Pasquale Revoltella:

le vicende di un collezionista nella Trieste dell'Ottocento

 

Maria Masau Dan

 

 

 

 

Palazzo Revoltella - Prospetto della facciata, tavola tratta da FR. HITZIG, Wohnhaus des Herrn von Revoltella in Triest, Berlin, 1864 Zeitschr f Bauwesen 1863

 

 

Palazzo Revoltella. Sezione longitudinale, Piante del pianoterra, del primo e del secondo piano, tavola tratta da FR. HITZIG, Wohnhaus des Herrn von Revoltella in Triest, Berlin, 1864

 

 

La formazione della collezione d'arte di Pasquale Revoltella, malgrado questa sia di dimensioni piuttosto contenute (un centinaio di pezzi in tutto, tra dipinti e sculture) e comprenda alcune cose di indubbio interesse, non è stata ancora oggetto di uno studio particolare. Resta tuttora da fare, del resto, un'indagine approfondita anche su altre collezioni e sul fenomeno del collezionismo triestino nel suo insieme, che presenta caratteri molto particolari rispetto ad altri ambiti ed è anche ai nostri giorni molto vitale.1

Per questo motivo le opere appartenute al fondatore del museo, salvo alcuni casi, sono poco note e vengono spesso confuse con quelle, molto più numerose, acquisite in seguito alla sua morte, cosicchè il nucleo originario, inglobato nel vasto patrimonio museale, ne ha tratto, specialmente per quanto riguarda la valutazione del personaggio e della sua statura culturale, una considerazione di gran lunga superiore ai meriti effettivi.

Il maggiore pregio della raccolta Revoltella risiede, infatti, non tanto negli elementi che la compongono, dei quali nessuno ha la qualità del capolavoro, quanto nel suo involucro: la bellezza del palazzo, che non ha eguali a Trieste per unità stilistica, equilibrio spaziale e raffinatezza decorativa, raggiunge un livello di molto superiore al valore artistico delle opere ospitate all'origine nelle sale, con l'eccezione delle sculture, concepite come parte integrante dell'architettura, che formano un complesso a loro volta straordinario.

Per quanto riguarda le opere di pittura, circa settanta, acquistate dal Revoltella e, al momento della sua morte, nel 1869, lasciate in eredità alla città, va detto che la diversità dei generi presenti, il dislivello qualitativo, la scarsa notorietà della maggioranza degli autori, rendono ardua la definizione di "collezione" per questo insieme di dipinti e non invogliano a intraprendere una ricerca particolare su di essa; già di primo acchito viene il sospetto che esauriscano la loro funzione nel rappresentare il livello culturale medio e l'orientamento di gusto della borghesia triestina alla metà del secolo scorso.

 

 

È innegabile, però, che una collocazione tanto prestigiosa riscatti ampiamente la modestia complessiva delle opere e susciti di per sè un forte interesse attorno alla figura di Pasquale Revoltella, cui va riconosciuto il merito di avere gestito con grande intelligenza la costruzione della sua casa e di avere avviato o, comunque segnato fortemente in un'ottica europea, il processo di rinnovamento linguistico dell'architettura triestina.

 

Palast Revoltella in Triest

 

Lo scarto tra il valore dell'edificio e quello della collezione d'arte2 si deve probabilmente anche al fatto che per Revoltella l'approccio con questo mondo fu abbastanza tardivo e, se per l'intervento edilizio si giovò di validi consiglieri e di eccellenti esecutori, probabilmente si mosse da solo nella scelta dei dipinti, senza un piano preciso, nè cospicui investimenti finanziari.

Egli non può essere dunque definito un vero collezionista, ma piuttosto un uomo ricco e ambizioso conquistato dall'idea del collezionismo, sebbene privo di un'adeguata preparazione culturale e di un gusto abbastanza esercitato per distinguere tra l'opera autentica e l'oggetto di arredo.

Ai suoi investimenti in questo campo, d'altra parte, aveva affidato fini non soltanto culturali: abilissimo uomo d'affari e politico accorto, vedeva l'arte come uno dei più efficaci veicoli di promozione sociale e se ne servì sicuramente come mezzo per la sua affermazione nell'ambiente cosmopolita triestino, dove l'entrata in scena, nella prima metà del secolo, di tanti "nuovi ricchi" rendeva necessario distinguersi dagli altri specialmente attraverso il possesso di cose esclusive, ma soprattutto vistose: che cosa poteva esserci di più vistoso di un palazzo di proporzioni imponenti inserito in una delle zone cruciali del centro cittadino?

 

Palazzo Revoltella. Vestibolo del primo piano (1858-59)

 

Palazzo Revoltella. Il salone da ballo al secondo piano (1858-59)
Sul soffitto ciclo pittorico di Augusto Tominz.

 

Ma, se è vero che non aveva la formazione culturale del grande collezionista, è altrettanto vero che Revoltella fu un mecenate, e uno dei più generosi della sua epoca. Tralasciando, in questa sede, di elencare le grandi opere pubbliche a cui concorse con ingenti capitali, va sottolineato che intervenne a favore dell'arte con larghezza e in diversi modi: aiutò alcuni artisti a pagarsi gli studi, offrì il suo palazzo per tenervi mostre, finanziò la realizzazione di opere, ma soprattutto volle destinare la sua casa a museo, pensando però, non a un monumento a sé stesso, come sarebbe stato prevedibile, ma a un istituto di educazione3.

 

 

Palazzo Revoltella. La sala gialla del secondo piano (1858-59)

 

Palazzo Revoltella. La sala da pranzo del secondo piano (1858-59)

 

 

La vicenda personale di Pasquale Revoltella, perciò, è particolarmente interessante perchè, a prescindere dagli sviluppi che ha avuto in seguito la sua decisione di offrire tutto il patrimonio di sua proprietà alla pubblica fruizione, è rappresentativa anche di una fase di evoluzione dei rapporti tra la committenza privata, gli artisti e il mercato dell'arte: in lui, infatti, vediamo intrecciarsi due mentalità, quella, appartenente al passato, del mecenate di ampie vedute e lo spirito del nuovo collezionismo piccolo-borghese, totalmente ripiegato nella dimensione privata.

 

 

Ritratto litografico di Pasquale Revoltella, 1859

 

 

La figura di Pasquale Revoltella emerge a Trieste attorno alla metà del quarto decennio dell'Ottocento.

Nato a Venezia nel 1795, ne era venuto via con la madre ancora bambino. Nel 1817 si impiegò presso l'impresa commerciale di Teodoro Necker, console di Svizzera, dove ebbe modo di fare valere abbastanza presto le sue doti4, ma nel 1835 aprì una propria casa, che trattava prevalentemente l'importazione di legnami e granaglie. Già allora doveva avere raggiunto una posizione ragguardevole nel mondo economico triestino se, nello stesso anno, entrò nel consiglio d'amministrazione delle Assicurazioni Generali, compagnia fondata nel 1831 da Giuseppe Lazzaro Morpurgo, di cui diventò, nel 1837, uno dei direttori5. Mantenne questa carica per tutta la vita, così come rimase ininterrottamente dal 1838 alla morte nel consiglio d'amministrazione dell'altra grande società triestina, il Lloyd Austriaco, anch'esso di recentissima costituzione, essendo stato fondato nel 1833. Negli anni Quaranta la sua ascesa iniziò a farsi vertiginosa, ed egli arrivò, nel giro di un decennio, ad accumulare una fortuna immensa divenendo l'uomo più potente della città. Da più parti si è detto che dietro tutto ciò vi era l'appoggio di Carlo Ludovico de Bruck, uomo d'affari arrivato a Trieste dalla Renania, fondatore, nel 1833, della sezione assicurativa del Lloyd Austriaco e, dal 1841 al 1847, incaricato della presidenza. L'amicizia del Bruck servì però ancor di più a Revoltella quando, nel 1848, egli divenne Ministro del Commercio e, nel 1854, ministro delle Finanze.

Certamente non mancavano, però, al finanziere veneziano, doti personali. Come sottolinea Giulio Cervani egli era "idealmente l'ultimo della serie di uomini di forte tempra che avevano dato grandezza alla città adriatica nella prima metà dell' Ottocento, inferiore indubbiamente per cultura e statura morale ai Sartorio, ai Bruck, ai Giannichesi, ai Giuseppe Lazzaro Morpurgo", ma, nel contempo, una figura più moderna, "un banchiere di stampo ottocentesco, un capitalista già politicizzato", la cui attività si svolgeva "nel segno delle intese segrete e dei sapienti maneggi sotterranei maturati nelle anticamere ministeriali", diversamente da quanto erano soliti fare i commercianti-assicuratori triestini, poco inclini a intrattenere rapporti di stretta subordinazione con l'ambiente viennese6.

Revoltella scoprì probabilmente attraverso la frequentazione di questi notabili il valore della cultura e la passione per le belle arti, che sarà in seguito la ragione principale per cui il suo nome verrà consegnato alla storia, mentre spariranno dalla memoria comune gli altri suoi meriti o saranno mescolati con un giudizio politico non sempre sereno.

Nelle case dei Morpurgo e dei Sartorio, cospicue famiglie di diversa origine, ma presenti in città da almeno due generazioni, esistevano ricche collezioni d'arte e di antichità, a cui certamente Revoltella, nato da una famiglia molto modesta, guardava con ammirazione. Il modello di queste raccolte sarebbe stato, secondo Luisa Crusvar "la quadreria di matrice cinquecentesca" in un collegamento ideale con una società imperniata sul predominio aristocratico7. Ma il sogno di rappresentare la continuità con la nobiltà d'antico regime fu vanificato dalla fretta di consolidare le posizioni: e, in definitiva, "è l'accumulo quantitativo ed eclettico - che caratterizzava i cabinets de curiosités del Seicento e del Settecento - a qualificare le raccolte triestine del XIX secolo"8. Indubbiamente l'interesse per l'arte in queste famiglie aveva prevalenti risvolti di carattere sociale. Nella Trieste del primo Ottocento, animata da un grande movimento di uomini, di merci e di capitali, "la ricca borghesia commerciale ha necessità di oggettivizzare i simboli del suo prestigio e di rendere tangibile il suo potere d'acquisto. Il meccanismo 'familiarÈ che regola la società mercantile della prima metà dell'Ottocento si riflette nella nuova spinta edilizia di impronta neoclassica: l'edificio padronale diviene, contemporaneamente, spazio abitativo per l'intero nucleo domestico e luogo privilegiato per scambi e transazioni commerciali. Se l'involucro architettonico serve a proiettare esternamente ricchezza e decoro, l'arredo interno quantifica e stabilizza l'azione persuasiva, sollecitandola visivamente attraverso il moltiplicarsi dei segni: mobili, quadri, argenti, bibelots, tappeti, porcellane, miscellanea. Come in un gioco di specchi l'osservatore vede espandersi i riflessi di un'unica rappresentazione"9.

Se i Sartorio e i Morpurgo erano le famiglie più in vista in città, non erano però le sole ad ostentare opere d'arte e oggetti preziosi nei loro palazzi. Anche alcuni nomi di personaggi minori presenti nei consigli d'amministrazione delle nuove imprese assicurative si collegano a una certa fama nel campo del collezionismo: per quanto riguarda le Assicurazioni Generali, sappiamo che tra i consiglieri in carica nel 1835 assieme a Revoltella passavano per essere amanti delle arti il nobile de Parente, il dott. Giovanni Battista de Rosmini, Ermanno Lutteroth. E tra i dirigenti del Lloyd Austriaco di quel periodo per le stesse ragioni si devono citare il de Bruck, il Regensdorff, il cavaliere de Reyer.

Per ora non ci sono molti riscontri documentari. Il principale indizio è la loro presenza nel direttivo e nel consiglio della Società Triestina di Belle Arti, costituitasi nel 1839 per "eccitare e mantenere nella nostra fiorente città le arti belle" attraverso l'organizzazione di esposizioni annuali che avevano sia lo scopo di procurare agli artisti dei proventi, sia quello di offrire ai collezionisti locali, il cui numero continuava a crescere, una scelta abbastanza vasta di opere per arricchire le loro raccolte.

Anche Revoltella partecipò a quest'iniziativa, ma solo in veste di azionista, e rimase in posizione decisamente marginale per tutta la durata dell'attività di questo sodalizio, che operò regolarmente dal 1840 al 1847. Questo fatto, unito alla circostanza che tutte le opere importanti della sua collezione portano date posteriori alla metà del secolo, potrebbe avvalorare la supposizione che fino al 1850 o giù di li egli non avesse ancora maturato un autentico interesse per questo settore, poichè altrimenti apparirebbe abbastanza strano che un uomo d'affari della sua capacità non avesse colto i risvolti di convenienza di operazioni come quelle organizzate dalla Società Triestina di Belle Arti. Si trattava, infatti, di un'impresa con caratteri affatto diversi da quelli delle precedenti esposizioni d'arte: innanzitutto questo sistema di mostre annuali si presentava abbastanza onestamente come una massiccia operazione commerciale, favorita e giustificata da un mercato in forte espansione; in secondo luogo l'esposizione non era limitata alla produzione locale, ma convogliava a Trieste grandi quantità di quadri di provenienza disparata, in prevalenza tedeschi e austriaci, che, inseriti in un'organizzazione molto efficiente, giravano per diverse città europee a beneficio di un collezionismo di livello medio e non particolarmente ricercato.10

Il successo di queste iniziative era dovuto anche al fatto che i dipinti, praticamente prodotti in serie, venivano offerti a prezzi molto accessibili. Anche le dimensioni dei quadri e i temi della pittura stavano cambiando: dilagavano i quadri piccoli, più adattabili all'arredamento, e prevalevano ormai paesaggi, marine, scene di genere, ritratti, mentre era quasi scomparsa, o era riservata a un collezionismo più ricercato, la pittura di storia11.

Ma per capire l'importanza e i riflessi dell'attività della Società Triestina di Belle Arti, occorre fare un passo indietro e analizzare i precedenti.

L'esigenza di riunire gli artisti e di fare conoscere al pubblico la loro produzione si era manifestata per la prima volta già verso la fine del terzo decennio. Nel 1829, per iniziativa della Società di Minerva, un'associazione senza scopo di lucro fondata nel 1810 dall'avvocato Domenico de Rossetti, era stata organizzata la prima mostra annuale di belle arti. Questa, ricalcando i modelli già abbastanza diffusi in Italia delle mostre accademiche12, si prefiggeva il solo fine di valorizzare gli allievi triestini delle Accademie di Venezia e Milano, a cui furono aggiunti alcuni giovani che frequentavano il Politecnico di Vienna e la scuola domenicale di disegno. L'unico nome di spicco che troviamo nell'elenco è quello di Lorenzo Butti, apprezzato autore di marine. Il risultato, dunque, fu abbastanza deludente per il pubblico.

Anche per questo la seconda mostra, nel 1830, ospitò le opere di alcuni maestri già noti a Trieste, come Giuseppe Bernardino Bison e Giuseppe Tominz, riuscendo così ad attirare un certo interesse da parte dei collezionisti. Questo si fece più massiccio con la terza, allestita l'anno dopo nel ridotto del Teatro Verdi con il carattere ormai evidente di una mostra mercato, che, però, si poneva in contrasto con i fini puramente culturali della Società di Minerva. A motivo di ciò l'iniziativa fu criticata aspramente dall'"Osservatore Triestino", giornale che seguiva da vicino questi eventi. Ma, senza la partecipazione dei professionisti, la qualità delle mostre decadde rapidamente e dopo altre due edizioni, tenutesi nel '32 e '33, in cui la presenza eccessiva di lavori di dilettanti aveva completamente alterato il carattere delle esposizioni, non si organizzarono più. A fronte di ciò, questo periodo a Trieste coincideva con una fase di prosperità economica della città e di disponibilità di capitali da parte della borghesia imprenditoriale, condizione ideale per lo sviluppo del collezionismo. Questa passione andava allargandosi progressivamente dalle famiglie aristocratiche alla borghesia, e contemporaneamente cambiava indirizzo, passando dalla raccolta di antichità al collezionismo d'arte moderna, senza, però, trovare in loco il tipo di produzione adeguata ai suoi gusti e alle sue possibilità. Si parla naturalmente di un nuovo collezionismo, perchè i proprietari di raccolte di antica data non avevano problemi, visto che da sempre avevano i loro referenti altrove, soprattutto a Venezia o a Milano, ma anche a Vienna. È naturale che nel vuoto lasciato dalle mostre della Minerva si sviluppassero presto delle iniziative per favorire il commercio dei prodotti d'arte e per valorizzare i numerosi artisti che tra il 1830 e il 1840 si erano stabiliti a Trieste o vi trascorrevano dei periodi. Primo fra tutti va ricordato Giuseppe Tominz, giunto da Gorizia nel 1829, (o, secondo altri già nel '25) e divenuto rapidamente il più ricercato ritrattista della città. Da Vienna vi si era trasferito attorno al 1830 Giuseppe Rieger, padre di quell'Alberto divenuto famoso per le sue vedute "a volo d'uccello". Qualche anno più tardi, incoraggiato dall'espansione edilizia in corso in quegli anni, aprì uno studio lo scultore veneziano Francesco Bosa. Verso la fine degli anni Trenta si guadagnarono una notevole fama a Trieste anche il ferrarese Giovanni Pagliarini, autore di quadri storici e il tedesco August Tischbein, specializzato in marine.

Non mancarono compratori anche ad artisti "di passaggio", come il bellunese Ippolito Caffi, che riuscì a piazzare presso i collezionisti triestini decine di vedute di città e molti dei suoi suggestivi notturni veneziani. E altrettanto ricercata fu l'opera di Natale Schiavoni, che nella sua vita avventurosa aveva soggiornato per un periodo a Trieste lasciando un vivo ricordo di sé. Va aggiunto, però, che negli stessi anni si registrano pure delle partenze: nel 1831 se ne andò a Milano il vecchio Bison, epigono del vedutismo veneziano molto in auge nel primo ventennio del secolo; partì per Roma più o meno nello stesso periodo il suo allievo Lorenzo Scarabellotto, molto apprezzato anche per certi suoi lavori di scenografia: a Trieste, sebbene si costruissero continuamente nuovi edifici, non c'erano più possibilità di lavoro per i decoratori di tradizione settecentesca.

Un evento artistico molto importante, nel periodo di vuoto espositivo che intercorre tra la chiusura dell'attività della Minerva (1833) e la nascita della Società Triestina di Belle Arti (1839), è l'opera di decorazione interna della chiesa di S. Antonio Nuovo, iniziata, poco prima della metà degli anni Trenta, ed eseguita da un gruppo di pittori legati all'ambiente veneto: Grigoletti, Lipparini, Politi, Schiavoni figlio. Una scelta obbligata: l'impresa non poteva poggiare sulle forze locali, dato che in quel momento, a Trieste, veniva prodotta solo pittura di genere e, ad eccezione del Tominz, che probabilmente si era stabilito in città proprio col miraggio di questa commissione, nessuno era in grado di affrontare con la perizia dei professori dell'Accademia di Venezia temi religiosi o storici.

Se ne riceve indiretta conferma dai cataloghi delle esposizioni organizzate a partire dal 1840 dalla già citata Società Triestina di Belle Arti, in cui la partecipazione triestina è scarsissima, non solo perchè, come si è detto, si trattava di mostre a carattere itinerante e di operazioni commerciali a largo raggio, ma perchè effettivamente il numero dei pittori operanti a Trieste era piuttosto scarso.

La Società Triestina di Belle Arti, cui spetta un primato rispetto all'Italia, perchè apre la serie delle numerose "società di incoraggiamento", spesso chiamate "promotrici" o "protettrici", diffusesi in molte città tra il '40 e il '50, era sorta sul modello dei Kunstvereine tedeschi e delle precedenti Societés des amis des arts francesi. Aveva come scopo principale quello di organizzare delle mostre-mercato annuali in cui una parte delle opere venivano acquistate dalla Società stessa e assegnate agli azionisti mediante sorteggio. Le azioni erano di due tipi: quelle comuni costavano cinque fiorini e davano diritto a partecipare al sorteggio delle opere acquistate dalla Società e al premio annuale (che consisteva in una litografia); quelle "doppie" valevano otto fiorini e conferivano il titolo di socio; i soci eleggevano una Consulta di venticinque membri che aveva il compito di scegliere i quadri da acquistare; la Consulta eleggeva il Presidente e i sei direttori, i quali sceglievano le opere per la mostra e gestivano i fondi13

Nonostante la Società si adoperasse perchè nelle mostre fossero rappresentati tutti i generi, la predilezione del pubblico andava sempre ai paesaggi, che, del resto, prevalevano anche numericamente sui dipinti di soggetto storico o religioso. Dominavano le scuole pittoriche tedesche, Monaco, Düsseldorf, Berlino, Dresda, con nomi noti, come Adam, Bürkel, Zimmermann, Hess, Quaglio, Achenbach, Breslauer, a cui era assicurato sempre un grande successo di mercato. A questo "non corrispondeva, però, un analogo riconoscimento in sede critica. Anzi, se noi leggessimo solo le recensioni comparse su La Favilla, l'Osservatore ed il Caleidoscopio, senza conoscere i cataloghi delle esposizioni, potremmo pensare ad una prevalenza di dipinti storici e storico-letterari, o anche religiosi, tanto è rilevante lo spazio ad essi dedicato dalle riviste e dai giornali"14.

La moda del paesaggio, secondo i critici, era un segno di grave decadenza dell'arte e della sua funzione educativa. Ridotta a un fatto puramente privato e ornamentale, la scelta di un'opera equivaleva a quella di un pezzo di arredo. In effetti la nuova committenza piccolo-borghese considerava l'arte esclusivamente come complemento dell'ambiente domestico, dove la presenza di scene campestri o paesaggi alpini era di certo la più confacente al bisogno di tranquillità e al desiderio di isolarsi dal mondo. In questo senso i pittori tedeschi, che dopo la Restaurazione avevano abbandonato le più cólte vedute del paesaggio classico italiano ed erano passati alla scoperta delle bellezze romantiche della propria patria, potevano entrare facilmente in sintonia con questo tipo di pubblico, che dava importanza agli aspetti più esteriori, apprezzava il taglio realistico di queste immagini, e ne ammirava il virtuosismo esecutivo.

Nell'offerta di pittura nordica dilagante nelle mostre della Società Triestina di Belle Arti occupano, però, un posto non secondario anche i pittori austriaci del cosiddetto "realismo Biedermeier": Amerling, Waldmüller, Hantsch, Steinfeld, Barberini, Rudolf von Alt15. Talvolta la partecipazione era motivata dai rapporti personali degli artisti con i membri del direttivo, come nel caso di Schnorr von Carolsfeld, amico del consigliere Craigher. Come si è già messo in rilievo, del consiglio direttivo della Società Triestina di Belle Arti facevano parte personaggi di grande spicco nella vita economica e politica della città, gli stessi che erano presenti anche negli organi di gestione delle grandi società assicuratrici. Dal 1840 al 1847, ultimo anno di attività, la presidenza rimase sempre al conte Waldstein-Wartenberg; i direttori, se si guarda alla situazione del 1840, erano tutti noti uomini d'affari: Burgher, Craigher, Fontana, Lutteroth, Regensdorf, G.G. Sartorio. I consultori, Boeckman, Brentano, de Bruck, Carey, Fontana, Gechter, Goracuchi, Haynes, Hierschel, de Lugnani, Mauroner, Meksa, Parente, de Presani, Renieri, de Reyer, de Rosmini, P. Sartorio, univano in molti casi la competenza specifica nel campo dell'arte (Salomone Parente era un mercante, Fontana e Hierschel erano noti collezionisti) all'esperienza in campo finanziario e al peso politico (de Bruck).

Il primo contatto documentato di Revoltella con il mondo dell'arte coincide con l'inizio dell'attività della Società Triestina di Belle Arti, poichè il suo nome compare nel catalogo del 1840 fra gli azionisti (che erano, peraltro, più di ottocento, sparsi tra diverse località oltre a Trieste) e figura anche tra i vincitori di una litografia di scarso valore.

Lo ritroviamo anche in tutti i cataloghi successivi fino al 1847, ma scopriamo che nel 1843 ridusse da 5 a 2 (cioè alla quota minima) il numero di azioni in suo possesso.

Tuttavia, scorrendo il catalogo del museo si trovano alcuni dipinti che potrebbero coincidere con opere passate per le esposizioni della Società Triestina di Belle Arti e che, dunque, potrebbero essere state acquistate da Revoltella in quelle circostanze. Questo è pressochè certo per il dipinto di J.D. Court, Il domino rosa (citato nell'inventario con il titolo La maschera) datato 1843, che figura esposto alla mostra del 1846 e venduto a un privato per la somma di cinquecento fiorini; è abbastanza sicuro per due dipinti di Natale Schiavoni, La dormiente, esposto nel 1841, e La mestizia, esposto nel 1845, anche se ufficialmente entrambi non figurano venduti. Per quanto riguarda il valore dei dipinti di Schiavoni, prendendo come riferimento un'altra opera, La preghiera, venduta nel 1844, si aggirava attorno ai duecentocinquanta fiorini. Non è improbabile che Revoltella abbia acquistato in una di queste occasioni il Paesaggio invernale del tedesco Zimmermann, dato che ogni anno comparivano una o più opere di questo pittore, con lo stesso titolo e a un prezzo che oscillava tra gli ottanta e i cento fiorini. Infine, spulciando le centinaia di nomi, per larga parte poco significativi, dei cataloghi della Società Triestina di Belle Arti, ci si imbatte in quello dello scultore ungherese Giovanni Simcovits, autore del gruppo marmoreo intitolato Fedeltà e datato 1847 che compare tra le opere di Revoltella ereditate dal museo; nel 1846 quest'artista, indicato come Sincovich, "ungherese in Venezia", aveva esposto a Trieste due gessi; è possibile che Revoltella gli avesse commissionato in quell'occasione l'opera di cui poi entrò in possesso.

Mancano, invece, troppi elementi per scoprire quando e come abbia acquistato i tre dipinti di Lorenzo Scarabellotto, Paesaggio Romano (o Paesaggio fantastico), Chiaro di luna-Paesaggio, La piramide di Gaio Cestio, eseguiti (solo il primo è datato 1835, ma anche gli altri due si possono ritenere dello stesso periodo) quando l'artista si era già trasferito a Roma. Si può ritenere, dunque, come sostengono alcuni studiosi che le tre opere siano stato acquistate presso un mercante.

Volendo completare l'elenco delle opere presenti nella collezione Revoltella che recano una data anteriore al 1850, si deve citare anche il Ritratto del pittore Gatteri e signora, di Giuseppe Tominz, che dovrebbe risalire circa al 1830, ma è probabilmente un acquisto di diversi anni dopo. Revoltella, del resto, dopo il 1850 ebbe rapporti sia con il figlio di Tominz, Augusto, pittore egli stesso e autore di diverse opere presenti nella collezione Revoltella, sia con il pittore Giuseppe Lorenzo Gatteri, figlio della coppia ritratta.

La collezione d'arte di Pasquale Revoltella verosimilmente si accrebbe in misura notevole quando egli si trovò a dover arredare e decorare il suo nuovo palazzo affacciato sulla piazza Giuseppina.

Il progetto fu commissionato ad un famoso architetto di Berlino, Friedrich Hitzig, già allievo di Friedrich Schinkel. Era già pronto entro il 185216, ma venne realizzato tra il 1854 e il 1858 sotto la direzione dell'ingegnere triestino Giuseppe Sforzi. La concezione dell'edificio si differenzia notevolmente dalle consuetudini locali: il piano terra, che normalmente nelle costruzioni vicine alla zona del porto era adibito a magazzino, venne destinato a uso privato; si decise inoltre che il piano nobile, ovvero lo spazio di rappresentanza, non fosse il primo, ma il secondo piano. Questo creò non pochi problemi nello sviluppo della facciata, come scrive lo stesso Hitzig17, in cui il punto focale, costituito da un balcone d'impronta rinascimentale a tre archi, è spostato molto in alto e lo slancio verticale viene ulteriormente accentuato dal coronamento a balaustra ornato di quattro statue. Due fasce marcapiano tripartiscono la facciata e i lati dell'edificio in senso orizzontale sottolineando la differenza tra l'austero rivestimento bugnato dei due piani inferiori e il raffinato apparato decorativo delle finestre del secondo piano. All'interno la distribuzione degli spazi si impernia sul maestoso vano scale, in cui si è concentrato il massimo sforzo creativo del progettista. Una grandiosa "chiocciola" collega i tre piani partendo, a livello del pianterreno, alle spalle del complesso marmoreo della Ninfa Aurisina del milanese Pietro Magni e interrompendosi nei due sontuosi vestiboli superiori, a loro volta caratterizzati dalla presenza della scultura, con un'altra imponente opera di Magni, Il taglio dell'Istmo di Suez, al primo piano, e quattro statue allegoriche al secondo. Le pareti dello scalone sono rivestite di marmo a stucco, mentre i fusti delle colonne sono in marmo di Polcevera verde, e i capitelli e i gradini di marmo di Carrara bianco.

Ma leggiamo una descrizione dell'epoca di questa dimora, forse dovuta allo stesso Revoltella, dato che figura in una guida, Tre giorni a Trieste, edita nel 1858 in onore dei delegati delle Società delle Ferrate riuniti a congresso a Trieste e curata personalmente da lui assieme a S. Formiggini, P. Kandler, e G.B. Scrinzi: "Chi va a visitare questo palazzo non direbbe di certo che non è ancora un lustro ivi esistevano soltanto casipole informi e che in così poco tempo potesse compiersi quel grandioso edifizio, adornarlo d'opere d'arte, di scultura, di pittura ed addobbarlo con tanta magnificenza e buon gusto, senza escludere quel comfortable, tanto, ed a ragione, stimato dagli inglesi, e che per lo più manca fra noi, sagrificando talora i comodi del padrone alle cose d'effetto pei visitatori [...]. La sala maggiore, adorna di stucchi bellissimi, riceve la luce dall'alto da vetri lavorati a disegno e nel plafond vi sono sei medaglioni dipinti su tela ed altri molto bene eseguiti dal valente pittore, nostro concittadino, sig. Tominz figlio. Altre quattro ottime statue del Magni, rappresentanti la Danza, la Drammatica, l'Armonia e il Canto, universalmente ammirate, adornano la sala ottagona vicina, tutta a specchi, che forma un magnifico colpo d'occhio. Altre sale da giuoco, da pranzo, da fumo, da conversazione, ecc. sono dipinte e mobigliate con non minore lusso che buon gusto ed adorne di fiori, di gruppi, di zampilli d'acqua che incantano [...].

Anche ottimi quadri di valenti artisti si trovano in questo palazzo, specialmente di moderni autori, tra quali noteremo i nomi dei pittori nostri concittadini, Signori Dall'Acqua e Gatteri."

Il palazzo fu inaugurato il 23 febbraio 1859 con un sontuoso ricevimento a cui partecipò l'arciduca Massimiliano. Era presente anche lo scultore Magni, che fu molto lodato per le opere eseguite su commissione di Revoltella. Il lavoro non era però completato: del Taglio dell'istmo di Suez fu presentato il modello.

L'argomento, e non solo dal punto di vista artistico, era in quel momento al centro di tutti i discorsi, anzi, come scrive Cervani, quell'inaugurazione, cui fu invitato anche Ferdinand de Lesseps, presidente della Compagnia Universale del Canale di Suez, era "una festa di propaganda" finalizzata a promuovere l'acquisto di azioni della Compagnia18. Revoltella, che vedeva nella nuova via marittima l'unica possibilità di sviluppare i rapporti commerciali tra l'Europa e l'Oriente, si stava adoperando già dal 1855 per il finanziamento della grande impresa e pochi mesi prima, nel novembre 1858 era stato in missione a Parigi per trattare la questione come rappresentante del governo austriaco. Divenuto Vicepresidente della Compagnia, dovette impegnarsi per anni in un intenso lavorio diplomatico, poichè le parti in causa opponevano non poche difficoltà, ma, deciso a non arrendersi, giunse ad organizzare un viaggio in Egitto, che compì tra il 1861 e il 1862. Non fece in tempo a vedere realizzato il suo sogno, perchè morì nel settembre 1869, due mesi prima che il canale fosse inaugurato.

La questione di Suez è il fatto più importante della vita di Pasquale Revoltella come dimostra anche il grande numero di oggetti, documenti, opere d'arte che egli raccolse sull'argomento e che sono tuttora conservati nel museo a lui intitolato.

Tornando alla sua collezione d'arte, gli anni della costruzione del palazzo coincidono con le acquisizioni più importanti e con il formarsi, da parte del proprietario, di una maggiore competenza sull'arte moderna, anche se questa non si traduce in scelte innovative.

Per quanto riguarda i generi rappresentati, vi si può riscontrare una distribuzione equilibrata tra paesaggi, scene di genere e soggetti storici. La scelta sembra basata su due ordini di considerazioni: la necessità di nobilitare la casa con la presenza di opere importanti e temi aulici, in primo luogo; e, in subordine, il piacere di accogliere gli ospiti in ambienti eleganti e pieni di cose ricercate.

È significativa anche la distribuzione delle opere all'interno della casa, che si desume dall'inventario compilato dopo la morte di Revoltella19. Al piano terreno, area in cui avveniva il primo contatto tra il visitatore e l'ambiente domestico, era concentrata tutta la parte aulica della collezione, a fini evidentemente rappresentativi. Nell'anticamera erano esposti i tre paesaggi di Scarabellotto, romantiche visioni piene di richiami al passato; nella vicina sala da biliardo, ambiente austero, riservato agli uomini, dominavano la scena le due grandi tele commissionate da Revoltella a Cesare Dell'Acqua, La proclamazione del porto franco di Trieste (1855) e La dedizione di Trieste all'Austria (1856), affiancate da altri due dipinti di carattere storico, Carlo VI dà udienza agli ambasciatori veneti di Francesco Beda e Raffaele Zovenzoni parla a Federico III di Augusto Tominz.

Al primo piano, dove si svolgeva la vita privata di Revoltella, erano concentrati un gran numero di dipinti: in un una sala d'angolo, tutta decorata al femminile, trovavano posto i quattro Schiavoni (La Malinconia, La dormiente, La gelosia, l'Odalisca) e la Maschera di Court. All'angolo opposto erano collocati due quadri storici e due paesaggi (un Fiedler e uno Zimmermann); nello "scrittoio particolare del barone" c'era solo il grande olio rappresentante Il Canale di Suez di Alberto Rieger, del 1864, a conferma del fatto che per Revoltella questo era l'evento più significativo della sua vita. Quadri religiosi, storici e immagini femminili (diverse Donne al bagno di Augusto Tominz) si alternavano sulle pareti della stanza da letto, dove il pezzo più importante era una Sacra famiglia di Palma il Vecchio. Al secondo piano, l'appartamento delle feste e di ogni occasione ufficiale, ospitava per la gran parte quadri di paesaggio. Se si fa eccezione per un grande Ritratto dell'arciduca Massimiliano, di Augusto Tominz, campeggiante nella sala azzurra, alcune scene di storia di Giuseppe Lorenzo Gatteri e i dipinti eseguiti da Augusto Tominz per il soffitto del salone, tutti gli altri sono dipinti di questo genere, sia paesaggi in senso stretto (i due Hondius, del '600, una Nevicata di Inganni, lo Chalet al Cacciatore di Pizzolato) che marine (Hermann e Ruyten nella "sala turca"; Butti e Canella nella sala attigua; Hierschel nella stanza da fumo; due anonimi nell'andito).

Restano ancora da indagare i rapporti fra Revoltella e l'arciduca Massimiliano, che negli stessi anni, tra il 1856 e il 1860, si faceva costruire sul promontorio di Grignano il castello di Miramare. A parte i rapporti "politici" che potevano intercorrere tra i due e anche a prescindere dell'ovvia ambizione di Revoltella di potersi onorare dell'amicizia del principe, certamente vi sono dei collegamenti piuttosto stretti anche a livello delle scelte che entrambi fecero per le rispettive dimore. Trait d'union fra Massimiliano e Revoltella fu Francesco Gossleth, titolare di una prestigiosa falegnameria e importatore di mobili, a cui si devono sia gli arredi del castello sia una buona parte del mobilio presente nel palazzo di Hitzig. Assieme a Gossleth, del resto, già nel 1850 Revoltella aveva fondato una "scuola domenicale di disegno per artigiani", la cui direzione era stata affidata a un abile scultore e intagliatore, Giovanni Moscotto.

Il significato del legame fra Revoltella e l'arciduca, è, però ben più profondo dell'affinità di gusti e del comune amore per l'arte fra due persone che, per ragioni diverse, in quel momento dominavano la scena cittadina. Come scrive la Crusvar, "raggiungere e assimilare il modello signorile impostato dai nuovi sovrani europei, dalla regina Vittoria agli imperatori Francesco Giuseppe e Napoleone III e visualizzabile nella piccola corte di Massimiliano, è ribadita preoccupazione di certa parte dell'elite triestina di metà Ottocento. Frequentare il principe non è solo un titolo di prestigio ma costituisce una specie di passaporto riservato a pochi, una patente d'ingresso ai riti e allo stile, ai vezzi esclusivi e alle vaste relazioni internazionali dell'alta società. Il divario tra nobiltà e borghesia si riduce, subentra un graduale processo di livellamento. Il gesto munifico e l'amore per l'arte, connaturali all'esercizio principesco, si trasferiscono nei comportamenti della grande borghesia cosmopolita del XIX secolo"20.

Pasquale Revoltella, a cui l'Austria, forse per ripagare il suo personale impegno nell'impresa di Suez o forse per riparare ad un "incidente" giudiziario che aveva visto il finanziere finire in carcere per alcune settimane, conferì nel 1867 il titolo di barone, è certamente la figura più emblematica, nel bene e nel male, di quest'epoca di trasformazioni sociali e politiche a Trieste, ma, sebbene incarni anche i sentimenti meno nobili imputati alla sua classe, è nel contempo l'artefice di un "sogno di grandezza" che, come scrive Cervani, "non rimane mai semplicemente fine a se stesso"22.

 

 

 

Maria Masau Dan

 

 

 

 

NOTE

 

1 Sull'argomento esistono alcuni studi di carattere generale: O. BASILIO, Saggio di storia del collezionismo triestino, "Archeografo Triestino" vol. XIX, serie III, Trieste 1934; L.CRUSVAR, Note sul collezionismo triestino, "Arte in Friuli, Arte a Trieste", n. 3, pp. 85 ss.

2 La consapevolezza di ciò matura solo nel nostro secolo ed è forse influenzata da un giudizio politico negativo della figura di Revoltella, ritenuto emblema dell'oppressione dell'Austria e visto dagli irredentisti come uno dei principali avversari. A. TAMARO, nella Storia di Trieste (Roma, 1924) sottolinea, appunto, che Revoltella lasciò alla città "un lussuoso palazzo e una modesta collezione".

3 Revoltella scrive nel testamento: "Coerentemente al segreto pensiero che era in me sino dal primo istante in cui mi accinsi all'erezione del mio palazzo di abitazione, lo lascio franco di passività e tasse alla città e rispettivamente al Comune di Trieste, a condizione che sia destinato e conservato con carattere di fondazione perpetua da annotarsi nelle pubbliche tavole ad uso esclusivo di in istituto di belle arti, delle quali fui sempre amantissimo, che porti perennemente il nome Museo Revoltella e che sia giornalmente aperto sotto la disciplina di pubblico accesso" (Testamento di Pasquale Revoltella, Archivio del Civico Museo Revoltella)
4 Da una lettera di presentazione di Pasquale Revoltella sottoscritta dalla ditta Necker sappiamo che nel 1827 lavorava da dieci anni alle loro dipendenze "con un distinto zelo e attaccamento". (Archivio del Civico Museo Revoltella)
5 G. STEFANI, Il centenario delle Assicurazioni Generali, Trieste, 1931, p. 90.
6 G.CERVANI, Voyage en Egypte 1861-1862, Trieste 1962, p. 70.

7 CRUSVAR, Note sul collezionismo triestino cit.

8 Ibid.

9 Ibid.

10  Si veda a tale riguardo l'ampio lavoro di D. LEVI, Strutture espositive a Trieste dal 1829 al 1847, "Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa", serie III, vol. XV, 1, 1985, in cui viene analizzato e valutato in tutti i suoi aspetti il fenomeno delle mostre annuali triestine, prima e dopo la costituzione della Società Triestina di Belle Arti.
11 Sia pure con qualche differenza, a Trieste accadeva esattamente ciò che si stava verificando nei maggiori centri italiani. Per approfondire l'argomento del rapporto fra arte, mercato e società di incoraggiamento si veda R.MAGGIO SERRA, I sistemi dell' arte nell 'Ottocento, in La pittura in Italia. L 'Ottocento, tomo II, Electa, Milano, 1991, pp. 629-652.
12  Ibid.

13 Per la complessa organizzazione di queste mostre si veda ancora LEVI, Le strutture espositive... cit.

14 Ibid.
15 Una rassegna particolarmente ampia e interessante della pittura di paesaggio tedesca e austriaca è contenuta nel catalogo della mostra La scoperta del paesaggio tirolese, Museo provinciale di Castel Tirolo, 1992.

16 Le tavole conservate nell'archivio del Museo Revoltella, firmate di pugno da F. Hitzig, portano la data 16.1.1853.

17 Wohnhaus des Herrn von Revoltella in Triest von Fr. Hitzig, Berlin, Verlag von Ernst & Ko
18 CERVANI, Voyage... cit, p. 86

19 Inventario degli oggetti d'arte esistenti nel palazzo in Città del definito Signor Pasquale bar. Revoltella Archivio di Stato Trieste, Tribunale Civile Marittimo, f. 1185

20 L. CRUSVAR, L'interno in scena: 1820-1900 Mobili e arredi, stili e mobilieri a Trieste, in: catalogo della mostra Abitare la periferia dell ' impero, Trieste, 1990.
21Nel 1860 Revoltella era stato coinvolto in un'inchiesta su alcuni illeciti commessi nelle forniture per la guerra del 1859 ed era stato arrestato in seguito a ciò il suo amico Carlo Ludovico de Bruck, ritenuto responsaibile si era suicidato. Revoltella, invece, ne uscì rapidamente e fu completamente riabilitato.
22 G. CERVANI, Voyage ...,  cit., p. 87.

  

 

 

 

Punti di Vista                                                                                          © Edizioni della Laguna