Barbara Sturmar
"Non ho potuto disobbedire alla mia coscienza". » L’amicizia tra Arturo Rietti e Italo Svevo
Abstract
Ma contribution veut tracer le rapport d'amitié entre le peintre et Ettore Schmitz, alias Italo Svevo, en s'appuyant sur des témoignages historiques ainsi que sur des documents d'archives, parfois inédits. L'étude commencera par une analyse approfondie des lettres qu'Arturo Rietti adressa au célèbre écrivain, afin de faire la lumière sur les moments les plus significatifs de la relation entre les deux artistes; il s'agit d'un sujet que la critique a traité d'une façon approximative et partielle. Je prendrai en considération les affinités esthétiques, les ressemblances inattendues concernant leur vies, et d'autres aspirations littéraires qu'on peut retrouver dans cette relation amicale (Joyce, par example). L'article analysera, en outre, tous les portraits que Rietti a réalisé pour Livia Veneziani, chère épouse du romancier, et il cherchera à identifier d'ultérieures mises en abyme se référant à Svevo dans d'autres œuvres du peintre triestin. Pour conclure, l'étude comparera la capacité de Rietti à restituer les émotions les plus intimes de ses personnages avec la technique d'écriture de Svevo, un écrivain capable d'une profondeur psychologique de la même sorte. Les résultats de cette comparaison permettront finalement de réinterpréter les auto-portraits de l'artiste: incapable de “disobbedire alla sua coscienza” et à son inspiration.
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Agli inizi del Novecento «il maestro del ritratto[1]» Arturo Rietti ha già ottenuto numerosi riconoscimenti ufficiali e un discreto successo, tuttavia è assillato da alcune preoccupazioni di carattere finanziario, che tra il 1905 e il 1907 lo inducono a scrivere reiteratamente a Ettore Schmitz alias Italo Svevo. Grazie al matrimonio con Livia Veneziani lo scrittore vive agiatamente a Trieste, lavorando nella ditta dei facoltosi suoceri. Il pittore si sfoga, si confida e condivide con il letterato le amarezze, che in quegli anni avvelenano il suo animo. Svevo legge con attenzione queste missive, risponde puntualmente, dimostra empatia, si rivela comprensivo, sostiene (anche economicamente) l’amico, gli ricorda che suo fratello lo «cerca per certe commissioni [….] importanti.»[2] Rietti definisce i familiari del romanziere gente «di prim’ordine»[3] enfatizzando le dicotomie tra i loro stili di vita e la precarietà contingente della sua situazione: anni vissuti tra Brescia, Milano, Venezia e Trieste, nell’auspicata speranza di riscattarsi da quella fastidiosa indigenza. Tuttavia grazie ai numerosi viaggi la formazione dell’artista è in costante aggiornamento, nel 1903 espone a Vienna, nel 1905 in Inghilterra,[4] inoltre a partire dal 1897 il Maestro è ripetutamente presente alle Biennali di Venezia[5], dove Svevo lo omaggia con le sue visite «all’Esposizione»[6] e si dispiace perché l’arte non permette a Rietti di ricavare la stessa «felicità» che dona a tutti i suoi fruitori.[7] Parallelamente al Maestro, lo scrittore vive un travagliato periodo artistico: pochi anni prima ha pubblicato a sue spese due romanzi, senza ottenere quel successo che anelava di raggiungere grazie alla letteratura. Tormentato e costretto a guadagnarsi da vivere lavorando indefessamente per la ditta Veneziani, il letterato si sente vittima d’incomprensioni: i suoi parenti acquisiti - inquadrati esponenti dell’ottusa mentalità borghese - considerano il tempo che dedica alla scrittura un’inutile perdita di tempo. Svevo si confida con Rietti. Il 29 agosto 1906 i due amici s’incontrano a Trieste al Cimitero di Sant’Anna, in occasione dello scoprimento del busto marmoreo che ritrae Umberto Veruda, un’opera dedicata al compianto amico a due anni dalla morte da Giovanni Mayer. Rietti e Svevo assistono alla cerimonia e trascorrono parte della giornata insieme: il pittore accompagna l’amico nel suo studio, dove gli fa vedere i suoi lavori; Svevo ne rimane impressionato e li definisce «cose magnifiche».[8] A più riprese lo scrittore dimostra il suo apprezzamento nei confronti del lavoro del ritrattista: ammirando il ritratto di Sybil Sanderson Svevo definì “squisita” l’arte di Rietti, talmente coinvolgente da farlo innamorare e impedirgli di distogliere lo sguardo dall’opera.[9] Ritornando all’incontro del 29 agosto 1906, Rietti sostiene di sentirsi obbligato nei confronti del romanziere, per l’aiuto finanziario che gli aveva concesso un anno prima e che non aveva ancora onorato; Svevo lo rassicura, senza fargli alcuna pressione afferma che solo loro due sono a conoscenza della delicata questione. Probabilmente grazie al clima confidenziale della conversazione, Svevo ripercorre le tappe del suo difficile rapporto con il successo letterario e Rietti si permette di spronarlo, inducendolo ad assumere atteggiamenti propositivi, nonostante le annose occupazioni lavorative.[10] È noto che per pareggiare i conti con l’amico, il Maestro dipinse l’anno successivo il ritratto di Livia Veneziani, moglie di Svevo, opera caratterizzata da una raffinata e vellutata morbidezza della pennellata.
Arturo Rietti, Disegno
preparatorio per il Ritratto di Livia Veneziani. Collezione privata
Il disegno preparatorio fa emergere quella tipica modalità esecutiva elaborata dall’artista, che «consiste nell’accennare e suggerire le forme attraverso una matassa indistinta di segni apparentemente casuali» e che trova il suo archetipo operativo nella sua passione giovanile per il disegno.[11] Dalle lettere di Rietti si evince che il lavoro per il ritratto di Livia dura parecchi mesi a causa dei numerosi impegni, già precedentemente accollati dal pittore. Nella missiva del 21 maggio 1907 il ritrattista si definisce «un mascalzone […], vittima di un maledetto incarico», inoltre afferma che qualora la moglie di Svevo «dovesse esser partita, le correrei dietro dove che sia perché ci tengo assai a questo studio e spero di poterglielo provare col modo in cui lo farò.»[12] Poi il pittore chiede a Svevo di poter incontrare ancora «la Sua Signora», affinché possa terminare il ritratto: egli necessita un’ulteriore seduta della modella, perché il ritratto non “va bene”, quindi lo prega di non negargli l’appuntamento, dimostrandosi desideroso di “migliorare”, anzi addirittura «salvare» l’opera.[13] Che siano queste titubanze a determinare l’esistenza di una seconda versione del ritratto? Come Maurizio Lorber ribadisce a più riprese, Rietti è stato un pittore meticoloso nel suo procedere artistico, che talora ha dimostrato una certa ritrosia nella consegna dei lavori. Il ritratto di Livia lo coinvolse in modo particolare visto il legame d’amicizia con Svevo, di conseguenza egli ci teneva a consegnare un’opera che cogliesse appieno la personalità della signora Schmitz, soddisfacendo le aspettative di artefice e committente. Nella versione che oggi si trova nelle mani degli eredi dello scrittore, Livia è immortalata di tre quarti, con un’espressione serena e veste un abito chiaro, mentre in un’altra opera, di cui esiste solo una fotografia nell’archivio Rietti, la donna è più seria, ha una posizione frontale e indossa un vestito scuro, che fa risaltare la parure di perle.[14] Sicuramente la versione più nota è maggiormente pervasa da quel sentimento di placida quiete che contraddistingueva caratterialmente Livia e che Rietti aveva saputo cogliere anche verbalmente, soprannominandola “Madonna serenità”; un appellativo che pare divertisse anche James Joyce, frequentatore di Villa Veneziani proprio dal 1907. Gli interni della lussuosa dimora, risaputo luogo d’incontro delle personalità citate, sono la cornice di diverse fotografie del Fondo iconografico del Museo sveviano, tra queste l’immagine che ritrae Livia comodamente seduta su una sedia a dondolo e intenta a cucire è stata avvicinata da Lorber al pastello di Rietti Interno familiare con pianoforte, uno dei rari esempi di pittura d’interni dell’artista, che riproduce, con l’eleganza del segno rapido e sicuro, l’ambiente tipico di una casa alto borghese del tempo.[15] Considerando inoltre che negli anni in cui Rietti frequenta la famiglia Schmitz la figlia Letizia ha età e fisionomia affini alla bimba seduta ai piedi della figura femminile, che i Veneziani erano degli appassionati di musica e che possedevano più di un pianoforte, si evince che più particolarità avallano la stretta prossimità delle due immagini. Esiste inoltre un disegno a matita di proprietà della Fondazione CRTrieste, che assomiglia sorprendentemente alla posa di Livia in questo scatto e che sembra nuovamente confermare l’ipotesi.
Arturo Rietti, Ritratto femminile. Trieste, Fondazione CRTrieste
Inoltre la medesima collezione contempla anche un delicato busto femminile, che pare davvero un ulteriore ritratto della moglie dello scrittore, forse il disegno preparatorio del Ritratto femminile di cui si è occupata recentemente Alessandra Tiddia[16] identificandolo come ritratto di Livia? Tali lavori confermerebbero l’impegno e la dedizione profusi dall’artista per accontentare l’amico Ettore, che aveva supportato il Maestro con discrezione e generosità. Per “pareggiare i conti” Rietti desiderava donare a Svevo qualche sua opera, infatti già nella missiva del 24 luglio 1905 segnalò all’amico la presenza a Trieste di 16 dipinti disponibili in garanzia per l’amico; due anni dopo (nella lettera inedita del 21 maggio 1907 a Svevo) il pittore fece nuovamente riferimento a tali lavori, citando anche lo Studio di giovinetta, medaglia d’oro a Monaco.[17] Volendosi ancora sdebitare, il 29 agosto del 1907, giorno dell’incontro a Sant’Anna, Rietti propose allo scrittore di ritrarlo e nel suo atelier, promettendogli di eseguire il lavoro rapidamente, in sole quattro ore; purtroppo Svevo non aveva tempo, i soliti impegni lavorativi lo obbligavano a partire per Venezia entro poche ore, quindi si trovò costretto a rinunciare all’offerta dell’amico.[18] A questo punto, considerando che in seguito Rietti eseguì i ritratti a Livia di cui si è trattato sopra, non sembra azzardato presumere che l’artista abbia abbozzato almeno un rapido disegno dell’amico.
Arturo Rietti, Uomo che fuma con tuba. Trieste, Pinacoteca Lloyd Adriatico
Che si tratti dell’Uomo che fuma con tuba[19]? Un carboncino di proprietà della Allianz S.p.A., in cui la posa disinvolta, i baffi, la paglietta e ovviamente l’immancabile sigaretta paiono accreditare l’intuizione. Le nere linee essenziali sono segni rapidi, impetuosi, capaci di rendere «una verità segreta, profonda, dell’anima del soggetto.»[20] Nella prospettiva psicologica, lo sguardo assente, la posa insicura e la tensione smorzata dal tabagismo sono rese mirabilmente dal tratto nervoso di Rietti: capace di trasferire incisivamente su carta il carattere del soggetto e quella fastidiosa insoddisfazione che il letterato aveva confidato all’artista? In assenza di titoli e altri espliciti riferimenti, sono i fruitori a conferire al disegno la qualifica di ritratto, perché innesca complessi meccanismi di proiezione: tanto che l’immagine pare funzionare perfettamente come un ritratto di Svevo.[21] Tutto ciò confermerebbe che “lo scrutatore di anime” Rietti, ha saputo cogliere nel segno anche in quest’occasione. La vicinanza culturale del Maestro al letterato, la conoscenza delle lingue straniere (Rietti parlava, come Svevo, tedesco, francese e inglese), le loro comuni origini ebraiche (Moisé Alexandro Riettis era un agiato commerciante di Zante, di origine e fede ebraica), l’assenza di una solida figura paterna di riferimento, la convinta fede irredentista, l’intolleranza ai fenomeni di avanguardia artistica e il parallelo rifiuto della critica avvicinerebbero ulteriormente i due talenti.
Non mi aspetto nulla di buono da nessun critico italiano.[22]
Entrambi, nei rispettivi percorsi artistici, si sono dedicati rispettivamente all’analisi introspettiva dei soggetti rappresentati e dei personaggi letterari, tanto che per Rietti si può parlare d’intimismo psicologico della ritrattistica.[23] Una ricerca che per il percorso letterario di Svevo si sublima nel capolavoro La coscienza di Zeno, in cui vengono soverchiate le forme classiche della narrazione, privilegiando l’analisi introspettiva. La scoperta della psicanalisi e il mondo dell’inconscio offrirono nuovi e illuminanti strumenti agli artisti più sensibili del primo Novecento, utili per comprendere i problemi, i conflitti e le aspirazioni dell’uomo moderno, che schiacciato dalla sua mediocrità, si rivela un inetto, talvolta ipocondriaco, insicuro o debole, comunque profondamente umano e sereno solo se fedele a sé stesso. Non a caso con i numerosi autoritratti di Rietti si ha l’impressione che l’artista si sia studiato in diverse pose, poi come un regista raffinato abbia definito l’inquadratura e posizionato il soggetto. In queste opere la luce radente disegna, accentua e colpisce il soggetto, risultando fonte d’ispirazione continua. A lavoro ultimato, i quadri contengono non solo gli elementi caratterizzanti della sua persona, ma anche la sua anima tormentata.
Arturo Rietti, Autoritratto. Trieste, Civico Museo Revoltella
Gli unici autoritratti in cui Rietti pare più stabile e alquanto sereno paiono quelli in cui è ben visibile la tavolozza[24], forse solo “i ferri del mestiere” ben in vista potevano donare un puntello, un solido bastone rassicurante al suo spirito indomito? Allora veramente come aveva confessato a Svevo, egli “non poteva disobbedire alla sua coscienza”[25] e alla sua ispirazione. Confermando tali affermazioni con le parole di Stefano Ferrari il pittore quando esegue un ritratto deve, in qualche modo, vedere dentro al soggetto per poi rappresentare all’esterno i risultati di questa sua visione; sotto questo profilo la fisiognomica costituisce un mezzo che gli consente prima di vedere attraverso la maschera del volto, poi di rappresentare efficacemente ciò che ha osservato. Grazie a questa capacità di decifrazione e interpretazione, l’artista entra nel personaggio e ciò rappresenta che l’immedesimazione ha avuto luogo.[26]
In Volti di uomo e donna sovrapposti[27] il profilo dell’uomo di chiara fisionomia semita si contrappone alla bionda testa femminile della tipica Shiksa: curiosa e ulteriore mise en abyme di contesto sveviano? In conclusione si auspica che il presente contributo, fondamentale per il ritrovamento di cinque lettere inedite di Rietti e due di Svevo, possa ispirare altri approfondimenti sul rapporto tra i due artisti, sgrezzando quella crosta aneddotica che aveva tolto respiro e coscienza alla loro intesa.
[1] S. Benco, Mostra postuma di Arturo Rietti, Trieste 1949, p. 6. [2] I. Svevo, Lettera inedita ad Arturo Rietti, 28 luglio 1905, RAR. [3] A. Rietti, Lettera inedita a Italo Svevo, Milano, 16 agosto 1905. [4] Id., Lettera inedita16 agosto 1905, RAR. [5] G. Dadati, Arturo Rietti in La Belle Epoque. Arte in Italia 1880-1915, Silvana Editoriale, Milano, 2008, p. 234. [6] I. Svevo, Lettera 6 agosto 1905, Epistolario, a cura di B. Maier, Milano 1966, p. 418. [7] Id., Lettera inedita a Rietti, 28 luglio 1905, RAR. [8] Id., Lettera del 29 agosto 1906, Epistolario, cit., p. 444. [9] S. Benco, Ricordo del pittore Arturo Rietti, “La Fiera letteraria”, 27 giugno 1946. [10] It. Svevo, Lettera del 29 agosto 1906, Epistolario, cit., p. 444. [11] M. Lorber, Arturo Rietti, Trieste 2008, p. 21 [12] A. Rietti, Lettera a Ettore Schmitz, 21 maggio 1907, Lettere a Italo Svevo, Diario di Elio Schmitz, a cura di B. Maier, Milano 1973, p. 96. [13] Id., Lettera inedita a Italo Svevo, senza data, (post quem 21.5.1907-ante quem 1.1.08); Museo sveviano, FS Corr.A 95.8-1, 2. [14] A questo proposito si precisa che recentemente sono sorte delle perplessità sull’identificazione della donna ritratta con la stessa Livia, supportate dalle osservazioni da Anna Caterina Alimenti Rietti e dalla scrivente. [15] Lorber 2008, p. 165 [16] A. Tiddia, Una piuma turchese. Rietti e il ritratto di Livia Veneziani Svevo, «Aldèbaran. Storia dell’arte», Vol. 1, I 2012, pp. 211-218 [17]A. Rietti, lettera inedita, 21 maggio 1907; RAR [18] I. Svevo, Lettera, 29 agosto 1906. Epistolario, cit., p. 444 [19] A. Rietti, Uomo che fuma con tuba, in M. Lorber 2008, p. 194. [20] Id., Pensieri sull’arte di Arturo Rietti, «L’arte», gennaio-marzo, vol. XXIII, anno LVII, 1958, p. 47. [21] S. Ferrari, La psicologia del ritratto nell’arte e nella letteratura, Roma-Bari 1998, p. 59. [22] A. Rietti, Lettera inedita del 16 agosto 1905, RAR. [23] G. Dadati, Arturo Rietti in La Belle Epoque. Arte in Italia 1880-1915, Milano 2008, p. 234. [24] A. Rietti, Autoritratto in M. Lorber 2008, p. 178; Id., Autoritratto con tavolozza in M. Lorber 2008, pag. 238. [25] Id., Lettera inedita, senza data, (post quem 21.5.1907-ante quem 1.1.08); Museo sveviano, FS Corr.A 95.8-1, 2. [26] Ferrari 1998, p. X. [27] Id., Volti di uomo e donna contrapposti in M. Lorber 2008, p. 195.
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