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Dario Succi
Francesco Tironi
Ultimo vedutista del Settecento veneziano
Francesco Tironi, Il molo con il Palazzo Ducale visti dal bacino di San Marco.
La veduta veneziana costituisce un genere pittorico che ha ottenuto fin dalla
nascita un grande successo, incontrando il crescente favore dei collezionisti a
livello internazionale. Luca Carlevarijs (1663-1730), Antonio Canal detto il
Canaletto (1697-1768), Francesco Guardi (1712-1793), Michele Marieschi
(1710-1743), Bernardo Bellotto (1721-1780) sono le punte di diamante di un
vedutismo la cui eccellenza qualitativa, ormai universalmente riconosciuta, ha
contribuito in maniera determinante alla formazione dell'idea di Venezia
nell'immaginario collettivo.
Accanto ai maestri famosi operava alacremente nella città lagunare un buon
numero di artisti meno noti che si cimentava con onore e non senza successo
nella produzione di vedute, paesaggi e "capricci" per andare incontro alla
vivace richiesta dei nuovi collezionisti e dei raffinati conoscitori -
soprattutto inglesi - ai quali spetta il grande merito di aver favorito lo
sviluppo di un genere che rompeva con la tradizione figurativa accademica della
magniloquente pittura di figure.
I nomi di questi vedutisti "minori" sono da tempo conosciuti agli studiosi,
anche se la schedatura della loro produzione procede a rilento perchè, per
ragioni ben comprensibili, nel passato - e talvolta ancora oggi - essa veniva
fatta figurare sotto nomi più altisonanti. Si possono ricordare Bernardo Canal
(padre di Canaletto), Antonio Stom, Giovanni Battista Cimaroli, Francesco
Albotto, Giuseppe Moretti, Gianfrancesco Costa, Jacopo Fabris, Apollonio
Domenichini (conosciuto come il "Maestro della Fondazione Langmatt"), Pietro
Bellotti (fratello di Bernardo, attivo in Francia), Gabriel Bella, Giacomo
Guardi. Nel genere furono attivi anche vari "foresti", come lo svedese Johan
Richter, l'olandese Hendrik Frans van Lint, i modenesi Antonio Joli e Francesco
Battaglioli, il lucchese Gaetano Vetturali, l'inglese William James, ecc.
Un altro vedutista poco studiato è Francesco Tironi. L'indeterminatezza
conoscitiva ha fatto si che nel gioco delle attribuzioni - come era avvenuto nel
passato anche per alcuni grandi maestri (Marieschi, Bellotto - il nome
dell'artista sia stato fatto, quasi sempre a sproposito, in relazione a vedute
di incerta paternità e di qualità per lo più scadente, con la conseguenza di
comprometterne l'immagine.
Le notizie documentarie su Tironi sono scarse e derivano quasi tutte dagli
scritti del canonico veneziano Giannantonio Moschini (1773-1840). Nella sua
opera
Della letteratura veneziana del secolo XVIII fino a' nostri giorni
(Venezia 1806,tomo III, p. 78), dopo aver accennato alle opere del modenese
Francesco Battaglioli, Moschini scrive: "Qui aggiungerò ch'è a compiangersi il
nostro Francesco Tironi, che morto sia in troppo fresca età da qualche anno,
perchè i Porti di Venezia e le Isole disegnati da lui, ed incisi
dal nostro Antonio Santi [sic], ci fanno scorgere quant'oltre sarebbe arrivato".
Qualche anno dopo nella sua Guida per la città di Venezia all'amico
delle belle arti (Venezia-Alvisopoli 1815, tomo II, p. 361) accennando alle
raccolte di incisioni raffiguranti le isole della laguna veneziana, Moschini
ricordava quelle di Antonio Sandi dietro i disegni di Francesco Tironi". Da
ultimo nella sua memoria Dell'incisione in Venezia anteriore al 1840 ma
pubblicata postuma (Venezia 1924, p. 123), Moschini, sempre parlando
dell'incisore bellunese Antonio Sandi (Puos d'Alpago 1733-1817), ne rammenta le
"XXIV isolette delle Lagune Veneziane, in 4, con disegno di Francesco Tironi",
oltre ai quattro "Prospetti marittimi dÈ Porti di Lido, di Chioggia, di
Malamocco e de Murazzi".
1 - A. Sandi da F. Tironi, L'isola di Santa Maria delle Grazie,
incisione.
3 - A. Sandi da F. Tironi, L'isola di Torcello, incisione.
Vengono qui riprodotti alcuni tipici esempi delle stampe incise da Sandi: i
fogli raffiguranti L'isola di Santa Maria delle Grazie (fig.1),
L'isola di San Clemente (fig. 2), L'isola di Torcello
(fig. 3), L'isola di San Michele (fig. 4), L'isola della Certosa,
(fig. 5),
L'isola di Sant' Elena (fig. 6), dimostrano come l'autore si sia sforzato
di rendere nella trasposizione acquafortistica i valori tonali dei bellissimi e
animati disegni di Tironi ricorrendo ad un tratteggio sottile e ravvicinato.
Già alla fine del XVII secolo la fortuna iconografica delle isole lagunari aveva
avuto inizio per merito del cosmografo Vincenzo Coronelli che con il suo
Isolario dell'Atlante Veneto (1696-1698) aveva illustrato le silenziose e
solitarie isolette ricche di chiese e di conventi. Nel 1717 l'editore Domenico
Lovisa inserì nel suo volume
Il Gran Teatro di Venezia alcune prospettive insulari di un arcaismo non
privo di suggestione nel punto di vista leggermente rialzato. Il gioiello di
questa particolare iconografia è la fresca serie di venti vedutine che Antonio
Visentini inserì, quali deliziosi finalini, nella edizione Della Istoria
d'Italia di Francesco Guicciardini pubblicata dall'editore Pasquali nel
1738. Ultime cronologicamente, le ventiquattro stampe di Tironi-Sandi
costituiscono l'estremo documento del suggestivo ambiente lagunare che, a
seguito delle distruzioni operate durante l'occupazione napoleonica, doveva
andare perduto per sempre.
L'erudito Emmanuele Cicogna nel Saggio di bibliografia Veneziana (Venezia 1847,
n. 4590) per primo precisava il nome dell'editore della importante raccolta di
stampe ricordando, oltre ai quattro fogli che componevano la "Raccolta di Porti
di mare", le Ventiquattro Prospettive delle Isole della laguna di Venezia in
gran foglio disegnate da Francesco Tironi, incise da Antonio Sandi, appo
Ludovico Furlanetto".
Come si vede le fonti antiche ricordano Tironi esclusivamente come disegnatore,
ignorandone l'attività pittorica che viene per la prima volta menzionata da F.
De Boni nella sua Biografia degli artisti (Venezia 1840, p.1014) dove il maestro
viene definito "pittore prospettico veneziano" nato "nella seconda metà del
secolo decimottavo" e morto "in fresca età circa il 1800".
Nessun documento su Tironi venne scoperto nei decenni successivi. Solo nel 1969
Marina Stefani Mantovanelli, in un articolo pubblicato su Arte Veneta (1969, pp.
25 3-254), rendeva pubblico l'atto di morte avvenuta il 28 febbraio 1797, lo
stesso anno della caduta di Venezia.
La singolare coincidenza consente di reputare l'artista come l'ultimo esponente
della gloriosa storia del vedutismo durante la Repubblica Serenissima. Dal
necrologio risulta che Tironi era prete, nato da famiglia friulana (il padre era
"dalla Brazza"? residente a Venezia in Corte Colonna e che aveva "anni 52
circa'. Da ciò si deduce che doveva essere nato nel 1745.
L'unica opera certa di Francesco Tironi era costituita dalla serie di bellissimi
disegni preparatori per la raccolta di stampe raffiguranti le isole della laguna
di Venezia che, come si è visto, furono incise da Antonio Sandi e vennero
pubblicate dall'editore Ludovico Furlanetto in epoca imprecisata, ma comunque
successiva al 1779 (e quindi molto probabilmente tra il 1780 e il 1785) perchè
la raccolta non figura nel catalogo editoriale di Furlanetto uscito in
quell'anno (Succi, Da Carlevarijs ai Tiepolo, Venezia 1983, pp. 344-349).
Della serie di disegni lagunari sono conosciuti dieci fogli conservati in
istituzioni pubbliche, di cui sei al Museo dell'Albertina a Vienna (Pignatti
1974, nn. 36-41), due nella Robert Lehman Collection di New York (Pignatti 1974,
nn. 25, 42), uno nella Withworth Art Gallery di Manchester (Pignatti 1974, n.
43), uno nella National Gallery of Art di Washington (Pignatti 1974, nn. 46,
47).
Altri cinque disegni della stessa serie si trovano in collezioni private: il
disegno raffigurante L'isola del Rosario è passato in vendita da
Sotheby's a Londra il 15 febbraio 1922, lotto n. 3; altri due con L'isola di
Burano e
L'isola di San Secondo vennero venduti da Sotheby's, Londra il 24 marzo
1964, lotti nn. 118, 120. Un'altro ancora con San Michele in Isola fu
venduto da Sotheby's, Londra, il 21 marzo 1974, n. 44. La veduta con
L'isola di Sant'Elena
venne esposta presso la ditta londinese Colnaghi nella rassegna Pictures from
the Grand Tour (1978, cat. n. 72).
I due disegni della Robert Lehman Collection di New York qui riprodotti,
raffiguranti L'isola di Mazzorbo (fig. 7) e L'isola di San Giacomo in Paludo
(fig. 8) dimostrano in maniera esemplare come lo stile di Tironi si caratterizzi
per un gusto eclettico che fonde in maniera originale elementi descrittivi
canalettiani con l'affollarsi delle imbarcazioni in primo piano di derivazione
guardesca...
... da pag. 51
Vari artisti veneziani, tra cui Canaletto, Bellotto, Guardi, Cimaroli, Costa,
Domenichini, si erano spinti lungo la riviera del Brenta per raffigurarla in
suggestive immagini che ci restituiscono l'idea della perduta poesia di quei
luoghi, terra di delizie estive dei patrizi veneti. A tale fascino non era
rimasto insensibile neanche il giovane Tironi. Una rara veduta del Brenta che -
per le residenze signorili che si affacciavano sulle sponde - era considerato
come il prolungamento del Canal Grande, è passata in vendita presso Semenzato a
Venezia il 10 maggio 1981 (n. 146; "scuola di Canaletto", Veduta di una villa
sul Brenta; 44.7 x 69.4 cm.).
Come risulta dal confronto con una incisione facente parte della serie di
centoquaranta stampe pubblicata da Gianfrancesco Costa in due volumi nel 1750 e
nel 1756 (tomo II, tav. XXXVII), il dipinto raffigura il seicentesco palazzo
Recanati-Zucconi-Vendramin tuttora esistente a Fiesso e perfettamente conservato
nelle strutture architettoniche e nei fastosi elementi decorativi. (fig. 23).
Databile verso il 1765-1770, l'arioso dipinto di Tironi, di chiaro gusto
canalettiano, ci restituisce l'immagine dell'edificio, scorciato in diagonale,
come appariva nella seconda metà del Settecento, con in primo piano il fiume
animato da gondole e dal famoso burchiello che assicurava il collegamento tra
Venezia e Padova.
Intorno al 1770 sembra collocabile anche la luminosa tela raffigurante Il
ponte di Rialto con il palazzo dei Camerlenghi (fig. 24) passata in vendita
presso Finarte (Milano, 16 marzo 1988, n. 81, 57 x 74 cm.) come "scuola di
Canaletto". La relativa precocità di questo dipinto nella produzione tironiana
potrebbe essere confermata dalla puntuale derivazione dalla corrispondente
incisione facente parte, come tavola VII, della raccolta intitolata
Prospectus Magni Canalis Venetiarum (Venezia, 1742 comprendente trentotto
acqueforti di Antonio Visentini da dipinti di Canaletto.
Dopo la morte di Francesco Guardi (1793), Tironi impresse alla sua pittura un
carattere più spiccatamente guardesco, forse con l'intento di assecondare la
richiesta collezionistica di opere del grande maestro scomparso. In questo senso
mi sembra esemplare la bella veduta della Piazza San Marco verso la basilica
(fig. 25; 58 x 74 cm.; collezione privata) che riprende il celebre luogo
raffigurato nelle opere giovanili (fig. 21) e - con misure identiche - in quelle
della maturità (fig. 14). Anche se la volontà di aderire alla lezione di
Francesco Guardi si è fatta più insidiosa rasentando il tentativo di plagio,
restano fermi i riferimenti di una tecnica compositiva che riprende ancora una
volta la celebre piazza utilizzando la stessa zona d'ombra e la consueta coppia
elegante vista di spalle e sempre al centro in primo piano.
Altre macchiette melanconiche e quasi fantomatiche vagano in uno spazio scenico
ai limiti del surreale, accomunate dal tedio di un assolato meriggio lagunare.
Questa veduta, databile intorno al 1995-1997, bene documenta la predilezione
finale di Francesco Tironi, che già nei disegni delle isole lagunari aveva
evidenziato una indole sentimentale preromantica, verso il modello ideale della
visione elegiaca e instabile dell'ultimo Francesco Guardi.
La produzione pittorica di Tironi deve essere stata piuttosto limitata perchè le
sue vedute non figurano nelle principali raccolte museali e compaiono molto
sporadicamente sul mercato antiquario, dove più spesso affiorano opere
stilisticamente affini ma di qualità scadente, attribuibili a seguaci o
imitatori. L'esistenza di questi ultimi dimostra che l'artista dovette godere ai
suoi tempi di un notevole apprezzamento da parte dei contemporanei, come del
resto testimoniano le parole di vivo rimpianto scritte da Giannantonio Moschini
ricordando "il nostro Francesco Tironi" morto "in troppo fresca età".
Dario Succi