I
Futuristi con Marinetti a Berlino, luogo d'incontro delle
avanguardie europee
Marina Bressan
F.T. Marinetti, Berlino,
Hommage à la revue "Der Sturm". Berlin, Bildarchiv Preußicher
Kulturbesitz
Herwarth Walden. Berlin,
Bildarchiv Preußicher Kulturbesitz
Nel marzo 1912 nella Berlino «immenso mare di cemento», piena di
folla, traffico, rumore, fumo, tram e omnibus carichi, nella Berlino
del giornali, del grandi magazzini dai piani a vetrine, «delle réclames elettriche luminose che lampeggiavano convulse», nella
Berlino del caffè, delle vinerie, del cinema, del cabarets, della
gallerie d'arte, del teatri, del lunapark, «grande manifesto di Lucian Bernhard per una mostra della forza vitale», si incominciò a
parlare di Futurismus.
Incontro tra Marinetti e Walden, due grandi uomini che ebbero il
coraggio di crearsi un proprio milieu culturale che rompeva con le
convenzioni dell'arte e con la forma di vita borghese: il primo a
Milano, "metropoli futurista d'Italia", l'altro a Berlino che
diversa da «Londra mescolanza di ieri e di domani», da Parigi, che
interpretava l'«ieri» e da New York che era «il domani»,
rappresentava l'«oggi.»
Diversissimi fisicamente: l'Italiano atletico e muscoloso,
elegantissimo, irruente, generoso, intuitivo, «sempre acceso in
esperimenti e trovate», ottimista, catalizzatore, dalla tempra che
straripava incontrollata e ingestibile, con ritmi frenetici da
stacanovista; il Tedesco «organizzatore di mostre a naso ebraico
pesanti occhiali e zazzera giallo sporca polverosa», «una natura
combattente, dinamico e carico di energia», instancabile nella
diffusione e nella mediazione dell'arte d'avanguardia. Entusiasti
entrambi, consapevoli del loro ruolo fino ad essere arroganti e
litigiosi per difendere la loro infallibilità, sentirono la
necessità di disporre di una propria rivista che diventasse
diffusore delle proprie idee, punto di attrazione di nuove energie
intellettuali: Marinetti nel 1905 fondò "Poesia", Walden nel 1910 "Der
Sturm". Con la forza delle parole, con la tenacia e la perseveranza
radunarono intorno a loro un gruppo di amici e con lo strumento
della letteratura attaccarono una forma di vita mediocre e
"passatista": «Un cieco intellettualismo stupra la realtà. Segnale
del nostro tempo è un liberalismo ben temperato. Con un gesto
oltremodo provocante derideremo ogni affermazione di quella cultura
che mira invece allo svuotamento della vita e al mantenimento delle
convenzioni» si leggeva nelle linee programmatiche di "Der Sturm",
«bacino di raccolta e podio delle personalità che interpretano
vivacemente lo spirito del tempo.» In un clima completamente diverso
da quello italiano, la rivoluzione artistica voleva tradursi in una
concezione di vita, in una costante tensione esistenziale, non
essendo più l'arte condizione di privilegio intellettuale e di
aristocratica solitudine; "Der Sturm", seppur lontano da qualsiasi
connotazione politica, giungerà ad un attivo ricambio tra arte e
vita, «ad una nuova definizione dell'esperienza creativa come totale
Erlebnis», seguendo l'invito di Walden espresso già sul
primo numero della rivista: «Contribuite artisti della terra a dar
forma alla vita.»
Queste premesse "rivoluzionarie" mancavano in Italia ancora
culturalmente e socialmente arretrata, dove l'uscita di "Poesia" nel
1905 portò uno scossone, dal momento che la "rassegna
internazionale" bilingue si proponeva di divulgare «le forme più
individuali ed audaci dell'arte» e di combattere «strenuamente gli
imitatori, i poeti artificiosi e non sinceri, e tutte le forme
scroccate con metodi ingannevoli e ciarlataneschi.»
Nella scoperta di nuovi talenti, quali Paolo Buzzi, Enrico
Cavacchioli e Corrado Govoni, Marinetti eguagliò Walden. Nel 1909 la
rivista era già uno strumento logoro, sorpassato dall'epoca del
Manifesti.
La stessa Milano non era Berlino; pur essendo di gran lunga meno
"passatista" di Roma, inizialmente ignorò il Futurismo che Marinetti
riuscì ad imporre anche alla stampa borghese. Con il cambiamento del
panorama esistenziale le città si modificarono, il «gusto futurista
del leggero, del pratico, dell'effimero, del veloce» decretò
ufficialmente la fine dell'eleganza pomposa del passato. Marinetti
esprimeva il suo amore per Milano e Genova.
"Milano! Genova!... Ecco le città che noi ammiriamo! Ecco a quali
città si ispira il nostro orgoglio d'Italiani! Noi abbiamo grandi
centri che fiammeggiano giorno e notte, spiegando il loro vasto
alito di fuoco sull'aperta campagna!»
Berlino con la sua vivacità conquistò i futuristi. Della moderna
metropoli i futuristi, orgogliosi della loro italianità,
sfruttarono, quasi fosse materiale da lavoro, tutte le componenti
dinamiche che confluivano nell'affollatissima Potsdamer Platz
dominata dal «meccanizzato Polizei distributore di direzioni e
lasciacorrere semaforico» ribadendo di essere «paroliberi cioè
staccati da qualsiasi tradizione nostrana e straniera», pronti quindi a cogliere i suggerimenti della capitale per
trasferirli in modo originale in pitture sculture musiche e a
regalarle ciò che non aveva «Per esempio un fulgido caldo e quasi
carnoso indaco di mare napoletano da utilizzare in un poetico
dinamismo».
Accanto e dietro a Walden, ci sarebbe stato comunque sempre lui,
Marinetti, con tutti i futuristi, a lanciare in Germania e in
particolare a Berlino «la sfida alle stelle!»
F. T. Marinetti, la prima lettera a Herwarth Walden.
Berlin, Staatsbibliothek zu Berlin-Preußischer Kulturbesitz,
Handschriftenabteilung, Sturm-Archiv.
Le prime esperienze nella Berlino espressionista.
Un primo timido accenno si riscontrò in articoli, usciti
all'indomani della pubblicazione su "Le Figaro" del Manifesto
del Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti e su alcuni
quotidiani tedeschi, diligentemente poi riportati da Marinetti sulle
pagine di "Poesia" di aprile-luglio 1909.
Nella Sturm-Galerie di Königin-Augusta-Str. 51 dal 12 aprile al 31
maggio si potevano ammirare i quadri del futuristi Boccioni, Carrà, Russolo e Severini. L'esposizione era stata preceduta dalla
pubblicazione in "Der Sturm" del Manifesto del Futuristi - La
pittura futurista (n. 103/1912), del Manifesto del Futurismo di
Marinetti (n. 104/1912),
del testo Gli artisti al pubblico, a firma di Boccioni, Carrà, Russolo, Balla, Severini (n. 105/1912), "propedeutici" a capire ed
apprezzare la mostra. I due "manager di idee ma non di
produttività", Walden e Marinetti, si erano accordati per trasferire
la mostra da Londra a Berlino in un tour che, iniziatosi a Parigi,
si sarebbe concluso a Bruxelles e che avrebbe provocato sulla
stampa e nei visitatori grande e contraddittoria risonanza nonché
forti emozioni.
A Herwarth Walden, (pseudonimo di Georg Lewin), fondatore del Verein
für Kunst, direttore di riviste, già noto in ambito europeo,
Marinetti potrebbe aver inviato nel 1909 una lettera con il testo
del Manifesto, prima ancora che venissero fondate, accomunate dal
nome Sturm nel 1910 la rivista, la casa editrice e due anni dopo la
galleria d'arte.
Musicista e compositore di formazione anche italiana, Walden per
Döblin era un «instancabile precursore, propagandista ed
organizzatore» dotato di «fiuto eccezionale per scovare nuovi
talenti.» Lo scarso senso degli affari non lo aiutò tuttavia nella
conduzione della sua impresa, trovandosi costantemente in difficoltà
finanziarie; la sua collezione privata era stata acquistata con il
denaro della moglie Nell e dopo il divorzio i quadri furono
restituiti a quest'ultima.
All'inaugurazione della rassegna presenziò in rappresentanza del
gruppo solo Boccioni. Le prime note di forte delusione inviate il
giorno stesso a Carrà: «entrate pochissime», «tempo pessimo»,
«organizzatore un giornalista», si trasformarono già il giorno
seguente in considerazioni ottimistiche: «A Berlino si ripete lo
stesso interessamento e le stesse discussioni accanite" [...] A
Berlino vi è una polemica vivissima.»
Dopo il noto intervento pubblicitario di Marinetti di invadere la
città di volantini lanciati da una macchina scoperta, la mostra
registrò punte di mille visitatori al giorno. «La stampa poteva
insultare quanto voleva – cosa che ha anche fatto – ma tutti
volevano vedere questa esposizione. Era di moda esservi stati»,
ricordava Nell Walden.
Alcuni giorni dopo l'inaugurazione il critico Richard Nordhausen
scriveva per il suo giornale "Münchner Neueste Nachrichten":
«Giovedì, 25 aprile 1912:
In una casa della Tiergartenstrasse destinata alla demolizione,
davanti alle cui finestre nonostante l'abbattimento degli alberi e
l'asfaltatura si estende un bel parco, i futuristi, la nuova
generazione d'Italia, hanno trovato 'la loro dimora' in questi
giorni primaverili. Herwarth Walden, il portabandiera berlinese
della rivista "Die Fackel" di Kraus, provvede anche all'ufficio
stampa. Dal momento che è caduto in disgrazia presso la nostra
stampa autorevole — inesorabilmente il suo spietato sarcasmo la
passa al setaccio settimana dopo settimana nella sua rivista "Der
Sturm" — può fare ben poco per pubblicizzare questa esposizione. Il
passo di un solitario visitatore risuona di tanto in tanto sul
parquet. Ma Walden, passato sotto silenzio dai giornalisti
berlinesi, non se ne cura: ha un buon fiuto per l'arte. Ciò che lo
rende forte è il suo interessamento sincero. Non si risparmia con
bluff e annunci pubblicitari che possono ingannare il borghesuccio.
Si può scuotere la testa sulla sua attività e sui suoi protetti;
nessuno vorrebbe essere al suo posto perché angustiato dall'ansia di
concludere affari e quindi dalla speranza di rimpinguare la cassa.
Degli stessi futuristi, i signori Boccioni, Severini, Carrà e
Russolo, non ci si può completamente fidare. Desiderano essere
considerati del folli; come si legge nel catalogo se ne fanno un
punto d'onore. Ciò che possono fare con i loro scritti, per
rafforzare l'impressione, lo fanno. In effetti annunciano: "Vogliamo
distruggere i musei e le biblioteche... Questa prima esposizione del
futuristi a Berlino è anche la più significativa esposizione della
pittura italiana che mai sia stata sottoposta al giudizio del
tedeschi... Dipingere secondo un modello è assurdo e vigliaccheria
intellettuale... Contro la tirannia delle parole 'armonia' e
'buon gusto' ci si deve ribellare... Attribuire ad un nudo un significato
allegorico è per noi tradizionale accademica mendacità." E così via.
Senza catalogo non si riesce a venirne a capo. Se si lascia in tasca
questa guida stampata e commentata, risaltano in primo luogo i
ritratti schizzati furiosamente sulla tela da Kokoschka
caratterizzati da una bellezza geniale, quindi 'La città che sale'
di Boccioni, il dipinto folle ma di grande effetto 'Pom-Pom- Tanz(!)'
e 'Treno in corsa'. Le carrozze illuminate passano fischiando
attraverso la notte e suscitano l'impressione di macchie di luce in
fila; dalla locomotiva spettrale guizzano tremolanti fasci di
scintille all'indietro e le ciminiere, rasentate dal treno, si
inclinano verso le fabbriche. Straordinari sono gli effetti di
colore nel dipinto 'La città che sale': nell'audacia coloristica sta
la forza di questi pittori, per i quali 'obiettivo inebriante della
loro arte' è la simultaneità degli stati d'animo nell'opera d'arte.
Ma nelle pure qualità pittoriche i futuristi non esprimono la loro
forza. Prendiamo in mano il catalogo, tralasciamo la moderna
ampollosità delle frasi, che specialmente il signor Marinetti, un
poeta raffinato alla D'Annunzio, ostenta, e cerchiamo di entrare
nell'intimo della natura del futuristi.
Rappresentare attraverso il colore la simultaneità degli stati
d'animo è il loro ideale. Boccioni dipinge la vita della strada che
entra in casa. Su una donna al balcone si rovesciano le case vicine,
i passanti sulla strada, le automobili, il tram; la stanza e il
balcone provocano effetti su di lei. Un tremendo, insensato
guazzabuglio, il sogno folle di un infelice, in cui Boccioni si
immedesima e che proprio per questo non può essere definito
futurista. Boccioni o il suo interprete spiega l'opera in modo
pignolo: 'L'impressione dominante del quadro: aprendo la finestra
entra tutto il rumore della strada, entrano improvvisamente i
movimenti e l'oggettività delle cose nella stanza. Il pittore non si
limita come un fotografo a riprodurre ciò che vede dall'apertura
della finestra. Porta tutto sul quadro nella prospettiva di chi dal
balcone vede in ogni direzione.'
Il pittore dunque sta raccontando! I vecchi, disprezzati e derisi
pittori dallo stile aneddotico sono degli asceti in confronto a
questi giovanissimi italiani! Quando Severini ci trasmette 'le
impressioni totali, passate e presenti, vicine e lontane, piccole e
grandi di una ballerina, così come appaiono al pittore, che le ha
studiate in diversi periodi della sua vita', allora ci interessano
di meno i due volti spettrali resi in macchie di colore, dal
desiderio spasmodico, irrealizzabile di svelare e imitare col
pennello i più reconditi segreti della parola. Mentre in Severini il
ragionamento concettuale si fa sempre più serio anche se non porta
a nulla, in Carrà diventa uno scherzo parodistico. Il quadro
'Sobbalzi di carrozzella' trasmette la 'duplice impressione'
provocata da una sobbalzante carrozzella, nei suoi passeggeri e nei
passanti', oppure 'la sensazione di un passeggero del tram e di un
osservatore sulla strada.' Il risultato è un mal di mare per
l'artista che lo ha dipinto e per l'osservatore che lo guarda. Il
quadro presenta infatti solo caos. Ancora più lontano si spingono
Boccioni e Russolo. Russolo ci regala la sua 'Rivoluzione': angoli
rossi acuti corrono quasi paralleli sulla tela; quadrati,
presumibilmente case della città, su cui si snoda di corsa un
brulichio rossastro di uomini. Quando angoli e quadrati riescono a
indicare la gradevole calma del borghesi, l'artista si sarebbe
potuto risparmiare la fatica di ritrarre in sembianze umane i
rivoltosi. La rivoluzione sarebbe stata rappresentata altrettanto
bene, e ancor più incisiva con un tratto denso che taglia angoli e
quadrati. In effetti Boccioni si serve anche di questa tecnica. Nei
tre quadri con il treno, in cui accanto alle ombre di coupé
aleggiano ombre di teste, tratti obliqui lateralmente marcano
l'atmosfera di coloro che vanno, mentre tratti verticali quella di
coloro che restano. Allo stesso modo del dipinto del capo cameriere.
Così nel catalogo: 'Nella descrizione pittorica del diversi stati
d'animo linee verticali, ondulate, immediatamente sincopate,
aggrappate qui e là a siluette di corpi vuoti riescono ad esprimere
facilmente la nostalgia o lo sconforto. Linee confuse, con del
sobbalzi, rette o piegate che si mescolano a gesti appena accennati,
sfuggenti, veloci, esprimono caotiche sensazioni eccitanti. Linee
invece orizzontali, fuggenti, veloci, interrotte, che fendono senza
riguardo volti dai profili sommersi e brandelli di paesaggi rendono
il movimento inquieto di chi si sta separando.' Dunque una
misteriosa stenografia, una stenografia futurista del sentimento.
Per motivi pratici potrebbero concordare psichiatri. Ma artisti?
L'animo 'registratore' di Marinetti ha qui mandato a monte il
ciarpame impartito al suo seguito credulone!
Forse i futuristi si presenteranno anche a Monaco. Se porteranno
comicità intenzionale o volontaria — penso che siano molto meno naiv di quanto vorrebbero far credere – se verranno ricevuti con
risate squillanti o se Schwabing si candiderà ad accoglierli – non
lo sappiamo: probabilmente più di qualcuno rimarrà affascinato dai
loro pensieri.
Parole che trovarono la loro eco in Max Oppenheimer (Mopp)
«Quella che in Francia è sorta come necessità facendosi largo in
modo tormentato, è stata rapidamente compromessa dalla ciarlanateria
del futuristi. ('Fous tristes'). Le loro ridicole 'Istruzioni per
capire i quadri' infiorate di espressioni letterarie, dovrebbero
servire da base per capire questa pittura del futuro. Con tipica
spavalderia italiana si vuole far conoscere un'arte che tale non è.
Con spacconeria, con la spocchia di fanfaroni si
afferma: 'Con noi inizia una nuova epoca per la pittura... Noi
forti, vitali futuristi.'
Si osservino questi quadri che sono un melange del kitsch più
sdolcinato e del più rozzo decorativismo, si guardi questo pubblico
che fissa a bocca aperta questi quadri e poi li compra: si capirà
allora tutta la loro superficialità e millanteria. È destino dover
essere quasi della stessa opinione del signor Nordhausen e
dell'altro ferro vecchio della critica. Quasi? Ciò che spaventa
i vecchi non sono questi innocui dipinti, ma è il movimento, è ciò
che è rivoluzionario. E ciò parte dal signor Marinetti che
elegantemente piega opinioni come se fossero carta e nonostante
tutti i petardi e gli shrapnel che lancia, è un letterato molto
serio.
Il pubblico schernisce Picasso e getta nella spazzatura
l'opposto...»
Ancora sulla stessa rivista l'intervento di Max Deri:
«[...] I futuristi imboccano un'altra direzione: per loro è
importante il fattore tempo realizzato in un unico momento. Dai
primi quadri di Manet a quelli più tardi (je constate, je ne juge
pas) si osserva passo dopo passo, un continuo passaggio da
rappresentazioni di durata a rappresentazioni di momento (in
Germania dalle spennatrici di oche di Liebermann ai suoi giovani
bagnanti, ai cavalieri al mare, con tutti i livelli intermedi). In
questa intrinseca connessione di colori dai toni delicati e sfumati,
fissati con pennellata breve si rivela il maturo Impressionismo
francese ed europeo di fine secolo.
Se fisso un punto nella natura, la forma ed i colori mi appariranno
nitidi e pacati. Ciò che vedo oltre 'la macchia gialla' sulla
retina, è più o meno indistinto e ai limiti del campo visivo sempre
più sbiadito e sfocato.
Per dipingere quel punto visibile devo procedere per esperienza
fissandolo non solo una volta ma cento. Il tratto che dipingo viene
allora fissato, nitidamente. Tutti i punti che ho fissato vengono
poi dipinti l'uno accanto all'altro, così che una volta terminato il
quadro, guardandolo, vi ritrovo una forma distinta.
I punti da fissare possono essere ridotti. È accaduto molte volte
nella storia dell'arte: nella tarda antichità, nel Barocco e nel
Rococò. Nell'arte moderna le fasi di transizione avvengono a
partire dalla metà del XIX secolo: innanzitutto subentra un più o
meno grande campo di fissazione; ciò che sta intorno si percepisce
indistintamente e riportato sulla tela. L'osservatore rimane con la
sua interpretazione aderente entro questo campo, mentre tutto ciò
che sta intorno viene percepito come ambiente, da cui si è estratta
la parte specifica che è stata intensificata. Se si dovesse limitare
sempre più la zona, si ridurrebbero anche gli atti stessi di
fissazione fino ad arrivare ad un solo punto, ad uno estremamente
'impressionista', ad un puro 'quadro-impressione', che esige
dall'osservatore il mettere a fuoco lo sguardo su una limitatissima
scena, il non avvalersi, quindi, di uno sguardo `mobile', ma il
fissare con attenzione un solo punto preciso.
[...] Si pensava che procedendo su questa linea non ci sarebbero
state nuove possibilità di sviluppo. Tutti convenivano su questo,
ma ci si sbagliava.
Osservando attentamente la realtà, ben presto si capisce che anche
il fissare una zona o un punto corrisponde ad uno straordinario
stato d'animo. Si trascorre gran parte dell'esistenza in 'sognare ad
occhi aperti', mentre si lasciano frullare i ricordi in testa.
Elemento su elemento si accavallano in modo disordinato e confuso.
Dipingere 'questo' stato d'animo è tipico del Naturalismo, che
supera l'Impressionismo. Questo Naturalismo arriva fino a dipingere
ciò che scaturisce da cervello umano in un momento qualsiasi
dell'esistenza, senza alcun cambiamento, senza quel preci-so ordine
finalizzato ad un determinato obiettivo.
E proprio questo ci esprime la maggior parte del quadri del
futuristi: visioni disordinate di ricordi di una qualsiasi
esperienza, fermati nella loro fluidità e mancanza di connessione,
come si presentano in noi in un momento di reale auto riflessione.
Solo così diventano comprensibili quei quadri che ad una prima
osservazione avevamo definito terribilmente stravaganti.
'Treno in corsa'. Tutti hanno osservato un treno sfrecciare a 180 km
all'ora di notte, nella nebbia: i finestrini diventano code di luce,
il fumaiolo della locomotiva lascia dietro a se scie di fumo.
Sfrecciando davanti agli alberi, quest'ultimi sembrano piegarsi e
case e ciminiere di fabbriche inclinarsi. Tutto questo viene
dipinto. È esatto dire che vengono associati due modi di vedere:
come vedo il treno dall'esterno e come percepisco la realtà esterna
seduto accanto al finestrino. Ma ambedue questi modi di vedere
costituiscono nel nostro ricordo un tutt'uno. La nostra capacità
immaginativa ha la facoltà di rinviare e di associare ricordi di
diverse esperienze. E il ricordo di un treno in corsa trattiene
ambedue questi elementi che si uniscono: quelli del treno visto dal
di fuori e quelli delle immagini percepite dal finestrino del treno
mentre irrompe nel paesaggio. Da naturalista non riordino i miei
ricordi, li lascio così come sono e dipingo un quadro che presenta
un accumulo di immagini del ricordo, così come si sono concentrate
nel mio cervello.
Lo stesso discorso vale per tanti altri quadri.
'Ricordi di una notte' abbraccia ciò che resta di centinaia di
esperienze. Se sogno di nuovo ricordo la mano della fanciulla
davanti ad una coppa di champagne sul
tavolo, la sala con i ballerini, la testa della ragazza en face, e
contemporaneamente il suo profilo, mi trovo stretto a lei ballare
nella sala, quindi i ricordi legati al tragitto in carrozza, il sole
nascente, due lunghe figure di uomini contro il sole. E mentre
dipingo tutto ciò, così come i ricordi mi si presentano, nasce
naturalmente, senza coercizione e veritiero un quadro come quello di
Russolo – peccato soltanto che abbia colori kitsch e terrificanti.
Proseguiamo. 'La danza del Pan-Pan a Monico' di Severini, ancora più
divertente del 'Boulevard' ritrae le ricchissime, vivaci e vorticose
impressioni di una sala da ballo, di una strada animata,
disordinate, così come appaiono. Infatti non c'è più un punto
preciso di fissazione. Se Courbet si avvale di un insieme di punti
precisi,
i tardi impressionisti solo di un punto preciso o di una zona
ristretta, il futurista non se ne serve più: lascia vagare lo
sguardo sull'insieme per riprodurre poi ricordi di quell'insieme
vivo in movimento. E di conseguenza non c'è più alcun preciso punto
di vista per dipingere un quadro che non privilegia un punto di
fissazione; in questa evoluzione finale dell'ultimo mezzo secolo si
avverte l'interesse eminentemente psicologico del Futurismo.
Solo il nome è sbagliato. Decisamente sbagliato.
Come si può vedere non c'è nulla di 'futuro' in questi quadri. Sono
la diretta conseguenza del passato. 'Perfectisten', passatisti o
meglio ultrapassatisti (in tedesco Plusquamperfekt corrisponde al
trapassato prossimo: ho avuto), dovrebbero chiamarsi questi
pittori, almeno quelli di questo gruppo. Solo questo gruppo,
tuttavia, poiché la maggior parte del futuristi non è propriamente
così. Ha anche elementi protesi verso il futuro. Ma c'è un po' di
caos. Gran parte del quadri presenta colori così stridenti, che ci
si potrebbe prendersela con quelli – e sono la maggior parte – che
non si curano del problema. Chi invece non si lascia scoraggiare dal
'comportamento pittorico' spesso tremendo delle opere, può
individuare ancora due aspetti.
Innanzitutto il 'risveglio' del contenuto in un quadro: la
letteratura viene tuttavia oltraggiata e liquidata dalla maggior
parte delle persone e ciò non è lungimirante. Secondo, in alcuni
quadri c'è ancora qualcosa di simbolico, molto di avveniristico, che
soltanto non viene riconosciuto, perché non considerato. Se ne
dovrebbe parlare a lungo. Forse ci sarà l'occasione.
Je constate, je ne juge pas. Si è dimostrato che siamo stati in
grado di osservare o meglio di dimostrare che ai quadri futuristi
sottostà un serio problema psicologico. Pertanto quegli artisti non
si devono definire menzogneri e stravaganti.»
"L'intervento di Deri provoca un dibattito sulla stessa rivista."
«Stimato Signor Kerr,
Mi consenta quale profano di esprimermi sul Futurismo, essendo una
persona del grande pubblico che ammira la pittura ed ha seguito con
particolare interesse l'intera vicenda in 'Pan'.
Anche se in ritardo voglio riprendere le osservazioni del Signor Max
Deri nel n. 29 di 'Pan' e tentare, in modo del tutto oggettivo, di
esprimere le mie impressioni suscitate dalla nuova tendenza.
Ogni arte è individuale, deve esserlo per diventare originale e in
parte artistica. I futuristi o per usare l'espressione del Signor
Deri, i 'Plusquamperfectisten' (ultra-passatisti) vogliono fissare
impressioni, in modo disordinato, come son rimaste nel loro ricordo.
— Ora, dal punto di vista strettamente personale dell'artista, il
quadro può e vuole suscitare senza dubbio tutto ciò che di accaduto
e visto è rimasto fissato. Se per esempio Severini ritorna al
pensiero nel tempo in cui ha visto il 'suo' boulevard e poi lo
rivede sul quadro, rivive certamente ciò che per lui ha costituito
la motivazione a dipingerlo.
Può constatare dunque che mi calo senza difficoltà nella personalità
dell'artista — ma ciò nonostante non potrò mai capire le sue opere
che scaturendo dall'individualità, sono sorte in parte come
frammenti o parti superstiti di esperienze. Solo se avessi provato
ciò che ha vissuto l'artista nelle sue stesse condizioni, nel
medesimo tempo, nella stesse condizioni di spirito mi sarebbe anche
possibile, ma la mia personalità è decisamente diversa dalla sua.
Cosa si dovrebbe dire se un poeta volesse tentare di dare
espressione ai suoi pensieri in modo simile? (Secondo la spiegazione
del Signor Deri pare possibile). Dovrebbe scrivere poesie solo di
alcune parole, forse di alcune sillabe soltanto! Sarebbe qualcuno in
grado di capire ciò che vorrebbe esprimere? Mi permetto di
dubitare.
In base a queste riflessioni giungo alla seguente riflessione:
l'artista può dar corso alla sua fantasia, può rappresentare e
fissare a modo suo quello che ha visto e riprodurre le impressioni
che lo hanno particolarmente coinvolto e rallegrato. Deve però farlo
in modo che sia possibile penetrare nel suo pensiero.
Mi permetto dunque di affermare che il Futurismo otterrà
comprensione, solo se troverà il modo di farsi capire. (Avvalendosi
della verità e della comprensibilità non ha trovato velocemente il
Naturalismo grande seguito e sostenitori?)
I futuristi non avrebbero solo la mia gratitudine ma sicuramente
anche quella di molti altri amici dell'arte se volessero concedere a
queste immodeste considerazioni una riga su 'Pan'.
Amburgo, Arthur Elfer»
Le osservazioni erano state precedute dall'intervento sul Futurismo
scritto da Arthur van der Bruck Mueller e pubblicato sul quotidiano
berlinese "Der Tag"
«Il Futurismo è una nuova esaltazione. Il suo nome significa rottura
con il passato, definitivamente accaduto, ma anche odio verso tutto
ciò che di un passato stantio si è mantenuto nel presente e nel
contempo amore per tutto ciò che scaturendo da un presente creativo
potrà svilupparsi in futuro.
Siamo andati troppo lontano? Si chiedono anno per anno i reazionari
del movimento moderno, mentre diventano sempre più numerosi, finché
non ci sarà qualcuno che per un motivo qualsiasi e in qualsiasi
luogo non si farà da parte, non aderendo al gruppo di quelli
rimasti, per far loro guerra.
Non ci siamo spinti troppo in avanti rispondono i futuristi. Il
Futurismo stesso è la continuazione del movimento moderno che "esce"
dal secolo precedente: infatti i leader di un tempo e i seguaci,
avendo in comune le stesse moderne idee, non possono che aderirvi.
Nietzsche era un veggente. Walt Whitman era il suo cantore.
Dostojewski era il suo medico e guaritore. Tuttavia Nietzsche non
poté proteggerci da una nuova sensibilità, Walt Whitman da un nuovo
romanticismo, Dostojweski da una nuova banalità. Al di là di questi
risvolti, cui eravamo esposti, si colloca il Futurismo intenzionato
a metter in pratica il sovvertimento di tutti i valori già promesso
da Nietzsche, pronto a realizzare l'epica di una nuova velocità e di
un nuovo cameratismo annunciato da Walt Whitman e disposto ad
approfondire la concezione dell'uomo già avviata da Dostojweski che
indagò la psicologia mistico-fatalistica della nostra vita
interiore.
In molto si differenzia il nuovo movimento dal precedente; nel
passaggio tra il XIX e il XX secolo sta la sostanziale differenza e
solo la direttiva fondamentale costituisce l'elemento in comune.
Il Futurismo ha una visione essenzialmente più profonda delle
relazioni storiche universali e una migliore conoscenza della nostra
natura umana. I futuristi hanno vissuto e studiato. Conoscono la
fine del movimento moderno, che spianò la via al loro. I futuristi
sanno davanti a quali forze gli uomini moderni indietreggiano, a
causa di quali leggi falliscono. Sono convinti che solo la coerenza
fino alla mancanza di qualsiasi rispetto faccia vincere ogni
battaglia, mentre cedendo al primo compromesso si giunge
immancabilmente alla sconfitta. Pertanto si dichiarano pronti fino
all'estrema conseguenza. La verità è la forza del Futurismo. Il
movimento afferma quello cui tutti anelano, ma che nessuno poi mette
in pratica. Sbalordisce ma è solo oggettivo. Riguardo alla stessa
visione contemporanea le sfide futuriste sfociano quasi in
contrapposizione a quelle che si era soliti definire finora moderne.
Al Liberalismo – che aveva la sua ragione di esistere e il suo
significato temporaneo nel XIX secolo, mentre nel XX è soltanto una
piccola appendice dello sviluppo – si riconosce il suo crescente
anacronismo. Per il fisico rammollimento, la superficialità
intellettuale, la fiacchezza morale, che lo accompagnano, i popoli
andarono in rovina. Al posto del relativismi degli ideali liberali
le assolutezze diventano nel Futurismo dogmi. Il Futurismo attacca
il moralismo che è solo paura di aver coraggio; denuncia la
vigliaccheria di ogni opportunismo e la pigrizia di ogni
utilitarismo.
Allo scetticismo contrappone l'entusiasmo. Disprezza il femminismo,
quello delle donne e quello degli uomini, il pacifismo con scherno e
derisione. Inneggia alla guerra, la sola igiene del mondo ed esalta
il militarismo e il patriottismo: insieme formano la fonte di
energia delle nazioni.
Quindi totale cambiamento del modo di pensare: se si dovesse
giudicare secondo gli slogan, emergerebbe che i postulati del
Futurismo non contengono né più né meno che il programma inespresso
del Conservatorismo. E tuttavia tutto è decisamente diverso, è nuovo, giovane, vitale, è più futuribile, perché
pensato per il futuro. Il conservatore vuole per sua più intima
ragione non preservare il presente, ma ritornare al passato e solo
dopo può immaginarsi un futuro, se quest'ultimo è esattamente come
quel passato, cui è ancora attaccato. Contro la forza di un
sentimento innato ed ereditato si infrangono alla fine tutti i
tentativi di modernizzazione del conservatorismo. Il futurista
invece si attacca con passione al futuro che si dovrà creare, che
sarà più grande di quello di ogni passato, attirato e affascinato
dalle sue incertezze. Solo che non è un utopista, come il socialista
fantasioso, ma un pratico, come il pioniere americano! Non ammette
l'uguaglianza: sa infatti quanto un popolo consapevole sia più forte
di altri dieci senza carattere e quanto un uomo autosufficiente sia
più forte di centomila senza personalità!
La ferma posizione che il futurista ha nei confronti del presente
avvalla l'incondizionata modernità del movimento. Il futurista
conosce tutti i problemi moderni, cui prende parte attiva e di cui
ha una visione globale libera e questo in contrapposizione al
conservatore, che se possibile li respinge, e al socialista che vi
si trova immerso fino al collo. Il futurista è orgoglioso del suo
Paese, che gli ha dato i natali e gli fa piacere sapere che il
popolo possiede ancora la forza su cui improntare la vita sana e
genuina di campagna. Ancor più orgoglioso è di chi fra il popolo
corre pericoli mortali nelle metropoli. Il futurista si troverà
sempre dove ci saranno valori da creare, valori, come sa bene, che
nascono solo da scossoni, inquietudine, turbamento, tentativo e
pericolo, in breve tutto ciò che esprime la vita moderna. Altiforni
e fabbriche, l'andirivieni nei porti e nelle stazioni, la vita
negli hangar, la curva tracciata dal torpediniere, la maestosità del
volo di un' aeronave sono motivo di estasi per il futurista. La
monumentalità della folla lo coinvolge e nella catarsi del terrore
anarchico riconosce una forma di eroismo sociale e una tragedia
moderna. Lui stesso non è né socialista né anarchico. Nei confronti
di entrambi è tanto vicino quanto lontano, come nei confronti stessi
del conservatorismo. Il socialista vorrebbe distribuire il potere,
il nichilista tenta di annullarlo, il futurista se ne vuole servire.
Ciò che lega conservatori e futuristi, i primi eredi del passato, i
secondi anticipatori del futuro, è lo stesso apprezzamento di tutto
ciò che è virile, coraggioso e risoluto quale premessa di ogni
potere. Con la sua ideologia il futurista supera il conservatore,
dal momento che determina la sua visione del mondo non in base ai
principi che gli sono stati tramandati, ma in base alle idee che
lui stesso crea. È soprattutto un organizzatore e come tale un
individualista. In uomini, in grandi condottieri come Napoleone o
Cecil Rhodes vede realizzate le energie costruttive della storia.
Sente una sincera inclinazione verso la massa, di cui vuole farsi
strumento, ma ha scarsa considerazione per quei capipopolo che
credono nella facoltà autonoma a raggiungere determinati obiettivi.
Oltre la democrazia sociale "Il Futurismo" anela a un sociale
imperialismo. Lo sviluppo storico si realizza solo con l'individuo,
con il singolo, tutt'al più con un solo popolo, ma mai con una
massa che non sia popolo.
Il Futurismo è un movimento culturale. Il suo campo preferito è
l'arte che non deve seguire il kitsch. Per liberarla da "quella
fatalità" usa un metodo particolare: la distruzione. Ciò ci ricorda
che il Futurismo arriva a noi dal sud. Possiamo accettare che il
Futurismo sostituisca in noi l'etica categorica con la sua "etica
anarchica"? Giovani movimenti non devono essere stroncati sul
nascere, ma aiutati a crescere. Dobbiamo quindi imparare dal
Futurismo ad avere il coraggio di agire senza presupposti — come
fecero Adolf Loos e Peter Behrens nel campo dell'architettura.
Nessun popolo come il tedesco, che ricade sempre nell'eclettismo, ha
più che mai
bisogno di trovare il coraggio. Solo il Futurismo può liberarlo
insegnandogli ad avere la volontà di dare corretta espressione alla
sua epoca. È la stessa volontà che ha creato i grandi valori del
passato apprezzati dal nostro conservatorismo. Dunque anche da
questo punto di vista il Futurismo lo completa, in una accezione
nuova del termine, secondo cui essere conservatore può sempre e solo
significare creare valori che poi bisogna accuratamente mantenere.»
Con l'entusiasmo di sempre i futuristi si precipitano a Berlino.
Berlino, Potsdamer Platz, anni Venti. Berlin, Bildarchiv Preußischer
Kulturbesitz
«Accoglienze appassionate intuite da noi con un crescendo di giudizi
polemiche dibattiti sulla possibilità di realizzare plasticamente il
movimento e su tutti i giornali la condanna esplicita della pittura
tedesca giudicata arcaica statica funebre e senza via di uscita
[...]
Si gettano i piani di una vera industria di camicette femminili
futuriste e di sopramobili futuristi il finanziatore essendo lì al
tavolo fra apprezzatissime bottiglie di vino italiano si conclude
con molta gloria per Marinetti e compagni ma nessun vantaggio
economico uscendo nella Berlino gelata Boccioni sussurra
— Più che mai il nostro idealismo viene sfruttato e truffato occorre
al Movimento futurista un impresario uomo di affari
Gioioso ma misto di malinconia il crollo del nostri nervi nel sonno
dell'Albergo Explanade
Il successo della mostra del futuristi ingigantisce accorrono da
tutte le parti della Germania artisti e critici d'arte per studiarlo
quasi sempre favorevolmente
Una autentica passione coagula gli ammiratori intorno ad una delle
opere più significative Le forze di una strada di Boccioni prima
espressione plastica di forze misteriose urbanistiche d'oggi
La rivolta di Luigi Russolo attira i politici rivoluzionari ed io
che in francese tento di spiegare ogni cosa mi vedo venire raggiante
col suo 'Viva Garibaldi' a stretta di mano solenne Walden che canta
– 'Mi dichiaro capo del Futurismo tedesco e trionfatore come te
Marinetti perché tutti i quadri cioè 100 sono stati acquistati'
[...]
Ci festeggia il poeta romanziere Döblin che dichiaratosi futurista
mi fa sentire le prime parole in libertà tedesche che divennero la
prima parte del suo libro poetico sulla grande strada berlinese a
farraginoso traffico policromo molto rumorista»
L'atteggiamento irruente, spavaldo, a volte esibizionistico di
Marinetti, il suo vitalismo meridionale e il suo entusiasmo per la
metropoli, incuriosiva il pubblico colto berlinese, spronato dal suo
bisogno insaziabile di novità, ambizioso e orgoglioso di essere
all'avanguardia in tutti campi. Anche nel campo della moda: solo
pochi mesi dopo la prima comparsa del futuristi a Berlino i grandi
magazzini esponevano tessuti con motivi colorati e sfacciati che,
senza alcuna ragione, venivano offerti come «stoffe futuriste».
Marinetti, «manager del Futurismo», secondo una felice definizione
di Marcel Duchamp, usava tutte le tecniche di mercato per "piazzare
il suo prodotto", usando ad esempio i manifesti come nuova forma di
pubblicità, strategie psicologiche per shoccare la massa, per
suscitare polemiche anche pubbliche.
Il binomio Futurismo=Marinetti andò rafforzandosi; la mostra suscitò
la curiosità di tanti critici, artisti e giornalisti che, accorsi a
vederla, ne scrissero, dando vita a due schieramenti opposti con una
forte prevalenza tuttavia di feroci oppositori.
Dalle pagine di "Kunst
und Künstler" Karl Scheffler dichiarava:
«Il gruppo del "Futuristi", composto da tredici poeti, cinque
pittori e da un musicista, che aveva esposto quadri in una mostra
organizzata da "Sturm", interessa solo dal punto di vista
"popolar-psicologico". Gli artisti sono italiani. L'Italia, paese
arretrato nello sviluppo, ha l'ambizione, di recuperare il terreno
perduto il più velocemente possibile. Si trova quasi nella stessa
situazione della Russia, del paesi slavi e dell'Ungheria. Almeno
per quanto riguarda l'arte. Pertanto questi giovani rivoluzionari
italiani si sforzano in modo così radicale da voler impadronirsi non
solo dell'Impressionismo, ma anche di superarlo. Diamine, ci si
dovrebbe accorgere che ora esistono anche loro! Stessa situazione
caratterizza la giovane arte russa: l'anarchismo è sempre la forma
culturale degli ambiziosi deficitari di forza creativa. È
significativo che tutti questi popoli di secondo ordine, che si
fanno largo sgomitando, siano privi di talento e di tradizioni
vivaci.
I futuristi in questo sono autentici "neo-italiani" e a giudicare
dalla loro pittura indicibilmente privi di talento. E dal momento che come tali vogliono il
"massimo" e il "più nuovo", finiscono nel kitsch, nel luogo comune,
nella menzogna. A prescindere dalla pomposità non sense del
pensiero che caratterizza i loro manifesti – che nasconde il loro
non operare — rimane comunque fondamentale il come si possa
dipingere il movimento, vale a dire più stati temporali simultanei o
meglio il concetto stesso di tempo. Non in senso traslato come ha
fatto Rembrandt, ma il tempo in sé e per sé quale esperienza ottica.
Lo stesso vale per i rumori che questi pittori fanno comparire sulla
tela. Dunque dove non c'è talento, sovviene l'arte delle idee,
l'arte di raccontare la materia, un romanticismo attaccato agli
oggetti. Ciò che un secolo fa uomini sensibili hanno voluto in modo
raffinato trasferire in pittura avvalendosi di leggende, della
storia, di aneddoti, oggi una schiera di giovani rozzi e
schiamazzanti lo ottengono servendosi di una simbologia a buon
mercato di colorazione sociale e naturalistica. Su questa
manifestazione non voglio aggiungere altro. Con la pittura moderna
questo recentissimo movimento non ha proprio nulla in comune. È un
nuovo modo, strabiliante di ciarlataneria culturale che oggi decima
come un'epidemia parti di popolazione. Ciò che nella pittura di
costruzioni simboliche, definite futuriste, sfiora l'arte, è già
stato sviluppato da artisti con personale forza creativa e logica
oggettiva come Klimt, Thorn-Prikker, Toorop, Khnopff, Stuck, van der
Velde, Endell ed altri ancora.
Se proprio bisogna stupirsi davanti ai quadri del futuristi, lo si
faccia solo per la loro mancanza di talento.»
Feroce polemica trasudava dalla rivista di Franz Pfemfert "Die
Aktion", altra grande rivista dell'espressionismo berlinese;
offensive dichiarazioni scriveva un anonimo nella rivista "Die
Kunstwelt" quando sosteneva:
« [...] I futuristi non danno tregua. Attualmente i loro capi, e in
particolare il Napoleone di tutta l'arte del futuro – Marinetti – si
sfogano in nuovi 'Manifesti' che nulla hanno da invidiare ai
precedenti per confusione e tormento. In primo luogo il suo pupillo
Boccioni massacra i grandi scultori: i greci, Michelangelo e Rodin e
proclama che la scultura d'ora innanzi dovrà rappresentare il
movimento. Questo delizioso futurista si esprime così: "Oggetti che
sono associati ad una figura non saranno, come sino ad ora,
raggruppati attorno ad una statua come dettagli decorativi estranei,
ma saranno inseriti, secondo una nuova dottrina dell'armonia, nelle
linee muscolari del corpo. Si potrà vedere, per esempio, la ruota di
un motore sporgere dal braccio di un meccanico; la linea di un
tavolo sulla testa di un uomo che legge, mentre le pagine del suo
libro, aperte a ventaglio, gli squarceranno la pancia. La scultura
futurista non capisce perché mai il braccio di una figura non debba
essere coperto, mentre le parti restanti sono nude. Le diverse linee
di un vaso di fiori devono susseguirsi con elasticità, mescolandosi
alle linee di un cappello o di un collo. Vetro, celluloide, pezzi di
metallo, fili di ferro, luce elettrica devono essere adoperati
internamente e in superficie per suggerire le inclinazioni, i toni e
i mezzitoni di una nuova realtà. Anche il colore dev'essere
utilizzato liberamente e audacemente per trasmettere sentimento alla
forma esterna e accentuare il significato astratto del valori
plastici." In un supplemento al Manifesto della letteratura
futurista il signor Marinetti, riferendosi con grande umiltà a un
brano del paradiso di Dante e ad Edgar Poe, ci
garantisce quanto segue: "già molto tempo prima di Bergson (il più
famoso filosofo francese del momento), quei geni creativi
concordavano con il mio genio, in quanto esprimevano il loro
disprezzo e il loro odio per l'intelligenza rampante, debole e
solitaria e decretavano ogni onore ad una educazione intuitiva e
divinatoria". Il profeta del futurismo dichiarava quindi guerra alla
sintassi, alla maiuscola, all'avverbio, al verbo e all'interpunzione
e assicurava infine che avrebbe privilegiato "l'essenzialità
del
segni matematici". Dal momento che il movimento di Marinetti si sta
trasformando in un pericolo pubblico bisognerebbe trovare il modo
di ricoverare lui e i suoi compagni in un ospizio il più velocemente
possibile [...]»
L'eco della mostra coinvolse anche altre riviste tedesche. La "Deutsche
Kunst und Dekoration" di Monaco pubblicò nel giugno 1912 un articolo
firmato da Rudolf Klein:
«In questi ultimi tempi ci sono state servite alcune importanti
novità concernenti l'arte provenienti dal laboratorio del
Neo-Secessionisti; si è trattato nella maggior parte del casi di
rielaborazioni equivoche e spesso prive di talento, null'altro che
un compromettere le idee di Cézanne e di van Gogh. Un cubista come
il francese Picasso è fino ad un certo punto un'eccezione, poiché
per la sua maniera, che rivela sistema e consequenzialità e si basa
sulla scrupolosità, potrebbe dedicarsi al più arido Manierismo,
anche se solo per un paio d'anni e senza provare disgusto. Un altro
caso è rappresentato dai futuristi. Abbiamo sentito parlare di loro
circa due anni or sono, allorché distribuirono il loro manifesto tra
la folla veneziana, lanciando dal campanile quintali di fogli
pressati: ci si chiede meravigliati come siano riusciti a trascinare
un tale peso fin lassù. Ma si trattava di un'azione 'socialmente
riformatrice' che tuttavia non dava un'idea della loro pittura. Ora
abbiamo avuto invece la possibilità di vedere i loro quadri a
Berlino — e per questo dobbiamo essere riconoscenti al signor Herwarth Walden — e di sentire il poeta Marinetti, guida della
scuola futurista in Italia, parlare dei suoi principi e di quelli
del suoi compagni. Non mi posso tuttavia occupare in questa sede
della parte poetica e sociale del programma di questo nuovissimo
movimento. Ritengo di dover esprimere solo le impressioni che mi
hanno fatto i 33 quadri dei cinque giovani pittori Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini, che pur vivendo tra Milano, Roma e Parigi
ma accomunati da uno stesso sentire e creare, si sono ritrovati ad
esporre insieme: dunque vorrei evidenziare i motivi su cui si basa
l'efficacia del loro dipinti senza entrare in polemica con loro, per
quanto la cosa mi attragga.
Solo alcune osservazioni: si ritiene, assecondando scuole
secondarie, di dover constatare la fine dell'Impressionismo con
Cézanne e van Gogh. Gli epigoni che mercanteggiano sulla loro
eredità non vengono presi in considerazione. Si guarda al futuro
senza sapere quale potrà essere lo sviluppo, quando improvvisamente
entra in scena il Futurismo. Si pensi ciò che si vuole — del loro
programma estetico e sociale ci sarebbe molto da dire — ma ci sono
tutti i presupposti perché sia un movimento artistico autonomo
all'interno della pittura (dal punto di vista poetico e riformistico
non sembra che il programma futurista, stando a Walt Whitman, sia
così sorprendentemente innovativo).
Cinque giovani uomini si presentano dunque sulla scena: dotati della
stessa tecnica dei loro immediati predecessori – senza tuttavia uguagliare i grandi
artefici – spinti da comuni motivazioni intellettuali, coinvolti
negli stessi obiettivi senza rinunciare alla propria individualità,
risolvono compiti che nessuno prima di loro si era posto nell'arte,
dischiudendo nuovi campi.
Non intendo identificarmi con le loro ambizioni, mi preme invece
motivare alcune riflessioni.
Se consideriamo l'aspetto essenzialmente innovativo di questa
pittura, rileviamo che il nuovo è di natura negativa: riguarda
infatti l'oggetto del contenuto e la sua natura. Il contenuto,
infatti, nella maggior parte del casi di natura letteraria, non può
venir rappresentato in pittura appartenendo alla sfera emozionale
che noi non riteniamo così significativa come ci vogliono far
credere: rifacendoci al poetico e al sociale del loro programma
dovremmo spiegare loro che tutte le idee sono una variazione della
teoria dell'influsso ambientale, superato – a nostro dire –
nell'arte già da tempo. Pare che ignorino di essersi discostati come
poeti – esaltando ad esempio un'automobile sfrecciante – dal
principio artistico di Zola e dalle sue molteplici trasformazioni.
Dunque come pensatori sono radicati nel Materialismo, mentre noi da
tempo guardiamo ad altri tratti fondamentali dell'anima umana, che
non centrano per nulla con la osservazione di carattere ambientale.
È comunque interessante osservare come tutto ciò che noi da tempo
nel nord Europa abbiamo esperito e già superato, si presenti solo
ora e ci giunga in forma ammassata, in sintesi dall'Italia, Paese
rimasto a lungo lontano dalla vita moderna e considerato dal punto
di vista artistico un ripostiglio per archeologici – cosa che fa
adirare moltissimo questi giovani.
Atteniamoci però alla pittura del futuristi, in cui risaltano pregi,
novità ma anche aspetti contrari.
Quello negativo è rappresentato pur nella sua straordinaria
peculiarità – che ben poco ha da spartire con quella del grandi
artisti, in particolare, Cézanne e van Gogh – dallo sviluppo del
mezzo espressivo. La loro pittura infatti si aggancia a quella
decisamente diversa dell'Impressionismo e variandola in modo
sorprendente, ne amplia il campo figurativo e lo rende più
intricato. Il perfezionamento non consiste nel trovare il modo più
semplice per rendere un nuovo effetto di linea e di colore.
L'arricchimento sta invece nella stessa complicazione di ciò che
viene rappresentato: non affinando i mezzi visivi, ma rappresentando
la curiosità visiva, ad esempio riproducendo una doppia immagine
riflessa in un vetro, tanto per citare uno degli esempi più
eclatanti.
Ben lungi dall'essere innovatori sono quei soggetti futuristi
coinvolti in accuse di essere eccessivamente intricati. Autori di
schizzi, che senza una spiegazione testuale sono del tutto
incomprensibili per l'osservatore e non giustificano in alcun modo
il concetto di pittura, non possono accampare la pretesa di priorità
per composizioni di tal sorta: l'olandese Toorop aveva iniziato
negli anni '90 tali composizioni simboliche; penso al quadro 'Le
tre spose'. Per diversi aspetti può essere considerato anticipatore
di quest'arte dal momento che cercava di conciliare le qualità
pittoriche dell'Impressionismo con il concettualmente costruttivo.
Ne risentivano l'impressione pittorica e il valore del colore e
della linea.
Allo stesso modo, tra tutti i lavori dei futuristi, non c'è alcuno
che possa essere definito pittura eccellente in senso coloristico.
Colore e disegno agiscono quasi totalmente quali mezzi di
esperimenti artistici; mai come detentori di profondi
moti dell'anima che soddisfano l'essenza più alta dell'arte. Ciò è
troppo naturale in un'arte da valutare come forma esteriore di un
pensare materialistico. I futuristi considerano i loro lavori quale
inizio di una nuova epoca e pertanto si definiscono i primitivi
dell'oggi, convinti di essersi discostati più di tutti gli altri
dalla tradizione: ma proprio per questo non sono primitivi, poiché
il loro modo e il loro essere sono un raffinatissimo estratto, quasi
una sintesi chimico-fisica del mezzi di coloro che li hanno
preceduti. L'arte primitiva stessa è stata creata da singoli
individui e non da un gruppo che si presenta in pubblico con il
programma della primitività.
Programma e primitività si escludono a vicenda. Già Zola credette di
aver raggiunto l'essenzialità della vera arte quando la collocò fra
le leggi della scienza — qui siamo all'ultimo stadio di un modo di
pensare in fondo inartistico perché sperimentale. I padri di quest'arte per nulla non tradizionale sono Claude
Monet per il coloristico, Jan Toorop per l'intellettualmente
simbolistico e Felix Valloton per il lineare-sintetico: artisti che
divennero oggetto di studio da parte del giovani italiani. Costoro,
cogliendo l'essenzialità della loro arte ed interiorizzandola sono
riusciti ad esprimere stati puramente visibili e intellettualmente
emotivi, cui gli artisti precedenti non avevano osato avvicinarvisi,
essendo propri di una sfera che esula dall'arte figurativa.
Significativo è il fatto che tra i futuristi non ci sia alcun
scultore. Trasferire i loro principi in scultura li farebbe apparire
ridicoli. Si ammetta però che sono riusciti a tradurre in pittura
'scoperte attuali': le loro opere sono l'arte del tempo
dei raggi x
e del radio, né più né meno di quanto Monet ai tempi delle scoperte
in biologia.
L'elemento più rilevante dei pittori futuristi è quello di non
accontentarsi di un'impressione sintetica, ma dare di una stessa
sintesi diverse impressioni, creando in tal modo un'azione continua,
ossia il movimento della scena. Nel contempo i momenti colti
singolarmente sono cristallizzati. Il principio,
pertanto, non è stato completamente sviluppato. Hanno ripreso
l'Impressionismo nella sua tecnica sperimentale; in un quadro come
'La Danza Pan-Pan' di Severini sembra che l'essenza del
cinematografo e del grammofono si fondino insieme sulla tela.
Quest'opera che varrebbe da sola come paradigma della scuola,
realizza degnamente lo scopo di essere un decoro murale in un
locale da ballo.
In alcune opere soltanto i futuristi realizzano in modo chiaro e
mirato ciò che si sono prefissi. Solo poche opere possono essere
accettate senza contraddizioni. In alcune i principi agiscono come
poco più di uno scherzo pittorico, in altre non si discostano troppo
dall'Impressionismo se non in aspetti secondari, mentre altre ancora
non sono che la continuazione di un intellettualismo simbolico o di
una sintesi coloristica: nel quadro 'La Danza Pan Pan' sono sciolte
in modo convincente le impressioni visive e fonetiche grazie ad una
concentrazione di mezzi artistici impressionistici che rispondevano
al compito dell'artista.»
Altri giudizi negativi nelle riviste "Die Plastik", "Lustige Blätter"
e ancora "Pan", "Das Kunstwerk" e l'elenco potrebbe
continuare.
La difficoltà maggiore era rappresentata dal linguaggio con cui
questi artisti comunicavano. Artistico e letterario. Si chiedeva ai
futuristi maggior chiarezza nell'esprimere le loro intenzioni, il
loro programma.
«La teoria è una cosa e il talento un'altra. In musica è abbastanza
comune: raramente lo stesso artista li possiede entrambi, come
accade invece per Schönberg. Inoltre tutti i Manifesti (musica,
pittura, politica, ecc.) sono di una confusione forse senza
precedenti che solo teste italiane possono aver concepito. Veramente
i nostri manifesti ginnasiali erano più organici e costruttivi.
Forse allora contava l'esercizio», lamentava Kandinskij. Accusa
non sempre condivisa, dal momento che gli artisti, in particolare
nel Manifesto tecnico sulla pittura futurista, si erano rivolti al
pubblico con chiarezza di linguaggio e di esempi, volendo
coinvolgerlo nella loro avventurosa e gratificante esperienza.
«La simultaneità degli stati d'animo in un'opera d'arte: ecco la
meta inebriante della nostra arte.
Spieghiamoci ancora di seguito con esempi. Dipingendo una persona al
balcone, vista dall'interno, noi non limitiamo la scena a ciò che il
quadrato della finestra permette di vedere: ma ci sforziamo di dare
il complesso di sensazioni plastiche provate dal pittore che sta al
balcone: brulichio soleggiato della strada, doppia fila delle case
che si prolungano a destra e a sinistra, balconi fioriti, ecc., Il
che significa simultaneità d'ambiente e quindi dislocazione e
smembramento degli oggetti, sparpagliamento e fusione dei dettagli,
liberati dalla logica comune e indipendenti gli uni dagli altri.
Per far vedere allo spettatore quale sia l'oggetto del quadro,
secondo quanto prevede il nostro manifesto, bisogna che il quadro
sia sintesi di quello che si ricorda e di quello che si vede.»
Concetto estremamente difficile da capire; il mancato bisogno da
parte dei futuristi di ricomporre nelle loro opere le particelle di
impressioni naturali e fonderle in nuova
unità veniva liquidato con la loro predisposizione psicotica, come
W. Warstat-Altona in Die Futuristen:
«Quando si vedono per la prima volta i quadri dei futuristi e si
leggono le frasi orgogliosamente eccentriche del loro Manifesto, che
dietro una quantità di parole volutamente roboanti, ma in parte
anche penosamente inutili, mascherano più che chiarire gli obiettivi
artistici di quei giovani profeti, si è portati a passare oltre con
un'alzata di spalle e un sorriso. Ho visto però anche persone che
ridendo a crepapelle mettevano in ridicolo quei dipinti
incomprensibili e che in una patetica declamazione delle frasi
tratte dal Manifesto, esprimevano benissimo la ridicolaggine e
l'insensatezza di quegli sfoghi.
Scherno e derisione caratterizzano la maggior parte delle
affermazioni pubbliche sui futuristi. Dall'altro canto quei giovani
pittori 'il più anziano ha solo trent'anni' hanno provocato loro
stessi la derisione non solo con le ridicole esagerazioni dei loro
principi — precisa osservazione e rappresentazione di tutte le
singole fasi del movimento — ma anche per il modo combattivo con cui
si presentano. Del resto lo Sturm und Drang artistico va di pari
passo con la battaglia contro il vecchio, il tradizionale e il
radicato. Il nuovo ha bisogno di spazio e crede di poterselo
conquistare al sole solo a spese del vecchio e dell'ormai scontato.
Questa manifestazione ci è nota da tempo e appartiene alla storia di
ogni arte; tuttavia non siamo in grado sine ira et studio, di
metterli a confronto con assoluta mancanza di passione con i
predecessori, in un momento in cui la battaglia si è di nuovo accesa
nel presente, specialmente se l'assalitore alza il braccio per
colpire con ridicola brutalità, come si comportano i futuristi.
Vogliono 'distruggere i musei, le biblioteche, combattere contro il
moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o
utilitaria.' L'elemento più importante dell'intero programma è però
la lotta dei pittori futuristi contro i musei, ossia contro la
quintessenza e l'insieme dell'arte figurativa. 'Musei, cimiteri
!...Tali, veramente, per la sinistra promiscuità di tanti elementi
che non hanno niente in comune. Musei: dormitori pubblici in cui si
riposa per sempre accanto ad esseri odiati o ignoti! Musei: assurdi
macelli di pittori e scultori che vanno trucidandosi a colpi di
colori e di linee, lungo pareti contese'. Pertanto i futuristi
incitano a consentire l'arrivo di allegri incendiari dalle dita
carbonizzate. 'Eccoli! Eccoli! Suvvia! Date fuoco agli scaffali
delle biblioteche!...Sviate il corso del canali, per inondare i
musei!... Oh la gioia di vedere galleggiare alla deriva, lacere e
stinte su quelle acque, le vecchie tele gloriose!... Impugnate i
picconi, le scuri, i martelli e demolite, demolite senza pietà le
città venerate!' Così scagliano 'ritti sulla cima del mondo' la loro
sfida 'alle stelle!'
È un pathos fatale, fatale anche perché la sua affettazione agisce
come una pubblicità; del resto anche le esagerazioni artistiche del
futuristi hanno effetto sul pubblico come se fossero pubblicità
mirata. Il pubblico cerca il nuovo ad ogni costo quasi fosse
impazzito. I futuristi annunciano il nuovo ad ogni costo ma a noi
rimane il compito di indagare se esiste veramente qualcosa di
completamente folle.
Tra i futuristi non ci sono soltanto pittori, ma anche poeti.
Soltanto i primi ci interessano. Caratteristico è lo stile del
secondi, ambedue i gruppi di artisti esprimono a parole i loro
obiettivi artistici nel Manifesto. Esaltano 'il movimento
aggressivo, il passo
da ginnasta, il salto pericoloso, il ceffone e il pugno'. Credono di
aver scoperto la bellezza del movimento, specialmente la 'bellezza
della velocità'. La rappresentazione artistica della velocità, del
movimento veloce è il problema artistico che cercano di trattare a
loro modo. Si esprimono sostenendo: 'Noi canteremo le grandi folle
agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree
multicolori o polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne:
canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri
incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde,
divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei
contorti fili del loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che
scavalcano i fiumi, balenanti al sole come un luccichio di coltelli;
i piroscafi avventurosi che fiutano l'orizzonte, le locomotive
dall'ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli
d'acciaio imbrigliati da tubi, e il volo scivolante degli aeroplani,
la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire
come una folla entusiasta.'
Nelle nostre considerazioni teorico artistiche tralasciamo di
analizzare un così ridondante modo di esprimersi, mentre
constatiamo ancora una volta che la rappresentazione di ogni
movimento veloce costituisce il vero problema artistico. Prendendo
in esame i quadri si ammetterà che vi sono presenti gli approcci per
risolvere il problema. Il grande dipinto di Umberto Boccioni 'La
città che sale' appare al primo sguardo come un imponente groviglio
di colori, un caos di sprizzanti toni di blu e rosso. Ad una più
attenta osservazione questo caos sembra riordinarsi, forse anche con
l'ausilio di una spiegazione — i futuristi commentano i loro quadri
nel catalogo dell'esposizione — fino ai dettagli significativi. In
un rosso brillante si sviluppa impennandosi un cavallo con il collo
robusto, una testa con frogie sbuffanti sovrasta una briglia blu,
che scavalca la criniera. Il conduttore del cavallo emerge dal
groviglio di colori; guardando più attentamente si scorge sul fondo
per un istante il giallo di un tram elettrico, il tutto si agita
muovendosi nuovamente in un mare di pennellate in movimento, cavalli
e loro conduttori impegnati nello sforzo, uomini che scivolano via
rapidamente, carrozze di tram, facciate di case illuminate dal sole.
Il pittore ha rinunciato ad ogni modellatura delle forme oggettive,
rappresentando il movimento con l'aiuto della forma 'mossa', mentre
le soluzioni artistiche del problema del movimento finora si
attenevano alla pura forma. Dunque nell'arte l'oggettivo, la forma,
diventa comunemente espressione del movimento. Il futurista Boccioni
rinuncia a quella forma oggettiva e tenta di trasporre nel suo
quadro una visione colorata, soltanto il colore diventa detentore
del movimento. Se ciò sia possibile, non si può stabilire soltanto
con riflessioni teoriche. La teoria artistica è molto incline a
dubitarne; tuttavia per sua natura è incline a mettere in
discussione ogni cosa nuova che si svilupperà, poiché deriva la sua
conoscenza solo dai fatti finora accaduti che caratterizzano la
storia dell'arte e quindi non può avere per il nuovo né una capacità
di comprensione né tantomeno farsi un concetto. Di fronte al nuovo
tuttavia, che ha dimostrato la sua ragion d'essere attraverso la sua
reale esistenza e la sua crescita, deve scomparire ogni dubbio e la
teoria artistica cercare di trovare leggi e formule per il nuovo.
Dubbi sulla possibilità di trovare una tale soluzione al problema
del movimento, come Boccioni ha tentato nel suo dipinto, non
dovrebbero condurci a tralasciare ciò che effettivamente è stato
raggiunto, oppure di ritenere impraticabile il cammino a causa della
sua imperfezione. Nel quadro di Boccioni non ci sono contorni, né
modellazioni, le forme si sciolgono nei colori e i colori, le
singole impressioni di
colore si compenetrano. L'impressione totale di questo brulichio di
colori è alla fine inconfondibile: ne esce un movimento vivace,
sapientemente dominato dalla maestria dell'artista, affascinante
nella sua velocità e in tutti i suoi toni di colore. I futuristi
affermano nel loro Manifesto: 'Viviamo nell'assoluto poiché abbiamo
già creato la velocità eterna, la velocità presente.' Se esprimiamo
il briciolo di verità contenuto in questa frase con parole sobrie,
potremmo ammettere che i futuristi si sono industriati a
rappresentare il movimento in una certa astrazione, poiché
prescindendo dalla corporalità come detentrice del movimento,
cercano di esprimerlo soltanto con l'aiuto del colore nella visione,
con l'aiuto della singola impressione colorata. In un certo senso il
movimento diventa effettivamente 'assoluto', così come lo si
constata in alcuni quadri, mentre in altri è più complesso e bisogna
ricercarlo nelle loro affermazioni.
Anche nel quadro di Luigi Russolo 'Rivoluzione' si trova un
movimento 'assoluto', rappresentato astrattamente, ossia non legato
a forme naturalistiche. Vale a dire che è inserito in uno schema, e
quindi diventa schematizzato e ritmicizzato. Ferdinand Hodler
conferisce al suo quadro 'L'uscita di studenti' un ritmo serrato, lo
'schema' del movimento viene espresso nella stessa ripetuta armonia
che caratterizza la posizione di coloro che marciano:
effettivamente tutti alzano la gamba alla stessa altezza, con la
stessa forza. E da questo movimento sempre uguale si sprigiona il
ritmo inarrestabile del marciare, che sottolineato dallo stesso
passo si potenzia in modo consistente, cosi come lo sparo di mortaio
rimbomba tra le pareti rocciose dei monti. Questo principio
schematizzato o ritmato nel dar forma al movimento è stato
approfondito da Russolo nel suo dipinto. Uomini portano avanti,
secondo la spiegazione, 'l'elemento degli entusiasti e dei lirici
rossi'. Nella massa la forma di ogni singolo corpo si perde, ma le
gambe che ritmicamente si sollevano ad uguale altezza e le braccia
tese esprimono l'inarrestabile spingersi in avanti, così come nel
quadro di Hodler. Il movimento però staccandosi dalla massa che
avanza continua ad ondate oltre la massa alla stregua di onde di
suoni e luci che si propagano. Ciò che ancora non vediamo, ossia
l'avanzare del movimento, la sua direzione, è stato rappresentato in
modo straordinario: sprigionandosi dalla massa stessa sembra
anticiparla, poi viene ripreso in raggi che si incrociano ad angolo
retto e riempiono l'intero lato sinistro del dipinto, raggi ordinati
in fila come sistema di onde. Nel quadro emerge ancora una
particolarità: infatti 'la forza dell'elemento allentato', contro
cui si dirige l'avanzata 'degli entusiasti e dei lirici rossi',
viene rappresentata simbolicamente da una casa, che appare 'come un
pugile che, piegato in due, riceve un colpo a vuoto'.
Dipende da noi tuttavia se vogliamo effettivamente evidenziare in
alcuni quadri lo sforzo da parte del pittori futuristi di risolvere
il problema artistico di rappresentare il movimento. Avevano
sostenuto che il movimento avrebbe avuto nelle loro opere una
rappresentazione astratta e che quindi non sarebbe stato
rappresentato con le forme naturalistiche detentrici del movimento.
Sono state sostituite dal puro colore, dall' impressione di colore,
beninteso non il colore che appare in natura: si pensi alle rosse
teste di cavallo di Boccioni imbrigliate di azzurro; in altri casi
da uno schema astratto quale forma espressiva del movimento.
Specialmente il dipinto di Russolo 'Rivoluzione', sembra aver aperto
una nuova via che porta ad una simbolica rappresentazione del
movimento. I futuristi però tendono ad esigere troppo dalle
possibilità insite nella loro arte per trasformarle in simbolismo.
Si scelgono motivi che sono ancora inafferrabili e non si rendono
conto
di quanto pietoso e insignificante sia ciò che hanno raggiunto in
rapporto a ciò che si prefiggevano. Severini descrive ad esempio il
ritmo dell'agire di cose e ambiente della stanza sul pittore, oppure
'il sentimento di angoscia dolorosa dopo la lettura della novella [Il
gatto nero] di Edgar Allan Poe'. La forza creativa simbolica
dell'artista qui non sembra essere stata sufficiente a trovare per
il particolare stato d'animo una rappresentazione comprensibile. Lo
stato d'animo scelto per diventar motivo è
troppo complesso, troppo vago, troppo indefinito perché possa
essere compreso in una singola e omogenea espressione, dunque in un
solo simbolo.
Perfino nella trattazione del problema che sta al centro dei loro
sforzi e aspirazioni, ossia rappresentare i movimenti, i futuristi
commettono un errore simile, tentando di creare simboli per stati
d'animo complessi. Scelgono motivi di movimento troppo estesi e
complessi, esprimono il movimento più che renderlo accessibile dalla pittura e
soprattutto con l'arte figurativa.
Per capire la portata di questo errore è necessario guardare alle
leggi della rappresentazione artistica del movimento.
L'andamento di un movimento in natura avviene nel tempo, le sue fasi
si succedono. L'arte figurativa, che opera nello spazio, non riesce
a esprimere nulla di ciò che si trova in una successione temporale,
ma solo a fissare un momento del corso del tempo, un punto del
movimento e tutto ciò che è legato a quel singolo momento. L'arte
figurativa, quindi, non può trasmetterci l'impressione totale di un
movimento, poiché questa come tale è sorta da una serie di obiettive
impressioni singole e successive nel tempo con l'aiuto delle nostra
associazione mentale; riesce molto di più a rappresentare
immediatamente solo una singola impressione simultanea invece che
una fase di movimento.
L'arte figurativa ha trovato tuttavia il modo di suscitare in noi
perlomeno indirettamente un'immagine quasi completa, quasi una
rappresentazione dell'insieme del movimento. Sa dar forma alla
singola immagine simultanea, che dall'andamento totale del movimento
viene estrapolata e fissata sì da evocare prima e dopo una realtà
più amplia e provocare in noi per associazione la rappresentazione
dell'andamento totale del movimento.
Questo esercizio effettivo Lessing lo aveva ridotto ad una formula,
ad una legge e preteso che l'artista scegliesse di ritrarre il
momento più utile dell'intero sviluppo del movimento, ossia quel
momento di calma relativa, in cui esaurita la forza interna
subentra un contraccolpo, oppure quello successivo di ripresa del
movimento. Così il boscaiolo di Hodler è ritratto con il braccio
sollevato: nell'istante seguente l'ascia si abbatte.
L'arte figurativa non conosce tuttavia un secondo modo per
riprodurre in noi la rappresentazione totale di un movimento.
Un'invenzione modernissima, la cronofotografia, e ancora di più la
cinematografia possono aiutarci a chiarirlo. Possiamo infatti
fissare le infinite fasi di un corpo in movimento, di un cavallo da
corsa al galoppo, nella stessa sequenza di come avviene realmente;
abbiamo altresì la possibilità di comparare quelle fasi di
movimento in natura con le rappresentazioni del movimento in arte.
Un cavallo al galoppo è raffigurato come se stesse volando con
l'estensione delle zampe anteriori in avanti e quelle posteriori
all'indietro, mentre zampe e ventre formano una linea retta. La
cinematografia del cavallo in corsa rileva invece che l'animale al
galoppo non ha mai le zampe anteriori e posteriori
contemporaneamente allungate, ma che quelle posteriori sono
trattenute mentre quelle anteriori hanno raggiunto la loro massima
estensione e viceversa. L'artista ha dunque riunito in una sola
immagine due fasi di movimento che in natura sono temporalmente
distinte perché consequenziali, esprimendo in tal modo la velocità e
l'insieme del movimento.
La rappresentazione di quelle due fasi temporali in un unico
movimento totale ha un fondamento psicologico. Quelle fasi sono di
calma e di cambiamento radicale, momenti focali della teoria
lessinghiana. L'estensione estrema delle zampe anteriori e
posteriori di un cavallo in corsa sono i momenti limite, all'interno
del quali avvengono tutti gli altri movimenti delle zampe che il
nostro occhio e quindi la nostra consapevolezza non sono in grado
di fissare: solo la fotografia istantanea e la cinematografia ce li
mostrano con chiarezza. Momenti di calma e di movimento si fondono
in una visione totale del movimento. Fissati in una rappresentazione
artistica rappresentano un' omogenea visione totale del movimento,
mentre in realtà hanno una scansione temporale.
I futuristi cercano una terza via per dar forma artisticamente al
movimento nel suo insieme. In verità non fanno altro che esagerare
con il dar forma al movimento in diversi tempi deformandolo. Gli
errori che commettono possono essere riassunti in due
considerazioni. Prima: non guardano alla qualità, alla forza
espressiva, ma alla quantità delle fasi e del momenti del movimento;
seconda: non li riuniscono in una omogenea impressione visiva, ma li
collocano l'uno accanto all'altro senza criterio e connessione.
I futuristi sanno molto bene che la nostra visione totale di un
movimento scaturisce da molte impressioni singole che si succedono
nel tempo, perfino in luoghi diversi e possono esser osservate da
angolature diverse. Ora credono di poter restituire quell'immagine
totale di un corpo in movimento, portando su un qualsiasi punto
della tela simultaneamente nella maggiore quantità e varietà
possibile le impressioni singole che sono avvenute in ordine
consequenziale. Esempio chiarificatore di questo procedimento è 'La
danzatrice ossessionante' di Gino Severini. Secondo la spiegazione
contenuta nel catalogo il quadro vuole 'esprimere l'insieme di
impressioni, passate e presenti, vicine e lontane, piccole e grandi
di una danzatrice, così come appaiono al pittore, che le ha studiate
in diversi periodi della sua vita'. In realtà sulla superficie
dipinta si ritrova un occhio, una acconciatura a metà, una bocca a
metà, la bocca intera, ancora un occhio, nel mezzo a distanza
un'immagine della danzatrice. L'immagine vicina è dilacerata, le
impressioni singole sono sistemate
intenzionalmente l'una accanto all'altra e non si coprono, dal
momento che scaturiscono da diversi punti di osservazione: da una
determinata positura del capo o da una diversa posizione da cui si
osserva, il che significa che le singole impressioni vengono
scomposte in modo spaziale sia nella percezione sia nel quadro.
Di fronte a un quadro futurista si deve presupporre una semplice
immagine sia livello percettivo sia a livello di rielaborazione, se
si vuole giungere a comprendere più o meno l'intenzionalità
artistica. Lo stesso principio è evidenziato nel dipinto 'Modista' e
in quello 'La danza Pan-Pan in Monico', in cui 'il rumore di una
banda, la folla tracannante champagne, la danza perversa
dell'artista, le risate e la ricchezza di colori nel famoso locale a
Montmartre' si sciolgono in particelle di impressioni che vengono
poi vorticosamente rimescolate, così che compaiono una accanto
all'altra una, due, tre – sei gambe della danzatrice, qui un grande
cappello, là un bicchiere, un braccio, una testa e così via.
Carlo D. Carrà si industria a rappresentare impressioni singole di
persone diverse che guardano un oggetto da diversi punti. Descrive
la 'duplice impressione' provocata da una sobbalzante carrozzella,
nei suoi passeggeri e nei passanti', oppure 'la sensazione di un
passeggero del tram e di un osservatore sulla strada.'
Tali quadri sono pura follia! Si pretende che l'osservatore separi
il suo Io, che divida la sua personalità! Chi riesce, è malato, è
psicologicamente degenerato. L'arte del futuristi ci porta
immediatamente allo psicotico. Una tale divisione della
consapevolezza dell'Io è propria di stati patologici, morbosi.
Ed anche il fatto che i futuristi non riescano oppure che non
sentano il bisogno di ricomporre nelle loro opere le particelle di
impressioni naturali e fonderle in nuova unità, è da ascrivere alla
loro psicotica predisposizione. Il dottor H. Stadelmann osserva
nella sua opera Psychopathologie und Kunst (1908) che l'artista ha
la facoltà di fondere le particelle di impressioni prodotte dai
sensi e quelle prodotte dall'immaginazione in unità, in
essenzialità, tenendo separate l'inclinazione artistica da quella
psicotica. A ragione accenna che queste due forme possono concordare
nella misura in cui si distinguono per un'elevata eccitazione degli
stimoli nervosi, ossia per una sensibilità accentuata dalle
impressioni sensoriali. Mancando però allo psicotico la forza
psicologica di fondere in unità impressioni dissociate, l'intero
stato psichico si frantuma in impressioni per arrivare alla
dissociazione dell'Io. Così dunque appaiono le opere citate dei
futuristi, vale a dire prodotti di una predisposizione psicotica.
Non si deve tuttavia escludere la possibilità che tra i futuristi ci
sia qualche personalità che avendo la forza per fondere in unità la
pienezza delle sue impressioni, possa dischiudere nuove vie alla
rappresentazione del movimento. Che ci siano tra gli attuali
futuristi le premesse che potrebbero portare al dar forma al
movimento astratto o assoluto, lo abbiamo già sottolineato.»
O Ferdinand Avenarius nella rivista "Kunstwart":
«I futuristi che hanno esposto a Berlino, sono stati derisi. È
comprensibile, poiché è facile far sorridere, quando, credendo di
vedere quale immagine fantastica, "L'uscita dei maggiolini
attraverso il bosco", si viene informati che le "silhouetten
spettrali" altro non sono se non "simbolo di una profonda
malinconia" e che gli alberi sono l'immagine del dolore. Non lo
potevamo comprendere immediatamente. Tuttavia
ritengo si debba essere riconoscenti a "Sturm" per le esposizioni di
quegli italiani rivoluzionari. Ogni fatica onesta e perseverante ha
il diritto di tentare di coinvolgere gli amici dell'arte e nessun
amico dell'arte farà questo tentativo senza ricavarvi un qualsiasi
guadagno. E non ci deve dar fastidio se i loro testi accompagnatori
e i loro "manifesti" risuonano di megalomania. Poiché gli autori
credono alla forza sovvertitrice e creativa delle loro idee,
possono anche ritenersi uomini grandissimi: è un loro diritto. Va
bene, ma noi non siamo dello stesso parere. Abbiamo bisogno del loro
testi e del loro "manifesti", se vogliamo comprendere le loro idee.
Potremmo arrivare senza le loro parole e più lentamente ad avere
un'opinione del loro quadri, ma non saremmo certamente così pazzi da
valutare i pittori solamente secondo la logica del loro scritti.
Se si cercherà e si coglierà nelle frasi fissate nel catalogo il
pensiero dominante e ciò che potrà essere utile alla comprensione,
cercando di chiarirci tutto ciò che è stato seminato, risulterà
evidente che il dipingere è stato finora un'arte spaziale
dell'accostamento: i Futuristi vogliono trasformarlo in un'arte
dell'accostamento e del susseguirsi. Il risultato è la confusione. A
seconda della volontà nel quadro si trova ciò che è da vedere e ciò
che era da vedere; a seconda del desiderio gli oggetti sono
semplici o molteplici, interi o frantumati e possono trovarsi in uno
spazio preciso oppure in una qualsiasi altra parte. A seconda del
desiderio appaiono come sono nella realtà oppure anche nell'interno
come passati ai raggi Roentgen, solo come ombre o contorni, cosicché
si vede attraverso i corpi ciò che è posto dietro, ciò che un tempo
stava o affiorava nell'immaginazione del pittore. Tutto:
interamente o in parte. Esempio: si balla. Lo sguardo coglie
qualcosa qui e là, della ballerina a sinistra la testa a destra una
gamba, e poi ancora una testa e ancora una gamba, e così via,
intervallati da singole membra di altri ballerini ed altri compagni,
e immagini sprigionate da ogni possibile impressione e associazione
invadono confusamente la tela. "Questa pazzia ha tuttavia una
logica": l'osservatore ha la sensazione di trovarsi effettivamente
nel quadro. A questa tecnica bizzarra non c'è nulla da obiettare, al
contrario: il Futurismo offre dunque le possibilità più fruttuose ed
è pertanto da supporre che lo si utilizzi come espressione
esuberante dell'artista.
Ma si conseguono effetti seri e profondi? Non è semplice, penso,
così come ritengono i denigratori dei futuristi.
Dobbiamo ammettere che a noi sia consentito di anelare e di poter
raggiungere effetti artistici non solo dipingendo la realtà ma anche
nella scultura. E non solo nell'arte ornamentale, nell'arte con la
matita, ma in ogni attività stilizzata che guarda alle forme
dell'uomo, degli animali e delle piante.
Loro amministrano le impressioni che ricavano dalla natura con molta
più libertà, di quanto noi siamo capaci o abituati. Ma con quali
limiti?
Innanzitutto: valutiamo i Futuristi, senza nulla loro togliere o
aggiungere. Nel senso più banale: se disegno un corpo in trasparenza
per poter mostrare ciò che gli sta dietro, la sua figura dovrà
essere meno pesante. Non si danneggia nulla se voglio dare un'anima
o un ricordo o qualcosa che possa mentalmente associarsi. Se come un
futurista voglio far rinvenire una signorina ubriaca seduta sul
sofà, devo privarla della sua reale corporalità, indebolendo
l'impressione dell'insieme e ottenendo un effetto di trasparente
molteplicità. Per analoghi scopi appaiono membra di uno o dell'altro
come fosse naturale. Ma se libero lo spazio occupato dal corpo,
rinuncio a ciò che convince immediatamente noi uomini, vale a dire:
il fatto in sé come è nella realtà in cui viviamo. Noi viviamo
infatti in mezzo a corpi inseriti nello spazio. Anche
luce e colore "fanno bello un corpo", un corpo che bloccato nel suo
movimento" esprime ciò cui anela, "imprigionato ad altri corpi".
Vegliamo e sognamo nelle forme di percezione dello spazio. Temo che
anche ciò che anela essere futuristico, non si liberi da questa
condizione di fissità. Nell'osservatore sorge tutt'al più "un cenno
di luce", un'impressione, ma non una vivace interiorizzazione.
Arte con la matita, ornamenti, architettura applicata o libera,
tutte queste espressioni stimolano il pensiero dello spazio o senso
dello spazio. Ciò che vogliono trasmetere i futuristi è invece
un'interconnessione di pittura e musica, di arte nello spazio e nel
tempo. Se si inserisse il movimento, allora accadrebbe come nella
scena in cui Parsifal si trasfigura, dove il tempo diventa spazio.
Si può ben immaginare un futurismo cinematografico che realizzi ciò
che vuole far vedere. Penso che accadrà e sarà davvero significativo
perché creerà animati intrecci della realtà e fantasia che faranno
vivere in maniera persuasiva anche ciò che è insolito. I futuristi
vogliono stimolare la sensazione del movimento e quando loro riesce,
coprono come nelle oasi tutto di verde; l'opera intera come tale
potrebbe venir salvata se apparisse come al cinema tutto ciò che
viene rappresentato nel tempo anche movimentato o in procinto di
muoversi. Pertanto manca nella pittura dei futuristi, intesa nella
sua totalità, la concezione dello spazio e del tempo. Con linee di
ogni specie e con colori vivaci che non devono essere contestati, si
attua tutto sommato non molto di più di una sorta di disegno di
tappezzeria più o meno intensamente musicale.
Mi sembra importantissimo che non scaturisca un sognare da svegli,
poiché la forma del sogno, che ognuno ha sperimentato, è l'unica
forma in cui una cosa impossibile può diventare reale esperienza
vissuta. Infatti ci può essere tutto ciò che i futuristi vogliono,
soltanto non nel loro modo. Passato e presente possono stimolarci
contemporaneamente, ciò che è accaduto e ciò che è inventato, con
diversi gradi di intensità, con colori reali e irreali; infine — e i
futuristi ne danno gran peso — "ritmi" e sensi del movimento ci
possono stimolare, siano essi completamente irreali oppure molto
intensi, e incantare con voci se si impara dal sogno a sognare
desti. Ogni elemento mostrato dai futuristi appare in sogno di
quando in quando. Ma il Futurismo fa di meglio: dissolve il momento
della realtà non in un'opera imperfetta che balza agli occhi facendo
sorgere la concezione dello spazio dove vive l'irreale. Davanti a
tali opere di sogno rimaniamo come in un sogno, sotto l'impressione
reale dello spazio animato e dove l'irreale agisce tanto più
intensamente quanto più è evidenziato, vale a dire tanto più
conformemente al corpo e a ciò che gli è assimilabile o proprio.
[...] Di per sé il Futurismo ha un futuro, dal momento che la sua
origine non è nel guardare ma nel riflettere. Non è stato detto, che
se dovesse rimanere tale – non dovremmo non attribuire del talento a
questi pittori, la cui fantasia è più vivace che quella dei loro
critici? Accenni alla loro attività piena di fantasia sono stati
fatti anche in questa sede. Ma quanto più cercano di avvicinarsi
alle profondità dell'inconscio, tanto meno sembrano dei futuristi
con quei loro quadri caleidoscopici. Tutti questi artisti, anche i
pittori di fantasia tedeschi, nonché quelli che sono oltremodo
ragionevoli, dovranno attenersi al modo degli italiani di vedere
"il" futuro nella loro arte, solo come insoliti specialisti. Per noi
conta più essere svegli che sognare.»
La polemica della stampa, quasi sempre ostile nei confronti delle
avanguardie per la loro provocazione, per l'épater le bourgeois,
investì anche la rivista "Der Sturm", che continuava a pubblicare
manifesti futuristi.
La stessa rivista "La Voce", considerata in Germania e da Walden
foglio di punta dell'avanguardia italiana, deplorò sul nr. 23 del
1912 la situazione in cui si era cacciato "Der Sturm", fintanto che
si era avvalso di letterati come Altenberg, Dehmel, Mombert e
Lasker-Schüler e di artisti come Hodler e Kokoschka, ed ora
'infettato' dai futuristi, in particolare da quel «trombone» di
Marinetti che aveva garantito il trionfo di Boccioni «flagello di
Dio». Walden sembrava essere all'oscuro di tutto. Quasi nello stesso
periodo, e precisamente sul nr. 113, aveva pubblicato parole
d'encomio sui fondatori della rivista italiana, in particolare su
Prezzolini, che veniva ritratto dal corrispondente Curt Seidel come
una persona «senza pregiudizi, particolarmente esperta,
intellettualmente ricca, vivace, sincera e irruente, onesta in tutte
le cose», artefice di «un'impegnativa e onesta azione di
rinnovamento e di risveglio del popolo e della cultura italiana».
Feroci furono le accuse che apparvero sulla rivista di Franz
Pfemfert, "Die Aktion", nei confronti di "Der Sturm" e di Walden,
«l'esteta».
Particolarmente caustico fu Walter Serner nel suo contributo Gegen
den Futurismus del 1912 in cui affermava:
«Il futurista ha scambiato il procedere con il danzare. Alla fine il
danzare, che è più bello dell'avanzare, non gli avrebbe giovato: in
pittura il risultato è un lavoro pasticciato: non si può dipingere
ballando. L'effetto ottico dell'istante, peculiare del quadro in
questione, ha generato questo confronto che si alimenta di argomenti
sempre nuovi provocati dalla continua osservazione.
La mancanza totale di nesso logico che è stata finora la più grande
accusa mossa al Futurismo, rimane ancora un validissimo argomento.»
Oskar Kahnel nel saggio Futurismus. Ein nüchternes Manifest, sosteneva che ogni artista assegna alla sua opera un simbolo della
realtà, pertanto
«a nessuna testa pensante (non voglio dire filosofica) si può dare
ad intendere che il futurista riesca a rappresentare in luogo della
realtà oggettiva l'esperienza interiore e in luogo di un movimento
istantaneo il movimento stesso. Non si può prendere alla lettera.
Per alcuni suona meglio "immagine del ricordo" interiore e
"suggestione" del movimento. Comunque non solo il futurista, ma ogni
artista assegna alla sua opera un simbolo della realtà — un simbolo
linguistico, sonoro, spaziale o gestuale, a seconda che sia poeta,
musicista, scultore o attore (ne fa parte anche la danza). Non
diversamente è ogni opera d'arte: immagine, indice, simbolo della
realtà.
Il futurista dà forma ad un'impressione interiore, del movimento per
esempio. Lo stesso valeva per Anton von Werner, anche se i segni
sono diversi. Un foglio d'album militare di Werner appeso in parete
con soldati che vanno all'attacco, con destrieri sbuffanti e fuochi
di battaglia, non trasmette maggiore impressione di movimento del
quadro vivente che la scuola realizzava in aula magna per
festeggiare la vittoria di Sedan. Allora gruppi di comparse teatrali
trattenevano il respiro per non sembrare vive nonostante la loro
posizione contorta.
I segni sono ora diversi.
Si pensi a Miguel Angelo (sic!) Michelangelo con la rappresentazione
del Creatore, che fuoriesce dalla cornice — sostiene Wölfflin — come
se fosse uscito dalla bocca di un cannone. L'opera di Michelangelo,
che interpretando i segni della realtà in base a ciò che la sua
anima ebbra vedeva — discostandosi completamente dall'arte
precedente provocò diverse reazioni nei farisei di allora, le stesse
che gli attuali manifestano davanti ai quadri futuristi.
Futurista è ogni artista, il cui segno, nuovo ed inconsueto, non
interpreta il presente. Se ciò accadrà in futurum exactum, allora
anche i nostri futuristi saranno attuali.»
Alla critica dell'arte futurista "Die Aktion" contrapponeva
"un'apertura" a testi letterari: un numero del 1913 dedicato alla
poesia francese ospitò le poesie di F.T. Marinetti, tratte dalla
raccolta La Ville charnelle, An meinen Pegasus, Der Abend und die
Stadt (p.878-883) e Die heiligen Eidechsen (p.919-920) nonché una di
Valentine de Saint-Point, Die Klugen, (p.884-885), tutte nella
traduzione in tedesco di Hermann Hendrich.
Si stava reagendo troppo frettolosamente nei confronti del
Futurismo, prendendo posizione ancor prima di averlo realmente
conosciuto. Il movimento tuttavia aveva motivato gli artisti più
attenti a leggere i programmi e a visitare le esposizioni. Non è un
caso che le pagine più significative di critica d'arte siano state
scritte da artisti, poeti, scrittori che si dichiararono
favorevolmente impressionati. Così Hans Thoma:
«Ho visto un lavoro la cui bellezza si imponeva allo spettatore. Non
chiedevo di più all'oggetto, ma mi è parso chiaro che qui riusciva a
parlare la soggettività del sogni. La rappresentazione del sogno
attraverso i colori ed anche la scomposizione ed il dissolvimento
dell'oggetto erano realizzati come in un sogno. Alcuni quadri
futuristi sorti da un talento pittorico innato, mi sono sembrati
essere un grido d'aiuto per liberarsi da quell'eterna copiatura
della natura.»
«Il Futurismo è un grande passo. Esprime un atto liberatorio. Non è
una direzione ma un movimento. O per meglio dire: è il movimento
degli artisti protesi verso il futuro. Non è questione di singole
opere. È un peccato che il paese dell' "interiorità" debba lasciarsi
infondere il coraggio dall'esterno. Dalla terra del colori e degli
uomini belli ci giunge l'insegnamento: 'l'anima è tutto'.
I nostri pittori fanno esperimenti, studiano le leggi del colori,
delle linee e del piani. Sono sinceri — è ridicolo — mentre la casa
brucia.
Non sono amico del paroloni. Ma sottoscrivo il Futurismo a piene
mani e gli dò il mio dichiarato assenso.»
Espressioni di un grande letterato tedesco: Alfred Döblin, lo stesso
che alcuni mesi dopo avrebbe scritto una Lettera aperta su "Der
Sturm" indirizzata a Marinetti.
«Caro Marinetti,
Per la prima volta la scorsa estate Lei fu da noi in occasione della
mostra di quadri futuristi. Allora scrissi per la rivista "Der Sturm":
Il Futurismo è un grande passo in
avanti. Rappresenta un atto liberatorio. Non è una direzione, è un
movimento. O per meglio dire: è il movimento degli artisti protesi
verso il futuro." L'intensità, la naturalezza, l'arditezza e la
completa mancanza di coercizione mi avevano coinvolto. Lo confermai
ripetutamente e Le dissi da Dalbelli: "Se avessimo anche noi nella
letteratura qualcosa di simile!"
Allora lei tacque. Alcuni mesi più tardi manifesti letterari si
libravano sulle nostre case. Ciò che sembrava sconveniente si era
avverato.
Così non era pensabile. Non contesto il Suo interesse legittimo di
stimolarci.
Lei possiede energie e durezza, mascolinità che deve essere
perseguita con piacere in una letteratura che si spezza sotto il
peso degli erotismi, delle ipocondrie, delle imprecisioni, delle
seccature.
Lei con il Suo "Mafarka" ha dato espressione ad un fiero sentire
grossolano e volgare.
Lei è retorico, ma la sua retorica non è menzogna. Sia chiaro,
Marinetti, a Lei come a me: non vogliamo nessun abbellimento, nessun
fronzolo, né stile ricercato, nulla di esteriore, ma durezza,
freddezza e fuoco, tenerezza e commozione, nulla di preconfezionato.
Il confezionato appartiene ai classici. Ciò che non è diretto,
immediato, non appagato dall'obiettività, lo rifiutiamo; il
tradizionale, la mancanza di originalità sono riservati alla
goffaggine. Naturalismo, Naturalismo: siamo ancora per molto non
sufficientemente naturalisti.
E fino a questo punto percorriamo la stessa strada.
Marinetti, Lei sente e non ci dice con questo nulla di nuovo; posso
dunque affermare: Lei parteggia per noi. Ora il Suo manifesto, la
Sua fatica inizia a fare smorfie estremamente pesanti e a diventare
invadente trasformandosi per tre volte in sacra oggettività. Lei è
mezzo africano; l'amore per la piena realtà ha qualcosa di
facinoroso; mangiano rumorosamente e continuano a masticare qualcosa
di così resistente da farmi disperare; poi ingoiano come il serpente
una rana.
Innanzitutto analizzi i turbamenti e le falsità che soffre la
produzione artistica relativamente al verso e alla ritmica. Blocchi
nel dinamismo del verso il coercitivo, il deviante, l'auto
voluttuoso, metta in guardia e lamenti la realtà che è sgattaiolata
lontano. Se uno volesse pescare astici, prenderebbe legnate da
Marinetti, perché non ha trovato cavoli. Dipende, Marinetti, da ciò
che uno vuole: se Lei va in un caffè non può pretendere di farsi
servire esplosivo da artiglieria. Se Baudelaire si lascia sopraffare
dal ritmo e parla per bocca di questo movimento, cavalca sulla
cresta dell'onda, ma sa ciò che sta facendo. E questo La riguarda
Marinetti! Lui è un artista come Lei: l'oggettività, con cui egli ha
a che fare, la conosce meglio di Lei. Lei non è il tutore degli
artisti. Questo supererebbe la cultura degli epigoni, sarebbe il Suo
suicidio. Pensa che debba esserci una sola realtà per identificare
il mondo delle Sue automobili, aeroplani e macchine con il mondo
reale? Non siamo così lontani; la Sua pancia non è così pronunciata
da non esserci posto anche per Lei. Oppure Lei imputa al mondo
spigoloso, udibile e colorato una realtà assoluta, cui noi dovremmo
avvicinarci timorosi come protocollisti? Dovrebbe insegnare questo
Lei come artista ai miei, in virtù di un ineluttabile Naturalismo?
Spaventoso – eppure sembra quasi vero. Dovremmo semplicemente
imitare il belare, il fumare senza aspirare, il fare fracasso, il
gemere, il rumore nasale degli esseri terreni, cercare di
raggiungere il tempo della realtà, e ciò non significherebbe
pornografia, ma arte e non solo arte, ma Futurismo? Dovrebbe aver
completato senza rendersene conto questo piccolo scambio: realtà è
concretezza, dunque, Marinetti? Talvolta credo che sia proprio
vero! E per questo Lei dimenticò momentaneamente il perché la
ritmica e l'arte del verso di Baudelaire e Mallarmé siano efficaci,
necessarie e celestiali: essendo l'arte narcotizzante e stimolante
può mostrare ciò che sta sopra e sotto la realtà, poiché
nell'elevarsi del tono, nel suo diffondersi e nel suo mobile
inabissarsi risiedono ebbrezza e volo – Lei ha volato troppo poco –
silenziosamente sotto la musica delle parole il contenuto
"oggettivo", il contenuto "reale" può diventare nullo, insensato,
può retrocedere, dissolversi. Questa o altra musica si trascina
stanca verso le cose, che le strepitano dietro. I nostri mistici
tedeschi hanno infinite volte così poetato: scompigliando e
abbozzando una realtà più oscura, strimpellavano, rumoreggiavano con le parole. E' dal momento che al poeta non è stata usata
alcuna coercizione della realtà non è risultata falsificazione
alcuna – e noi che leggevamo, abbiamo condiviso l'irrilevanza delle
parole. Potere è dovere, Marinetti. Lei ha espresso in una forte
parola un pensiero molto debole.
Ciò che Lei vuole è chiaro – Buttare via il bambino assieme
all'acqua sporca. L'antico ritornello: poeti non si nasce.
La vita offre ancora enormi tesori, ma per estrarli non abbiamo gli
attrezzi. Non disponiamo di tute da minatore, ma in miniera
scendiamo imbellettati, con scarpe di vernice e giacche profumate.
Nella Sua foga Lei travolge cose libere e grandi con una scure
inadeguata, abbigliamento in pelle e lampada. Alla fine non vorrei
polemizzare con Lei: è troppo evidente il motivo per cui Lei
sbaglia, volontariamente in alcune descrizioni di battaglie, la cui
velocità e rumore Lei rende in maniera fantastica. Ma proprio per
questo non c'è scossone alcuno, alcuna rivoluzione; lo faccia per
bene: ce ne rallegreremo; ci sono altre cose che non sono
battaglie e – inter nos – si riesce ad affrontarle con una lotta ben
diversa da quella che Lei ha condotto.
La cosa peggiore, più pericolosa è il suo persistere nella monomania
– poiché Lei è monomane – quando affronta la sintassi per amore
della plasmabilità della battaglia. Questa generalizzazione la
trovo orribile. Comprendiamo l'aggettivo, l'avverbio! Una frase
completa racchiude diverse valenze; in una frase dominano diverse
"funzioni", ora il soggetto, ora il verbo, ora l'avverbio; Lei può
accrescere la forza di una parola, diminuirla, può raccorciare
frasi, procedere in periodi, può evidenziare una parola, un
sostantivo, un aggettivo, un verbo, un avverbio, così da avvicinarsi
alla realtà. Perché a Suo piacimento e perché improvvisa questa
amputazione? Non vogliamo tutti urlare, sparare, scoppiettare,
Marinetti; Lei mi concederà di bere un bollente bicchiere di latte
di mandorla, oppure di gustare una torta con la panna, o di romperle
le uova nel paniere, e questo a mio piacimento! Se Lei si limiterà
occasionalmente e solo per scopi precisi a scrivere in tal modo,
nessuno La ostacolerà: infatti ben vengano stili originali e forti:
nel passionale slancio di realtà ci sentiamo camerati – eppure a noi
che conosciamo e sappiamo la materia, talvolta meglio di Lei, non ci
permettiamo nessuna concessione, nessun gesto plateale, nessun
omicidio doloso. Non chiocciano così tragicamente le nostre galline.
Marinetti, non ci contesti; non ci rimproveri di essere passatisti;
non difendo la mia letteratura, ma solo contesto la Sua.
Affermo: si può condurre la Sua battaglia ancora meglio. La sua
battaglia è dall'inizio alla fine piena di immagini, analogie,
similitudini. Bene, tutto ciò non mi sembra sia molto moderno,
appartiene invece alla vecchia letteratura: le concedo tutte le
immagini – ma avanti, in battaglia! In modo diretto, Marinetti! Sì,
è comodo, chiamare il generale "isola", far volare le teste come
fossero palloni di calcio, far zampillare i ventri squarciati come
fossero annaffiatoi. Sciocchezza! Sorpassato! Museo! Dove sono le
teste, che cosa è accaduto dei ventri? E Lei vuole essere futurista?
Ciò è espressione del peggior estetismo! Le cose sono uniche: un
ventre è un ventre e non un annaffiatoio: questo è l'ABC del
naturalista, dell'artista immediato. Rinunciare alle immagini è
problema del prosaico. Per render un caos fatto di geometrie,
osservazioni, reminiscenze letterarie, psicologismi, non occorre un
dispendio di forze prorompenti. L"'isola" del generale è una banale
immagine sbiadita – e nel contempo Le mostrerò quanto
insignificante sia lo stile telegrafico. Al lettore, all'ascoltatore
Lei dà brevi lemmi che si trasformano in sostantivi, etichette di
molte sue parole in libertà: teste-palloni; ventri-annaffiatoi ecc.
Quanto è comodo e poco impegnativo tutto questo! Lei sopravaluta
infatti l'ascoltatore o il lettore: gli chiede di dar forma al suo
materiale. Anche per me qualcosa delle sue associazioni ha
dell'incomprensibile e ciò che mi interessa sapere è perché non si
dia premura di renderle comprensibili: la catastrofe consiste nella
mancanza della punteggiatura e della sintassi; poiché Lei crea
associazioni e queste sono relazioni, ma non si cura di chiarirle in
nessun modo. Le manca la sintassi – lo si osserva ogni due righe –
cerca di aggirarla, forza, violenta le Sue idee, le lascia
incomprensibili, per non andare contro il suo principio. Questa è
una crudeltà nei confronti dell'arte; il metodo non ha alcun posto
nell'arte, la pazzia è migliore. E che mi dice dell'espressione
"generale-isola", del Suo aggettivo, verbo e avverbio in libertà,
del Suo collocare senza legame alcuni sostantivi uno dietro
all'altro, che sfilano lucenti come barboni rasati? Tutto, quasi
tutto rimane indistinto, vuoti fluttuano; "generale" non mi dice
nulla, l'aggiunta "isola" non mi dice di più – forse Lei ha tutto
chiaro in mente ma non è riuscito a venirne fuori, a dargli una
veste poetica, una realtà linguistica – se con o senza periodi mi è
indifferente. Non voglio sentire per cinquanta volte "trumbtrumb,
tatetera", che poi non richiede alcuna padronanza linguistica, ma
vedere il Suo generale, i Suoi arabi – ma Lei non me li può
mostrare. Impugna le armi, dove inizia la fatica più accanita del
prosaico."
"Ammoniaca, clinica, bisturi, tauromachia" ecc. sono osservazioni a
margine; non mi si imbrogli con la realtà di una frenetica battaglia
attraverso teorie – non è nel mio carattere –; Lei ha cercato di
poetare tutto ciò, sì che nel processo di condensazione le Sue
storture sono andate in pezzi e Lei ha dovuto mostrarci solo i
frantumi quali prove della sua arte. Ecco i rifiuti. Un generale
può, deve, essere posizionato scultoreo in movimento; deve essere
così, altrimenti sono solo chiacchiere. La Sua cavalleria nuota
senza cavalli e soldati nello spazio vuoto; nessuna vibrazione del
suolo, nessun spostamento d'aria, "cavalleria" pronunciata in modo
spiccio: non posso iniziare alcunché; tutto ciò è arido e vuoto come
"sole", "spirito", completamente astratto. Il tuono di cannone, gli
shrapnel mi rendono quasi sordo, ma non cieco.
Lei si è condannato a causa della Sua teoria a tale astrazione.
Caro Marinetti, nel suo "Mafarka" Lei ci ha presentato una
mescolanza passionale di dramma, romanzo, lirica: la Sua raccolta di
poesie si chiama "Destruction"; l'ultima Sua fatica si getta
sull'impalcatura d'acciaio della lingua: "il materasso è rimasto
intatto, Lei è volato in aria".
Non si può mettere in discussione l'onestà della Sua fatica; ma
trovo deplorevole per Lei, che debba vedere continuamente del muri
davanti a sé, che debba sempre urtarvi e che non Le sia concessa la
leggerezza di un poeta puramente non teorico per superarli.
Sprecherà inutilmente con noi la Sua dote di persuasione. Si ottiene
duttilità, concentrazione e intensità in molti modi: il Suo non è
decisamente il migliore, ma solo uno.
Si dia da fare e apprenda da noi! I suoi libri hanno dimostrato che
Lei è un artista, un poeta e che l'energia del Suoi istinti, la
libertà e la purezza del Suo naturalismo, il Suo antierotismo
trovano la nostra piena simpatia, la mia piena simpatia. Ma non
dimentichi che non c'è arte, ma solo artisti e che ognuno cresce a
suo modo e che deve trattare con attenzione l'altro. Non ci sono
articoli letterari di massa o universali. Ciò che non si conquista
da soli, va perso. Non continui in questo Suo foraggiare il gregge;
c'è molto rumore ma poca sostanza. Si metta al riparo.
Curi il Suo Futurismo. Da parte mia continuo a curare il mio
Döblinismo.»
Döblin che nel suo primo intervento su "Der Sturm" aveva espresso
l'entusiasmo per la pittura futurista, si era avvicinato
gradualmente al programma del Futurismo. Si era messo alla prova
componendo testi con linguaggio futurista, cambiando poi parere. La
critica non era rivolta ai contenuti della poesia marinettiana –
rappresentazione della guerra, esaltazione della violenza, della
ferocia, ma al modo con cui esprimeva tali temi e in particolare
alla mancanza di sostanziali cambiamenti nonostante la
sovrabbondanza di immagini rivoluzionarie e ardite analogie.
Per capire il cambiamento di Döblin ricorriamo alle parole di
Kasimir Edschmid:
«Quando Alfred Döblin sottoscrisse a piene mani i principi
futuristi, era senza dubbio convinto della spettacolarità del
movimento e del cambiamento che scuoteva il mondo intero. Non era
tuttavia importante capire una cosa ma viverla.»
Dunque sull'onda emozionale Döblin aveva sottoscritto il movimento.
«Era imminente un colpo apoplettico. Le conoscenze non sono
debitrici ad alcun legame, sono solo frutto dell'intelletto. (...)
Döblin non aveva esperimentato il programma, quando lo lodò e come
tentò di adattarvisi, se ne discostò. È uno dei più significativi
prosatori, talvolta anche monumentale. Anche se vale solo per il
libro cinese. Il suo periodare era troppo ampio e architettonico
perché potesse tagliuzzare immagini, ridurle a coriandoli e farle
vibrare in aria. Un'influenza futurista è riscontrabile solo nella
lirica come dimostrano Stramm e Becher.
Döblin ha un rispetto gigantesco per l'arte.»
Döblin accusava Marinetti di essersi imposto in modo dittatoriale,
di bersekerhafte Monomanie (ossessionante monomania) – bersekerhaft
è una parola chiave nella Lettera aperta che caratterizza la mezza africanità di Marinetti
– con cui aveva semplificato e distrutto le molteplici possibilità
della sintassi insieme alla funzione dell'aggettivo e dell'avverbio.
Il linguaggio continuava ad essere chiamato in causa. Tuttavia il
döblinismo non riuscì mai a staccarsi definitivamente dal
marinettismo: nel Berliner Programm pubblicato su "Der Sturm" nel
maggio 1913 l'autore, nello stendere i punti programmatici, si rifà
a piene mani ai paragrafi del Manifesto Tecnico della letteratura
futurista. Per quindici anni Döblin sperimentò le possibilità di una
sintassi riduttiva che fa emergere sostantivi isolati: la forza
vitale del "mille piedi, mille braccia e mille teste" in
Berge,
Meere und Giganten erompe dalla sistematicità dell'articolazione,
oppure nello stesso romanzo, in quel resoconto mozzafiato sulla
distruzione della guerra degli Urali: «massi di pietra accatastati
resti di case masse di fango, pezzi di ferro, ruote, imposte.»
Evidente è il principio futurista della compenetrazione e del
"sbriciolamento" della grammatica.
«Dolce notte, dolce vita. Care sbarre cara ringhiera risparmiatemi.
Cari uomini tavole corda pali lamiere. Cara giacca, lana grezza,
pietà. Le mie dita, il mio corpo, il caro braccio, il caro collo. Il
mio collo, il mio colletto, la mia pelle, il mio mento, pietà. Ah
che disgrazia.»
Dunque alla fine döblinismo e marinettismo non erano concetti
contrapposti, sarebbe tuttavia interessante chiedersi – domanda che
Peter Demetz si è posto – perché Döblin fu attratto dal Futurismo.
Le parole per lo scrittore-medico avevano una funzione ma nessuna
sostanza: nei Gespräche mit Kalipso, pubblicati su Der Sturm nel
1910, Odisseo/Döblin si chiede come mai toni musicali siano
strettamente collegati alle cose, sostenendo che "la parola,
l'unione di sillabe non ha nulla in comune con ciò che vuole
indicare", mentre le arti e tra queste anche la Wortkunst, l'arte
della parola, dovrebbero "seguire il tono, il colore e cogliere la
peculiarità, la autodisponibilità e la libertà della materia." Odisseo/Döblin non riesce a darsi una risposta, ma in suo aiuto
sovviene la teoria del futuristi che, attribuendo alla sintassi e
non alla parola la causa di quella mancanza di efficacia della
lingua tradizionale, gli indica la possibilità di giocare con i
pensieri compositivi della simultaneità e della compenetrazione e di
verificare la potenzialità delle parole in libertà. In Marinetti Döblin saluta il compagno; il cammino indicato dai futuristi verso
la "plasticità, concentrazione e intensità" sarebbe stato del tutto
corretto se Marinetti, preso dall'ansia di esagerazione, non avesse
scambiato la Sachlichkeit (oggettività) per Dinglichkeit
(concretezza) e ridotto l'immensità del mondo ad un determinato
concetto puramente tecnologico.
Il Futurismo a Berlino negli anni di guerra – la mediazione di
Theodor Däubler
Nel 1915 Pfemfert affidò a Däubler il compito di curare un numero
speciale italiano, in un periodo in cui "Der Sturm" pubblicava
poesie di August Stramm e nella redazione di "Lacerba" erano sorti
forti contrasti tra Papini e Marinetti.
Däubler, che per il Sonderheft dedicato all'Italia aveva attinto
anche a "Lacerba" ignorava — o forse voleva ignorare? — i termini
del conflitto; il numero si inseriva altresì nel progetto editoriale
di Pfemfert, che con la pubblicazione di numeri speciali dedicati
alla letteratura francese, ceca e italiana, intendeva attirare
l'attenzione del lettori sul cosmopolitismo intellettualmente libero
proprio in un periodo caratterizzato da militarismo e nazionalismo.
(A tal proposito basta sfogliare gli indici di "Lacerba" del
II° e
III° anno per rendersene conto: Contro la neutralità - anno
II° p.257
- Amiamo la guerra! - anno II° p.274 - Fuori i tedeschi! - anno
III°
p.54 - Fucilate - anno III° p.135).
Da convinto internazionalista Pfemfert, in sintonia con l'amico,
pubblicò sul nr. 18-19 del 1. maggio 1915, esattamente 48 ore prima
dell'uscita dell'Italia dalla Triplice Alleanza, l'inno däubleriano
alla patria del Futurismo, Sang an Mailand. Il numero speciale
dedicato all'Italia (7/8 del 1916) uscì tra la quarta e la quinta
battaglia dell'Isonzo; quello "autobiografico" (11/12 del 1916)
pochi giorni prima dell'infuriare della quinta.
Nell'Italienische Sondernummer il lettore ha l'impressione che
Papini, e Marinetti, Palazzeschi e Buzzi siano ancora uniti, prima
della separazione avviata su "Lacerba" da una serie di interventi di
Papini culminati nell'Adampetonismo – parodia del manifesti di
Marinetti scritta da Soffici (III°, 24.4.1915) – in due gruppi
facenti capo a Papini (tra cui Govoni e Palazzeschi) e a Marinetti
(tra cui Buzzi e Folgore). Troviamo così nell'ordine Hanswurst (Il
Buffone) di Papini, Der Heilige und das Geschöpf (Il santo e la
creatura) di Pea, Kleine Nachtbilder (Quadretti notturni) di Buzzi
nella traduzione di Däubler, Der Taumel (La vertigine) di Pascoli,
Der Marsch (La marcia) di Folgore, Paradiesische Einblicke (Sguardi
paradisiaci) di Palazzeschi nella traduzione di Däubler, Am Strande
hingelagert (Couchés sur la sable) di Marinetti, Die Seele (L'anima)
di Govoni, Die Seele Weiningers (L'anima di Weiniger) di Tavolato e
Aus dem römischen Tagebuch (Dal diario romano) di Infessura.
Una scelta "pacata", non futurista, ben lontana dalle rivoluzionarie
tracce "parolibere", ma fedele alla visione che lo stesso Däubler
aveva del concetto di simultaneità e di poesia. L'impronta vociana è
evidente sia nella scelta degli autori che pubblicavano sulla
"Voce", sia degli artisti, Medardo Rosso e Soffici, le cui
illustrazioni provengono da numeri vociani. Il triestino Italo
Tavolato in particolare vi recensiva le riviste tedesche quali "Der
Sturm", "Die Aktion", "Pan", "Das literarische Echo",
"Süd-deutsche
Montashefte", "März", "Jugend", "Simplicissimus", "Die Tat", "Der
Brenner", "Die Fackel", "Neue Rundschau", "Neue Blätter", "Die
Zukunft", a dimostrazione che lo scambio e le conoscenze reciproche
erano arrivate tra il 1912 e il 1913 ad un livello mai più raggiunto
in seguito.
A conclusione del numero Däubler presentò il Futurismo, concepito
come una delle «correnti principali dell'arte moderna», una scuola
artistica, un programma, una rivoluzione delle arti.
La nota di Pfemfert
«(Un'annotazione prima di quella di Theodor Däubler: Dal momento che
mi è stato possibile ottenere per questo numero uno dei primi lavori
di Soffici, posso sostenere che i Futuristi sono rappresentati da
uno di loro).
Anche per questo numero speciale vale ciò che è stato detto per gli
altri: non può trasmettere un'immagine completa della nuova arte e
della nuova letteratura italiana, vuole e può soltanto avere un
effetto eccitante. Molti del giovani migliori sono presenti insieme
(per la prima volta in Germania): questo è tutto ciò che ho cercato
di ottenere»
scatenò l'ira di Walden che immediatamente replicò dalle pagine di "Der
Sturm"
«Nel luglio 1912 la rivista d'arte di Wilmersdorf scriveva: "Nella
polemica di giudizi, manifesti e programmi che accompagnò l'entrata
solenne" del Futurismo a Berlino, non solo qualcosa di emotivo-non
simpatico doveva essere taciuto: la pittura esigeva energicamente un
postfestum. Ciò che era arrivato da fuori era qualcosa di
mozzafiato, al di là di ogni aspettativa, sì che, e non per cattiva
educazione, ci si dovette mettere le mani tra i capelli e
appoggiarsi ad una sedia per non cadere.
Ora ci è consentito, essendo giunto anche il momento, di
risollevarci e, lasciando da parte un'eclettica scribacchiatura
introduttiva, di portarsi davanti a questi quadri ed esprimere la
propria opinione senza avventatezza né riguardo, una repulsione a
lungo sopita contro una cosa voluta ad ogni costo, contro una cosa
impossibile, contro una non-arte.
I neoimpressionisti e i cubisti erano stati rispediti a casa con un
"non arrivederci a mai più", allorché le nuove Secessioni avevano
prodotto qualcosa di molto bello e tanta speranza. Con questo la
giovane arte era uscita dal vicolo cieco dell'Impressionismo per
imboccare una via larga e luminosa: quella tecnica elaborata su cui
si basava l'Impressionismo, quella tricotomia dell'impressione
aveva fatto posto ad una fiorente interiorizzazione della visione
totale e ad una libera forma pura. Ora ognuno poteva procedere con
serietà e sicurezza.
Il futurista però andò oltre: o meglio ben oltre, ma non
sufficientemente, scambiando il procedere con il danzare. Alla fine
non gli avrebbe giovato: Il danzare è più bello del bell'avanzare. Ma
in pittura il risultato non può essere che un lavoro pasticciato:
mentre si balla non si può dipingere. L'effetto ottico dell'istante,
peculiare del quadro in questione, ha generato questo confronto che
si alimenta di argomenti sempre nuovi provocati dal reiterato
guardarlo.
La mancanza totale di nesso logico che è stata finora la più grande
accusa mossa al Futurismo, rimane ancora un validissimo argomento.
Esaminiamo dunque il quadro di Boccioni "La risata": il pittore
danza intorno al cappello di donna, che per tre volte, sopra e di
lato, ma anche in altre posizioni, e ancora per diverse volte
riporta sulla tela; vede due mani che accendono una sigaretta;
mentre danza osserva il tutto da angolature diverse che riporta più
volte sulla tela come il viso della donna che sta ballando. Che
tutto ciò ondeggi su un'unica tela senza fissare tempo e spazio non
è attribuibile alla fantasia del pittore, che vede come attraverso i
raggi Roentgen uomini e muri, né "al centro del quadro in sé", che
anche se fosse individuabile nel gruppo sarebbe discutibile, né
all'anima dell'artista che soccombe all'eccesso di sensazioni. La
rinuncia infatti alla scena e all'oggetto, allo spazio e al tempo a
favore di un'animazione che orgiasticamente sfiora o penetra la
"materia" o addirittura scaturisce ardente dal suo interno, avviene
a spese del vedere.
Il passo tuttavia dalla sottomissione dell'oggetto e dal dominio
della personalità verso la nullità dell'oggetto e il despotismo
della personalità non è così grande. E infine: già il Romanticismo
col suo soggettivismo picchiò sodo su tempo e spazio da far
schizzare le cervella; ed è innegabile che il Futurismo sia
romantico, [poiché sottolinea la valenza soggettiva e spirituale
della visione]. Ciò che è stato ammissibile in letteratura e
sicuramente rimasto di valore storico, il succedersi dell'assenza di
spazio e tempo, di una scena e di un oggetto dissolto, è del
Romanticismo, ma molto meno della letteratura dipinta. La
personalità del senza limiti si tramuta in esoterismo di se stesso
incapace di espansione, se divide in quattro il soggetto e lascia
che la sua anima abbia allucinazioni nella fumosità del sangue. Nel
migliore del casi. E il tempo – forse anche l'assenza di spazio
della grande arte è una cosa astratta che come un profumo aleggia
intorno all'opera d'arte e può essere percepito dallo spirito forte.
Non però un qualcosa di concreto, che l'artista rigira come vuole."
(Gegen den Futurismus von Walter Serner, Juli 1912, p.850)
Wilmersdorf non si trova vicino Berlino e questa rivista di
periferia non viene pubblicata in Germania. Perciò non mi
meraviglio se appena nel febbraio 1916 seguì una reazione a ciò che
era stato scritto nel luglio 1912. L'abitante di Wilmersdorf [Pfeifert]
scriveva: Anche per questo numero speciale vale ciò che è stato
detto per gli altri: non può trasmettere un'immagine completa della
nuova arte e della nuova letteratura italiana, vuole e può soltanto
ottenere un effetto provocatorio. Molti del giovani migliori sono
presenti insieme (per la prima volta in Germania): questo è tutto
ciò che ho ricavato." Ciò non è vero. Il signore di Wilmersdorf ha
nuovamente dimenticato la sua protasi: "Dal momento che mi è stato
possibile ottenere per questo numero uno del primi lavori di
Soffici, posso sostenere che i Futuristi sono rappresentati da uno
di loro". Non è vero. Soffici non ha inviato la sua opera a Wilmersdorf. Lo so per certo. Prima di questa protasi ce n'era
un'altra che recitava così: "Purtroppo mi è impossibile
rappresentare l'arte futurista in questo numero". Lo credo, gli
abitanti di Wilmersdorf sembrano volersi arrogare tale diritto, per
non attirarsi fastidi. Ma ora arriva la parte migliore: "Vogliamo
perlomeno citarne i migliori: Umberto Boccioni, Luigi Russolo,
Carlo D. Carrà, Gino Severini, il creatore di Pan-Pan, Ardengo
Soffici." Quest'arte futurista, che non compare nel numero, non è
stata esposta a Wilmersdorf ma promossa da Sturm a Berlino e in
tutte le grandi città tedesche ed europee già da quel lontano 1912.
Particolare riprovazione aveva suscitato a Wilmersdorf. E. Soffici,
di cui si pretendeva di disporre uno del suoi primi lavori, ha
esposto in due personali alla galleria Sturm a Berlino. Era presente
perfino con le sue più recenti opere. Boccioni, poi, nel 1912 era
particolarmente malvisto
a Wilmersdorf. La Germania è tuttavia talmente grande, da poter
tralasciare il buco di Wilmersdorf. Wilmersdorf non deve però
parlare a nome della Germania. L'ignaro abitante di Wilmersdorf
raccomanda in quest'occasione i versi di Marinetti, contro cui nel
1912 aveva scritto una villania. Raccomanda anche i sonetti di
Petrarca e in parentesi scrive — le parentesi sono il suo forte —
"Devo citare Dante?", Lo dovrebbe chiedere a Marinetti.
Io so chi si esibirà nell'aprile del 1920 per la prima volta in
Germania presso Wilmersdorf. Purtroppo per noi sarà impossibile. I
signori dovrebbero rendere impossibile ciò che è per loro possibile.
Altrimenti potrei ridurre tutti nell'impossibilità, azionisti e
reazionari, se dovessi essere di buon umore.»"
Del numero dedicato a Däubler — Sondernummer del 18 marzo 1916 — è
doveroso segnalare la bellissima composizione poetica scritta in
trimetri giambici Futuristisches Tempo. Il titolo stesso, frutto del
suo perfetto bilinguismo — "tempo" nel significato italiano e in
quello tedesco di dinamismo e velocità — introduce il tema
principale che si sviluppa su un doppio parallelo: La Roma degli
Anni Venti e la Roma che sta vivendo un processo di rinnovamento.
«[...] Adombrano la campagna ore crepuscolari la grande Roma
risplende di strade raggiate, treni serali, segnali di fuoco,
sfrecciano
incrociati guizzi fiammeggianti nella metropoli.
Nubi di fiamme lacerate rotolano sulla terra Contorcersi con
spavento di alberi ed edifici. Estirpano la violenza febbrile
La città ne sperpera a migliaia! [...]
Vetri si avvicinano: sono i lucenti tramway!
Veloci, impetuosi come il Tevere, smuovono lontano. Portano al
nostro presente ritmi noti:
nessuna metropoli ci farà nuova paura.
Ci stupiamo in un sensibile piacere:
di fuori ci afferrano le rapidità!
I cristalli in corsa vagano pallidi come ambra, gli uomini ombre
stipate nell'oscurità..
La metropoli mantiene e domina emissioni di fuoco, automobili
sfrecciando le distribuiscono,
accade che il panico del turbinio ti afferri,
velocità rispecchiate nel vetro intorno a te
Il tuo fermarsi deciso prelude accordi vaganti, cascata di fiamme:
tu spumeggi elettriche estasi! Si raccoglie, si placa tra luci ad
arco voltaico, abbaglianti imbuti fan tremare la tenebra pesante.»
Con motivi che ricordano quadri di Severini e di Carrà Däubler gioca
con il moto e la luce che distruggono la materialità dei corpi
secondo quanto proclamato nel Manifesto della pittura futurista. Roma non è più la città
dei Cesari o
del Rinascimento, ma una metropoli che vive all'insegna del tempi
nuovi il cui simbolo è l'automobile.
Le energie di Däubler non erano monopolizzate solo da Pfemfert. Dal
1916 risiedeva stabilmente a Berlino e si manteneva collaborando
con diversi giornali, fra cui
il "Berliner Börsenkurier", su cui recensiva le mostre di "Sturm".
La sua unica partecipazione alla rivista di Walden fu Albatros sul nr.4 del 1917. Nello stesso anno uscì sulla rivista "Das Kunstblatt"
un bilancio degli otto anni di pubblicazione di "Der Sturm".
Il
rapporto d'amicizia con Walden si era intensificato e si sarebbe
interrotto solo con la partenza di quest'ultimo per la Russia nel
1932; per l'amico si industriava a trovare acquirenti di quadri. Una
facoltosa cliente dei
quadri della Sturm-Galerie era Ida Bienert, moglie del proprietario
di mulini, Erwin Bienert, amica di Däubler dal periodo della sua
permanenza fiorentina; quest'ultima nell'arco di pochi anni mise
insieme una ragguardevole collezione di arte moderna. Il grande
ruolo di Däubler come mediatore e traduttore della letteratura
italiana, in particolare di quella futurista, è stata trascurata
dalla critica italiana. Acquista infatti particolare valore se
collocata in un periodo in cui Herwarth Walden aveva "abbandonato"
il Futurismo per dedicarsi all'Espressionismo e al Cubismo.
«I futuristi erano solo un vento che iniziò a soffiare in modo
apocalittico. [...] Erano coloro che portarono ad esplodere lo
spazio suddiviso in parti, minuti, secondi, mentre rappresentavano
l'immagine del mondo come un accostamento simultaneo di
impressioni sensoriali. Inasprirono le parti dell'Impressionismo, le
livellarono, conferendo loro forme più acuminate e contorni
spettrali, evitarono le cose leziose e spinsero il susseguirsi del
corso impressionista degli eventi ad un accostamento e ad un
intrecciarsi frettoloso.»
Kasimir Edschmid, cui si devono queste affermazioni vide in Däubler
un precursore di quel movimento.
«A lungo, prima che nazionalisti italiani propagandassero con
energia la scuola, Däubler aveva scritto versi futuristi. La sua
prosa è di significativa importanza per lo sviluppo. Come il suo
verso, è stranamente indisciplinata, in alcuni punti rincorre il
verso, come se non dovesse preoccuparsene. Poi però si scioglie come
neve.»
Edschmid mirava a staccare la figura di Däubler dal Futurismo per
evitare che le sue opere non fossero pregiudiziali al movimento.
Questi aveva altresì affermato di
«Un accenno storico: le prime creazioni che oggi noi definiamo
simultanee, risalgono a Delaunay. Il primo quadro che si intitolò
Visioni simultanee è di Umberto Boccioni che usò per primo il
termine in questa accezione. Doveva designare il trionfo della
velocità, della "febbre" della metropoli moderna, suscitata dalle
conquiste scientifico-tecnologiche. Simultaneità, così come
spiegata di lì a poco in un manifesto futurista, è la condizione
secondo cui si mostrano i diversi elementi che provocano il
dinamismo. Marinetti scrisse immediatamente dopo una trattazione
sulla simultaneità in poesia. Noi ci dissociamo. L'ideale di Richard
Wagner di partire da un dramma cantato, orchestrato e plastico è il
passo decisivo verso la simultaneità. Il futurista Luigi Russolo
vede nella musica il principio della simultaneità, che vuole rendere
accessibile.»
Simultaneità, sinonimo per Däubler di Futurismo ed Espressionismo
non è solo un nuovo stile, ma una condizione «inevitabile». La
modernità produce un pluralismo di stili, nuovi sistemi di ordine —
la riproducibilità tecnica — e una rivoluzione nelle percezioni, ma
la cultura del passato mantiene tuttavia certe tradizioni artistiche
che vanno imitate e menzionate La simultaneità è pertanto non solo
una tecnica artistica, ma mira alla simultaneità di stili presenti e
passati, di modi di pensare nazionali ed europei. Per Däubler quindi
la simultaneità è un modo estetico di percezione, una «ricchezza
pericolosa» che può consentire nuove esperienze ma anche indurre ad
un completo relativismo. Däubler indica la via della riconciliazione
dello spirito occidentale, indicando come l'avanguardia debba
"diventare storica e classica". L'affinità con Kandinskij è palese:
come quest'ultimo Däubler trasforma l'impressione fuggente della
vita moderna visionariamente in un'esperienza spirituale. Mentre i
futuristi avevano rinunciato ad una qualsiasi espressione relativa
all'esperienza estetica, per Däubler il ricorso ad un legame
metafisico della sua esperienza si trasforma in un punto
d'orientamento normativo che cerca di contenere la marea di visioni
quotidiane.
«Velocità, simultaneità, la più alta tensione per la compenetrazione
delle cose viste, sono le premesse per lo stile. Esso poi è
l'espressione dell'idea. Una visione vuole manifestarsi in tutta
concisione nell'ambito di una semplificazione: questo è
l'espressionismo in ogni stile. Colore senza segno, disegno e senza
spiegazione, la parola principale senza attributo fissata in ritmo:
conquistiamo il nostro espressionismo! Ogni esperienza culmina in
qualcosa di spirituale. Ogni cosa che accade diventa speciale.
Poiché in molte menti si afferma decisiva la necessità di
esprimersi in modo completo, acquistiamo uno stile. Diventerà
vincolante e promuoverà e faciliterà l'espressione in modo
personale. La nostra necessità di agire così e non diversamente non
è affatto intesa nel senso di una necessità fatalistica, bensì nello
spirito di una necessità determinata: consapevolezza di libertà,
affermazione artistica.»
Marina Bressan