catalogo all’erogazione del prestito (da Piero Cavalieri, Catry Ostinelli, Controllo di gestione in biblioteca tra efficacia ed efficienza, fig. 5, p. 132 in: La Qualità nel sistema biblioteca a cura di Ornella Foglieni, Milano, Bibliografica, 2001). Il grafico è incentrato sulla fruizione. Il servizio manutenzione collezioni rimane sospeso e senza legami con l’utente. A mio avviso compito del Bibliotecario conservatore è il riuscire a creare una cultura della conservazione che riesca a coinvolgere non solo il personale interno, ma anche il lettore, rendendolo attore consapevole e partecipe di un progetto collettivo. Il bibliotecario conservatore deve essere soprattutto un educatore, senza diventare noioso o pedante, anche se il controllo della movimentazione e dello stoccaggio, il controllo dei documenti che vanno e che rientrano dal prestito (causa spesso di perdite, furti, danneggiamenti) e dell’attività di reprografia costituiscono il punto dolente di ogni istituzione bibliotecaria. Spiegare che non si sfoglia umettandosi le dita con la saliva, né con le mani sporche, che non si mangia o beve né si appoggia alcunché sopra le pagine (non è raro vedere utenti che appoggiano il computer portatile sopra le pagine aperte della raccolta di quotidiani che stanno consultando), non si sottolinea né si evidenzia, non si lasciano i libri esposti alla luce del sole o ad altre fonti di calore, che non si preleva un volume dallo scaffale tirandolo per la cuffia, non è affatto operazione superflua. Disporre di guanti di filo o lattice per consultare manoscritti, pergamene e in genere ogni libro raro e di pregio, e di appositi leggii per evitare l’apertura a 180° di legature fragili sono solo alcuni degli accorgimenti che si dovrebbero porre in essere. Riproduzioni su microfilm o digitali per tutelare gli originali, condotte con scrupolo filologico e rispetto dell’originale possono risolvere molti problemi legati alla fruizione di materiale raro o fragile, che risulti di frequente consultazione. A questo proposito ricordo che riproduzioni a scopo conservativo e riproduzioni con finalità di valorizzazione partono da premesse valutative diverse, anche se poi lo scopo che si prefiggono finisce per coincidere (valorizzare equivale a tutelare). Accenno solo al fatto che le riproduzioni presentano lo stesso problema conservativo degli originali, ancorché non siano da considerare bene culturale in senso stretto. Va quindi messa in conto anche per esse un’idonea attività di prevenzione e conservazione. Un altro aspetto della fruizione è la valorizzazione mediante l’organizzazione o la partecipazione a mostre. Se da un lato la valorizzazione pone le migliori premesse per la tutela del materiale, il controllo delle opere in prestito per mostre deve essere attento e puntuale, a partire dalla valutazione dello stato di conservazione del bene richiesto, alla predisposizione di adeguate misure per assicurarne un trasporto che risulti privo di traumi, alla richiesta di precise garanzie circa il rispetto di parametri ambientali idonei, che dovrebbero discostarsi il meno possibile da quelli in cui il bene è abitualmente conservato, circa i dispositivi di sicurezza contro i furti, gli incendi o gli atti di vandalismo. Forse il modo migliore per valorizzare un bene come quello librario, destinato ad essere sfogliato e consultato più che guardato, è la compilazione di cataloghi, lo studio di fondi particolari, la predisposizione di guide, la riproduzione facsimilare, ancorché costosissima, o quella anastatica. Il compito che richiede la maggior competenza e preparazione è la compilazione delle schede di progettazione di restauro seguendo il modello emanato dal Ministro per i beni e le attività culturali. Oggi si parla di intervento minimo, di piccolo restauro, di restauro non invasivo per evidenziare il rispetto con cui ci si deve avvicinare al libro, antico o moderno che sia, al fine di alterarne il meno possibile gli elementi che lo connotano. Il bibliotecario vorrebbe vedersi restituire dopo il restauro un oggetto che sia esattamente quello che ha consegnato, risanato dalle sue malattie, ma non trasformato come dopo un intervento di chirurgia plastica. Non è la ricerca di un rinnovamento estetico ma lo sforzo di prolungare la vita del bene quello che rende indifferibile l’intervento. E non di rado il salvataggio di una componente avrà come conseguenza la perdita di un’altra, creando al bibliotecario l’ingrato compito di valutare quale sia più opportuno salvaguardare. Credo che tutti i bibliotecari abbiano provato un senso di disagio e di insoddisfazione di fronte a interventi troppo radicali, e quasi di rimpianto per il manufatto che non c’è più. Solo nei casi più disperati, quando il rifacimento della coperta salverà miniature preziose o, al contrario il consolidamento delle carte consentirà la corretta conservazione anche della coperta, si ricorrerà al restauro totale, recuperando tutto quello che è recuperabile senza pregiudizio per la conservazione e documentando accuratamente, con fotografie e resoconti, tutto l’iter dell’intervento. Il restauro diventa così momento di conoscenza e di studio di antiche o moderne tecniche. La scheda documenterà accuratamente lo stato del bene prima dell’intervento, anche mediante fotografie, mentre sarà compito del restauratore registrare le varie fasi del lavoro, insistendo, anche con la documentazione fotografica, sulle particolarità più interessanti e sul risultato finale. In dettaglio devono essere riportati i valori di pH riscontrati, i materiali (caratteristiche e composizione di adesivi e collanti, tipologia e grammatura delle carte impiegate per il consolidamento e il risarcimento delle lacune, metodo di deacidificazione seguito, l’origine animale delle pelli e il tipo di concia impiegato, etc.), di modo che sarà possibile verificarne l’evoluzione conservativa nel tempo in rapporto ai parametri ambientali di conservazione. La scheda dovrebbe prevedere solo interventi e metodiche accettate da protocolli approvati a livello internazionale e dovrebbe fare riferimento a specifiche approvate a livello nazionale, costantemente aggiornate agli ultimi esiti della ricerca scientifica. Attualmente le specifiche a disposizione sono quelle del 1992 (Restauro dei libri antichi. Specifiche di intervento a cura di Gisella Guasti e Rossana Rotili. Istituto centrale per la patologia del libro; Biblioteca nazionale centrale di Firenze) per le biblioteche e del 2000 (Prescrizioni tecniche relative ai lavori di restauro e legatoria di beni archivistici a cura di Cecilia Prosperi ed Eugenio Tonetti) per gli archivi. Questi documenti sono stati ripubblicati nel 2003 in Cabnewsletter, n.s., lug./dic. 2003, n. 4/6, con l’aggiunta di una parte, a cura di Gisella Guasti e Alessandro Sidoti, riguardante il Restauro del libro con smontaggio. Capitolato tecnico. Biblioteca nazionale centrale di Firenze. Tutta la materia è oggi in fase di revisione e a breve, probabilmente già nel corso del 2007, dovrebbero essere pubblicate nuove specifiche che recepiscano e diano indicazioni in merito ai nuovi materiali, alle metodiche e alle sostanze che la ricerca ha messo a disposizione dei restauratori in questi anni. Un accenno, in fine, va fatto all’elaborazione di piani di salvataggio del materiale in caso di calamità naturali, concepiti in connessione e a lato di quello predisposto per l’evacuazione degli utenti e del personale. La circolare n. 132 del 18 ottobre 2004 (prot. 698, 0100122/2) del Dipartimento per la ricerca, l’innovazione e l’organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, ha ribadito che al fine di garantire la tutela e la conservazione del patrimonio culturale, nonché l’incolumità delle persone a vario titolo presenti, i responsabili delle attività svolte in aree e/o edifici tutelati o contenenti beni culturali, così come definiti del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 41 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), devono predisporre un piano di emergenza che tenga conto, in modo unitario, di tutti gli aspetti connessi alla sicurezza del patrimonio culturale (sicurezza ambientale, strutturale, antropica, in caso d’incendio, nell’uso) e delle loro reciproche interferenze. Per le attività rientranti nell’ambito di applicazione del D.M. 20 maggio 1992, n. 569 (Regolamento concernente norme di sicurezza antincendio per gli edifici storici e artistici destinati a musei, gallerie, esposizioni e mostre) e del D.P.R. 30 giugno 1995, n. 418 (Regolamento concernente norme di sicurezza antincendio per gli edifici di interesse storico-artistico destinati a biblioteche e archivi), il piano di emergenza include anche gli specifici documenti espressamente previsti rispettivamente dall’art. 11 e dall’art. 10 dei predetti decreti. Tra gli elementi essenziali che il piano di emergenza deve contenere (Allegato 1) sono previsti i dati sulla tipologia, consistenza e distribuzione dei beni presenti, nonché le eventuali priorità di messa in sicurezza; ... l’individuazione del luogo di ricovero, anche solo temporaneo, dei beni rimossi in caso di emergenza ... Inoltre al punto h) impone l’individuazione degli scenari emergenziali che non dovranno essere generici, ma specifici nel contesto a cui si riferiscono... In estrema sintesi per la Biblioteca Statale Isontina si è provveduto ad identificare quali sono i documenti cui deve essere data la precedenza in caso di evento dannoso che coinvolga l’edificio nel suo complesso, nel caso di evento disastroso nel quale gli effetti si verifichino a partire dal pianterreno (alluvione, esondazione etc.) o a partire dal tetto (tromba d’aria, uragano etc.). Per ogni situazione è stato individuato il materiale da porre in salvo, e, in caso di danno già avvenuto, la procedura da seguire per tipologia di deterioramento, segnalando i recapiti telefonici di ditte e laboratori di riferimento nell’emergenza. Un utile strumento si è rivelato il disco SOS. Emergenza beni culturali, realizzato dalla National Task Force on Emergency Response statunitense e tradotto in italiano dalla Regione Lombardia e dall’Archivio di stato di Milano. In particolare esso va utilizzato nelle prime 48 ore dell’emergenza.
Conclusioni
L’esaurirsi della spinta innovativa legata all’automazione ha riportato l’attenzione sul tema della conservazione e della sua possibile interazione con temi quali l’automazione e la cooperazione soprattutto a partire dalla seconda conferenza per i beni culturali e ambientali tenutasi a Spoleto nel 1999 (11-13 ottobre, Rocca Albornoziana), che ha avuto per tema La conservazione dei beni librari in Italia, e successivamente da altri incontri, come la serie di convegni su Conservare il Novecento tenutisi annualmente a Ferrara nell’ambito del Salone del restauro a partire dal 2000, che hanno avuto il merito di focalizzare l’attenzione sulla conservazione del materiale novecentesco, spesso trascurato. Si sono poi moltiplicati i seminari e i corsi sulla tematica della prevenzione e della conservazione organizzati da varie istituzioni e a vari livelli in tutt’Italia (una per tutti: la giornata dedicata al bibliotecario conservatore, a cura della Commissione libro antico dell’Associazione italiana biblioteche, nell’ambito del 53. Congresso nazionale AIB, svoltosi a Roma dal 18 al 20 ottobre 2006) e iniziative molto interessanti come ad esempio Il Rilegalibro, ideato dal Gruppo di lavoro per la conservazione del Sistema Bibliotecario di Ateneo dell’Università di Padova, consultabile on line (http://www.cab.unipd.it), che illustra le problematiche relative alla rilegatura, le criticità più frequenti e le possibili soluzioni, il tutto corredato da immagini esplicative. Tuttavia l’evoluzione di tecnologie sempre più sofisticate di riproduzione hanno nuovamente spostato il focus dalle tematiche conservative su problematiche quali la digitalizzazione, la disponibilità su Internet di una quantità sempre maggiore di immagini e testi, allo scopo di far circolare sempre più in modo virtuale non solo il messaggio che il libro veicola, ma anche l’oggetto libro stesso. Nondimeno digitalizzazione, restauri virtuali e OPAC non possono far dimenticare che il bene intorno cui ruota tutto questo apparato è il bene bibliografico nella sua concretezza, su qualsiasi supporto esso sia stato creato, e che quindi l’attività di conservazione e prevenzione non vengono meno dopo che il testo sia stato catalogato e reso visibile in un OPAC né tantomeno quando esso sia stato eventualmente digitalizzato. Testo e documento come bene materiale sono e restano due entità diverse, se pure interconessi in un rapporto del tutto particolare di reciproco influsso. La conservazione non è una scienza ma un insieme di discipline, di cultura e di esperienza. Le attività di conservazione/tutela e prevenzione sono costose, richiedono investimenti cospicui di denaro, di professionalità, di tempo e energie. Purtroppo questi investimenti non ci sono. Pensiamo solo alla problematica del trattamento conservativo di tutti quei volumi stampati nella prima parte del Novecento su carta acida, che stanno finendo in briciole e si perderanno, se non saranno presto sottoposti a deacidificazione preventiva. Ma più banalmente l’acquisto di contenitori idonei o l’attività periodica di spolveratura sono a rischio in un regime di ridotta disponibilità economica. L’attività di prevenzione è quella che, se correttamente attuata, non si vede, ma se non attuata, fa sentire pesantemente la sua assenza. In conclusione, ritengo che concretamente l’azione del conservatore riesce a condizionare solo alcune delle attività elencate. La molteplicità dei campi di intervento fa sì che, allo stato attuale, egli riesca a influire solo su una piccola parte dell’azione di conservazione e prevenzione e anche quando operi in situazioni ottimali ha sempre la sensazione di svuotare il mare con il secchiello. Tuttavia non bisogna smettere di lavorare su questa strada, che è l’unica percorribile per chi abbia a cuore il futuro del nostro patrimonio librario.
Note 1 La Biblioteca statale isontina si fonda sulla raccolta libraria del collegio dei Gesuiti (1615 - 1773). Dopo la soppressione dell’ordine i compiti educativi e il patrimonio librario passarono ai Padri Piaristi (1780 - 1810). Dopo aver subito gravi danni durante l’occupazione francese del 1810, con la restaurazione asburgica la biblioteca divenne una delle sei biblioteche degli studi della Monarchia austriaca (1822) e fu aperta al pubblico nel 1825, conservando sino al 1914 il nome e le funzioni di Biblioteca regionale del Litorale (Venezia Giulia). Alla fine della guerra, nel 1919, si costituì la nuova Biblioteca di Stato, che nel 1925 prese il nome di Governativa e riunì nella stessa sede anche la Biblioteca Civica e la Biblioteca e Archivio provinciale. Nel 1941 la Biblioteca Provinciale tornò all’amministrazione di appartenenza, mentre la Biblioteca Civica (fondata nel 1888 in funzione antiaustriaca, dal Comune di Gorizia e aperta al pubblico nel 1893) mantenne l’unione con la Statale con un patrimonio di 60835 volumi (alla fine del 2005) tra cui 290 pergamene dal 1316 al 1701, 340 manoscritti più quelli afferenti al Fondo Carlo Michelstaedter. La Seconda guerra mondiale e le successive occupazioni militari tedesca, jugoslava e angloamericana provocarono nuovi ingenti danni all’Istituto e alle sue raccolte. Dal 1967 ha assunto la denominazione di Statale Isontina con un patrimonio librario (fine del 2005) di 242.340 fra volumi e opuscoli (31 incunaboli, 612 edizioni del Cinquecento), 3.272 periodici (di cui 873 correnti), 133 manoscritti, 747 tra carte geografiche, stampe, incisioni, disegni e fotografie, 1.181 microfiches e microfilm, 453 cd rom e dvd. Il seicentesco Palazzo Werdenberg che la ospita si colloca, dal punto di vista storico-artistico, tra gli edifici di carattere monumentale. Si presenta con una facciata trafilata da sequenze serrate di finestre su via Mameli, mentre il lato sul Corso Verdi è caratterizzato da porticati a tre ordini di logge prospicienti il cortile interno. Altri segni distintivi sono gli archi a volta, presenti in alcuni locali e cantine, del pianoterra e del primo piano, e le logge, cui fanno da contorno due giardini, uno dei quali cita l’antico orto botanico dell’i.r. Ginnasio austriaco. Tra la fine del 1988 e il marzo 1995 l’edificio ha subito un completo rinnovamento grazie ad una serie imponente di interventi edilizi e impiantistici.2 Non tutte le biblioteche sono tenute e conservare, tutelando contemporaneamente il libro come bene materiale. Nelle biblioteche di pubblica lettura o di facoltà, dove il libro è oggetto di uso e di consumo, deve essere rilegato per farlo durare finché serve, poi può essere sostituito.3 Sembra andare in questa direzione il Modulo di rilevamento delle condizioni di conservazione nei locali destinati ad ospitare materiale librario e documentario, che, mentre il volume era in corso di stampa, è stato inviato con data 17 gennaio 2007 dal Segretariato generale, area archivi e biblioteche, del Ministero per i beni e le attività culturali, alla Direzione generale per i beni librari e alla Direzione generale per i beni archivistici del Ministero, ai direttori di ICPL e CFLR e per conoscenza ai direttori di biblioteche e archivi statali, con il suggerimento di trasformarlo in formato data base e la richiesta di testarne l’applicabilità. Elaborato dal gruppo di lavoro per il monitoraggio dei depositi librari e documentari, appositamente costituitosi in seno all’ex Dipartimento per i beni archivistici e librari, Servizio II, il modulo, strutturato in forma di questionario, da aggiornare periodicamente, «è finalizzato all’accertamento periodico delle condizioni generali dei locali che ospitano le collezioni librarie e documentarie ai fini dell’identificazione dei rischi presenti e potenziali. Il suo utilizzo consentirà di avere un quadro generale della situazione in un certo arco di tempo, definire quali azioni preventive del degrado mettere in atto, valutarne l’urgenza, in modo da poter graduare efficacemente gli interventi, programmare gli eventuali interventi di manutenzione e conservazione, programmare gli eventuali interventi di restauro.»Il modulo è una sorta di anagrafica del singolo deposito, di cui registra l’ubicazione, la metratura e la cubatura, la tipologia prevalente dei materiali contenuti, i metri lineari di palchetti. Si articola in quattro parti. Nella prima vanno registrate le condizioni ambientali (temperatura, umidità relativa, condizioni di muri, pavimenti, infissi etc.), presenza di sistemi di aerazione, deumidificazione, umidificazione, condizionamento/riscaldamento, condizioni di illuminazione naturale e artificiale. Nella seconda parte si descrivono le condizioni del materiale, il grado di pulizia, precedenti attività di disinfestazione, presenza di insetti, roditori o altri infestanti, alterazioni di probabile natura microbiologica, danni di natura meccanica, fisica e chimica, volumi e altri materiali in disordine o fuori posto etc. Nella terza parte si descrivono la tipologia e le condizioni complessive dell’arredo, la sua disposizione. Nella quarta parte si descrive la strumentazione usata per movimentare il materiale. Infine un ultimo foglio annota le Priorità da affrontare e problematiche rilevate riassunte nei seguenti punti: pulizia, disinfestazione, restauro, arredi, collocazione dei documenti, strumenti per la movimentazione. È importante che finalmente a livello istituzionale si cominci a fare qualcosa sulla strada della prevenzione, purché alle rilevazioni facciano seguito stanziamenti adeguati per dar corso ai rimedi che si rendessero necessari.
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Raccomandazioni per la tutela. A cura di Ornella Foglieni. Milano, Regione Lombardia, 2007. Maria Barbara Bertini, La conservazione dei beni archivistici e librari: prevenzione e piani di emergenza. Roma, Carocci, 2005. Gloria Cirocchi, Deacidificazione: un’opzione di conservazione? Introduzione al problema della carta acida in Bollettino AIB, dic. 2006, p. 367-376. Conservazione dei materiali librari archivistici e grafici. Volume primo. A cura di Marina Regni, Piera Giovanna Tordella. Torino, Allemandi, 1996; Volume secondo. A cura di Marina Regni, Piera Giovanna Tordella. Torino, Allemandi, 1999. La conservazione dei beni librari in Italia. Atti della 2. Conferenza nazionale delle biblioteche, Spoleto, Rocca Albornoziana 11-13 ottobre 1999. Roma, Tiellemedia, 2001. La conservazione del libro contemporaneo: esigenze e problemi. Atti del Convegno, Firenze, Fortezza da Basso, 31 marzo 1990. A cura di Maurizio Copedé. Firenze, [s.n.], 1991 (Tip. Arti grafiche C. Mori). 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P.S.: Nel testo corrente sono state omesse, per questioni tecniche, le immagini.
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2007
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