Lorella Giudici
Rietti e Troubetzkoy. Tracce di una storia artistica e umana
Abstract
Arturo Rietti and Paul Troubetzkoy meet in Milan in 1887. They are almost the same age, one is a painter and the other a sculptor, but they found eachother in the idea of an art made of impressions, heartbeats and soul. At that date, Rietti had already been to Monaco, where for two years he had attended the courses of the Academy, and where he had learned from Hugo von Habermann the pastel technique; while Troubetzkoy, young aristocrat of Russian descent, had filled its gaps of self-taught first by Donato Barcaglia, who leaves after a few weeks, and then, for three months, by Ernesto Bazzaro, from which he strengthens contacts with the most advanced fringes of Scapigliatura in Milan. The friendship between Rietti and family Troubetzkoy (including one who Rietti jokingly call "terrible princess", or Elin, Paul's wife, and the other two brothers Troubetzkoy, the painter Pierre and Prince Louis, engineer and entrepreneur) has been long and fruitful and it was held between Milan, Paris and Ghiffa. Today, however, of that beautiful story of art and men remain only pale traces, difficult to ringed in a fluid and precise story. One reason for this complicated chronicle is due to the fire that on 24 March 1945 burned the home-studio that Paul had built by the lake and it was lost everything there was guarded including letters, photographs, documents and hundreds of works of art, comprising five Rietti's works. However, what remains of letters, postcards, memories, put next to places and exhibitions, read through the comparison of the respective portraits of D'Annunzio, Toscanini, Puccini, Pascarella, Bugatti, Smareglia, Carlo Lamberti, Gignous (to name a few), make plausible reconstruction of a story that has as frame incredible places rich in history (the Milan of Gola and Medardo Rosso, the Paris of Rodin and Renoir or the prestigious Villa Ada in Ghiffa, where greatest writers, musicians, sculptors and painters of that time were home, and where Ranzoni had painted some of his masterpieces) and as background all the artistic ferment of the late nineteenth century and the first decade of the twentieth century, divided between the concerns disheveled, the anxiety of the moment and the desire to reality. It was especially with Paul (1866-1938) that Rietti weaves an artistic and assiduous correspondence: when they were away, they wrote postcards and letters of appreciation and affection; when they were closed they painted eachother in portraits intense and vibrant, comparing of styles and subjects, share exhibitions and commissions. Then, we have analyzed the traces of that long story trying to reassemble them into a puzzle art-historical as complete and truthful as possible.
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Arturo Rietti e Paul Troubetzkoy s’incontrano a Milano nel 1887. Sono quasi coetanei, uno è pittore e l’altro scultore, ma si ritrovano nel pensiero di un’arte fatta di impressioni, di palpiti luminosi e di anima. A quella data, Rietti era già stato a Monaco, dove per due anni aveva frequentato i corsi dell’Accademia e dove aveva appreso da Hugo von Habermann la tecnica del pastello; mentre Troubetzkoy, giovane aristocratico di discendenza russa, aveva colmato le sue lacune di autodidatta prima da Donato Barcaglia, che lascia dopo poche settimane, e poi, per tre mesi, da Ernesto Bazzaro, dal quale riceve alcune astuzie del mestiere, ma anche rafforza i contatti con le frange più avanzate della scapigliatura milanese, contatti già avviati tramite l’amico Ranzoni: dal Grandi al Gola, da Arrigo Boito a Mosè Bianchi. L’amicizia tra Rietti e la famiglia Troubetzkoy (ivi compresa colei che Rietti amava scherzosamente definire la “terribile principessa”, ovvero Elin,[1] la moglie di Paul, e gli altri due fratelli Troubetzkoy, il pittore Pierre e il principe Luigi, ingegnere e imprenditore) è stata lunga e feconda e si è consumata tra Milano, Ghiffa e Parigi. Oggi, però, di quella bella storia di arte e di uomini restano solo pallide tracce, difficili da inanellare in un racconto fluido e preciso. Uno dei motivi di questa complicata cronaca è da attribuire all’incendio che il 24 marzo del 1945 ha bruciato la Cà Bianca, la casa-studio che Paul si era fatto costruire in riva al lago e con essa è andato perso tutto quanto vi era custodito, comprese lettere, fotografie, documenti e centinaia di opere d’arte, tra le quali tre disegni e due oli di Rietti.[2] Tuttavia, ciò che resta di lettere, cartoline, memorie, messo accanto a luoghi e mostre, ma soprattutto visto attraverso il confronto dei rispettivi ritratti di D’Annunzio, Toscanini, Puccini, Pascarella, Bugatti, Smareglia, Carlo Lamberti, Gignous (solo per citarne alcuni), rendono plausibile la ricostruzione di una vicenda che ha come cornice luoghi incredibili e ricchi di storia (la Milano di Gola e Medardo Rosso, la Parigi di Rodin e Renoir oppure la prestigiosa Villa Ada di Ghiffa, dove erano di casa i più grandi letterati, musicisti, scultori e pittori di quel tempo, e dove Ranzoni aveva dipinto alcuni dei suoi capolavori) e come sfondo tutto il fermento artistico della fine dell’ottocento e del primo decennio del novecento, diviso tra le inquietudini scapigliate, l’ansia dell’attimo e il desiderio di realtà. Analizziamo allora insieme le tracce di quella lunga vicenda cercando di ricomporle in un puzzle storico-artistico il più completo e veritiero possibile. È soprattutto con Paul (1866-1938) che Rietti tesse un rapporto artistico e epistolare assiduo: quando sono lontani si scrivono cartoline e lettere di stima e di affetto; quando sono vicini si immortalano in ritratti intensi e vibranti, si confrontano su stili e soggetti, condividono mostre e committenze. È verosimile pensare che il loro primo incontro sia avvenuto in occasione dell’Esposizione Annuale Permanente apertasi nel nuovo Palazzo della Società per le Belle Arti in via Principe Umberto a Milano. Troubetzkoy vi aveva esposto due bronzi (un Leone e un’Impressione dal vero) e Rietti sei pastelli: tre ritratti, due Impressioni e la figura di una Ciociara[3]. La mostra dava agli artisti una grande visibilità, il campionario di opere raccolte era vasto ed era un’occasione per vedere le migliori firme di quel momento: Fattori, Previati, Bazzaro, Gignous, Conconi, Mosé Bianchi e, tra gli altri, un pittore che Paul già conosceva, ma che sarebbe presto diventato anche per Rietti un compagno di scorribande e un amico fraterno: Emilio Gola. Rampollo della nobiltà milanese e di una decina di anni più anziano, Gola aveva portato alla Permanente due oli: uno Studio dal vero e una suggestiva veduta del Naviglio. Lo stile sciolto e guizzante di Gola che, secondo Giolli, “non racconta e non descrive: canta”,[4] il suo sentire palpitante, il suo affiatamento con la pittura parigina, non possono che incontrare l’ammirazione e l’interesse dei due giovani artisti che in lui riconoscono subito un compagno di strada.[5]
Arturo Rietti, Progetto per un ritratto. Roma, collezione privata.
A testimonianza della loro frequentazione, di quegli anni resta uno schizzo conservato nell’archivio Rietti, un disegno con due sagome, quasi due ombre, e l’annotazione: “Progetto. Ritratto Gola e me insieme, in Galleria (in fondo Mentessi Conconi e Troubetzkoy)”.[6] Il 1887, però, per i Troubetzkoy è un anno difficile: l’elegante Villa Ada, edificata tra il 1866 e il 1868 in stile chalet bernese, su progetto dell’architetto Pietro Bottini, è stata messa all’asta a causa del grave dissesto finanziario che aveva colpito la famiglia. La Villa, che portava il nome della mamma, Ada Winans,[7] era grandiosa e l’intera proprietà si estendeva tra i comuni di Cargiago e di Ghiffa con alcune dependance che potevano accogliere numerosi ospiti, oltre a serre e aiuole costruite per assecondare la passione botanica del principe Pietro. L’interno, lussuoso e confortevole, era arricchito da una notevole collezione d’arte che comprendeva sia opere di giovani promesse della pittura sia capolavori dei più importanti artisti del momento, soprattutto di scapigliati come Cremona, Grandi, Gola e in particolare Ranzoni, che per un certo periodo vi aveva addirittura allestito il proprio studio.
Il 6 maggio del 1889 a Parigi apre l’Esposizione Universale e nel padiglione italiano ritroviamo il collaudato terzetto: Gola, con un paesaggio della Maremma pisana (n. 93) e il Ritratto del pittore Pompeo Mariani (n. 94); Troubetzkoy con una Piccola testa in marmo (n. 317), un Ritratto in gesso (n. 318) e un Cane in bronzo (n. 319), e Rietti, che espone due pastelli (n. 218 Jeune homme e n. 219 Marquette) ed è premiato con la medaglia d’argento. Poco prima di partire per la Francia i tre non hanno mancato nemmeno l’appuntamento con l’Esposizione Annuale alla Permanente, dove Rietti era presente con due Impressioni a olio e tre ritratti femminili a pastello; Troubetzkoy con un Busto in bronzo e una Giovenca, anch’essa in bronzo e Gola con due Impressioni a pastello. È interessante constatare come nei titoli di tutti e tre compaia spesso il termine “impressione”, come a segnalare una vicinanza con le esperienze francesi. In realtà non è così. Anche se i frequenti contatti con Parigi li portano a confrontarsi con le opere di Monet, Degas, Renoir, il loro “impressionismo” nasce invece in Italia, dalla tradizione lombarda, dalla pittura del Piccio prima e del Faruffini poi. Una pittura in cui non è importante l’attimo, ma il palpito della natura, il fremito del pennello, la malinconia del sentimento e il respiro del colore. Lo sottolinea anche Giolli quando dice che a Gola “L’impressionismo appariva quale un principio eterno e lo ritrovava in tutti i Paesi e in tutte le epoche dell’arte. Basti dire ch’egli considerava Michelangelo come un impressionista sublime”.[8] Rietti e Troubetzkoy appartengono a questa linea di pensiero, quindi le esperienze pittoriche francesi le filtrano prima di tutto con le loro radici e poi con la Scapigliatura lombarda.[9] Un altro elemento che possiamo evidenziare è quello della frequente presenza di animali nel repertorio di Troubetzkoy. Convinto e indefesso vegetariano, Paul adorava circondarsi di cani, orsi, cavalli, che nutriva seguendo i principi vegani e che amava immortalare in splendide sculture singole o all’interno di gruppi plastici, come più volte ha fatto con il suo fidato lupo Vaska, che anche Rietti non manca di citare.[10] Nel 1893 Troubetzkoy, Rietti e Gola si ritrovano, per l’ultima volta insieme, alla mostra Internazionale degli acquarelli nelle sale della Permanente[11]. Gola ha quattro opere (Sera; Ritratto; Lungo il canale; Dintorni di Milano), Troubetzkoy sei, ma di queste solo due sono acquarelli (Cavaliere indiano in vedetta e uno senza titolo), gli altri sono gessi: Sola!; Progetto di monumento a Dante; All’Oasi e Nel deserto. Rietti, invece, ha portato due studi a pastello.
Cartolina di Paul Troubetzkoy a Rietti. Roma, collezione privata.
Abbandoniamo ora le vicende espositive e analizziamo qualche stralcio della loro corrispondenza. In tutto sono sopravvissute una ventina di lettere e di queste solo una è a firma di Rietti, si tratta di una cartolina inviata da Parigi (la data è illeggibile), con l’immagine di un dipinto di Velasquez e tre brevi messaggi scritti da tre mani diverse: Pascarella, Anatolia e Rietti.[12] Le missive sono solitamente brevi, con poche informazioni: dei cenni che riguardano i luoghi, le mostre o, più raramente, i progetti di lavoro. È noto che Paul aveva una certa avversione alla scrittura e alla lettura, per questo spesso le sue lettere sono imprecise nell’ortografia e nella grammatica. Lui stesso non nasconde la propria pigrizia:
“Avevo tanto aspettato a scriverti che non sapevo quale scusa prendere per scolparmi, e la pigrizia è tale per scrivere che ogni giorno passo coi rimorsi e di più in più mi viene la ripugnanza di prendere la penna”. [13]
Lettera di Pierre Troubetzkoy a Rietti dall'Inghilterra.
Sono però utili per ricostruire una mappatura degli spostamenti, per riposizionare delle date e per cogliere gli umori. In particolare, si comprendono meglio i contatti di Rietti con Parigi, dove Paul si era trasferito alla fine del 1905:
“a Parigi è più che certo che nessuno è capace di fare un ritratto che lontanamente si avvicini, faresti proprio bene di venire qua. […] . Potresti venire ad abitare da me abbiamo una stanza a tua disposizione fa il tuo possibile di venire; il 20 maggio io faccio una grande esposizione dei miei lavori. Io qua ho già parlato di te a diverse persone, e credo potresti avere qualche ritratto da fare. In quanto a quel signor Groscano [?] che ti ha scritto è un pittore che cerca di organizzare un'esposizione internazionale di pastellisti annuale da Georges Petit. Petit è il luogo più conosciuto di tutto Parigi e certo faresti bene a farne parte. Aspetto presto una tua lettera dove mi dici che vieni, qua abitiamo una casa con un giardino e non distante dal centro, vieni e ci divertiremo.”[14]
Paul ogni volta che incontra collezionisti, artisti e mercanti non manca di raccomandare l’amico:
“Quel signore ungherese non è ancora venuto. Certo che se venisse non dimenticherò di dirgli, se mi domanda, che prendi pei ritratti dai 5000 ai 6000 fr. Certo sarebbe stato bene se tu fossi stato qua di fare assieme il viaggio a Pietroburgo. Spero che questa ti troverà ancora a Vienna. Noi qua si fa la solita vita. Hai molte ordinazioni di ritratti a Vienna? Io ho fatto ultimamente diverse cose forse meno peggio di quelle fatte prima”.[15]
Alla fine del 1910 Paul progetta un viaggio a New York. La trasferta americana doveva servire per incontrare il fratello Pierre, che da tempo ci viveva[16], ma anche per trovare un nuovo mercato. “Io parto il 31 di questo mese 31 Dicembre dal Havre alle 2 col vapore Savoie per New York. Se fai a tempo potresti telegrafarmi a Parigi la tua decisione, io certo sarei contentissimo di fare il viaggio assieme. […] Credo che là potresti trovare del lavoro. Se non vieni ora certo che parlerò di te dovresti mandarmi delle fotografie di tuoi ritratti […]”.[17]
Quando torna dalla prima trasferta americana, Paul realizza il ritratto di Rietti, la cui versione in bronzo si trova oggi al Museo Revoltella di Trieste. La posa naturale, lo sguardo sereno, il consueto sigaro tra le dita rendono giustizia all’immagine dell’amico; mentre la plasticità di una materia mossa e vibrata e lo “strappo” della parte sinistra, che fa apparire il tutto non finito o, come si usava dire, “un’impressione”, inserisce questo busto tra le opere ancora scapigliate e tra quella famiglia di volti che costituiscono una delle più intense testimonianze di quella loro bella amicizia.
Note [1] Elin Sofia Sundström, figlia di Andres e Sofia Guater, nata a Stoccolma nel 1883. Paul e Elin si sono conosciuti nel 1898 a Stoccolma, dove lo scultore si trovava per partecipare a una mostra e si sono sposati quattro anni dopo.
[2] L’elenco delle opere andate distrutte è riportato nell’inventario allegato all’atto di notorietà redatto il 12 aprile del 1945 dal notaio Cesare Crosetto di Novara, conservato presso l’Archivio Notarile di Verbania e pubblicato in “Verbanus”, n. 9, Alberti Editore, Intra 1988, pp. 44-48. Da quell’elenco, che suddivide le opere negli spazi della casa, si apprende che di Rietti nel corridoio c’era (indicato con il n. 10) un Disegno (Grammatica) 40 x 30 cm; nella stanza di Paul (n. 32) un altro disegno, un Ritratto 30 x 20 cm; nel salone tre opere: un Autoritratto ad olio 30 x 20 cm (segnato con il n. 70), un disegno raffigurante una Partita a scacchi (n. 71) 40 x 30 cm e un Ritratto di Paul Troubetzkoy 30 x 20 cm (n. 72) di cui non si conosce la tecnica.
[3] Ringrazio Elisabetta Staudacher, responsabile dell’Archivio e della Biblioteca della Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano, per avermi fornito informazioni e dettagli preziosi per questa ricerca.
[4] R. Giolli, Emilio Gola. Colloquio con Gustavo Botta, “Poligono”, IV, n. 2, Milano, dicembre 1929, pp. 60-65.
[5] Paul Traubetzkoy e Emilio Gola saranno presenti anche alla mostra dell’anno successivo: Gola con due oli (Ritratto e Sole d’autunno) e Troubetzkoy con un gruppetto in bronzo intitolato Impressione e un Cane, anch’esso in bronzo. Rietti non risulta tra i partecipanti.
[6] Ringrazio Anna Caterina Alimenti Rietti e Yardenith Rietti dell’Archivio Rietti di Roma per la collaborazione, la disponibilità e la generosità con cui mi hanno messo a disposizione i documenti. D’ora in avanti le lettere dell’archivio saranno indicate con [AR].
[7] Cantante lirica newyorkese, la cui carriera si arrestò con il matrimonio e il titolo nobiliare, Ada Winans era donna di larghe vedute, oltre che fulcro e animatrice dell’intensa vita mondana della bella dimora. Fu lei che spinse e incoraggiò i figli a seguire la propria indole artistica.
[8] Giolli 1929, pp. 60-65.
[9] Russi da parte di padre e americani da parte di madre, tutti i fratelli Troubetzkoy sono però nati in Italia: Piero a Milano nel 1864, Paolo a Intra nel 1866, Luigi a Ghiffa nel 1867.
[10] Pure Luigi era vegetariano e probabilmente lo erano tutti i componenti della famiglia e su tutti coloro che frequentavano la loro mensa veniva portata avanti una serrata opera di convincimento. Lo si evince anche da una lettera che Paul invia a Rietti il 29 aprile 1908 [AR].
[11] Tre anni prima Rietti e Troubetzkoy, ma non Gola, avevano di nuovo esposto all’Annuale della Permanente.
[12] Nel Fondo Troubetzkoy del Museo del Paesaggio è conservata una fotocopia di questa cartolina. Non si conosce l’ubicazione dell’originale.
[13] Lettera di Paul Troubetzkoy a Rietti, datata 22 maggio 1909 [AR].
[14] Lettera di Paul Troubetzkoy a Rietti, 29 aprile 1908 [?] [AR].
[15] Lettera di Paul a Rietti, 22 dicembre 1909 [AR].
[16] Nelle sue memorie il fratello Luigi narra brevemente la vicenda artistica di Pierre (1864-1935). Pierre aveva studiato pittura con Daniele Ranzoni, a Villa Ada, aveva tentato la fortuna Milano ma, deluso decise di andare a Londra dove conobbe la scrittrice americana Amelia Rives. La sposò e partì con lei per gli Stati Uniti. Cfr. Dalle "memorie" di Luigi Troubetzkoy, a cura di A. Cavalli Dell'Ara, "Verbanus", n. 6, Verbania, 1985, pp. 254-257.
[17] Lettera di Paul a Rietti, 28 dicembre 1910 [AR].
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