Antonio Zappalà

 

EVOLUZIONE DELLA TECNICA DI FABBRICAZIONE

DELLA CARTA

 

 

 

Introduzione

 

Sin da quando l’uomo primitivo cominciò a sentire il bisogno di sviluppare relazioni sociali, sin da quando apparvero le prime civiltà, si è sentita la necessità di diffondere tra i contemporanei e di trasmettere ai posteri testimonianze scritte di pensiero, di esperienze, di tecnologie, in sintesi di cultura.

La trasmissione scritta del pensiero ha seguito generalmente, nell’evoluzione delle diverse culture, l’uso della trasmissione orale, per molti versi poco affidabile.

Un antico proverbio assicura che «scripta manent», promettendo quasi l’immortalità al pensiero dell’uomo purché sia registrato per iscritto. Ciò purtroppo non è vero.

Come si è voluto evidenziare in una mostra itinerante internazionale dal titolo provocatorio di «Scripta volant», i documenti durano nel tempo solo nella misura in cui essi siano stati conservati in modo da essere preservati da una rapida degradazione e soprattutto nella misura in cui il supporto della scrittura sia chimicamente stabile e inattaccabile da agenti biologici.

La preoccupazione per la stabilità dei materiali scrittori, oggi divenuta pressante per la scadente qualità della carta moderna, è sempre stata diffusa tra gli studiosi di ogni epoca: lo testimoniano i mezzi empirici di prevenzione finalizzati allo scopo adottati spesso nell’antichità.

Nel quindicesimo secolo il monaco Benedettino Johann Tritheim, preoccupato per la stabilità della carta che come materiale scrittorio andava sempre più sostituendosi alla pergamena, prevedeva, per nostra fortuna a torto, una durata massima di questo nuovo materiale di 100-150 anni contro una durata, da lui stimata, per la pergamena di oltre mille anni.

Il Tritheim raccomandava perciò che i testi classici, che i monaci del suo tempo copiavano pazientemente nella tranquillità dei loro conventi, fossero trascritti su pergamena evitando il nuovo materiale, la carta, troppo corruttibile e con caratteristiche di resistenza all’usura inferiori alla tradizionale pergamena.

 

 

Stabilità dei supporti per la scrittura

 

È certamente interessante, in questa sede, fare una rapida carrellata sulla costituzione dei principali materiali scrittori utilizzati nei vari secoli, con particolare riguardo all’evoluzione nella preparazione dell’impasto per la produzione della carta. È opportuno anche seguire l’evoluzione tecnologica della produzione, tenendo soprattutto d’occhio l’uso di quelle sostanze chimiche che nei secoli hanno permesso la preparazione di materiali scrittori sempre più economici e sempre più adatti all’uso specifico. Sappiamo infatti a posteriori che pressoché ogni innovazione introdotta nelle tecniche di produzione, pur comportando aspetti positivi, ha indotto anche una crescente instabilità chimica dei materiali prodotti.

I materiali scrittori dell’antichità furono i più vari. Ancor oggi abbiamo testimonianza di numerosi graffiti; nel periodo arcaico, e più recentemente in alcune civiltà isolate, furono spesso usate per la scrittura anche parti di piante: foglie di palma, cortecce d’albero, da cui i nomi, entrati nell’uso, di «libro» e «foglio»; in alcuni casi furono utilizzati materiali teneri quali ad esempio il piombo e le tavolette cerate conservate singolarmente o legate assieme con appositi lacci. Le tavolette cerate, spesso utilizzate per la scrittura provvisoria, furono in uso, in qualche caso, fino al XVI secolo. Purtroppo molti di questi documenti, per l’intrinseca instabilità dei supporti scrittori, andarono distrutti.

I supporti che ebbero maggior diffusione, per lo meno nella cultura mediterranea, furono, in epoche successive, il papiro, la pergamena e la carta.

 

 

Il papiro

 

Si ha notizia che il papiro1, il più antico dei tre materiali, sia stato introdotto nell’uso in epoca precedente al 3500 a.C. Il più antico testo, scritto su papiro e giunto fino a noi, è un frammento di un libro di conti dell’epoca del re Assa (335-336 a.C.).

La produzione del papiro fu iniziata in Egitto dove, sulle rive del Nilo, erano rigogliose le piantagioni di «cyperus papirus», una pianta erbacea che, oltre ad essere utilizzata come materia prima nella preparazione della carta di papiro, costituiva anche il materiale di base per altri tipi di produzioni artigianali, quali l’allestimento di battelli per la navigazione o la preparazione di cordami. Successivamente la carta di papiro si diffuse in Siria e quindi in tutta l’area del Mediterraneo.

Purtroppo tale carta, fragile per sua natura, doveva essere maneggiata con cautela anche se nuova. Con il tempo essa si rivelò poco resistente anche all’invecchiamento naturale. La degradazione chimica, particolarmente quella di tipo fotochimico, in poche decine di anni provocava un eccessivo aumento della fragilità del materiale ed un suo ingiallimento che col tempo poteva arrivare al colore bruno.

Per le sue caratteristiche di instabilità, ma anche perché si tratta di un materiale che è sempre stato relativamente raro e di alto costo, solo pochi esemplari di carta papiro antica sono giunti fino a noi. Tra i documenti più famosi di questo tipo, ancora oggi conservati, sono certamente i papiri ercolanensi ritrovati durante gli scavi della città sepolta dall’eruzione del Vesuvio del 79.

 

 

La pergamena e la concorrenza di un nuovo supporto per la scrittura: la carta

 

Altro materiale scrittorio largamente diffuso nell’antichità fu la pergamena. A differenza del papiro, di natura vegetale, la pergamena veniva preparata utilizzando come materia prima la pelle di animali.

La pergamena e il papiro convissero per lunghi secoli. La prima resistette però meglio del secondo alla concorrenza di un nuovo materiale scrittorio, la carta, che apparve in occidente all’inizio del secondo millennio.

La tecnologia di produzione di quest’ultimo materiale, messa a punto dai cinesi sin dal secondo secolo, fu importata nel bacino del Mediterraneo dagli arabi e si diffuse in Europa nel dodicesimo e tredicesimo secolo a partire dalla Spagna e dall’Italia. Si ha notizia dell’installazione di una prima cartiera in Spagna, a Xativa (Valencia) nel 1140, e di una prima cartiera in Italia, a Fabriano nel 1276.

Fu immediatamente evidente che la carta era un prodotto più economico e per molti aspetti più adatto all’uso sia nei confronti del papiro che della pergamena. Essa presentava soprattutto caratteristiche di colore, flessibilità, opacità, scrivibilità e disponibilità tali che presto provocò la scomparsa quasi totale del papiro e la diminuzione dell’uso della pergamena. La pergamena rimaneva comunque, nella considerazione comune, il materiale scrittorio più stabile.

Nei confronti della carta, man mano che se ne diffondeva l’uso, si sviluppo', come già detto, una crescente diffidenza per le sue possibilità di durata. Tale atteggiamento fu probabilmente indotto più dalla sua minore resistenza alla lacerazione e alla manipolazione, immediatamente evidente per chiunque, che non da una reale minore stabilità chimica. Nel 1115 Ruggero II di Sicilia fece riscrivere su pergamena un privilegio che il padre, Ruggero I, aveva concesso all’Abbazia di S. Maria di Terreti in Calabria.

Per molto tempo in passato, e in sporadici casi addirittura ancor oggi, la pergamena è stata il materiale scrittorio obbligatorio per gli atti ufficiali. Nel 1231 Federico II emanò un editto in cui prescriveva che gli atti pubblici del Regno delle due Sicilie fossero scritti su pergamena «affinché potessero portare la propria testimonianza nei secoli futuri». In effetti sia la carta di questa epoca sia la pergamena erano materiali stabili; lo testimonia oggi a posteriori il gran numero di libri e documenti antichi ancora conservati in ottimo stato nelle nostre biblioteche ed archivi.

È certo però che, se non fosse stata introdotta nell’uso la carta, la pergamena da sola, per il suo alto costo, la sua scarsa disponibilità, la sua non perfetta idoneità nell’uso nella stampa, non avrebbe potuto permettere quella vasta produzione di libri e documenti che si ebbe a partire dal quindicesimo secolo con l’invenzione della stampa a caratteri mobili e più ancora a partire dal diciannovesimo secolo quando la carta divenne uno dei primi prodotti della nascente industria. La stampa e la larga disponibilità di carta furono due fattori indispensabili al diffondersi della cultura anche tra i ceti sociali più umili con gli effetti incalcolabili che ne conseguirono.

L’invenzione della stampa e le aumentate necessità di materiale scrittorio, adatto alla nuova tecnica di scrittura, provocarono una inevitabile, ulteriore, diminuzione nella richiesta di pergamena a favore della carta. La pergamena continuò ad essere utilizzata, anche se in misura sempre più ridotta, esclusivamente per la produzione di documenti manoscritti anche se si ha notizia di qualche tentativo, peraltro mal riuscito, di un suo uso nella stampa.

 

 

Evoluzione delle tecniche di preparazione della carta

 

Come si è già detto, contrariamente alle previsioni, la carta del ‘500 e quella dei secoli immediatamente successivi si è rivelata sufficientemente stabile, probabilmente quanto la pergamena. Ma, man mano che la richiesta di carta aumentava, la sua qualità andava sempre più scadendo finché ciò che era stato previsto dal monaco Tritheim, la sua scarsa stabilità, non si rivelò tristemente esatto particolarmente per la carta prodotta a partire dal diciannovesimo secolo fino ad oggi.

Sin dall’inizio dell’800 infatti, ma particolarmente dopo il 1850, a seguito dell’industrializzazione introdotta nelle cartiere e delle modifiche nell’impasto della carta, si cominciò a produrre carta che è certamente poco stabile.

Un ricercatore americano, William Barrow, negli anni trenta del secolo scorso predisse che la maggior parte dei documenti dell’inizio secolo non avrebbe visto, ancora utilizzabile, l’inizio del secolo successivo. Le sue convinzioni, alla luce anche delle maggiori conoscenze sulle cause dell’instabilità dei prodotti cartacei, sono oggi ritenute più che fondate.

È un fatto che oltre sei milioni di volumi del diciannovesimo e ventesimo secolo, conservati in una delle più grandi biblioteche del mondo, la Library of Congress di Washington, sono diventati oggi tanto fragili da non poter più essere consultati senza danno.

Per comprendere quanto avvenuto sarà opportuno a questo punto seguire l’evoluzione della tecnologia di fabbricazione della carta con particolare attenzione all’introduzione di nuove tecniche di produzione o di nuove materie prime.

 

 

Il materiale fibroso: la cellulosa

 

La carta si ottiene per feltratura sulla superficie di una filiera o di una rete di una sospensione acquosa di fibre generalmente vegetali. La rete lascia scolare l’acqua trattenendo le fibre che si dispongono in maniera casuale o, nel caso delle moderne macchine continue, orientate preferenzialmente nella direzione del movimento della rete della macchina continua.

Perché il feltro asciugato abbia le caratteristiche di un foglio di carta occorre che le fibre di cellulosa siano state preventivamente raffinate. È necessario cioè lavorarle meccanicamente, in presenza di acqua, fino ad ottenere fibre sufficientemente idratate, lunghe, morbide e flessibili, capaci, al momento della definitiva asciugatura del foglio, di legarsi le une alle altre con legami di tipo chimico fisico. La forza e il numero di tali legami, assieme alla resistenza alla rottura delle singole fibre, determineranno le caratteristiche di resistenza meccanica del foglio di carta finito.

È evidente che la resistenza alla lacerazione, alla piegatura, allo strappo del foglio formato, così come la resistenza all’invecchiamento, dipenderà molto dalla qualità della cellulosa usata come materia prima e dalla tecnica di raffinazione adottata.

Nel periodo arcaico, in estremo oriente, la cellulosa veniva inizialmente ricavata per macerazione in acqua e successiva battitura a mano, con appositi bastoni, della corteccia dei rami verdi di alcune piante tra cui principalmente il «morus papirifera sativa»; in seguito si utilizzarono fibre di canapa, lino, cotone ottenute direttamente dai vegetali o dalla lavorazione degli stracci bianchi.

Con la scoperta del cloro e la messa a punto delle tecniche di sbianca, sin dalla fine del secolo diciottesimo si poterono utilizzare, come materie prime da cui ricavare carta, gli stracci colorati precedentemente non adatti alla preparazione di carta bianca utile alla scrittura.

Purtroppo però, con la maggiore disponibilità di materie prime, si ebbe contemporaneamente un primo peggioramento della loro qualità. Il cloro, oltre ad avere un’azione sbiancante, innescava processi di degradazione ossidativa e idrolitica della fibra cellulosica con conseguente diminuzione della sua resistenza meccanica.

 

 

La collatura

 

Perché il foglio di carta sia adatto a ricevere l’inchiostro, sia cioè adatto alla scrittura, è necessario che esso sia anche collato. È necessario cioè che sia presente tra le fibre una qualche sostanza, introdotta nella sospensione acquosa delle fibre stesse prima della formatura del foglio o stesa sulla superficie del foglio finito, che impedisca lo spandimento dell’inchiostro. Una carta non collata si comporterebbe come una carta assorbente su cui non è agevole scrivere con un inchiostro a base acquosa.

Anche la tecnica della collatura così come quella della raffinazione ha avuto un’evoluzione nel corso dei secoli. Ancora una volta le innovazioni hanno portato a produrre carta sempre più economica, ma ancora una volta gli effetti positivi dell’evoluzione hanno avuto come contropartita gravissimi effetti negativi sulla stabilità del prodotto.

I collanti utilizzati in Asia nei primi secoli d.C. erano esclusivamente di natura vegetale. Erano pressoché non influenti sulla stabilità della carta.

Nel periodo in cui la fabbricazione della carta andava diffondendosi in Europa, a Fabriano si cominciò ad utilizzare la cosiddetta «collatura alla gelatina» o «collatura con colla animale». Si tratta di sostanze proteiche ottenute per bollitura in acqua di carniccio, pelle, ossa e altri scarti di origine animale. Con questo tipo di collatura, molto apprezzato dagli amanuensi, si migliorò nettamente la scrivibilità della carta senza influire sensibilmente sulla sua stabilità.

Un ulteriore perfezionamento della tecnica di collatura si ebbe, nel secolo diciassettesimo, quando alla gelatina si cominciò ad aggiungere allume. In tal modo si mirava a migliorare la resa del collante.

L’allume, cioè iI solfato doppio di alluminio e potassio però, per la sua idrolisi acida, induceva contemporaneamente un abbassamento del pH della carta finita. Comunque, poiché nella generalità dei casi l’aggiunta di allume era limitata a piccole percentuali, anche con questo tipo di collatura non si influì in maniera evidente sulla stabilità della carta prodotta.

Un notevole peggioramento della qualità della carta si ebbe invece, nel diciannovesimo secolo, quando, con l’industrializzazione delle cartiere si diffuse la «collatura in pasta alla colofonia» altrimenti detta «all’allume» o «alla resina». Questo tipo di collatura è quella che, purtroppo, ancor oggi viene spesso utilizzato.

Dal 1850 in poi, con lo sviluppo della tecnologia dell’alluminio, l’allume naturale fu sostituito dal solfato di alluminio, il cosiddetto «allume dei cartai» più economico ma ancora una volta maggiormente dannoso per la stabilità della carta. Il solfato di alluminio veniva preparato per trattamento delle bauxiti ed inizialmente era anche impuro per acido solforico.

La tecnica di collatura alla resina prevede la dissoluzione della colofonia in una soluzione alcalina che viene successivamente acidificata con allume in eccesso. In tal modo si provoca la precipitazione della colofonia, insolubile in ambiente acido, sulle fibre che stanno feltrandosi a formare il nastro di carta. Allo scopo l’allume deve essere aggiunto in quantità ben maggiori, e perciò più dannose, che non le piccole percentuali che erano state precedentemente usate per migliorare la «collatura alla gelatina».

 

 

La qualità della carta moderna. Speranze per il futuro

Oggi siamo a conoscenza di molte delle cause dell’instabilità della carta; alcune sono state discusse in queste pagine. Pur tuttavia ancora oggi la maggior parte dei libri e dei documenti vengono allestiti con carta non durevole. Ciò che è grave è che anche i documenti che sono destinati alla conservazione vengono prodotti con materiali instabili. Ne è un esempio la carta bollata per uso notarile.

La causa principale di ciò è probabilmente una ancora troppo scarsa diffusione delle conoscenze sulla stabilità dei materiali nonostante che negli ultimi anni si siano andate moltiplicando le occasioni di incontri tra le categorie professionali implicate nella produzione e nella conservazione dei beni culturali su carta.

La diffusione delle conoscenze sulla stabilità dei materiali è indispensabile perché archivisti, bibliotecari e storici dell’arte siano sempre più informati su quali debbano essere le caratteristiche di qualità desiderabili per i documenti che essi acquisiscono ai loro archivi, biblioteche e musei; soprattutto perché essi sappiano quale debba essere la qualità dei materiali da utilizzare nei restauri che loro hanno il compito di predisporre quando necessario.

Negli ultimi anni si sono moltiplicati i convegni, i congressi, le mostre organizzati da associazioni internazionali quali l’ICOM, l’IIC, l’ICCROM, o organizzati da enti pubblici o privati italiani.

Per restare in ambito italiano un’ottima occasione di diffusione permanente delle conoscenze tecniche è stata fornita con l’istituzione del corso di laurea in Conservazione dei Beni Culturali, in particolare con l’attivazione dell’insegnamento di «Restauro del libro», disciplina caratterizzante quel corso di laurea.

È opportuno probabilmente ricordare che sono stati emanati inoltre due importanti decreti da parte del Ministro per i Beni e le Attività Culturali e del Ministro dell’Industria. Con il primo si è approvata una normativa «in materia di cartoni destinati al restauro ed alla conservazione del materiale soggetto a tutela» (D.M. 2 agosto 1983); il decreto definisce le caratteristiche di impasto perché una carta possa essere considerata chimicamente stabile senza contemporaneamente prevedere prove di resistenza all’usura o particolari altre caratterizzazioni non influenti sulla stabilità chimica del prodotto; in tal modo si lascia ampia libertà al responsabile della conservazione dei documenti nel richiedere ai fornitori le caratteristiche di tipo meccanico che meglio si addicono ai singoli interventi di restauro che lui deve far eseguire.

Con il secondo decreto, quello del Ministero dell’Industria del Commercio e dell’Artigianato (D.M. n. 172, 9 marzo 1987), si stabiliscono, tra l’altro, le caratteristiche necessarie per carta destinata a diventare supporto scrittorio di documenti ufficiali nell’ambito delle amministrazioni pubbliche.

Queste iniziative vanno certamente nella direzione giusta; è auspicabile però che siano solo le prime tra altre analoghe mirate all’utilizzo di ogni conoscenza scientifica perché nei restauri si usino soltanto materiali stabili e perché si allestiscano quelli che saranno i beni culturali su carta di domani utilizzando materiali cartacei altrettanto stabili.

È auspicabile ad esempio che presto il «diritto di stampa», con cui si prevede che copia di tutto ciò che è stampato in Italia sia consegnato alle Biblioteche Nazionali perché ne assicurino la conservazione, sia fatto valere, almeno per alcune classi scelte di beni, con l’invio alle Biblioteche esclusivamente di materiale «durevole per la conservazione» del tipo prescritto dal Decreto del 2 agosto 1983. Sarà quindi opportuno che gli studiosi, i bibliotecari, gli storici indichino quali categorie di beni meritano una particolare attenzione e che questi beni siano quindi prodotti oggi utilizzando materiali durevoli.

Solo così, e con un continuo aggiornamento del bibliotecario e dell’archivista conservatore, potremo sperare che gli storici del futuro possano documentarsi sulla nostra epoca utilizzando le fonti primarie stampate o scritte sulla carta odierna.

Purtroppo invece, per quanti sforzi faremo con interventi di restauro o con l’ottimizzazione degli ambienti di conservazione, molto del materiale cartaceo del diciannovesimo e ventesimo secolo, supporto fisico di beni culturali, andrà irrimediabilmente perduto.

 

 

Nota

1 Per indicazioni più dettagliate si veda il capitolo Conservazione degli antichi materiali scrittori. Il papiro.

 

 

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P.S.: Nel testo corrente sono state omesse, per questioni tecniche, le immagini.

 

 

 

 

 

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