"LA BATTAGLIA
DI CAPORETTO"
24 - 26 OTTOBRE 1917
Mario Troso
"La sensazione di non essere gettate al massacro, ma impiegate con
senso di responsabilità, sarebbe stato il miglior tonico per le truppe
che dovevano affrontare i successivi combattimenti."
(Mario Silvestri)
QUADRO GENERALE
L'esercito italiano, entrato in guerra il 24 maggio 1915, si è disteso
con uno schieramento pressoché continuo lungo la linea di confine con l'Austria-Ungheria.
Nell'ottobre 1917 è suddiviso in sei grandi unità:
1) III° C.d'A. dallo Stelvio al lago di Garda;
2) Ia Armata dalla sponda orientale del lago di Garda alla Valsugana;
3) IVa Armata dalla Valsugana al Monte Peralba;
4) XII° C.d'A. dal Monte Peralba al Monte Rombon (zona Carnia);
5) IIa Armata dal Monte Rombon al fiume Frigido;
6) IIIa Armata dal Frigido al Mare Adriatico.
"L'esercito italiano scese in guerra nel maggio del 1915 assolutamente
impreparato: militarmente e moralmente... Entrammo in guerra con un
armamento 'preistorico'... Nessuno s'era corretto in dieci mesi di
guerra europea...
Le bombe a mano erano sconosciute... Gli ufficiali parteciparono ai
primi combattimenti con la sciabola e vestiti in modo da essere subito
colpiti. L'aviazione non funzionava. Nessuno dei capi vi aveva
creduto... Fra l'artiglieria e le fanterie nessun serio collegamento,
nessun segnale: l'artiglieria nostra finiva per sparare sui nostri
fanti. Si pretendeva tagliare i reticolati con le pinze a mano e con i
tubi di gelatina. In questo impossibile compito furon sacrificati i
migliori elementi della fanteria e del genio. I superiori... mandavano
al macello, contro reticolati intatti, masse di uomini... L'eroismo del
basso si mescolava all'imbecillità dell'alto e devon datare da quel
tempo le cartoline austriache lanciate fra le nostre truppe, dove si
vedevano i nostri soldati con la testa di leone guidati da generali con
la testa d'asino... Si concepiva la guerra come nei vecchi manuali
formati sulle esperienze del 1870... L'anno 1915 resterà, per chiunque
sia stato allora al fronte, disastroso e deprimente. In esso l'esercito
fu impoverito dei migliori elementi che si sacrificarono senza frutto,
stancando e sfacendo il fiore delle truppe e il meglio degli ufficiali e
dei volontari."
Mentre sul fronte russo la guerra ha conservato le caratteristiche di
movimento, sul fronte francese e più ancora sui fronti italiani i
combattimenti hanno assunto l'aspetto di guerra di posizione, vincolata
quindi a trincee, fortilizi e lunghe e profonde barriere di filo
spinato. L'esercito italiano ha condotto fin dall'inizio una guerra
offensiva particolarmente impegnativa sulla Fronte Giulia dove erano
schierate due armate (II e III) e dove ha combattuto ben undici
battaglie in due anni. Nelle prime dieci gli Italiani, una volta varcato
l'Isonzo, hanno continuato ad urtare contro il sistema difensivo
austriaco imperniato sulla catena montuosa del Carso, compresa tra il
mare e il Monte Santo, senza ottenere altro risultato territoriale che
la conquista di Gorizia nel 1916.
La guerra condotta secondo le norme tattiche codificate dalla stessa
persona che comandava l'esercito italiano, generale Luigi Cadorna,
privilegiava l'utilizzo indiscriminato di uomini come massa d'urto ed
escludeva la manovra come fattore risolutivo. Scriveva Caviglia:
"Nell'ultima grande guerra nessun esercito ha portato le sue fanterie a
dar di cozzo per anni contro le stesse posizioni, soffrendo gravissime
perdite, senza il sorriso visibile della vittoria, come noi facemmo
sulla fronte giulia... Credo che, fra gli altri eserciti belligeranti,
solo le truppe inglesi nella spedizione dei Dardanelli si siano trovate
per pochi mesi in condizioni simili a quelle delle nostre fanterie del
Mrzli, dello Sleme e di Volzana."
L'undicesima delle battaglie sulla Fronte Giulia, denominata della
Bainsizza dall'altopiano dove si è svolta, ha portato le truppe italiane
a penetrare profondamente oltre l'Isonzo nel dispositivo difensivo del
nemico, che su questo fronte risulta ormai allo stremo della resistenza.
Il Comando austriaco ritiene di non poter resistere ad un'altra
offensiva italiana che potrebbe raggiungere, proseguendo oltre la
Bainsizza, il Vallone di Chiapovano e provocare la caduta di tutto il
fronte con la conseguente conquista di Trieste da parte degli Italiani.
Perciò alla fine dell'agosto 1917, appena conclusasi la XIa battaglia
dell'Isonzo, il Comando austriaco mette allo studio
un'offensiva da sferrare, con l'aiuto dell'alleato germanico, in un
settore della Fronte Giulia che possa mettere in crisi lo schieramento
italiano e prevenire così una nuova possibile offensiva. Il settore
prescelto è quello dell'alto Isonzo dove sono schierati il centro e
l'ala sinistra della II Armata italiana, comandata dal generale Luigi
Capello e composta da due corpi d'armata su quattro divisioni ciascuno,
per un totale di circa 45.000 combattenti: il IV° C.d'A. del generale
Alberto Cavaciocchi e l'adiacente XXVII° C.d'A. del generale Pietro
Badoglio. In questo settore gli Austriaci hanno conservato due teste di
ponte oltre l'Isonzo: una nella conca di Plezzo e l'altra di fronte a
Tolmino.
La difesa della nostra fronte è impostata su tre linee (Cartina 1).
La prima, di difesa avanzata, quella sulla quale sono schierate
le truppe, è casuale, rappresenta il limite massimo dell'occupazione
italiana, ed è la sola guarnita di truppe in modo permanente.
La seconda, di resistenza ad oltranza, studiata, stabilita e descritta
sul terreno e nelle mappe, è quella che dovrebbe essere guarnita
ritirando le truppe dalla prima linea in caso di offensiva nemica.
Questa seconda linea è molto più solida della prima, che in più punti,
essendo troppo a ridosso dello schieramento avversario, presenta
posizioni poco o punto difendibili in caso di una forte offensiva
avversaria.
Esiste poi una terza
linea, anch'essa studiata, stabilita e descritta sul terreno e nelle
mappe: di difesa d'armata, dove attuare la resistenza in caso di
ulteriore ripiegamento.
COMPOSIZIONE DI UNA DIVISIONE ITALIANA
Nella primavera del 1917 la forza di una compagnia era stata ridotta da
225 a 150 uomini (ML12). Secondo il generale Caviglia le compagnie
nell'ottobre 1917 non avevano in linea più di 100 uomini (CE99).
PRELIMINARI ALLA BATTAGLIA
SETTEMBRE 1917:
RILASSAMENTO
Il 29 agosto 1917 Cadorna ordina alla II Armata la sospensione delle
operazioni: la vittoriosa offensiva italiana, che ha visto le truppe
italiane dilagare sull'Altopiano della Bainsizza ma s'è poi interrotta
per l'irrigidimento della resistenza austriaca, si deve ritenere
conclusa. Al fronte e in Italia viene considerata un grande successo sia
per il territorio conquistato, superiore a quello quasi insignificante
delle precedenti dieci battaglie, sia per la caduta di alcuni capisaldi
nemici come il Monte Santo, ma anche per la minaccia portata sul
rovescio del fronte nemico. La ripresa offensiva, prevista dal Comando
Supremo con l'intento di operare un grande sfondamento sul medio e basso
Isonzo lungo la direttrice della valle del Vipacco, inizialmente è
fissata per il 10 settembre, poi viene rimandata a fine mese e infine
sospesa. Il 18 settembre Cadorna ordina infatti alla II e alla III
Armata di assumere lo schieramento di difesa ad oltranza: per quest'anno
non ci sarà più alcuna offensiva.
La vittoria della XI battaglia dell'Isonzo
era stata preceduta nel maggio dello stesso anno dalla X battaglia, che
non aveva dato alcun frutto. Nell'insieme un grandioso sforzo costato
all'Italia circa 92.000 morti, 200.000 feriti e 40.000 prigionieri. E'
fisiologico che dopo ogni grande sforzo subentri un rilassamento. Ciò
vale per il singolo o piccolo organismo come per un organismo grande o
complesso, come può essere un esercito. Questo rilassamento più o meno
automatico può essere contrastato, oppure sollecitato o addirittura
favorito. Sulle nostre fronti è favorito dall'atteggiamento assunto dal
Comando Supremo, convinto che sia subentrata ormai una stasi invernale
durante la quale non si possono attuare operazioni di rilievo da parte
di nessuno dei due eserciti in conflitto. Cadorna ritiene infatti che
un'eventuale offensiva nemica potrà aver luogo soltanto nella primavera
1918.
Lo schieramento difensivo, in opposizione a quello offensivo appena
abbandonato, viene quindi interpretato dalle armate italiane come un
atteggiamento di riposo. Cadorna si allontana addirittura dal suo
comando di Udine per recarsi il 26 settembre a Roma e il 4 ottobre a Villa Camerini, presso
Vicenza, dove si trattiene fino al 19.
Evidentemente non è preoccupato per la situazione dei fronti, in
particolare di quello orientale, e tanto meno del settore dov'è
schierata la IIa Armata.
Un organismo complesso come un esercito è molto sensibile nel percepire
subito sia le positività che le negatività del comando, come pure
l'atteggiamento dominante nel comando stesso, che scende per li rami
attraverso la catena gerarchica. Tutti sono quindi tranquilli.
Questo atteggiamento
assume un valore particolarmente negativo sul fronte del IV C.d'A.
(Cartina 2), schierato all'estrema sinistra della II Armata, rimasto
sempre al di fuori delle grandi offensive dell'Isonzo fin dal 1915 e
cioè fin dal primo assestamento del fronte dopo la dichiarazione di
guerra. Lo stato di riposo soprattutto sulla Fronte Giulia scende per
li rami propiziato dal Comando Supremo e non trova correttori. E'
infatti un atteggiamento imposto dal Cadorna che aveva costituito un
Comando Supremo ad uso personale, senza teste che possano sollevare
obbiezioni. Cadorna non ha quindi collaboratori, ma soltanto alcuni meri
esecutori ed è perciò un isolato nello svolgimento della sua complessa
attività.
"Cadorna non aveva voluto dei sottoposti troppo autorevoli, tali da
menomare, di fatto, la sua piena autorità e da scalzarlo anche
eventualmente: in questo modo però egli aveva finito per privarsi degli
strumenti necessari all'esercizio del comando. Egli non era in grado, in
ultima analisi, di controllare le armate, specialmente poi durante la
battaglia; non disponeva di ufficiali di Stato Maggiore con i quali
guidare la lotta."
Dobbiamo dunque constatare che non esiste uno Stato Maggiore come gruppo
pensante e dirigente, ma soltanto un gruppo non pensante di esecutori di
ordini.
"Resta il fatto grave che Cadorna e con lui i sottocapi colonnelli
Roberto Bencivenga prima e dal 1 settembre 1917 Melchiade Gabba, non
sentivano il pericolo del loro isolamento. Erano schiacciati da un
lavoro immane..."
E proprio nel periodo in cui il nemico prepara la sua offensiva,
l'efficienza del Comando italiano è ulteriormente compromessa
dall'assenza o debilitazione di due comandanti senza validi sostituti:
il comandante supremo, assente dal suo quartier generale di Udine, e il
comandante della II Armata, di precaria salute per grave malattia.
LA CONTROFFENSIVA CHE
NON C'ERA
Cadorna il 18 settembre inoltra ai comandanti delle due armate schierate
sulla Fronte Giulia, la II comandata da Luigi Capello e la III comandata
dal duca d'Aosta, l'ordine tassativo di sospendere ogni operazione
offensiva e di predisporre, nello stesso tempo, tutti i preparativi
necessari per la difesa ad oltranza. Mentre il duca d'Aosta si uniforma
subito a tale direttiva, Capello non vi si attiene perché intende
sostituire ad una stretta difensiva una possibile azione combinata
difensiva-controffensiva. In altri termini, secondo lui lo schieramento
oltre ad essere difensivo deve permettere la manovra controffensiva in
modo da arginare prima il nemico e poi ributtarlo guadagnando terreno.
Capello trasmette al Comando Supremo copia dell'ordine d'operazione con
la quale prescrive ai suoi sottoposti che ad una validissima difesa
debba seguire una fulminea controffensiva. Cadorna risponde dando
consigli per la difensiva, ma approvando anche in linea di massima le
direttive di Capello. Costui ritiene quindi di poter attuare, in caso di
un'offensiva austriaca, il suo piano in base al quale, partendo dal
saliente della Bainsizza appena conquistato, si deve sferrare un forte
contrattacco sul fianco dei nemici, verso nord, settore di Tolmino, o
verso sud, settore di Gorizia, secondo la direttrice d'attacco scelta
dal nemico.
Gli studiosi del periodo parlano di equivoco e anche di dissidio
che si sarebbe dunque verificato tra Cadorna, fermo sulla difesa ad
oltranza, e Capello, fautore di una manovra controffensiva. Non si era
trattato però né di equivoco né di dissidio. O meglio se un equivoco c'è
stato è solamente quello nel quale sono caduti sia Cadorna sia Capello
circa l'eventuale offensiva nemica. Entrambi, convinti che le fronti
siano ormai entrate in una stasi invernale, prevedono che l'eventuale
grande offensiva nemica non si realizzerà prima della primavera del
1918. Cadorna non considera quindi urgenti le misure che ha richiesto
per uno schieramento delle truppe di difesa ad oltranza. Inoltre riserva
come sempre attenzioni particolari al Capello, che giudica il migliore
tra i generali ai suoi ordini, dotato di quel manovriero spirito
d'iniziativa che esula dal proprio carattere. Anche in questo caso pensa
di non tarpargli le ali e di lasciargli coltivare l'ambizioso progetto,
sogno di tutti i grandi capitani: cogliere il nemico di sorpresa sul
fianco mentre sta marciando. Si vedrà in seguito come. Quindi
tranquillità sul fronte e tranquillità nei rapporti tra Cadorna e
Capello.
Mentre Cadorna è assente questa atmosfera rilassata comincia ad essere
turbata da notizie che arrivano al Comando della II Armata circa i
preparativi del nemico per un'offensiva molto prossima, proprio sulla
Fronte Giulia. Già il 4 di ottobre i prigionieri austriaci parlano di
un'offensiva imminente.
Capello, ammalato e impossibilitato a muoversi ma già allarmato, nel
corso di una conferenza del 14 ottobre nel quartiere di Cormons espone
ai suoi divisionari, "con chiara preveggenza",
il suo timore di un attacco nemico che, sboccando dalla testa di ponte
di Tolmino, sfonderebbe in fondo valle a Volzana la linea del XXVII° C.d'A.
(Badoglio) e, rimontando la destra dell'Isonzo, aggirerebbe il IV° C.d'A.
(Cavaciocchi) incuneandosi tra la nostra prima linea oltre l'Isonzo e la
seconda al di qua del fiume, aprendosi la strada per Cividale e Udine.
Egli sente quindi impellente la necessità di un colloquio col Cadorna.
In sua assenza, il 15 ottobre riceve la visita del colonnello Cavallero
della segreteria di Cadorna e ripropone
la sua controffensiva che dovrebbe svilupparsi partendo dalla conca di Verco (Cartina 1), sulla Bainsizza, contro il fianco del nemico:
chiede vari rinforzi di truppe e d'artiglieria e un corpo d'armata su
tre divisioni da collocare dietro la regione del Monte Jeza, per
rafforzare questa posizione chiave di fronte alla testa di ponte
austriaca di Tolmino.
Il quadro è allucinante perché Capello ha avuto sì della preveggenza, ma
continua a parlare di controffensiva senza però dare concrete
disposizioni per la sua realizzazione o per altre iniziative coerenti
con l'intuizione. Tra il resto Capello non parla di Plezzo, ma solo
della testa di ponte di Tolmino poiché ancora il 17 ottobre, come
attesta Caviglia, egli si attende un attacco soltanto da Tolmino e non
esteso fino alla conca di Plezzo.
Comunque Capello in tale data si dimostra più disposto del suo capo a
credere alle informazioni giunte.
Il 16 una relazione sul colloquio Capello-Cavallero del 15 viene
trasmessa da Cavallero a Cadorna, che il 17 ottobre risponde per
iscritto precisando che Capello, se attaccato, potrà costituire le
progettate masse di manovra, contando però unicamente sulle forze di cui
dispone al momento: 324 battaglioni, 2.500 pezzi d'artiglieria, 1.134
bombarde. Cadorna quindi prende in considerazione l'ipotesi che Capello
possa manovrare, ma non indaga circa le caratteristiche e le probabilità
di riuscita della controffensiva. Dice soltanto a Capello di
arrangiarsi.
Siamo di fronte ad un sottile gioco delle parti: Cadorna vuole evitare
di essere compartecipe in un'ipotetica azione controffensiva della quale
non esiste ancora alcun piano d'operazioni e si cautela, in ritardo,
ribadendo quelle istruzioni difensive delle quali non ha mai verificato
l'attuazione. Capello che vorrebbe invece l'imprimatur, ma anche
il conforto del Comando Supremo sul proprio piano con l'assegnazione di
consistenti rinforzi, resta spiazzato e dimostra imprevidenza e
leggerezza; della controffensiva infatti continua a parlare in astratto
creandone i presupposti, ma lasciando nel frattempo inalterato per la
sua armata lo schieramento offensivo di fine agosto, quando s'era
conclusa la vittoriosa offensiva sulla Bainsizza. Fra il resto non ha
neanche la certezza di ricevere i rinforzi ritenuti necessari e non dà
alcun ordine per preparare nella realtà operativa la famosa
controffensiva. Riepilogando il Capello non ha schierato le sue truppe
per la difesa ad oltranza secondo gli ordini di Cadorna, ma non ha
neppure dato alcuna istruzione per un'azione alternativa.
E' dunque chiaro che Cadorna il giorno 17 non percepisce la gravità
della situazione, non ritenendo imminente l'offensiva nemica. D'altra
parte anche il capo del suo Ufficio Situazione
,
che ha il compito di prospettare lo stato delle cose sui vari fronti,
rimane fino all'ultimo scettico sulla probabilità e sull'ampiezza
dell'offensiva nemica, fermo nel ritenere che comunque il nemico non
attaccherebbe fra Plezzo e Tolmino, come risulta invece dalle
informazioni che stanno arrivando. Siamo a 7 giorni dall'attacco nemico!
Ma le notizie di un'offensiva nemica si fanno sempre più consistenti
tanto che il 19 ottobre Cadorna, appena rientrato nella sede del Comando
Supremo a Udine, s'incontra con Capello e prende finalmente una
posizione più netta nei confronti del suo subordinato escludendogli il
criterio della manovra controffensiva e riaffermando il primitivo ordine
di sola difesa ad oltranza. Non illustra però un piano del Comando
Supremo da contrapporre a quello offensivo del nemico che si sta
profilando: niente più manovra, ma solo difensiva pura e semplice sul
posto. A questo punto per attuare le disposizioni del Cadorna e
modificare l'assetto della II Armata da offensivo in difensivo ad
oltranza restano soltanto 5 giorni!
Entrambi i comandanti Cadorna e Capello stanno quindi già subendo
l'effetto della sorpresa nemica
che li ha completamente spiazzati, poiché in 5 giorni risulterà
impossibile non soltanto impostare un piano adeguato alla manovra
dell'avversario, ma anche prendere provvedimenti decisivi come
rettifiche del fronte e spostamento di riserve. Mancherà soprattutto il
tempo per preparare le truppe alla nuova critica situazione che si sta
profilando.
L'OFFENSIVA CHE C'ERA
Mentre il comandante della II Armata si trastulla con l'ipotesi di
un'eventuale controffensiva e il Comando Supremo ne tollera le
disobbedienze e inadempienze, anche perché non crede all'imminenza del
pericolo, il nemico sta facendo sul serio e ha preparato una grande
offensiva nella valle dell'Isonzo estesa dalla conca di Plezzo fino a
Tolmino, che dovrà scattare all'alba del 24 ottobre 1917 contro un
settore della II Armata italiana, con l'obbiettivo limitato di
respingere gli Italiani al di là della frontiera,
o magari oltre il Tagliamento.
In dettaglio gli Austriaci si prefiggono di (Cartina 3):
- attaccare nella conca di Plezzo e sfondare in direzione della stretta
di Saga per raggiungere Tarcento e l'alto Tagliamento;
- uscire dalla testa di ponte di Tolmino e risalire l'Isonzo fino a
Caporetto per impadronirsi della testa della Valle del Natisone e
sfondare fino a raggiungere Cividale e Udine;
- conquistare le cime dei monti Jeza, Krad e Kolovrat e cioè la dorsale
sulla destra dell'Isonzo tra Tolmino e Caporetto per aver accesso alla
valle dello Judrio.
Si dovrà utilizzare la tattica di infiltrazione già sperimentata a Riga,
preceduta da un poderoso bombardamento d'artiglieria in due fasi: 4 ore
di tiro su seconde linee, comandi e retrovie anche con proiettili a gas,
e un'ora di tiro di distruzione breve e violento sulle prime linee,
seguito dall'assalto delle fanterie. I reparti d'assalto si
infiltreranno, lì dove la resistenza nemica cederà, senza preoccuparsi
delle spalle e dei fianchi.
Così come concepita questa offensiva deve coinvolgere la sinistra
(destra per gli Austriaci) della II Armata italiana e cioè il IV C.d'A.
(Cavaciocchi), divisioni 50a, 43a, 46a e parte del XXVII (Badoglio) con
la 19a Divisione, su una fronte di circa 25 chilometri tra il Rombon e
Tolmino (Cartina 2).
Sferreranno l'attacco
12 divisioni, 7 germaniche e 5 austriache (8 per il primo assalto e 4 di
riserva) vedi Tabella 1:
- 4 divisioni (3 austriache e una germanica) tra il Rombon e il Monte
Nero;
- 4 divisioni (3 germaniche e una austriaca) tra il Monte Nero e il Vodil;
- 2 divisioni germaniche di fronte allo Jeza;
- 2 divisioni (una austriaca e una germanica) di fronte al Krad.
L'assalto combinato austro-germanico si svilupperà seguendo 5 punte o
direttrici principali (Tabelle 1 e 2 per le forze e Cartina 3 per le
direzioni di attacco):
• la punta (Krauss) nella conca di Plezzo contro la 50a Divisione
(Arrighi) con obbiettivo la stretta di Saga e la Valle Uccea;
• 2a punta (Krauss) nel settore del Monte Nero contro la 43a Divisione (Farisoglio)
con obbiettivo la conca di Drezenca;
• 3a punta (Stein) nel settore Sleme-Mrzli contro parte della 46a
Divisione (Amadei) con obbiettivo la piana di Selisce;
• 4a punta (Stein) davanti a Tolmino contro il resto della 46a Divisione
(Amadei) e parte della 19a Divisione (Villani) con obbiettivo le
rotabili di fondo valle Isonzo, Caporetto e la Valle del Natisone;
• 5a punta (Stein, Scotti e Berrer) davanti a Tolmino contro il resto
della 19a Divisione con obbiettivo la dorsale del Kolovrat tra i monti
Jeza e Kuk (Cartine 3 e 4), che sovrasta sulla destra la Valle
dell'Isonzo, la Valle dello Judrio, e Cividale.
L'attacco risolutivo austro-germanico deve urtare, con le otto divisioni
di prima schiera rincalzate da altre quattro (Tabella 2), in un primo
tempo contro quattro divisioni italiane, ossia la 19a del XXVII C.d'A.
di fronte a Tolmino, la 50" in conca di Plezzo e le 43a e 46a del IV C.d'A.
nel settore Sleme-Mrzli (Cartine 2 e 3). La manovra principale è
affidata a truppe d'élite come il gruppo Stein composto dai Tedeschi
della 12 Divisione Slesiana e da quelli dell'Alpenkorps bavarese (Punta
3) contro la 19a Divisione italiana. Successivamente gli
Austro-Germanici dovrebbero incontrare altre tre divisioni italiane.
RIGA NON DOCET
Fin dal colloquio del 14 ottobre con Cavallero, Capello ha dimostrato di
preoccuparsi per l'offensiva nemica, ma ne sottovaluta la forza alla
stregua di Cadorna e nutre quindi eccessiva fiducia nella possibilità di
contenerla. Soltanto il 20 ottobre, già compromesso dalla malattia che
riduce la sua attività organizzativa, egli si persuade dell'imminenza
dell'attacco nemico, esteso dalla testa di ponte di Tolmino fino a
quella di Plezzo. Purtroppo lo schieramento delle sue truppe non è il
più idoneo a contrastarlo perché è ancora rivolto all'offensiva e si
trova così sbilanciato di fronte alla necessità di assumere
all'improvviso una tattica difensiva.
Soltanto il 19 ottobre Cadorna ha chiarito che la IIa Armata deve
assumere esclusivamente la difesa ad oltranza: è quindi mancato il tempo
per apportare le necessarie modifiche nello schieramento. Le tre
divisioni del XXVII C.d'A. schierate oltre l'Isonzo sulla Bainsizza
(Cartina 2), con il loro enorme addensamento di fanteria e artiglieria,
se non possono essere più utilizzare per l'azione controffensiva, non
sono adeguate neppure per quella difensiva, poiché dislocate in
posizione troppo eccentrica rispetto al previsto asse di attacco nemico.
Sempre il 20 ottobre Capello lascia il comando ed è trasportato a Padova
per essere curato.
Intanto un ufficiale czeco disertore ha precisato che un forte
contingente germanico è in procinto di attaccare il fronte italiano
davanti a Tolmino, ma l'Ufficio Situazione del Comando Supremo italiano
ha ancora delle riserve!
Soltanto dopo che nella notte del 21 ottobre due disertori romeni
portano copia dell'ordine di operazioni del loro reggimento circa
l'imminente offensiva sul Mrzli e nei settori limitrofi, incomincia
presso gli alti comandi italiani la preparazione disorganica ed
affrettata della difesa sulla sinistra della II Armata.
Il 22 ottobre Cadorna si reca ad ispezionare le linee tenute dal IV° C.d'A.,
cioè quelle tra Plezzo e Tolmino, e ne ricava una pessima impressione
sul suo comandante, generale Cavaciocchi. Mancano due giorni all'attacco
nemico. Il 23 pomeriggio, solo poche ore prima dell'assalto austriaco,
Cadorna riunisce a Carraia nei pressi di Cividale Capello, rientrato da
Padova alle 2.30 di notte, con i comandanti di C.d'A. della IIa Armata:
Badoglio, Bongiovanni
e Caviglia,
assenti Cavaciocchi e Albricci.
Egli rimprovera i presenti di non aver pienamente attuato i suoi ordini,
mantenendo il dispositivo troppo sbilanciato in avanti.
Quindi, nell'imminenza dello scontro, tardivi e inutili rimproveri per
il passato, ma nessuna discussione per il presente in stretto
riferimento con il piano d'attacco nemico che ormai è ben definito.
Capello comprende con chiarezza lo stato delle cose e probabilmente si
sta rendendo conto che l'offensiva nemica, data la sua forza,
difficilmente potrà essere contenuta adottando una stretta difensiva sul
posto: afferma dunque che la situazione può essere risolta soltanto con
la manovra, ma Cadorna lo zittisce. Il rimprovero di Cadorna, nella
riunione del 23, tocca particolarmente Badoglio, comandante del XXVII°
C.d'A., ma è un rimprovero alla nuora perché la suocera intenda:
Badoglio, che è un pupillo di Capello, ha senz'altro assecondato il
piano del suo capo e, per favorire la famosa controffensiva, d'accordo
con Capello ha lasciato sulla Bainsizza oltre Isonzo 3 delle 4 divisioni
del suo C.d'A. (XXVII) nonostante l'ordine del Comando Supremo avesse
contemplato di concentrare al di qua dell'Isonzo la massa delle truppe
di quel corpo d'armata, per la difesa ad oltranza. Così sulla Bainsizza,
sopra una fronte di 21 km, stanno in prima linea nove divisioni (3 del
XXVII°, 3 del XXIV° e 3 del II° C.d'A.) che occupano mediamente 2,5 km
di fronte ciascuna e in riserva nel fondo valle ci sono altre due
divisioni. Invece alla testa di ponte di Tolmino sulla destra
dell'Isonzo,
ossia nel punto più pericoloso, sopra una fronte di 13 chilometri c'è la
sola 19a Divisione, seppur rinforzata.
Lo stesso giorno 23 Capello, rientrato da Carraia al suo quartier
generale di Cividale, riprende il discorso del 14 e raccomanda di nuovo,
con una conferenza ai suoi divisionari, d'avere la massima attenzione
per lo sbocco di Tolmino e cioè per la piana di Volzana, e di
predisporre l'intervento automatico delle artiglierie per un'ora o un
momento da stabilire. Raccomanda, ma non controlla, benché abbia la
certezza che quelle posizioni rappresentino dei punti critici.
L'IMPROVVISAZIONE
REGNA SOVRANA
E I PUNTI DEBOLI RESTANO
Il 21 ottobre, a conoscenza del piano dettagliato d'attacco alle nostre
linee portato dai disertori romeni, sia Cadorna che Capello cercano di
correre ai ripari,
ma la sorpresa sta paralizzando i comandi e la mancanza di tempo crea
panico. A causa degli avvertimenti palesi non percepiti dal Comando
italiano e di quelli occulti non sufficientemente indagati in tempo
utile dal nostro servizio informazioni, l'attacco nemico sorprende in
toto le nostre truppe.
"La sorpresa fa trovare il Comando supremo italiano impreparato ad
affrontare l'urto nemico; ne paralizza la volontà, rendendolo incapace
di prendere quelle misure che avrebbero potuto contenere in modesti
limiti le conseguenze della rottura del fronte."
Così "... tutte le disposizioni date dopo il 21 furono tardive, per
questo alcuni reparti e le batterie non giunsero in tempo ai posti loro
assegnati, oppure non ebbero agio di orientarsi, di inquadrare i tiri e
di fornirsi di munizioni.
Presa coscienza della direttrice dell'offensiva nemica, Capello
raccomanda ancora a Badoglio di controllare adeguatamente la sortita
dalla testa di ponte di Tolmino, rafforzando il fondo valle in modo da
sbarrarne il transito, e a questo scopo gli mette a disposizione la
Brigata Napoli. Ma sia per la mancanza di tempo sia per errate
valutazioni tattiche, non si riesce a creare una difesa consistente in
questo ben noto punto critico e neppure nella conca di Plezzo.
Inoltre i
comandi, per evitare la confusione dell'ultimo momento, decidono di non
procedere neppure con quelle rettifiche che comporterebbero il ritiro
delle truppe dalla prima linea per economizzare le forze e dare più
consistenza alla difesa. Così i soldati italiani rimangono anche sulle
indifendibili posizioni di prima linea delle trincee sotto lo Sleme e il
Mrzli e nella pianura di Plezzo.
Le tardive decisioni dei comandi per raddrizzare la grave situazione
oltre a non produrre interventi determinanti per parare l'attacco,
provocano danni irrimediabili ancor prima che si scateni l'offensiva
nemica: alcune truppe sono assegnate ai corpi e poi tolte, poi di nuovo
assegnate per essere ancora una volta tolte, denotando il nervosismo e
l'incertezza del comandante della IIa Armata nel tentativo di parare
quell'assalto che tutte le truppe percepiscono ormai come imminente.
Queste misure affrettate finiscono per provocare disorientamento,
stanchezza e sfiducia nei comandi dipendenti e nelle truppe perché si
sente che chi comanda non ha in pugno la situazione.
In questa
confusione soldati e comandanti sono presi dall'insicurezza, perché si
rendono conto della posizione falsa e fragile in cui vengono a trovarsi,
tra un nemico del quale si conosce l'audacia combattiva rafforzata dalla
temibile partecipazione germanica, e il vuoto costituito alle loro
spalle da un Comando Superiore tentennante, se non assente.
Insomma le truppe capiscono di essere abbandonate a se stesse.
Ciononostante si battono, e se si arrenderanno sarà per la mancata
predisposizione di adeguate posizioni difensive, di ordini precisi e per
la sorpresa: non sono state assolutamente preparate all'effetto
aggirante della tattica tedesca d'infiltrazione rapida. Ricordiamo che
solo pochi giorni prima, nelle due conferenze del 17 e 18 ottobre, ai
comandanti di corpo d'armata Capello aveva ancora parlato di
controffensiva, da predisporsi partendo dalla conca di Verco sulla
Bainsizza (Cartina 1) e non aveva certo preparato i suoi divisionari
alla situazione del momento, cioè alla difensiva che richiedeva una
tecnica ben diversa. "Alla sera del 23 ottobre lo schieramento delle
nostre forze tradiva la sorpresa strategica nella quale era caduto il
nostro Comando Supremo. Lo schieramento, infatti, non rispondeva a
nessun disegno da parte nostra, né puramente difensivo né
controffensivo. "
L'assioma espresso da
Badoglio nella conferenza del 10 ottobre (l'arte del comando sta per
nove decimi nella costanza del controllo) cade quindi nel vuoto perchè
nessuno controlla mentre gli ordini si accavallano e cambiano
continuamente, non essendoci alcun piano da parte del CS italiano!
Fin dall'inizio dell'anno i Germanici avevano messo a punto la difesa
elastica per parare un attacco del nemico, nonché l'assalto per
infiltrazione per svolgere un'azione offensiva. I nostri comandi
continuarono invece nel "... tentativo d'annientamento del nemico
mediante la forza piuttosto che con la manovra."
Così, nell'impegno di
parare l'offensiva imminente, invece di studiare provvedimenti adeguati
si continuano ad ammassare uomini aderendo alle richieste dei vari
divisionari che, non avendo appunto alcun'idea pratica per contrastare
la nuova tattica avversaria di infiltrazione, cercano di cautelarsi alla
vecchia maniera: ammassando uomini destinati però ad impinguare il
bottino nemico di prigionieri!
In assenza dunque di provvedimenti tattici 'di qualità', che tengano
conto della tattica germanica, ecco invece i più importanti
provvedimenti 'di quantità' presi dal nostro CS per parare l'emergenza.
ASSEGNAZIONE DELLE
RISERVE TATTICHE
• Assegnazione al Comando del IV° C.d'A. (Cavaciocchi) della 34a
Divisione (Basso). Questa divisione improvvisata dovrebbe comprendere la
Brigata Foggia, su tre reggimenti (5.400 uomini), e due reggimenti
bersaglieri (3.600 uomini) con l'ordine di stabilirsi a Sigida presso
Caporetto. Ma il suo comandante generale Basso, che non aveva mai visto
queste truppe, il 23 ottobre scopre che i due reggimenti bersaglieri e
uno dei reggimenti della Foggia sono già stati inviati verso la prima
linea con compiti speciali. A Caporetto è rimasto dunque un solo
reggimento della Foggia, il 282°, mentre il 281° dovrebbe giungervi da Luico. Quindi dei cinque reggimenti previsti (9.000 uomini) uno solo
(1.800 uomini) è sicuramente presente e uno, forse, in arrivo!
• Assegnazione al Comando della II Armata (Capello):
- del VII° C.d'A. (Bongiovanni),
come riserva generale d'Armata, che il mattino del 24 ottobre è composto
da due divisioni: la 3a con tre brigate e la 62a con due brigate, circa
18.000 uomini (Cartine 2 e 7). Il generale Capello ha prescritto che
prenda posizione sul Kolovrat come rinforzo della destra del IV° C.d'A.
(Cavaciocchi), della sinistra del XXVII C.d'A. (Badoglio) e della linea
di difesa ad oltranza dallo Jeza al Matajur, ma anche per una
controffensiva. In realtà a mezzogiorno del 24 ottobre, giorno
dell'attacco nemico, il VII C.d'A. non è in condizioni di essere
schierato "... sulle posizioni affidategli neppure per la difensiva."
DESCRIZIONE
DELLA BATTAGLIA DI CAPORETTO
Truppe impegnate
complessivamente nel settore della battaglia (Tabella 2): per gli
Italiani 116 battaglioni pari a circa 70.000 uomini con 1.200 bocche da
fuoco e qualche centinaio di bombarde, per gli Austro-Germanici 115
battaglioni pari a circa 75.000 uomini con 1.800 bocche da fuoco e 300
bombarde. La notte precedente l'inizio dell'offensiva gli Austriaci sono
riusciti ad avvicinarsi alle nostre linee ed a concentrare un gran
numero di truppe nei punti di irruzione, senza farsi scoprire. Erwin
Rommel
scrive: "Nella notte del 22-23 ottobre il battaglione si schiera per
l'attacco. Potenti stazioni fotoelettriche appostate nelle posizioni
italiane sulle alture del Kolovrat e dello Jeza illuminano a giorno la
via di accesso.
Spesso veniamo investiti da nutrite salve d'artiglieria... Tutti abbiamo
durante l'avanzata l'impressione di essere entrati nel campo d'azione di
un avversario straordinariamente attivo e ben armato e equipaggiato.''
Il battaglione Rommel è schierato sul pendio nord del Monte Buzenika,
quota 510 (Cartina 1), situato a un chilometro e mezzo a sud di Tolmino.
Dopo aver raggiunto la posizione "Le poche ore di buio che rimangono
devono essere utilizzate fino all'ultimo minuto per scavare e
mimetizzare le posizioni... Quando comincia a far chiaro, il pendio
sembra deserto. Rannicchiati nelle buche, coperti da rami e ramoscelli,
i fucilieri recuperano le ore di sonno perdute."
Lì dovranno restare per circa 30 ore in attesa dell'attacco.
La battaglia di Caporetto dura 3 giorni, il 24, 25 e 26 ottobre. Durante
il primo giorno gli Austro-Germanici operano lo sfondamento delle difese
italiane e penetrano per 27 chilometri oltre la linea del fronte. Nei
due giorni successivi sfruttano questo successo e costringono il Comando
Supremo italiano ad ordinare la ritirata. Alle 2.30 del quarto giorno,
27 ottobre, il generale Cadorna ordina la ritirata al Tagliamento di
tutte le truppe della Fronte Giulia, e cioè della IIa e IIIa Armata, e
della zona Carnia. Nello stesso giorno gli Austriaci occupano Cividale e
sboccano in pianura. Il 28 è occupata Udine. Ma vediamo nel dettaglio il
succedersi degli eventi.
24 OTTOBRE, PRIMA GIORNATA GLI AUSTRO-GERMANICI OPERANO LO
SFONDAMENTO DEL FRONTE
La notte è cupa e tenebrosa. Al mattino c'è pioggia in basso e nevischio
in alto. In fondo valle grava una fitta nebbia. Gli Austro-Germanici
hanno predisposto una combinazione di tre mezzi da impiegare
preventivamente all'inizio dell'assalto delle fanterie: il massiccio
bombardamento di artiglieria con tutti i calibri e con le bombarde, un
utilizzo indiscriminato di gas sia per mezzo dei proiettili di cannoni
sia con l'emissione diretta attraverso speciali tubi di lancio, e infine
lo scoppio di mine sotto determinate posizioni della prima linea
italiana. Il bombardamento di artiglieria dura complessivamente quattro
ore con l'intesità maggiore diretta sulle seconde linee, le retrovie,
gli osservatori ed altri punti vitali. Iniziato alle ore 2.00 e
interrotto alle 4.30, riprende alle 6.30 con un fuoco di distruzione che
termina tra le 7.30 e le 8.00. Nel primo periodo, tra le 2.00 e le 4.30,
sono sparati anche i proiettili a gas. Le mine scoppiano poco prima
dell'assalto delle fanterie, che scattano tra le 7.00 e le 9.00. Il
bombardamento a gas non provoca molti danni. Il fondo valle si cosparge
dei fuochi accesi dagli Italiani per favorire la dispersione del gas. Ma
nella conca di Plezzo il bombardamento agisce in modo micidiale per
l'utilizzo di un gas particolare: 1.000 tubi alimentati da 2.000 bombole
immettono verso le posizioni italiane acido cianidrico ad alta
concentrazione
contro il quale nulla possono le maschere a gas in dotazione. L'87°
Reggimento della Brigata Friuli, 1.800 uomini schierati in ricoveri e
caverne, sono sterminati: superstiti 12 ufficiali e 200 soldati. L'88°
Reggimento della stessa brigata, schierato più a sud, resta immune.
Le truppe d'assalto austro-germaniche abbandonano le trincee e si
portano a ridosso delle posizioni italiane sotto l'arco di tiro delle
proprie artiglierie in modo da partire all'assalto appena cessato il
fuoco dei cannoni. Tale movimento non è percepito dagli Italiani. La
reazione dell'artiglieria italiana è oltremodo scarsa. "Il fuoco
italiano contro il nostro avvicinamento e le posizioni di partenza mancò
quasi del tutto" dice il Dellmensingen.
L'assalto delle fanterie nemiche non ha un inizio contemporaneo su tutto
il fronte. Il primo attacco è sullo Sleme tra le 6.30 e le 7, negli
altri settori si sviluppa fra le 7 e le 9.
Come abbiamo visto nella Tabella 2 e nella Cartina 3, gli attaccanti
agiscono con 5 punte.
• Punta 1 (Krauss) nella conca di Plezzo contro la 50a Divisione
(Arrighi) con obbiettivo la stretta di Saga e Valle Uccea.
• Punta 2 (Krauss) nel settore del Monte Nero contro la 43a Divisione (Farisoglio)
con obbiettivo la conca di Drezenca.
• Punta 3 (Stein) nel settore Sleme-Mrzli contro parte della 46a
Divisione (Amadei) con obbiettivo la piana di Selisce.
• Punta 4 (Stein) davanti a Tolmino contro parte della 46a Divisione (Amadei)
e parte della 19a Divisione (Villani) con obbiettivo le rotabili di
fondo Valle Isonzo, Caporetto e la valle del Natisone.
• Punta 5 (Stein, Scotti e Berrer) davanti a Tolmino contro il resto
della 19a Divisione con obbiettivo la dorsale che sovrasta sulla destra
la valle dell'Isonzo, la valle dello Judrio, e Cividale. Constatiamo che
le posizioni dove gli Austriaci hanno concentrato le maggiori forze
sono: Punta 1 nella conca di Plezzo, con 28 battaglioni, e Punta 5 nella
testa di ponte di Tolmino, con ben 60 battaglioni. La Punta 5 e la Punta
1 sono quindi da considerare quelle corrispondenti agli attacchi
principali. Tuttavia è la Punta 4 quella dove il nemico otterrà il
massimo risultato immediato col minimo impegno di forza!
SITUAZIONE ATTORNO ALLE 15.00 DEL 24 OTTOBRE
Attorno alle 15.00 la situazione nei vari settori coinvolti dall'attacco
nemico è la seguente, riassumendo da nord verso sud.
• Punta 1. Nel settore della 50a Divisione italiana in conca di Plezzo,
il corpo Krauss forte di 28 battaglioni ha rotto la linea di difesa
avanzata solo nel fondo valle ed è penetrato per 6 km. Arriverà verso le
18.00 davanti a Pod Celom, difesa avanzata della stretta di Saga, senza
però intaccare in alcun punto la linea di difesa ad oltranza.
• Punta 2. Nel settore della 43a Divisione italiana l'attacco dei
rimanenti 11 battaglioni austriaci del gruppo Krauss ha comportato in
alto la conquista del Monte Rosso e successivamente in basso un'avanzata
che si è arrestata davanti a Krn. La linea di difesa ad oltranza è
rimasta dunque intatta anche qui.
• Punta 3. Nel settore della 46a Divisione italiana, travolte le trincee
sotto lo Sleme e il Mrzli e distrutte da mine quelle sul Monte Rosso,
gli Austriaci della 50a Divisione sono scesi verso la conca di Drezenca
e hanno raggiunto in piano Selisce, dove si sono affiancati ai Tedeschi
della 12a Slesiana. Sul Monte Nero gli Italiani hanno continuato a
resistere.
• Punta 4. L'azione realizzata dai Germanici della 12a Divisione
Slesiana del gruppo Stein ha ottenuto i risultati più disastrosi per gli
Italiani, non soltanto dal punto di vista tattico immediato, ma anche da
quello psicologico e si deve ritenere determinante per la catastrofe.
Questi Germanici, usciti alle 8.00 dalla testa di ponte di Tolmino,
hanno imboccato la valle dell'Isonzo e, percorrendo sia la strada sulla
sinistra sia quella sulla destra del fiume (Cartine 3 e 4), hanno
marciato rapidamente verso nord avendo come obiettivo Caporetto.
Come abbiamo visto la difesa del fondo valle dell'Isonzo e quindi delle
due strade è affidata a due corpi d'armata! Il XXVII° è competente per
la destra mentre il IV° lo è per la sinistra, ma in pratica né il
Comando Supremo né il Comando della IIa Armata sono riusciti a far
comprendere la necessità di chiudere con la massima determinazione quel
passaggio. Infatti i provvedimenti presi sono nettamente insufficienti
perché non proporzionati all'entità dello sforzo nemico. Così i
Germanici, dopo aver superato in fondo valle la resistenza da parte
delle truppe italiane disposte a costituire successivi piccoli presidi,
occupano Volzana, Ciginj, Foni, e dopo aver marciato velocemente sulla
destra del fiume alle 15.30 entrano in Caporetto. La loro avanzata sia
sulla destra sia sulla sinistra del fiume convalida a distanza di secoli
il motivo della vittoria degli Orazi sui Curiazi.
Nello stesso tempo la 50a Divisione austriaca supera la linea italiana
sullo Sleme e scende verso Drezenca, puntando anch'essa su Caporetto.
Ma i Germanici della
12a Divisione Slesiana non si fermano; secondo i piani, da Caporetto
girano subito alla loro sinistra e muovono per impadronirsi della
testata della Val Natisone, che conduce a Cividale e a Udine. Alle 18.00
arrivano a Staro Selo e alle 22.30 a Robic, dopo una marcia di 27
chilometri. Questa penetrazione nemica fino a Caporetto e oltre causa il
definitivo scollamento tra il XXVII° e il IV° C.d'A. (Cartina 2), che
avrebbe dovuto essere evitato con l'intervento del VII° Corpo (Bongiovanni).
Lo scollamento ha effetti catastrofici: il dispositivo nemico si è
infatti incuneato nello schieramento italiano, frapponendosi tra le
truppe che guarniscono le posizioni al di qua dell'Isonzo e quelle
collocate al di là. Queste (50a, 43a, e 46a Divisione), praticamente
aggirate, vedono tagliata dal nemico la loro linea di rifornimento in
caso di resistenza e di ritirata in caso di ripiegamento.
Ed è questa penetrazione tedesca l'essenza della così detta battaglia di
Caporetto, la madre della grande catastrofe che coinvolge la IIa Armata
e di conseguenza le restanti truppe italiane schierate sul fronte
orientale, assieme a gran parte delle popolazioni del Veneto!
• Punta 5. Dalla testa di ponte di Tolmino irrompono il resto del gruppo
Stein, il gruppo Berrer e il gruppo Scotti che, superata nella piana di
Volzana la prima linea italiana, si spiegano a ventaglio sulle alture
contro la seconda linea italiana
(Cartine 3 e 4). Berrer mira allo Jeza, Scotti "... si arrampica verso i
costoni montagnosi che separano e dominano Val di Judrio e Val d'Isonzo,
da Selo in giù..."
verso posizioni difese dalla 19a Divisione, schierata di fronte alla
testa di ponte di Tolmino dall'Isonzo al Krad. Alle 9.30 cade Cemponi,
alle 10.10 lo Jeseniak, alle 10.15 lo Zible, alle 11.15 il Falso Jeza
(Albero Bello) e, tra le 12.00 e le 13.00, il Varda. Un battaglione di
montagna del Corpo Berrer guidato da Rommel conquista alle 12.00 Monte
Plezia (Cartina 6), per poi arrestarsi verso Monte Piatto, mentre l'Alpenkorps,
superata Costa Raunza, occuperà soltanto verso sera il Podklabuc.
Resiste il Monte Jeza, ma la dorsale tra il Varda e Marluz viene
superata tra le 12.00 e le 13.00 con penetrazione in Valle Varda
(Cartina 6), e quindi con sfondamento della linea di difesa ad oltranza.
Il Krad e il Cukli resistono all'assalto del Corpo Scotti: cadono
proprio attorno alle 15.00.
Attorno a quest'ora la situazione più critica è quella del IV° C.d'A.
dove già in mattinata, alla vista dei Tedeschi marcianti in fondo valle
verso Caporetto, gli addetti ai servizi delle truppe schierate oltre
Isonzo sono presi dal panico: prima che i comandi impartiscano qualsiasi
ordine di ritirata, una massa di fuggiaschi comincia ad intasare le
strade verso le retrovie, con effetto psicologicamente deleterio per i
rincalzi che stanno raggiungendo le posizioni da difendere o le
postazioni di contrattacco.
"... alle 15.00 la linea di difesa <a oltranza> nel settore del IV°
corpo era stata sfondata soltanto sulla sinistra dell'Isonzo, tra il
fiume e Vrsno (Cartina 3). Su tutto il rimanente del settore era
intatta, presidiata da truppe che non avevano ancora combattuto tranne
la brigata Genova, fra il Krasij e il Vrsic, la quale aveva però
respinto tutti gli attacchi."
Ed è proprio nel settore del IV° C.d'A. che tra le 15.00 e le 16.00 la
difesa crolla, come conseguenza della penetrazione germanica che ha
raggiunto Caporetto, ma soprattutto per le avventate e sconsiderate
decisioni prese da alcuni dei comandanti di divisione che, aggirati,
sentono il pericolo di essere catturati. "I generali Arrighi (50a) e
Farisoglio (43a) senza intesa fra loro, per iniziativa personale, ad
insaputa del comando del IV° corpo d'armata, diedero alle rispettive
divisioni l'ordine di ritirata che ebbe come immediata conseguenza
l'abbandono di quella linea di difesa <a oltranza>, che non era stata
intaccata e in grandissima parte nemmeno attaccata."
Alle 15.30 tutte le truppe della 50a Divisione italiana, sulla sinistra
dell'Isonzo, ricevono dal generale Arrighi l'ordine di ritirarsi oltre
il fiume e di attestarsi sul Monte Stol (Cartina 7); poi alle 18.00
Arrighi ordina anche il ripiegamento delle sue truppe che guarniscono la
stretta di Saga, aprendo così al nemico l'ingresso alla Valle Uccea, che
porta a Tarcento. Come conseguenza di questa ritirata le truppe
italiane che stanno resistendo sul Monte Nero e sul Rombon restano
chiuse in una sacca. Il comandante della 43a Farisoglio, con base a
Drezenca, ha ricevuto alle 15.00 dal comando di C.d'A. l'ordine di
contrattaccare dall'alto le colonne tedesche che avanzano in fondo
valle. Dovrebbe farlo subito con i battaglioni di riserva che ha
sottomano; invece ordina che tutta la divisione abbandoni le posizioni
e si ritiri nella conca di Drezenca. Poi al colmo della confusione si
sposta a Caporetto da dove vuole mettersi in contatto telefonico col
comando di corpo d'armata per avere chiarimenti, ma viene catturato dai
Tedeschi. "... primo dei generali e primo della sua divisione" dice il
Faldella con un certo sarcasmo.
In seguito agli ordini sconsiderati dei generali Arrighi e Farisoglio si
verifica lo sbando totale di tutte le truppe sulla sinistra dell'Isonzo
perché anche i resti della 46a (Amadei), rimasti isolati, devono
ripiegare, ma ormai incapsulati nell'avanzata del nemico cadono in gran
parte prigionieri: ben 6 reggimenti e 3 battaglioni alpini, quasi 13.000
uomini.
Quindi in Valle Isonzo e sulla sinistra del fiume avviene nel primo
pomeriggio del 24 il collasso della difesa, ma nel frattempo che cosa
accade in alto sulla destra del fiume dove si sta sviluppando l'azione
della Punta 4 contro la 19a Divisione (Cartina 3)?
La caduta di Caporetto in mano al nemico e il collasso dei compagni del
IV° C.d'A. non può certo contribuire a galvanizzare la resistenza,
compromessa anche da due altri fattori: la mancanza di un'adeguata
azione di comando e l'efficacia della tattica d'infiltrazione delle
truppe nemiche, pronte a penetrare nei varchi tra i capisaldi delle
linee italiane, che sono così rapidamente e inaspettatamente aggirati.
Così attorno alle 15.00 cade il Cukli, circa alle 16.00 il Krad, verso
le 17.00 il Bukova, il Podklabuc attorno alle 18.00. Lo Jeza cade
soltanto alle 21.00.
La Punta 2 (Krauss), conquistata Krn, raggiunge il fondo valle e
Caporetto congiungendosi con la Punta 4 (Stein).
Alla sera del 24 ottobre 1917 anche la dorsale costituente la linea di
difesa ad oltranza, che sovrasta la destra dell'Isonzo dal Krad fino al
Passo Zagradan, cade in mano avversaria; mentre si combatte attorno ai
capisaldi, il nemico supera in un punto anche questa dorsale, per
affacciarsi attorno alle 22.00 in valle Doblar (Cartina 6) e quindi già
a tergo del dispositivo principale di difesa italiano.
A questo punto il VII° C.d'A. italiano (Bongiovanni), invece di essere
utilizzato a spizzichi e a bocconi, dovrebbe produrre un'azione
controffensiva valida contro i Germanici avanzanti in Valle Isonzo per
impedire lo scollamento tra il XXVII° e il IV° C.d'A. È il CS, che
valutando la situazione dovrebbe prendere i provvedimenti del caso e
cioè sviluppare subito questa controffensiva per cercare di ristabilire
la situazione in fondo valle impedendo che la sconfitta da tattica
diventi strategica, oppure, se ciò non fosse possibile per mancanza di
adeguate riserve, ordinare la ritirata e lasciare terreno vuoto tra le
truppe italiane e il nemico avanzante. Ma il CS non è assolutamente al
corrente di quello che sta succedendo: fino alle 19.00 Cadorna è
ancora incerto sulla direzione dell'offensiva nemica e soltanto a
tarda sera del 24 il CS italiano ha la percezione del disastro. La sua
reazione, come quella di Capello, è di ordinare una risoluta difesa a
compartimenti stagni. Quindi né controffensiva né ritirata; come osserva
il comando tedesco, entrambi i generali italiani Cadorna e Capello
tendono a reagire col vecchio metodo di gettare testardamente nuove
vittime nelle falle, metodo troppo rigido per una situazione dinamica
come quella impressa alle operazioni dal nemico. Così "... si
consumarono come cera al fuoco tentando l'impossibile, compagnia per
compagnia, battaglione per battaglione, batteria per batteria. Furono travolti da un tipo di attacco al quale nessuno li aveva addestrati,
semplicemente perchè nessuno lo riteneva possibile..."
Si deve dunque constatare come alla sera del 24, dopo la prima giornata
di combattimenti, lo sfondamento della fronte italiana sia da
considerare riuscito, con cinque divisioni italiane quasi distrutte: 50a
(Arrighi), 43a (Farisoglio), 46a (Amadei), 19a (Villani) e 34a (Basso).
Gli Austro-Germanici hanno occupato la stretta di Saga, conquistato lo Jeza e il Podklabuc e sottratto agli Italiani gran parte del fondo valle
tra Plezzo e Tolmino (Cartina 8).
D'altra parte per togliere completamente al nemico l'iniziativa sarebbe
occorsa non una controffensiva limitata localmente, ma una
controffensiva strategica che avrebbe dovuto partire da lontano per
evitare un coinvolgimento prematuro delle truppe e per dare ampio spazio
alla manovra destinata a colpire, sul fianco o sui fianchi, il nemico
in movimento. In pratica, poiché mancavano sia un piano sia le truppe
per una simile controffensiva, non restava altra alternativa se non una
rapida ritirata che disimpegnasse le truppe schierate sul fronte ormai
compromesso.
25 OTTOBRE, SECONDA GIORNATA
GLI AUSTRO-GERMANICI SFRUTTANO IL SUCCESSO OTTENUTO
Le operazioni, quasi completamente interrotte nella notte tra il 24 e il
25, riprendono all'alba del 25 ottobre. Sulla dorsale, perduta la linea
di difesa ad oltranza dal Krad fino al Passo Zagradan, resta ancora in
mano italiana la parte che dal Passo Zagradan volge a occidente e
controlla la valle del Natisone con gli importanti caposaldi dei Monti
Stol (m 1667), Mia (m 1223), Matajur (m 1643) (Cartina 3) e
Montemaggiore (m 1615) (Cartina 2).
"Il giorno 25 è quello in cui matura la crisi dalla quale sarebbe stato
possibile uscire con un'energica e coraggiosa decisione." Determinante
in questa giornata è il cedimento delle divisioni 62a e 3a, costituenti
il VII C.d'A. (Cartina 2), quello che avrebbe dovuto impedire proprio lo
scollamento tra il IV e il XXVII C.d'A." I Germanici al comando di
Rommel si insinuano nello schieramento italiano sull'alto Kolovrat, poi
procedono a tergo della Brigata Arno, appartenente alla 62a Divisione
del VII° C.d'A. e provocano una falla nella terza linea di difesa,
scendendo poi a valle alle spalle dei bersaglieri che tengono Golobi
(Cartine 1 e 7). Alle 8.15 cade Costa Duole, alle 9.00 il Napriciar e
Volarie, alle 11.00 il Globocak; il Kuk cade fra le 14.00 e le 15.00.
Più a sud nel tardo pomeriggio cede il Cicer e attorno alle 18.00 il
Monte La Cima. In giornata vengono occupate Golobi, Luico, Perati, Ravne,
Pusno e Avsa come pure il Prvi Hum, il Rombon, la vetta del Monte Nero e
poco prima di mezzanotte lo Stol è abbandonato per ordine del generale
Arrighi (ancora lui!), con i resti della 50a Divisione che ripiegano su
Bergogna.
Alle 18.00 circa Capello cede definitivamente il Comando della IIa
Armata al Montuori e parte nuovamente per Padova per essere ricoverato
in ospedale. Alle 23.30 Cavaciocchi, mentre si sta ritirando da Bergogna
a Nimis, è raggiunto dal generale Gandolfi che gli comunica la sua
destituzione e rileva il comando.
Nelle prime ore del pomeriggio del 25 Capello s'è incontrato con Cadorna
per suggerire la ritirata come unica mossa ineluttabile. Ma Cadorna,
dopo aver interpellato i comandi in sottordine che lo hanno illuso circa
la possibilità di tenere una nuova linea di resistenza, forse anche
perché preoccupato di compromettere la ritirata della IIIa Armata,
ordina il ripiegamento solo alle tre divisioni del XXVII° Corpo che si
trovavano ancora oltre Isonzo sulla Bainsizza (66a, 22a, 64a). Il
risultato della seconda giornata di battaglia è dunque per gli Austriaci
il sicuro possesso di tutte le catene montuose che dominano la Valle
Isonzo e l'imbocco delle valli Natisone e Uccea.
26 OTTOBRE, TERZA GIORNATA
CADE IL MONTEMAGGIORE
Cinque minuti dopo la mezzanotte del 25 Cadorna emette un nuovo proclama
per incitare le truppe a resistere su una nuova linea, imperniata sul
Montemaggiore ed estesa fino al Korada e a Salcano nei pressi di
Gorizia. Tentativo destinato al fallimento, considerata
l'improvvisazione con la quale si cercò di coprire con truppe questa
linea, lo stato d'animo delle truppe impegnate e l'estrema vicinanza del
nemico incalzante. Gli Austro-Germanici delle punte 4 e 5 una volta
raggiunta la testata delle valli che fanno capo a Cividale, iniziano la
marcia per raggiungere la pianura friulana (Cartina 3). Nella valle del
Natisone avanzano la 12a Divisione Slesiana e una parte della 26a
Württemberg della riserva. L'Alpenkorps segue la valle del Rieca, la
200a Divisione e l'altra parte della 26a Württemberg le valli della
Cosizza e dell'Erbezzo. L'altra divisione di riserva, la 5a Brandenburg,
assieme alla 1a Divisione Austriaca scende per la valle dello Judrio.
Gli Austriaci delle punte 1, 2 e 3 avanzano nelle valli Uccea e Resia
verso Tolmezzo, l'alta valle del Tagliamento e la Carnia. Seguono la
valle del Cornappo per raggiungere Tarcento e San Daniele.
Alle 11.40 cade il Matajur e alle 18.30 anche il Montemaggiore,
considerato dal CS perno fondamentale della linea di estrema resistenza.
27 OTTOBRE, QUARTA GIORNATA
LA RITIRATA
Col 27 ottobre ha termine la battaglia difensiva di Caporetto. Cadorna,
appresa la caduta del Montemaggiore, ritiene impossibile ogni ulteriore
resistenza e tra le 2.30 e le 3.30 del 27 ordina la ritirata di tutte le
truppe schierate sul fronte orientale cioè IIa, IIIa Armata e Gruppo
Carnia: un milione e mezzo di Italiani tallonati da un milione di
Austro-Ungarici si dirigono verso il Tagliamento, ma la ritirata si
concluderà soltanto dietro il Piave (Cartina 9). Verso mezzogiorno
truppe del generale Berrer entrano in Cividale e nel pomeriggio il CS
italiano lascia Udine per Padova. Nella notte non c'è più al di là
dell'Isonzo nessun reparto della IIa Armata. La IIIa Armata, che ha
iniziato il ripiegamento dal Carso in serata, al mattino del 28 alle
10.30 sarà tutta sulla destra dell'Isonzo, mentre i Germanici occupano
Udine.
CONCLUSIONE
Il 24 ottobre presso la località di Caporetto doveva trovarsi la 34a
Divisione. Non c'era. La stretta di Foni e il fondo valle sulla destra
dell'Isonzo dovevano essere sbarrati dalla Brigata Napoli con due
reggimenti (pari a 24 compagnie). C'era una sola compagnia. Il generale
Farisoglio alle 15.00 doveva contrattaccare dall'alto i Germanici
avanzanti in fondo valle verso Caporetto, ma non effettuò alcun
contrattacco. Il VII° C.d'A. doveva sostenere l'ala destra del IV° C.d'A.
e la sinistra del XXVII° C.d'A. e doveva contrattaccare. Non sostenne né
contrattaccò. La Brigata Puglia rimase inattiva per tutta la mattina del
24 e invece di contrattaccare fu schierata sulla linea d'armata quando i
Germanici già se ne stavano impossessando. La poderosa artiglieria in
dotazione al XXVII° C.d'A., oltre 700 cannoni, doveva in un primo tempo
colpire i nemici e i loro mezzi ammassati e pronti per l'assalto, e
successivamente le loro fanterie avanzanti. Quei cannoni non spararono.
L'offensiva austro-tedesca ruppe la Fronte Giulia dell'esercito italiano
il 24 ottobre 1917 in un settore compreso tra Tolmino e Plezzo difeso
dalla IIa Armata. Questa rottura, a cui fu assegnato il nome del
villaggio di Caporetto, fu il risultato di una sconfitta militare vera e
propria, e non di 'tradimento' o di 'sciopero militare' come cercarono
di far credere i responsabili del disastro: il comandante supremo Luigi
Cadorna e i comandanti Luigi Capello della IIa Armata, Pietro Badoglio
del XXVII° C.d'A., Alberto Cavaciocchi del IV° C.d'A. e Luigi
Bongiovanni del VII° C.d'A.
Il CS italiano affrontò la battaglia dell'ottobre 1917 senza un proprio
piano.
Non possiamo certo definire come 'piano' l'ordine puro e semplice di
resistere sul posto, che fece da corollario ai limitati provvedimenti
del Comando Supremo elencati nella pagina 290. Mancò da parte italiana
la mente direttiva della battaglia. "Parve che tutti, a tutti i livelli
di comando, pur nell'affannosa ricerca di porre riparo in qualche modo
alla situazione, restassero imbrigliati nel non sapere che cosa si
dovesse fare e si potesse fare. E non si può non rilevare... almeno la
stranezza del fatto che, a malgrado anche delle comunicazioni intercorse
con il comando d'armata, il XXVII° corpo ignorasse del tutto che già
alle 10.30 del mattino il nemico aveva risalito -passando proprio entro
i limiti del suo settore- l'Isonzo, giungendo a Idersko, alle spalle
dello schieramento del IV° corpo."
Così "... il nemico ottenuto un primo successo, rimase libero di
impiegare le proprie forze perché nessuna azione da parte nostra
(italiana) valse, non diciamo ad arrestarlo, ma neppure a renderlo
guardingo nelle mosse! Da parte italiana la linea di condotta fu
caratterizzata dalla passività, dalla subordinazione completa al giuoco
del nemico"
Al momento dell'offensiva nemica nessuno dei nostri comandanti aveva in
mano la situazione. Non Cadorna, che privo di un piano subì l'iniziativa
avversaria, non Capello ammalato e più assente che presente, non
Badoglio, che vagò tutto il giorno senza sapere che cosa stesse
avvenendo della sua 19a Divisione, non Cavaciocchi,
che non riuscì a trasmettere alcun ordine in tempo utile né ai tre
divisionari del suo IV° C.d'A. né al VII° C.d'A. in collaborazione con
Bongiovanni. Quest'ultimo al mattino del 24 non era al suo posto di
comando a Praponizza, ma lontano, a Carraia nei pressi di Cividale.
Emblematico il caso di Badoglio, comandante del XXVII° C.d'A. schierato
nel settore del fronte dove avvenne lo sfondamento nemico determinante
per la sconfitta e dove 700 cannoni tacquero con sorpresa amara degli
Italiani e insperata dei nemici.
Il Comando del XXVII° C.d'A. aveva sede sull'Ostrj Kras, ma la sera del
23 Badoglio non c'era perché si era spostato più indietro in pianura, a
Cosi. Essendo troppo lontano, Badoglio rimase 'cieco' per tutto il 24.
Attorno alle 10 di mattina, privo di notizie, da Cosi cercò di
raggiungere l'Ostrj Kras, ma non andò oltre Pusno, dove arrivò attorno
alle 13. Tornato a Cosi per portarsi a Kambresco, a mezzanotte giunse a
Liga.
Per questo continuo peregrinare nessuno riusciva a contattarlo.
La Brigata Puglie, riserva del Corpo d'Armata, restò quindi senza ordini
fino alle 14 quando l'attacco nemico era in corso ormai da sei ore e i
Germanici erano a Idersko, a pochi chilometri da Caporetto.
Alle 16 da Kambresco Badoglio inviò il primo messaggio al Comando della
IIa Armata: "Mi risulta che il nemico ha sfondato in direzione conca di
Gance (Cartina 6)... Non ho nessuna notizia né della 19a divisione né
delle divisioni sulla sinistra... Io mi trovo a... Kambresco. Non ho la
possibilità di comunicare con nessuno.
Comunque l'assenza di Badoglio dal posto di comando a Ostrj Kras aveva
già prodotto il catastrofico silenzio di tutta l'artiglieria del C.d'A.
Se Badoglio voleva impartire personalmente l'ordine di aprire il fuoco,
come attesta il colonnello Cannoniere comandante le artiglierie della
19a Divisione, doveva evitare di portarsi fuori mano poiché l'intenso
fuoco dell'artiglieria nemica avrebbe potuto interrompere le
comunicazioni, isolandolo dal suo C.d'A.
Stupisce il comportamento del generale Capello che, pur avendo
l'offensiva nel sangue e la controffensiva sempre in testa, non produsse
alcunché. E dire che l'occasione gli era stata offerta proprio dai
Germanici marcianti in fondo valle: un comandante pronto proprio lì
avrebbe dovuto scaricare un poderoso contrattacco, per bloccare a tutti
i costi la marcia di quelle truppe su Caporetto ed evitare la crisi del
IV° C.d'A. per l'aggiramento delle sue 43a e 46a Divisione. D'accordo,
era assente, ma lui che aveva presagito la manovra nemica nel fondo
valle avrebbe potuto lasciare ordini precisi per il contrattacco da
sviluppare ad hoc. Il pomeriggio del 28 ottobre 1917 il Comando Supremo
emise un bollettino che esordiva: "La mancata resistenza di reparti
della IIa armata vilmente ritiratisi senza combattere, o
ignominiosamente arresisi al nemico, ha permesso alle forze
austro-germaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla Fronte Giulia.
Gli sforzi valorosi delle altre truppe non sono riusciti ad impedire
all'avversario di penetrare nel sacro suolo della patria."
Ebbene se il bollettino avesse voluto rispettare la realtà degli
avvenimenti avrebbe dovuto invece iniziare così: "In seguito a gravi
deficienze del Comando Supremo, che ha sottovalutato il nemico e non ha
preso in tempo utile i necessari provvedimenti, un'offensiva condotta da
reparti austriaci e germanici ha rotto la nostra fronte sul settore di
Fronte Giulia tenuto dalla IIa Armata ed è penetrato in profondità
dietro le nostre linee..." Dunque sia Cadorna che Capello o non avevano
preparato l'esercito o l'avevano preparato male lì dove venne a cadere
l'offensiva austro-germanica. Ma il comandante in capo Cadorna non ebbe
il coraggio di riconoscere le proprie colpe, che furono determinanti per
la sconfitta, e cercò di uscire 'in bellezza' incolpandone le truppe.
Aveva già avuto nel 1866 un nobile precursore in La Marmora.
Ovviamente ci furono anche responsabilità di altri: quelle del generale
Capello,
del generale Badoglio
e di altri divisionari
in quell'armata, ma chi era responsabile della condotta delle operazioni
era Cadorna, che come supremo comandante militare doveva risponderne.
Invece egli cercò di sottrarsi a questa sua responsabilità come se la
resistenza di quelle truppe, che secondo lui non avevano combattuto,
avesse potuto evitare la sconfitta che invece fu dovuta esclusivamente a
motivi militari: da un lato la validità del piano d'attacco del nemico e
l'abilità con la quale fu realizzato, dall'altro l'incapacità del CS
italiano e del Comando della IIa Armata di attuare predisposizioni
difensive per parare e controbattere efficacemente l'iniziativa
avversaria.
In conclusione risulta chiaro che se la battaglia offensiva è stata
guidata dai comandi austro-germanici, quella difensiva non è stata
guidata da alcuno dei generali italiani.
"Ancora una volta, bisogna ripetere che, nei combattimenti svoltisi il
24 ottobre, i nostri soldati fecero tutto il loro dovere, si batterono,
cioè, con tenacia e valore. Gli errori e le colpe furono soltanto di
alcuni dei più alti comandi dell'esercito."
Invece dopo anni di duri combattimenti e di tremenda usura patita,
furono incolpate della sconfitta proprio le truppe, mal comandate e
abbandonate ad un tragico ed immeritato destino. Non meritavano che
nascesse la leggenda di Caporetto "... che si è diffusa nel mondo: la
leggenda che l'indolenza, intesa come sinonimo di vigliaccheria, del
soldato italiano sia la nota distintiva di questo evento... Alla sua
origine si trovano gli italiani stessi. Prima di tutto un comunicato di
guerra che accusava di diserzione alcune unità... Poi l'esagerazione dei
fatti, della quale si avvalse l'opposizione per attaccare i propri
avversari... Gli italiani non praticano la 'carità di patria' cioè il
rispetto per il proprio paese, inutilmente raccomandato da poche persone
sagge. Preferiscono dilaniarsi tra di loro e nella lotta divengono
ciecamente feroci, giungendo a dare penosissimo spettacolo di sé...
Recitino il loro mea culpa taluni italiani, se l'ingiusta
leggenda che li degrada corre per il mondo."
LA COMMISSIONE D'INCHIESTA
Il 12 gennaio 1918 il
Governo presieduto dall'onorevole Orlando deliberava la costituzione di
una Commissione d'inchiesta su Caporetto. La Commissione, presieduta dal
generale dell'esercito Caneva, concluse i lavori il 25 giugno 1919,
tenne in complesso 241 sedute, raccolse 1.012 deposizioni verbali, 130
volumi di documenti e pubblicò le risultanze in 3 volumi.
II primo narra gli avvenimenti senza commentarli, il secondo esprime gli
apprezzamenti e le conclusioni, il terzo contiene carte e schizzi.
La Commissione mostra di comportarsi con molta parzialità quando,
riferendosi al comportamento di Badoglio e del suo XXVIIa C.d'A.,
afferma "... che occorreva avere il dono della divinazione per potere
prevedere la manovra nemica." Poiché è fuori dubbio che il Capello ebbe
questo 'dono' e nella conferenza del 14 ottobre 1917, tenuta al suo
quartier generale di Cormons, aveva esposto ai Comandanti del IV° e
XXVII° C.d'A. l'eventualità di una manovra nemica che sboccasse dalla
testa di ponte di Tolmino, con le caratteristiche che poi si
verificarono nella realtà, è evidente il desiderio o necessità della
Commissione di proteggere Badoglio sollevandolo da responsabilità nel
disastro. Queste responsabilità c'erano e la Commissione cercò di
attenuarle, senza però cancellarle. La cancellazione avvenne più tardi
per l'intervento 'politico' che fece asportare ben 13 pagine dalle
Risultanze della Commissione d'indagine su Caporetto.
Secondo Fadini le pagine fatte sparire per l'intervento dei deputati
Orlando, Paratore e Raimondo, che coinvolgevano il XXVII° C.d'A.
(Badoglio), "... riguardavano più lo sbarramento dell'Isonzo che
l'artiglieria."
Badoglio non prese nessun provvedimento verso i Germanici che risalivano
l'Isonzo nel settore al suo comando. I nemici, per la mancata difesa del
fondo valle, alle 10.30 del 24 ottobre erano già alle spalle di due
terzi del IV° C.d'A.: 46a Divisione (Amadei) e 43a Divisione (Farisoglio).
Insomma l'inizio dello sfondamento del fronte si verificò per l'inazione
di Badoglio. Possiamo quindi dire che la colpa assegnata da Cadorna alle
truppe salvò in un primo tempo Badoglio. Poi ci pensò la politica
manovrata dalla Corona e dalla Massoneria a trarlo definitivamente dai
guai.
Il giudizio complessivo della Commissione è così formulato: "Gli
avvenimenti dell'ottobre 1917, che condussero l'Esercito italiano a
ripiegare da oltre Isonzo fin dietro il Piave, presentarono i caratteri
di una sconfitta militare; e le cause determinanti di natura militare,
sia tecnica che morale, predominarono sicuramente su quegli altri
fattori estranei alla milizia, dalla cui influenza, che la presente
Relazione dimostrò esagerata, taluno aveva voluto dedurre che gli
avvenimenti fossero da attribuirsi prevalentemente a cagioni politiche.
10.000 morti, 30.000 feriti, 293.000 prigionieri e 350.000 sbandati,
successivamente recuperati nella maggior parte, fanno ascendere a circa
700.000 uomini la diminuzione di effettivi subita dall'esercito italiano
dal 20 ottobre al 20 novembre. Andarono perduti inoltre 3.152 pezzi
d'artiglieria, 1.732 bombarde, 3.000 mitragliatrici, 73.000 quadrupedi,
1.600 autocarri, 115 ospedali da campo.
COMMENTO SULLA BATTAGLIA
Sia il Comando
Supremo sia i Comandi delle unità dipendenti persero subito il controllo
degli eventi e "... tutta la battaglia fu una sequela di lotte ineguali
da parte di reparti mal collocati e mal collegati o sorpresi in marcia,
o appena giunti sulle posizioni, stanchi, non orientati, senza
collegamenti, molto spesso senza appoggio d'artiglieria."
"In molti casi il nemico potè avanzare perché gli ordini, contrordini e
disordini di parecchi generali italiani, privi di una buona preparazione
professionale, di spirito d'iniziativa e in qualche caso anche di
elementare buon senso, lasciarono aperte delle strade che avrebbero
dovuto essere e rimanere sbarrate."
• Cadorna si ripete. Il comportamento di Cadorna nell'ottobre 1917 fu la
ripetizione di quello da lui tenuto poco più di un anno prima in
occasione della grande offensiva nemica Strafexpedition (spedizione
punitiva) contro la nostra Fronte Trentina. In quel frangente la Ia
Armata (generale Brusati), schierata sulla fronte trentina, fin
dall'inizio della guerra aveva avuto dal Comando Supremo come direttive
compiti prevalentemente difensivi, ma "... la difesa doveva essere
attiva, nutrita cioè di offensive parziali... mirando anzitutto al
possesso dei colli."
Quindi direttive ambigue che Brusati aveva interpretato svolgendo
continue azioni offensive tollerate da Cadorna, come nell'autunno del
1917 sul fronte della IIa Armata tollerò le inadempienze di Capello.
Anzi il 24 novembre 1915 aveva scritto a Brusati che "Con parziali
azioni offensive l'armata deve proporsi, infine, di sgretolare qui e là
le linee di difesa nemiche e di migliorare le nostre, in particolare in
Valsugana."
Sintomatico dell'ambiguità voluta è la ripetizione del termine parziali.
Cadorna aveva continuato a dirigere la Ia Armata per lettera senza
effettuare sopralluoghi validi per avere un sicuro polso della
situazione. Il 30 novembre Brusati, che aveva continuato con le puntate
offensive, aveva incontrato Cadorna a Udine e non aveva ricevuto alcun
rimbrotto. Il 16 febbraio 1916 riceveva addirittura degli elogi! A marzo
Brusati si era preoccupato per l'insistenza di notizie su una prossima
offensiva nemica contro la fronte tenuta dalla sua armata e ne aveva
informato Cadorna, ma costui non ritenendo possibile che gli Austriaci,
premuti dai Russi, potessero impegnarsi con una grossa offensiva nel
Trentino, aveva influenzato col proprio scetticismo l'Ufficio
Situazione.
Quell'ufficio il 3 aprile aveva escluso operazioni offensive in grande
stile da parte del Comando austro-ungarico.
Lo scetticismo del Comando Supremo permase anche dopo che un disertore
austriaco si era presentato il 31 marzo alle nostre linee con una ricca
documentazione relativa ai preparativi nemici. Brusati aveva chiesto
rinforzi, preoccupato sia per l'offensiva in preparazione sia per lo
scetticismo del suo capo, che certo non gli fu di sostegno in quelle
giornate critiche.
Il 26 aprile un prigioniero aveva confermato i concentramenti e
l'imminenza dell'offensiva. Cadorna finalmente il 29 e il 30 aprile era
andato ad ispezionare la Fronte Trentina, ma non volle incontrare il
Brusati, gli avrebbe scritto più tardi! E, tornato a Udine, gli scrisse
biasimandolo perché "... aveva tradito la sua fiducia e violato i suoi
ordini."
Brusati rispose citando, a propria difesa, le lettere di Cadorna
contenenti conferme per la procedura adottata. Ma Cadorna lo destituì;
così c'era pronto un colpevole, se le cose fossero andate male.
Il 15 maggio 1916 scattò l'offensiva austro-ungarica. Cadorna in 15
giorni costituì una nuova armata come riserva del CS, la Va, togliendo
anche truppe dalla Fronte Giulia e riunendo tra Vicenza, Cittadella e
Padova 179.000 uomini e 35.000 quadrupedi.
L'offensiva fu contenuta e il 25 giugno il nemico iniziò a ritirarsi.
Cadorna era riuscito a respingere la poderosa offensiva quando stava già
per sfociare in pianura.
"Nell'ottobre 1917 s'erano ripetuti, e in forma sempre più grave, gli
errori del maggio 1916. In entrambi i casi il Cadorna credé poco alla
minaccia nemica e soprattutto alla sua gravità, e d'altra parte il
difettoso Servizio Informazioni del Comando supremo serve l'una e
l'altra volta non a illuminarlo, ma a tenerlo nell'inganno; il Cadorna
permette il persistere del contegno aggressivo del Brusati come di
quello del Capello; ed essi a loro volta trovano rispettivamente nei
comandanti del V° e del XXVII° Corpo d'Armata dei discepoli anche più
zelanti dei loro maestri; tutte e due le volte l'esercito si trova
proiettato troppo in avanti, colle riserve mal collocate o inviate a
furia, stanche, non orientate, con cattivi o nulli collegamenti; tutte e
due le volte l'artiglieria è male schierata... Manca anche ora, come
l'anno prima, un Comando di gruppo di armate che controlli l'azione
delle due armate e le operazioni dell'Isonzo...
Nel 1917 c'è di nuovo la stessa ambiguità,
la stessa incredulità ed un colpevole di turno, Capello, ma questa volta
l'offensiva nemica riesce e porta gli Austriaci in pianura. La
catastrofe è immane, occorre allargare le responsabilità e Cadorna,
tentando di salvare la propria reputazione, rovina quella dei suoi
soldati. Metodi antiquati versus aria nuova. Come abbiamo visto, fin
dall'inizio dell'anno i Germanici avevano messo a punto la difesa
elastica e l'attacco per infiltrazione. Secondo Dellmensingen gli
ufficiali italiani prigionieri esprimevano ammirazione verso gli
attaccanti: "I tedeschi hanno un metodo d'attacco contro il quale riesce
difficile difendersi: non si notano da nessuna parte ed appaiono
all'improvviso, simultaneamente, davanti, dietro e da tutti i lati.
I nostri comandi continuarono invece nel "... tentativo d'annientamento
del nemico mediante la forza piuttosto che con la manovra."
Mentre i Germanici si affidavano al movimento, gli Italiani si
abbarbicavano al terreno e consideravano ancora i reticolati la difesa
migliore, puntando su una difesa rigida. Così, nel tentativo di parare
l'offensiva imminente, invece di studiare provvedimenti adeguati alla
nuova tattica d'infiltrazione avversaria
si continuava ad ammassare soldati aderendo alle richieste dei vari
divisionari che, non avendo alcun'idea pratica per contrastare la nuova
strategia, pensavano di cautelarsi incrementando il numero di uomini.
Uomini destinati ad impinguare il bottino nemico di prigionieri! "... Il
Capello chiedeva un altro Corpo d'Armata su 3 divisioni per lo Jeza; il
Cavaciocchi, che aveva 4 divisioni, ne voleva un'altra a Bergogna e così
via.
- Non avevano capito niente, e avevano riempito di uomini il settore,
quando invece mancava anche ai soldati già in linea un adeguato
addestramento contro la tattica utilizzata dai Germanici. Già
nell'estate 1917, durante la battaglia della Bainsizza, l'eccessiva
quantità di truppe impiegate nelle singole azioni era apparsa a tutti
evidente. "E poiché si trattava ormai di truppe abbondantemente
equipaggiate di armi e munizioni, ne venivano esasperati i problemi
logistici."
Elemento importantissimo e generalmente trascurato, che influì sul
cedimento delle truppe in seconda linea, fu la superiorità del nemico
nell'impiego di piccoli reparti tattici. "Mentre le fanterie italiane
erano abituate alla guerra di trincea, al contatto di gomiti, all'azione
svolta sotto il diretto comando dei superiori, le fanterie nemiche, e
specialmente quelle tedesche, erano esperte nella guerra di movimento,
nell'azione di piccoli reparti operanti isolati, sotto il comando di
graduati di eccezionale capacità. Piccoli gruppi di uomini, abilissimi
nel penetrare attraverso le linee, aprendo il fuoco alle spalle dei
difensori, causavano sorprese alle quali la fanteria italiana non era
abituata a reagire. Si palesò con la massima evidenza l'importanza di un
addestramento approfondito fino nei particolari, che nell'Esercito
italiano fu sempre trascurato."
Nel 1917 i gruppi di Arditi che il CS italiano cominciò a preparare
erano "... reparti speciali, che non prestavano servizio in trincea,
addestrati per l'attacco e l'offensiva. Una soluzione molto diversa da
quella tedesca, che trasformava quasi tutti i soldati, a rotazione, in
truppe d'assalto, operando una selezione... inquadrando i meno abili in
divisioni di 'seconda qualità'...
• I provvedimenti non presi. Esaminiamo ora che cosa avrebbero dovuto
fare i comandanti dei corpi costituenti la IIa Armata, in particolare
Cavaciocchi e Badoglio che stavano per essere coinvolti dall'imminente
offensiva nemica, al fine di essere in regola nel rispetto delle
direttive di Cadorna del 18 settembre. Secondo le disposizioni del CS le
truppe che presidiavano la linea di difesa avanzata, o almeno quelle
occupanti posizioni giudicate molto precarie dai comandi di Corpo
d'Armata, dovevano ritirare sulla seconda linea di difesa ad oltranza.
In realtà la nostra linea di difesa avanzata era indifendibile in molti
tratti in caso di offensiva nemica. L'autorizzazione al ripiegamento fu
richiesta in ritardo dai comandi interessati al CS che, nell'imminenza
dell'attacco nemico, preferì non attuare un'operazione che avrebbe
potuto diventare pericolosa se condotta all'ultimo momento. Così quei
settori continuarono ad essere presidiati e, come previsto, andarono
subito perduti al momento dell'attacco nemico! Secondo Caviglia la
semplice disposizione di ritiro delle truppe dalla prima linea per
guarnire la seconda linea, se attuata, avrebbe con tutta probabilità
cambiato le sorti della battaglia.
Ma oltre al ripiegamento preventivo, sarebbe anche stato "... necessario
lo sgombero di tutte le posizioni che non avessero un ufficio essenziale
nella grande battaglia difensiva; raccorciare le fronti, diminuire le
truppe di prima linea a vantaggio delle riserve."
Secondo il generale Dellmensingen, Cadorna avrebbe dovuto ritirare la
difesa dietro l'Isonzo.
"E sarebbero stati necessari anche altri provvedimenti ad opera del
Comando Supremo. Anzitutto Cadorna avrebbe dovuto ordinare lo sgombero
completo della Bainsizza, grave decisione, ma il grande condottiero si
vede proprio quando la condotta della guerra e la salvezza del paese
richiedono anche mosse impopolari dove l'unica misura è la propria
coscienza."
Cadorna non volle, anche perché condizionato dalle enormi perdite che
c'era costato il poco terreno conquistato, e così restarono al di là
dell'Isonzo sulla Bainsizza sei divisioni oltre alle tre del XXVII° C.d'A.
Inoltre, nell'assumere la difensiva strategica, si sarebbe dovuto
allontanare dal fronte tutto ciò che non era indispensabile arretrandolo
di una o due tappe, per evitare situazioni di confusione e favorire le
operazioni di guerra. "... addossato all'esercito combattente, v'era un
altro esercito non combattente, ausiliario, ugualmente numeroso,
composto di elementi isolati o scarsamente inquadrati, eterogenei ed
autonomi o quasi, perché distaccati dalle autorità superiori e sovente
dimenticati, non organizzati difensivamente, in massima parte disarmati
e senza impiego in un'eventuale battaglia difensiva.
Ad esempio il IV° C.d'A. nella primavera 1917 aveva 114.000 effettivi
dei quali 68.000 combattenti e 46.000 non combattenti, e in massima
parte disarmati. Inoltre fra i combattenti un buon terzo non era in
linea, ma costituiva i servizi dei corpi. Difatti il 24 ottobre le tre
divisioni del IV° C.d'A. (50a, 46a, 43a) schieravano 39 battaglioni e
cioè soltanto circa 35.000 uomini. Purtroppo non si realizzò alcun
arretramento.
• Mancanza di informazioni e di sorveglianza. Mentre Cadorna si
rilassava e con lui il CS italiano, il comando nemico metteva bene a
punto e affinava il piano d'assalto. Con quanta efficacia Cadorna si
sarebbe potuto organizzare se avesse dedicato quel periodo di circa
venti giorni allo studio delle contromisure e alla preparazione di un
piano da contrapporre a quello avversario! Invece di fronte al piano del
nemico il CS finì per cercare di adattare, ad uno schieramento in
sostanza ancora offensivo, una serie di provvedimenti tampone e non un
vero piano tattico e strategico. Ma, si dirà, Cadorna non sapeva che
sarebbe stato attaccato. Certo, e questa è la sua colpa. Il Comando
Supremo doveva sapere. Il servizio informazioni è fondamentale per
l'organizzazione di qualunque comando. Cadorna doveva sapere. Ma per
sapere occorre, oltre ad un efficiente servizio d'informazioni,
un'attitudine alla ricerca, al dubbio, al sospetto. Ecco, occorre
sospettare sempre, in ogni momento. Non illudersi e addormentarsi.
Cadorna invece non sospettò!
Appena rientrato a Udine il 19 ottobre Cadorna era riposato e
tranquillo.
Purtroppo era tranquillo. Lui non lo sapeva, ma era a cinque giorni
dall'attacco nemico. D'altra parte non c'è peggior sordo di chi non vuoi
sentire e, parafrasando, non c'è peggiore incredulo di chi non vuol
credere. Cadorna era tranquillo perché non credeva ad un'offensiva del
nemico, ma quando non poté più ignorarla la sottovalutò fino al punto di
giudicarla 'innocua' contro il complesso delle nostre difese che
riteneva molto efficiente. La sua incredulità fu sostenuta dalla
criminosa incompetenza dei piaggiatori del suo Ufficio Situazione, che
pur di compiacere lo scetticismo del capo ammisero che sì, con gli
Austriaci c'erano anche dei Germanici, ma tutto sommato non si pensava
avrebbero attaccato! In realtà "... gli Italiani ebbero le giuste
informazioni, al momento giusto; solo che non le seppero interpretare."
Insomma sottovalutazione del nemico. Un classico motivo di sconfitte
codificato da innumerevoli esempi nella storia militare attraverso i
secoli.
In conseguenza dello scetticismo e dell'incredulità del CS rimasero
soltanto i tre giorni dal 21 al 23 per informare dell'imminente
offensiva nemica la struttura della IIa Armata che stava per essere
coinvolta, raggiungendo tutti i reparti. Informazione ormai
irrealizzabile. "... i Comandi minori (coinvolti dall'assalto nemico),
nella maggioranza dei casi, non ebbero ordine alcuno."
Sintomatica un'affermazione che Capello scrive nel suo libro di memorie.
Rievocando le sue impressioni di quei momenti, pensando alla mancata
azione delle artiglierie, al contegno di molte truppe, alla passività di
tanti comandi, al disorientamento generale, si domanda se l'attacco
nemico non sia stato per molti una sorpresa. Noi rispondiamo senz'altro
di sì, meravigliati che Capello si sia posto questa domanda. Forse era
convinto che, avendo tenuto diverse conferenze ad alcuni divisionari,
tutti fossero a conoscenza della situazione; queste conferenze di
informazione agli alti gradi, concentrate nelle poche ore rimaste,
diminuivano ulteriormente lo scarso tempo a disposizione, che avrebbe
dovuto essere impiegato per informare adeguatamente tutti i quadri
dipendenti, nonché per valutare al meglio i provvedimenti da prendere.
Spesso chi occupa posizioni di vertice si illude che basti esprimere una
sola volta un concetto per vederlo interpretare esattamente dai
subordinati, quando è invece necessario introdurre, riprendere,
ripetere, fare interpretare quel concetto e controllare infine che sia
stato recepito nella maniera giusta. Per attuare questa procedura
ottimale occorre molto tempo.
"Le dimensioni della IIa Armata erano enormi"
per cui il suo comando non poteva seguire tutti i particolari; Capello
era ammalato e non era in grado di arrivare ovunque; gli ordini scritti,
soprattutto se lui era assente, perché in ospedale a Padova oppure a
letto con la nefrite, erano spesso redatti male;..."
A differenza degli avversari, gli ufficiali della IIa Armata italiana
non avevano le idee assolutamente chiare su quello che sarebbe successo
e su tutti i particolari di quello che avrebbero dovuto fare. Si può
dunque capire come i generali di Capello non potessero trasfondere nei
loro sottoposti quello che loro stessi non avevano ancora perfettamente
assimilato. Cadorna e Capello avevano messo in guardia contro il metodo
tedesco, ma all'ultimo momento e in modo astratto, senza alcuna
possibilità di verificare quindi la validità pratica dei metodi
predisposti dai sottordini.
Silvestri riporta un episodio che testimonia inequivocabilmente
l'impreparazione degli interessati all'evento che stava per colpirli:
"Né fa stupore che ad un ufficiale di SM inviato il 17 ottobre da
Cormons, tutti incredibilmente, Boccacci, il generale Fadini comandante
dell'artiglieria e il tenente colonnello Fettarappa, Capo di SM della
43a Divisione dichiarassero che <non ritenevano probabile una offensiva
nemica in grande stile sulla fronte di quel Corpo d'Armata>.
Il generale Bongiovanni, che comandava il VII° C.d'A., era così lontano
dallo spirito della battaglia che il 24 mattina invece di essere al
posto di comando a Praponizza si trovava distante anche fisicamente, a
Carraia vicino a Cividale, dove rimase fino alle 12, ignaro che
l'attacco nemico avesse avuto inizio. Teniamo presente che le sue truppe
erano schierate a pochi km da Caporetto e avrebbero potuto avere un
ruolo determinante se utilizzate per tempo con determinazione. "Badoglio
non lo stimava e lo definiva <un addormentato>. Quando seppe di averlo
vicino col VII° corpo, andò su tutte le furie: <Quel brav'uomo è stato
due anni addetto all'esercito tedesco, ha visto gente, non ha capito
niente e non val niente.>"
Lo sbandamento dei comandi italiani fu conseguenza anche dell'imprecisione
e approssimazione con la quale avvenne la trasmissione degli ordini.
"Fra le predisposizioni assume la massima importanza quella sulle
comunicazioni. La difensiva è un'azione di riflesso; occorre che le
notizie giungano per reagire. Se al ritardo fatale dipendente dal fatto
che il nemico ha l'iniziativa delle operazioni si aggiunge quello
dipendente dalla mancanza d'organizzazione delle comunicazioni non si
arginano le falle e non si contrattacca."
"Negli ordini del Comando Supremo il momento in cui l'artiglieria doveva
cominciare a sparare era fissato in maniera molto contraddittoria:
<subito in risposta ai tiri nemici>, <al primo assalto delle fanterie
nemiche>, <durante le fasi di tiro a gas del nemico>, e così via in un
succedersi di disposizioni che variavano ogni giorno."
Il 22 ottobre il
generale Montuori che stava sostituendo Capello inviò ai comandi
dipendenti un'altra precisazione dove si affermava che, appena il nemico
avrebbe iniziato il bombardamento contro le trincee italiane di prima
linea, i medi calibri e le bombarde dovevano aprire il fuoco sulle linee
nemiche; ma non precisava se la disposizione era riferita alla prima o
alla seconda delle fasi nelle quali, era ormai certo, si sarebbe
realizzato il fuoco nemico.
Come abbiamo visto, il Comando Supremo il 24 sera, mentre ormai i
Tedeschi erano già oltre Caporetto, pensava ad una circolare! Ma ci
voleva ben altro! L'argomento era così importante che sarebbe stato
necessario almeno un dimostratore per ogni battaglione per trasmettere
le informazioni direttamente ai reparti in trincea, spiegando a viva
voce le istruzioni sui modi migliori di reagire. Inoltre, non all'ultimo
momento ma almeno un mese prima per avere il tempo di verificare, si
sarebbe dovuto ottenere assicurazione che le istruzioni erano divenute
una vera e propria forma mentis. Il nostro Comando invece, caduto
in letargo perché convinto che la stagione delle grandi operazioni sulle
nostre fronti fosse ormai passata, fino all'ultimo momento trascurò di
indagare la reale situazione, e fece in tempo solo a decidere di
predisporre una circolare, ma non a distribuirla!
Certamente mancò nell'esercito italiano un'adeguata azione d'ispezione
da parte degli alti ed altissimi comandi.
Il confronto con il comportamento degli avversari è stridente: mentre
nel periodo che precede l'offensiva "... Below continua a muoversi
dall'una all'altra delle unità poste ai suoi ordini per verificare da
vicino, con i propri occhi, che le direttrici dell'azione fossero state
capite e l'esecuzione delle azioni corrispondenti avvenisse nei tempi e
nei modi richiesti",
Capello, pur avendo individuato nel fondo valle dell'Isonzo di fronte
alla testa di ponte di Tolmino la posizione critica del suo
schieramento, non si mosse per assicurarsi che fossero stati presi
provvedimenti adeguati.
Cadorna soltanto il 22 ottobre, due giorni prima dell'attacco nemico,
effettuò un'ispezione presso il IV° C.d'A. riportandone una cattiva
impressione del comandante Cavaciocchi, ma non ritenne opportuno
sostituirlo nell'imminenza dell'attacco nemico. Lo sostituì però quattro
giorni dopo per l'incapacità dimostrata nel corso delle giornate del 24
e 25 ottobre mentre il generale stava marciando in ritirata verso Nimis
e il suo corpo d'armata era ormai a pezzi. Perché Cadorna non è andato a
visitare il IV° C.d'A. invece di andare a Vicenza? Perché ha aspettato
l'ultimo momento?
Il diverso comportamento per l'istruzione e l'informazione usato dagli
alti comandi austro-germanici, rispetto a quello degli Italiani, spiega
già i motivi del successo dell'offensiva nemica.
Sull'andamento delle operazioni del giorno 24 Cadorna ricevette le prime
notizie solo nel tardo pomeriggio: monche, contraddittorie, esagerate.
Mise il XXX° Corpo (16a e 21a Divisione) a disposizione di Capello,
provvide ad inviare la 60a Divisione a Bergogna, e a chiamare dal
Trentino altre due divisioni della Ia Armata. Alle 18.00 al Comando
Supremo si brancolava ancora nel buio per mancanza di informazioni. "...
il generale Cadorna ha il pensiero diviso fra queste due possibilità:
che il nemico faccia un bluff davanti a Tolmino, e attacchi in un altro
punto, per esempio nel Carso, e che il nemico faccia sul serio davanti a
Tolmino."
"Noi siamo convinti che se Cadorna avesse potuto avere, alla sera del 24
(in realtà lo ebbe molto più tardi) l'immagine esatta e veritiera della
situazione, si sarebbe reso subito conto dell'inutilità di ulteriori
tentativi per galvanizzare lo spirito delle truppe e per designare
successive linee di difesa che non davano nessun affidamento di poter
essere tenute."
E in effetti non furono tenute. Le sedi dei comandi italiani risultavano
collocate a troppa distanza dalle zone di combattimento sia nel momento
dell'offensiva austro-germanica sia durante la ritirata. Così che gli
ordini che emanavano erano quasi sempre superati dal succedersi degli
eventi!
Questa la dislocazione dei comandi alla vigilia dell'offensiva nemica e
nelle ore successive:
− Comando Supremo (Cadorna) a Udine e poi a Treviso.
− Comando IIa Armata (Capello) a Cormons e poi a Cividale.
− Comando IV° C.d'A. (Cavaciocchi) a Creda, poi a Bergogna.
− Comando XXVII° C.d'A. (Badoglio) a Cosi (tattico o effettivo a Ostrj
Kras), poi a Kambresco e infine a Cividale.
− Comando 19a Divisione (Villani) a Clabuzzaro (tattico o effettivo ad
Albero Bello, o Falso Jeza, a est di M. Jeza).
− Comando 46a Divisione (Amadei) a Smast, poi a Ladra e quindi a
Caporetto.
− Comando 43a Divisione (Farisoglio) a Drezenca.
− Comando 34a Divisione di riserva (Basso) a Suzid fino alla notte sul
24, poi a Caporetto.
Abbiamo già annotato come Badoglio, lontano dal suo posto di comando a
Ostrj Kras, rimase all'oscuro della situazione per tutto il 24.
Sul fronte della 19a Divisione "... le notizie pervengono al Villani con
inevitabili ritardi, spesso superiori alle due ore, mentre fulminee
decisioni nello spazio di pochi minuti sarebbero necessarie per attuare
efficaci contromanovre."
"Non prima delle ore 18.05... il Comando della IIa Armata spedì al
Comando del VII° Corpo d'Armata l'ordine di attaccare il nemico sul
fondovalle isontino per arrestarlo prima che giungesse a Caporetto!"
A quell'ora i Germanici avevano occupato questa cittadina da almeno 2
ore e mezza e avevano raggiunto Robic.
Fino alle 12.00 del 24 Capello sapeva soltanto che il nemico stava
avanzando in conca di Plezzo, e fra le 12.00 e le 13.00 che avanzava
sulla sinistra dell'Isonzo nel settore della 46a Divisione. Solo poco
prima delle 18.00 Capello seppe della colonna nemica marciante verso
Caporetto, e poi verso le 19.00 che la fronte della 19a Divisione era
stata sfondata. Fino a quel momento tutti erano convinti che soltanto il
IV° C.d'A. avesse ceduto e per di più che avesse ceduto male! Lo stesso
Cadorna dimostrava di avere un quadro confuso della situazione. Il 25
ottobre scriveva in una seconda lettera al figlio: "Carissimo, che
brutto S. Raffaele mi è toccato passare! Ieri disastro completo al IV°
Corpo. Il nemico da Tolmino è arrivato a Caporetto ed oltre superando
due linee di difesa dove evidentemente le truppe hanno mollato... Tutto
questo dovuto all'azione di comando del generale Cavaciocchi."
Il 25 Cadorna ignorava ancora che il IV° C.d'A. era stato messo in crisi
dalla penetrazione germanica sul fronte tenuto dal XXVII° C.d'A.
(Badoglio) e dalla distruzione della 19a Divisione (Villani). Sempre a
causa di comunicazioni inesistenti o difettose si verificò quella "...
insufficiente collaborazione fra i due Capi delle grandi unità di prima
linea (Cavaciocchi e Badoglio) nella preparazione della difesa..." che
ne ha confermato "limitatezza di vedute strategiche e interesse
particolare al proprio campo tattico."
• Immobilismo abitudinario e psicosi d'aggiramento. L'azione nemica ebbe
le più gravi conseguenze proprio lì dove erano stati individuati i punti
deboli: il settore delle nostre linee avanzate Sleme-Mrzli e il fondo
valle Isonzo di fronte alla testa di ponte di Tolmino. Punti deboli
conosciuti dal nostro Comando Supremo, e ciononostante 'criminosamente'
trascurati.
Il fronte Plezzo-Tolmino dormiva dal 1915. In alto, sulle montagne della
destra dell'Isonzo, gli Italiani avevano costruito una specie di linea
Maginot ante litteram con posizioni fortificate, rifugi per uomini e
artiglierie in caverne e trincee protette da strutture in cemento
armato, dotate di postazioni di artiglieria e mitragliatrici, collegate
tra loro e protette da reticolati fissi di gran profondità. Era la linea
di difesa ad oltranza. Gli Italiani in queste posizioni dominanti
rispetto al fondo valle si sentivano sicuri di poter resistere e di
poter controllare gli eventuali tentativi di penetrazione nemica
provenienti dal basso. Questa 'sicurezza da Maginot' creò qui, come
creerà 23 anni dopo in Francia con la vera linea Maginot, la certezza
che restando immobili in attesa si sarebbe potuto controbattere
qualsiasi assalto nemico. Insomma la difesa era delegata all'automatismo
dell'intervento, che sarebbe scattato secondo un metodo convenzionale
già collaudato in precedenti esperienze. Ma non si tenne conto della
tattica d'infiltrazione tedesca che, sfruttando piccoli varchi della
linea e giocando spesso di audacia, fece invece cadere le posizioni
italiane per aggiramento e per sorpresa.
Nei giorni della battaglia di Caporetto la minaccia di aggiramento fu
l'incubo di tutti i nostri comandanti.
Bandini mette giustamente
in evidenza il divario esistente tra le truppe tedesche, che
utilizzavano l'effetto sorpresa unito ad una fama che ne ingigantiva
qualità ed azioni, e le nostre: "Quanto quelle erano pronte ai movimenti
ed abituate a mantenere velocità alla battaglia, tanto erano tarde e
artritiche le nostre, allevate quasi esclusivamente nel culto del
terreno."
L'incapacità dei nostri comandi a fronteggiare rapidamente le situazioni
assumendo responsabilità e correndo rischi professionali gravi
era
particolarmente sentita in questo settore 'appisolato', soprattutto
nella parte difesa dal IV° C.d'A. comandato dal generale Cavaciocchi che,
come abbiamo visto, sarà silurato da Cadorna per manifesta incapacità
soltanto il 26 ottobre in piena ritirata.
Contemporaneamente all'azione sulla sinistra dell'Isonzo e in fondo
valle, l'offensiva austro-tedesca, condotta soprattutto da formazioni
d'elite di montagna (Alpenkorps Bavarese, 200a e 26a Divisione Württemberg) si riversò su questa Maginot
ante litteram basata su
posizioni fortificate dominanti la destra del fiume (Cartine 1 e 5). Il
generale Dellmensingen affermò che "... sul successo finale non
influirono tanto i singoli errori di questo o quel Comandante, quanto
l'insufficiente abilità tecnica di tutta quanta la nostra alta gerarchia
militare, in un dato momento, rispetto a quella tedesca. In lingua
povera i Comandi tedeschi sapevano veramente far la guerra; gli
Italiani, non ancora abbastanza; e si lasciarono sorprendere da tutta
una serie di procedimenti tattici, ad essi non abbastanza famigliari."
Lo stesso Rommel riferendosi ad un'azione da lui condotta sul Kolovrat
il 25 ottobre annota: "Al reparto italiano venne a mancare un'azione di
comando energica e conscia dei propri obiettivi."
La teoria dell'attacco frontale, imposta dal nostro CS, aveva ormai
condizionato non solo la conduzione dell'esercito italiano, ma altresì e
soprattutto la mentalità dei 'conducenti'. "Le undici battaglie
dell'Isonzo della IIa e della IIIa Armata sono, come concezione,
talmente povere di fosforo e di buon senso, così scarse di risultati,
che alla letteratura resta solo lo spiraglio della retorica che esalta
il valore individuale... Non ci vuole molta abilità a far distruggere
dei reggimenti. Qualsiasi pazzo è capace di farlo. Ci vuole abilità a
conoscere gli ostacoli ed i pericoli, onde superarli od aggirarli con le
minori perdite possibili. Lo scopo in genere non è di morire, ma di
vivere e ciò vale per un corpo di truppe organizzate come per un
individuo."
In due anni di guerra i comandi in sottordine e le truppe avevano
maturato un'esperienza che tendeva a sostituire nuove tattiche a quella
ormai codificata dell'attacco frontale, enormemente dispendioso in
mezzi e uomini. Truppe e comandi periferici, "... finalmente liberati
dall'incubo dell'attacco frontale a ondate", avevano dimostrato
l'efficacia e il successo di tattiche alternative già nel corso della XIa battaglia dell'Isonzo. Sulla Bainsizza
il comandante del 127° Reggimento della Brigata Firenze aveva ricevuto
l'ordine di conquistare quota 800 impiegando l'intero reggimento.
"Organizzò invece un gruppo costituito da un plotone di arditi, una
compagnia mitragliatrici e una sezione mitragliatrici-pistole, al
comando di un ufficiale intelligente e risoluto. La posizione fu
aggirata e presa in qualche ora presumibilmente il 24 agosto 1917.
Trecento uomini invece di tremila!
Il 9 settembre 1917 sullo stesso fronte la Brigata Sassari ricevette
l'ordine di conquistare la quota 985 sotto il Volnik (Bainsizza), ma i
due comandanti delle compagnie d'assalto rifiutarono di svolgere
l'azione come voleva il Comando di brigata e attuarono anche qui
un'azione d'aggiramento basata sull'approfondita conoscenza del terreno
e sulla sorpresa che ridusse ad un brevissimo tempo la preparazione
d'artiglieria. In poche ore l'azione fu conclusa con la conquista anche
della quota 862 e la cattura di 420 prigionieri.
Ma il CS ed i comandi superiori si rivelarono incapaci di accogliere ed
utilizzare quell'esperienza acquisita sul campo e in alcuni casi
brillantemente applicata. Così s'erano perse anche belle occasioni: vedi
Carzano, vedi la battaglia della
Bainsizza. In quest'ultima Capello, predicatore della manovra, non
percepì le grandi possibilità offerte dallo sfondamento operato dal XXIV°
C.d'A. (Caviglia). Se il 22 agosto invece di disperdere inutilmente gli
sforzi per dare di testa contro forti posizioni laterali Capello avesse
lanciato una penetrazione centrale lungo il letto del torrente Avcek
avrebbe trovato il vuoto e la possibilità di raggiungere il Vallone di
Chiapovano, e avrebbe messo in crisi l'intero schieramento nemico
togliendo ad esso ogni possibilità di ricostituirsi. Ma "Anziché
dedicare la giornata del 23 allo sfruttamento del successo, la dedicava
<lui che era un motore sempre su di giri> al riposo e alla
manutenzione." E Cadorna in visita a Caviglia disse: "Bei tempi
quelli della manovra! dimostrando la sua inguaribile e superata
propensione all'attacco frontale.
Cadorna e Capello tendevano a reagire, come osservò subito il Comando
germanico, col vecchio metodo di gettare testardamente nuove vittime
nelle falle.
"Se Cadorna avesse avuto un'altra percezione, si sarebbe pervenuti a una
dottrina di combattimento diversa e migliore già nella primavera del
1917. La sensazione di non essere gettate al massacro, ma impiegate con
senso di responsabilità sarebbe stato il miglior tonico per le truppe
che dovevano affrontare i successivi combattimenti."
Per un Comando italiano abile, pronto e deciso l'offensiva nemica,
culminata con la conquista austriaca di Caporetto, sarebbe potuta essere
l'occasione per uscire dalla guerra di trincea e passare a una guerra
manovrata. Ma sarebbe occorso un comando 'giovane', aggiornato,
svincolato dalla routine che l'aveva reso ormai superato del tutto nella
tattica operativa. Il Comando italiano, chiuso ad ogni comunicazione con
le truppe, non aveva più niente da dire. Soltanto dopo il disastro di
Caporetto ci sarà un grande rinnovamento sia nel rapporto tra il Comando
e le truppe, sia nel loro addestramento. Così che Silvestri potrà
affermare: "Il prodigio si chiamò 'Caporetto'. Mandato dal destino, esso
diede agli Italiani la sensazione di combattere anziché di essere
massacrati."
• Il silenzio dell'artiglieria. L'intervento dell'artiglieria
comprendeva: il tiro di contropreparazione da effettuare prima dell'inizio
dell'attacco nemico e il tiro di sbarramento che doveva coincidere con
l'inizio dell'attacco delle fanterie avversarie.
Secondo gli ordini di Cadorna del 10 ottobre alla IIa Armata, il tiro di
contropreparazione doveva iniziare durante il bombardamento
d'artiglieria avversario e cioè, in questo caso, dopo le 2.00 del 24:
era compito del Comando d'Artiglieria d'Armata, con artiglierie di
grosso e medio calibro rivolte contro le linee nemiche dove erano
ammassate le fanterie per l'attacco. Ma per l'organizzazione di questo
bombardamento, che doveva comprendere anche tiri a gas, i documenti di
tiro giunsero alle batterie soltanto nella notte sul 24
e quindi mancarono i tiri di aggiustamento. L'ordine di Cadorna del 10
ottobre non era chiaro con quel suo durante. Montuori l'11 ottobre nel
ritrasmettere l'ordine ai dipendenti precisò 'fin dall'inizio', ma non
fu chiaro neanche lui perché il nemico ebbe due inizi: uno alle 2.00 e
l'altro alle 6.30 come risultava anche dai documenti intercettati.
Sul fronte del IV° C.d'A. Cavaciocchi non ebbe dubbi, eseguì gli ordini e
le artiglierie spararono a partire dalle 2.00. Non così sul fronte del
XXVII° C.d'A., dove "... la maggior parte dei cannoni di Badoglio caddero
in mano al nemico senza aver preso parte alla battaglia e, con il loro
silenzio, diedero motivo al sorgere di quello che fu ritenuto uno dei
grandi misteri di Caporetto, quello che la stessa Relazione Ufficiale
chiama il punto chiave della vicenda di Caporetto, ma che in realtà non
ha nulla di misterioso, perché dietro non c'è che la disobbedienza, la
presunzione, e l'imprevidenza di un generale." Badoglio invece di
effettuare il tiro di contropreparazione secondo gli ordini, voleva
effettuare soltanto il tiro di sbarramento e si era riservato la facoltà
di dare lui direttamente l'ordine di aprire il fuoco al comandante
dell'artiglieria del suo C.d'A. Nella notte del 24 il colonnello
Cannoniere chiese a Badoglio l'autorizzazione per
aprire il fuoco alle 2.00 e Badoglio rifiutò trattenendosi a Cosi, a tre
chilometri dal Comando di Artiglieria. Ma nel momento in cui pensava
si stesse sviluppando l'attacco delle fanterie, a Badoglio non riuscì di
impartire l'ordine poiché tutte le comunicazioni con quel comando erano
state interrotte dal precedente bombardamento nemico dalle 2.00 alle
6.00.
"Pare che il Capello credesse soltanto nel fuoco di sbarramento: poco
tiro di contropreparazione e violentissimo fuoco di sbarramento diretto
sulle masse attaccanti." E Badoglio lo seguì come suo allievo
adottando questa tattica! "Il Capello stesso nel suo libro Per la verità
ammette che circa <i provvedimenti per l'esecuzione del tiro di
contropreparazione, gli ordini furono da me dati in linea generale.>" confermando quindi che non diede l'ordine per il fuoco di
contropreparazione: infatti la sua espressione in linea generale non
aveva alcun valore pratico ed era in netto contrasto con l'ordine
tassativo di aprire il fuoco alle 2.00.
Per il tiro di contropreparazione il Comando Supremo aveva distribuito i
compiti "... fra i gruppi e le batterie che avrebbero dovuto iniziare il
fuoco su questo o su quell'obbiettivo a seconda delle richieste delle
grandi unità o delle designazioni del comando d'artiglieria. Forse
l'errore è in questa disposizione. Rotti ed annullati tutti i
collegamenti (telefoni, eliografi, radio, piccioni viaggiatori), le
richieste non vennero, e le batterie non fecero fuoco."
In seguito alla mancanza del tiro di contropreparazione furono così
risparmiati i luoghi di concentramento delle truppe nemiche,, i
depositi vicini e lontani, le strade di marcia, gli osservatori
dell'artiglieria nemica, tutti obbiettivi in gran parte noti ai due
corpi d'armata (IV° e XXVII°) che fronteggiavano l'armata di von Below.
"La cosa sfiora l'incredibile se si pensa che, nella sola testa di ponte
di Tolmino, in uno spazio, seppure montuoso, di dieci chilometri in
linea d'aria per tre, nella notte dal 23
al 24 ottobre dovevano esserci siepi di cannoni e quasi centomila
uomini." E pensare che sul fronte della IIa Armata lo schieramento
dell'artiglieria era rimasto offensivo, e cioè con i pezzi schierati in
posizione avanzata e quindi più esposta in caso di offensiva nemica;
questo schieramento era favorevole per quel tiro di contropreparazione
che però non fu effettuato.
Quanto al tiro di sbarramento, l'artiglieria italiana non s'era mai
trovata a dover far fuoco contro truppe mobili in marcia, era abituata
cioè a sparare contro obbiettivi fissi, così che gli Austriaci ebbero
istruzioni di avvicinarsi alle nostre prime linee marciando sotto l'arco
delle traiettorie nemiche. Ma non furono ostacolati da alcun fuoco sul
fronte del XXVII° C.d'A. Il tiro di sbarramento da effettuare con i
calibri minori doveva iniziare automaticamente, appena il nemico avesse
accennato a muoversi e, dopo gli ordini tassativi impartiti in
proposito, non sarebbe dovuto assolutamente mancare. L'automatismo
risultava indispensabile proprio per ovviare al caso in cui le
comunicazioni fossero interrotte dal bombardamento avversario. Badoglio
con la sua assurda riserva annullò questo automatismo e le fanterie
nemiche avanzarono senza danno. Quella "... artiglieria che sul Carso e
sulla Bainsizza aveva tempestato sulle forze nemiche sino a farne
crollare il morale era adesso praticamente silenziosa."
"Tenevamo quelle posizioni da trenta mesi contro un nemico che, almeno
per la metà (soldati germanici) non le aveva mai viste. Nessuna
giustificazione, a nostro avviso, può pertanto scusare questa
imperdonabile deficienza, che fu indubbiamente una delle maggiori cause
contingenti della sconfitta.
• Cattivo impiego delle riserve. Una poderosa azione offensiva ha sempre
buone probabilità di creare qualche rottura nello schieramento difensivo
avversario ed è quindi buona norma preparare adeguate riserve per
contrastare lo sfondamento, fermarlo e poi annullarlo. Le riserve
possono essere
strategiche o tattiche. Le riserve strategiche sono costituite a
distanza dal fronte di combattimento così da poter essere utilizzate
in modo concentrato con un effetto di manovra che, in genere, colpisce
il fianco o i fianchi del nemico avanzante. Le riserve tattiche sono
costituite subito dietro la linea del fronte o nelle sue immediate
vicinanze per rinforzare alcune posizioni e soprattutto per effettuare
contrattacchi locali.
RISERVE STRATEGICHE.
L'esperienza "... portava a ritenere che fosse
fallace speranza il ripromettersi di resistere su linee soggette a
violenti bombardamenti nemici e che, a meno d'insufficienza di mezzi o
cattivo impiego dei medesimi, l'attaccante riusciva quasi sempre a
penetrare nel sistema difensivo dell'avversario per una profondità che
poteva raggiungere anche i dieci chilometri nelle 24 ore." In questo
caso assumeva importanza capitale la disponibilità di un'adeguata
riserva strategica. Se con le riserve tattiche si poteva cercare di
contenere e ritardare il nemico, era soltanto con quelle strategiche che
si sarebbe riusciti a fermarlo definitivamente. Infatti a salvare la
situazione nel 1916 era stata la riserva strategica raccolta nella
pianura veneta che ammontava a ben cinque corpi d'armata, più di 130
battaglioni corrispondenti a circa 90.000 uomini!
Nel 1917 in alcuni tratti del fronte attaccato dagli Austro-Germanici
tra Tolmino e la conca di Plezzo l'esistenza delle tre linee difensive
quasi sovrapposte l'una all'altra "... faceva sì che il problema della
difesa, da tattico, diventasse subito strategico quando l'irruzione
nemica, com'era prevedibile, fosse felicemente riuscita." 163
Perciò nell'ottobre 1917, in previsione di una offensiva nemica, sarebbe
stato necessario disporre di una riserva strategica molto forte e per
conseguenza effettuare una radicale rettifica della fronte occupata
dalla IIa e IIIa Armata.
Invece non vi fu la disponibilità di alcuna riserva strategica proprio
per la mancanza di un piano complessivo di difesa,
che l'incredulo CS italiano, sorpreso dagli eventi, non poté preparare.
In realtà una riserva strategica esisteva, ma era collocata in posizione
eccentrica rispetto all'asse della penetrazione nemica e Cadorna non si
curò di spostarla, ma la mantenne tra Cividale e Palmanova, cioè troppo
in basso e troppo a ridosso rispetto all'offensiva nemica. Per rivelarsi
efficace la riserva strategica sarebbe dovuta collocarsi in posizione
"centrale sul medio Tagliamento." La riserva strategica non fu
spostata dapprima per la scarsa valutazione dello sforzo nemico da parte
del CS, che in seguito rimase incerto circa l'effettiva direzione
dell'attacco degli Austro-Germanici.
"Quando il Comando supremo si convinse delle intenzioni del nemico era
troppo tardi per una radicale modifica del fronte... Ma sarebbe stato
tuttavia possibile spostare le riserve, specie quelle del Comando
supremo." Non si comprende perché il CS non le abbia portate più a
nord, specie quelle che erano attorno a Palmanova. Probabilmente perché
Cadorna riteneva l'offensiva nel settore di Tolmino una finta, mentre il
vero attacco sarebbe avvenuto sul Carso.'' Infatti "Il Comando
Supremo alle 12,15 (del 24 ottobre) prometteva ancora alla IIIa Armata un
nucleo di batterie da sottrarsi alla IIa nel caso che l'attacco nemico si
pronunciasse essenzialmente sul fronte della IIIa Armata." "Solo nel
pomeriggio del 24 il Comando Supremo comprese chiaramente la direzione
principale dell'attacco avversario, senza tuttavia avere subito chiara
la visione della situazione." Se Cadorna avesse 'sospettato', dato il
giusto peso alla presenza delle truppe germaniche e quindi valutato in
tempo consistenza e direzione dell'attacco nemico, avrebbe probabilmente
preso qualche provvedimento mirato,
come la costituzione di una forte riserva generale a Udine e/o il ritiro
delle truppe dalle prime linee per rinforzare le seconde. Quindi ancora
difetto d'informazioni a vantaggio della piena riuscita della sorpresa
austriaca! Il Martini nel suo diario riporta il giudizio di un
ragguardevole numero di ufficiali, da generali a sottotenenti: "Non è
giusta, secondo loro la, sia pur decorativa unicamente, promozione
di Cadorna, il quale se non tutte quelle che gli si imputano, ha
anch'egli colpe non lievi. Come, con più di tre milioni di uomini, non
seppe o non volle mai comporre un'Armata di riserva?"
E ancora, in data 1 dicembre 1917: "Dei molti ufficiali veduti ieri, non
uno solo che si erigesse a difensore di Cadorna. Alcuni ne parlavano con
deferenza e con rispetto; ma neppure essi lo scusavano del non aver
provveduto a un'Armata di riserva."
RISERVE TATTICHE.
Mentre le riserve strategiche dovevano essere a
disposizione del CS, le riserve tattiche furono assegnate sia al
Comando della IIa Armata sia al Comando di Corpi d'Armata, vedi p. 290.
Nel complesso furono assegnati 60 battaglioni: 42 al Comando della IIa
Armata (Capello), 12 al Comando del IV° C.d'A. (Cavaciocchi) e 6 al
Comando del XXVII° C.d'A. (Badoglio).
La mancanza di un piano difensivo che combinasse l'intervento di riserve
strategiche e tattiche con l'impiego della manovra, condizionò come
abbiamo visto l'azione della difesa sul fronte Plezzo-Tolmino. Essa fu
basata collocando in extremis le riserve tattiche della IIa Armata in
alcuni punti a ridosso della linea del fronte; ma l'assenza di
pianificazione fece sì che tutte queste assegnazioni straordinarie di
truppe invece di essere utilizzate in modo unitario e concentrato verso
un obiettivo ben preciso con dei contrattacchi, fossero impiegate a
spizzico e bocconi e distratte verso emergenze difensive locali di
secondaria importanza. Così la 34a Divisione assegnata a Cavaciocchi (IV°
C.d'A.) non fu utilizzata per un deciso contrattacco nella zona di Caporetto, ma smembrata verso quattro interventi
diversi. La Brigata Napoli assegnata a Badoglio (XXVII° C.d'A.) non fu
utilizzata per sbarrare il fondo valle dell'Isonzo all'altezza della
stretta di Foni, non difese il Passo Zagradan né la testata dello Judrio,
e non fu neppure utilizzata per una vigorosa azione controffensiva, ma
vide i suoi due reggimenti separati e consumati inutilmente per guarnire
in modo statico la linea di difesa d'armata ormai compromessa. La
Brigata Puglie restò inattiva senza ordini per tutto il mattino del 24 e
quindi nel momento critico, quando un suo intervento controffensivo
avrebbe potuto assumere grande importanza. Anche l'intervento del VII°
C.d'A., assegnato a Capello come riserva d'Armata e forte di 30
battaglioni, si dissolse senza assolvere ad alcuno dei suoi compiti, per
inadeguatezza del Comando (Bongiovanni).
In conclusione, le riserve strategiche del CS non intervennero nella
battaglia dell'ottobre 1917. Quelle tattiche, assegnate al Comando della
IIa Armata (Capello), al IV° e al XXVII° Corpo d'Armata (Cavaciocchi e
Badoglio), erano insufficienti per numero e qualità e, "... data la
loro vicinanza alle linee, furono subito contagiate nel morale dai
fuggiaschi e dagli sbandati." Così non furono utilizzate da sole o
in combinazione con le truppe di linea per un contrattacco in nessuna
posizione del fronte intaccato il 24 ottobre e, soprattutto, nel fondo
valle contro i Germanici avanzanti verso Caporetto. Queste riserve
rimasero in alto e lì furono sconfitte!
APPENDICE 1: CARZANO SETTEMBRE 1917
Carzano, la più grande occasione che ebbe il Comando Supremo per
effettuare una brillante operazione di Blitzkrieg, uscire dalla stasi
della atroce, sanguinosa guerra di trincea e ottenere un successo
strategico di vaste proporzioni. Carzano è una borgata della Valsugana situata sulla sinistra
del Brenta e sulla destra del torrente Maso a 2 km dalla confluenza dei
due corsi (Cartina 9). Nel maggio 1917 vi passava la linea del fronte
austriaco difesa da una sola divisione, la 18a su due brigate, che aveva
di fronte il XVIII° C.d'A. italiano (generale Etna) su due divisioni: la
51a (generale Di Giorgio) e la 15a (generale De Bono).
La posizione austriaca di Carzano era tenuta da un battaglione della
CLXXXIa Brigata austriaca composta da soldati bosniaci. Un gruppo di
questi, per ostilità al dominio austriaco sulla loro terra, si coalizzò
per offrire agli Italiani la possibilità di penetrare di sorpresa entro
le linee austriache. Si mise quindi in contatto il 15 luglio con le
truppe italiane che aveva di fronte offrendo copia delle carte
topografiche austriache, con il dettaglio dello schieramento delle
truppe e di ogni postazione sia di mitragliatrici sia di artiglierie che
dovevano essere annientate durante un assalto notturno.
Inizialmente gli Italiani dovevano penetrare fino a Carzano e subito
dopo a Telve per conquistarvi le batterie impedendo reazioni di fuoco.
Successivamente la breccia doveva essere allargata in modo da permettere
alle truppe italiane di usufruire della strada del fondo Valsugana per
completare in campo strategico la sorpresa tattica arrivando a Trento.
La proposta fu portata all'attenzione di Cadorna che l'accettò. Il CS
italiano predispose un piano d'azione che prevedeva uno sfondamento
operato da una divisione, al comando del generale Zincone, suddivisa in
12 colonne pari a circa 10.000 uomini. Lo sfruttamento di questo
successo tattico doveva essere realizzato da parte di una poderosa
colonna composta da ben due divisioni al completo. "Oltre a queste
truppe, Cadorna aveva concentrato più a tergo, fuori da ogni occhio
indiscreto, battaglioni di bersaglieri ciclisti, colonne di autobatterie,
di automitragliatrici, di camion per il trasporto truppe, il tutto
sparso nella Conca di Tesino e in quelle di Arsiè e Seren.
Il CS aveva quindi preso molto seriamente l'opportunità che gli veniva
offerta di trasformare un successo tattico locale in una
manovra strategica ad ampio raggio, che avrebbe potuto far crollare il
fronte austriaco del Trentino nel suo complesso e con tutta probabilità
compromettere quella offensiva austriaca sulla Fronte Giulia che
comportò per gli Italiani, di lì a circa un mese, la sconfitta di
Caporetto.
L'azione scattò nella notte tra il 17 e il 18 settembre. Carzano e Telve
furono subito occupate e il presidio fu catturato; tutto si svolse
regolarmente fino all'intervento della sesta colonna, poi il disastro!
Le truppe delle sei colonne successive dovevano percorrere circa 12 km proveniendo da Strigno, ma un assurdo, inspiegabile ordine invece di
inoltrarle lungo la strada carrozzabile Strigno-Spera-Carzano, larga 3
metri, le mise in marcia lungo un camminamento largo 80 cm dove si
intasavano provocando un enorme ritardo rispetto ai tempi previsti per
l'azione. Nel frattempo i soldati austriaci fuggiti da Telve verso Borgo
(Valsugana) avevano dato l'allarme e all'alba si manifestò la reazione
nemica. Così il Comando italiano alle prime cannonate austriache ordinò
la ritirata.
In realtà il CS italiano aveva preparato un piano basato sulla quantità,
ma aveva trascurato la qualità delle truppe, che non erano addestrate
per un'azione di sorpresa notturna, e aveva prescritto ordini di
operazione che avrebbero limitato la libertà di movimento e quindi
quella velocità d'azione delle varie colonne che era nelle premesse del
piano.
Inoltre aveva assegnato il comando dell'operazione ai generali Etna e
Zincone, con esperienza consolidata nella guerra di trincea,
trascurando ufficiali di grado inferiore che, provenendo da truppe ben
addestrate alla sorpresa e al movimento come gli Arditi, sarebbero stati
più adatti a realizzare il piano molto complesso che richiedeva agilità
mentale e prontezza di decisione in corso d'opera. Come dimostrarono poi
le truppe austro-germaniche che sfondarono le linee italiane a Caporetto
circa un mese dopo.
Il generale Cesare Pettorelli Lalatta, che aveva tenuto i contatti con i Bosniaci e preparato il terreno per l'intervento italiano
contro Carzano, racconta così la sua disperazione alla notizia
dell'ordine di ritirata: "Caddi affranto su una sedia e piansi. Tutto lo
sforzo di quegli ultimi mesi, tutte le fatiche, tutte le notti perdute
si abbatterono come di schianto sulla mia tenace volontà: la partita era
perduta, il sogno svanito. Appena rimessomi raggiunsi la piazzetta;
giungeva in quel momento, portato da altri due intercettatori, un mio
guardafili: il soldato Corso. Esangue disteso sulla barella con la morte
già negli occhi, egli mi sorrise: <peccato, mormorò, ero così felice
d'essere venuto>. E gli occhi gli si chiusero per sempre."
"Nel combattimento le perdite furono di 13 ufficiali e 896 uomini. La
relazione austriaca asserisce che furono sepolte 4 salme di ufficiali e
350 bersaglieri; furono inoltre catturati 5 ufficiali e 132 bersaglieri
ciclisti. Gli austriaci perdettero 10 ufficiali e 306 uomini."
Per stabilire le cause dell'insuccesso fu insediata, more italico ben
consolidato, una commissione di inchiesta che riconobbe le colpe dei
comandanti Etna e Zincone, che furono esonerati. Quindi ancora un
gravissimo caso di truppe malcomandate e qualche colpevole d'occasione,
ma la vera colpa, quella del CS, ovviamente non fu rilevata. Il Comando
Supremo non era riuscito a trasfondere nei comandanti prescelti lo
spirito necessario all'ottimale realizzazione dell'impresa e non aveva
verificato se le predisposizioni e gli ordini esecutivi fossero o meno
all'altezza degli obbiettivi da raggiungere. Ripetiamo qui, a confronto,
come si comportò von Below per attuare l'offensiva nel successivo
ottobre sulla fronte isontina: "Emanati gli ordini per l'azione, nel
periodo che precede l'offensiva, Below continua a muoversi dall'una
all'altra delle unità poste ai suoi ordini per verificare da vicino, con
i propri occhi, che le direttrici dell'azione fossero state capite e
l'esecuzione delle azioni corrispondenti avvenisse nei tempi e nei modi
richiesti." Niente di tutto questo da parte del nostro CS per
Carzano, e purtroppo, neanche per Caporetto poco tempo dopo!
Mario Troso
Note:
(SMC110)
'Nessuno' è riferito al nostro Stato Maggiore dall'agosto 1914 al maggio
1915.
(PG11-14)
(CE39/41)
Settore della Fronte Giulia sull'alto Isonzo tenuto dal IV C.d'A. (Cavaciocchi)
appartenente alla II Armata (Capello).
Il piano del
generale Franz Conrad von Hoetzendorf, capo di Stato Maggiore
dell'esercito austriaco, fu sottoposto ai generali Paul Ludwig von
Beneckendorf e von Hindenburg, capo di Stato Maggiore dell'esercito
tedesco e Erich Ludendorff, primo quartiermastro generale dell'esercito
tedesco; il piano fu ritoccato dal tenente generale Konrad Krafft von
Dellmensingen, capo di Stato Maggiore della XIV Armata austro-tedesca al
comando del generale Otto von Below.
19-28 agosto
1917, costata 40.000 morti, 10.800 feriti e 18.000 dispersi.
"Adesso sto
una quindicina di giorni a Vicenza, verso il 20 tornerò." (GA250) Così
si esprime Cadorna il 4 ottobre prima di lasciare Udine: questa
pianificazione dimostra la sua assoluta tranquillità nel decidere di
assentarsi per un lungo periodo.
Parodiando
Dante Alighieri, Divina Commedia, Purgatorio, VII, 121!
(PP137)
D'altra parte
"Cadorna aveva concezioni strategiche semplici e chiare... Ma non aveva
sensibilità per la guerra minuta... Altri avrebbero potuto metterlo
sull'avviso, ma intorno a lui c'era il vuoto intellettuale." (SMC109)
(SMC110)
E il dissidio
restava piuttosto nel piano strategico. Così ad esempio mentre Cadorna
aveva in mente che l'attacco dalla Bainsizza doveva mirare all'altopiano
di Ternova per prendere al rovescio le colline dell'anfiteatro
goriziano, Capello invece mirava a Tolmino per eliminare la testa di
ponte austriaca. Comunque i rapporti tra Cadorna e Capello si erano via
via deteriorati a partire dal tempo della presa di Gorizia quando
Capello aveva ingiustamente accusato il Cadorna di non avergli dato i
mezzi per sfruttare il successo. Ora le conseguenze gravissime di questa
situazione furono due: 1) Cadorna lasciò al suo subordinato già per
temperamento portato ad abusarne una sempre maggiore libertà d'azione;
2) i contatti personali divennero sempre più rari. (PP-RG235)
(GA251)
"Il generale
Capello avrà i suoi torti anche lui. Nessuno è perfetto. Trattava male i
soldati, è vero: ma i documenti che ora sono nelle mani della
Commissione d'inchiesta provano il valore suo, la sua preveggenza.
Quando tutti dicevano che la manovra austriaca di grande stile non
sarebbe avvenuta, egli (e, ripeto, ciò risulta dai documenti) il 9
ottobre dichiarò essere persuaso che il nemico avrebbe attaccato entro
dieci giorni..." (MF1164) Così scrive il Martini nel suo Diario in data
30 aprile 1919, ma sbaglia nel giudizio! A chi ha la responsabilità
operativa di centinaia di migliaia di uomini non basta la preveggenza,
ma occorre anche la concretezza e l'efficacia dei provvedimenti che in
questo caso mancarono.
(CE76)
Mancano nove
giorni all'attacco nemico! Il Capello sta ancora parlando di
un'ipotetica controffensiva di là da venire senza rendersi conto che
mancherebbe comunque il tempo per prepararla.
Verso il
Veliki Celo a nord oppure verso Ravnica a sud.
(CE82)
Le notizie erano raccolte dall'Ufficio Informazioni a Roma che le
passava all'Ufficio Informazioni presso il Comando Supremo. Questo le
interpretava e le passava all'Ufficio Situazione che, effettuata una
diagnosi, la passava all'Ufficio Operazioni d'Armata per le decisioni da
prendere: piani e contropiani di battaglia. Secondo il Silvestri
l'Ufficio Informazioni del Comando Supremo non era mai d'accordo con gli
altri due! (SMI308)
Sorpresa aggravata dal fatto che Cadorna, pur rendendosi conto sebbene
in ritardo dell'offensiva nemica, non volle mai credere che fosse di
forte intensità.
Era quella stabilita alla conclusione della guerra del 1866 che
aveva costretto l'Austria a cedere all'Italia il Veneto.
"II primo settembre 1917, dopo un uragano di fuoco durato soltanto
cinque ore, le truppe tedesche (otto divisioni di fanteria e due di
cavalleria) agli ordini del generale von Hutier (ottava armata)
attaccarono una testa di ponte russa a Riga, sulla Drina... Le difese
russe, paralizzate dall'improvviso bombardamento a saturazione,
crollavano mentre le divisioni di Hutier s'infiltravano e fluivano
verso l'interno in piccoli distaccamenti." (BC391)
Sinistra e destra guardando verso il fronte di combattimento quindi
verso il nemico.
Quelle che il Comando
Supremo italiano inserirà all'ultimo momento come rinforzi, le tre
divisioni del VII C.d'A.: 62a e 43a sul Kolovrat e la 34a a Caporetto.
Lo
schieramento offensivo comporta dislocazione più avanzata per uomini,
artiglierie e servizi rispetto a uno schieramento difensivo.
Il comando
della IIa Armata passa al generale Montuori.
Però in data 20
ottobre Gatti annota: "... le voci di un'azione nemica vanno prendendo
sempre più piede." (GA253)
Al generale Luigi
Bongiovanni è appena stato assegnato il comando del VII C.d'A. che dovrà
costituire una riserva da collocare sul Kolovrat, subito dietro il Monte
Jeza.
Il generale Enrico
Caviglia comanda il XXIV C.d'A. schierato alla destra del XXVII
(Badoglio).
Il generale Alberico
Albricci comanda il XII C.d'A., zona Carnia.
(MA94)
Ma non in fondo
valle!
(CE52)
"La situazione
nostra, risultante da un lungo concatenamento di eventi e di pensieri,
non poteva essere mutata da una rivelazione casuale dellultimo giorno."
(VG79)
(BR128)
(BR80)
Gli attaccanti
godettero di due circostanze eccezionali: "... il silenzio
dell'artiglieria italiana non dovuto ai gas asfissianti, ma a precisi
ordini dei nostri comandi; e il cervellotico schieramento delle nostre
truppe, che mancavano proprio lungo le direttrici d'attacco scelte dal
nemico e da noi perfettamente conosciute." (SM296)
"La divisione Amadei,
ha il comando a Smast ed una linea veramente miserabile da difendere:
astrusa, illogica, discontinua, pericolosissima. Tutta dominata dal
nemico: la vita vi si svolge, come si può, solamente di notte." (CA130)
"La sensibilità delle
truppe, in simili condizioni, è assai forte. Esse s'accorgono del
pericolo imminente dal nervosismo dei comandanti, e sentono nell'aria
approssimarsi il vento della sconfitta." (CE107)
Capello ammalato di
nefrite era a letto dal 4 ottobre. Il 19 da Cormons si trascinò a Udine
per incontrarvi il Cadorna; il 20 ottobre lasciò il comando per
ricoverarsi a Padova e fu sostituito dal Montuori. Riprese il comando a
Cividale alle 2.30 della notte del 23 per lasciarlo definitivamente nel
tardo pomeriggio del 25 partendo da Udine per Verona.
(MRS 5)
(SMC98)
Il tenente Erwin Rommel, lo stesso che come
generale nostro alleato comanderà nel 1941 in Libia l'Afrika Korps
germanico contro i Britannici, faceva parte del battaglione da montagna
del Wuerttemberg, inserito nell'Alpenkorps germanico comprendente anche
la Brigata Jager bavarese. Il battaglione da montagna era composto da 6
compagnie e 3 compagnie di mitragliatrici pesanti. Rommel era al comando
di un distaccamento composto da 3 compagnie e una compagnia
mitragliatrici.
Quindi incuria totale! Anche gli addetti non sospettano.
(RE234)
(RE235)
Dellmensingen parla di Treubruchgas, il gas dei fedifraghi con allusione
all'abbandono della Triplice Alleanza da parte dell'Italia nel 1915 per
passare dalla parte della Triplice Intesa (Francia-Inghilterra-Russia).
(PP-RG320)
Il tenente generale Krafft von Dellmensingen era il CSM della XIV Armata
austro-germanica.
Malcomandati
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