Marco Favetta
Arturo Rietti tra Milano e Fontaniva
Momenti di vita e d’arte di un pittore cosmopolita
Abstract
In
early 1940, after the death of his wife Irene Riva, Rietti moved to
Milan where he had important friendships with Gustavo Botta, Count Gola,
the Casati and the Dukes Gallarati Scotti.
In
1942, thanks to the Duchess Aurelia’s intervention, who was born
Cittadella-Vigodarzere, Rietti could escape the bombing of Milan and be
hosted in the family villa in Fontaniva, where he retired for the last
months of his life and escaped the tragedy of war. The villa
Cittadella-Vigodarzere was one of the dearest places to the
painter from Trieste, who stayed there several times since the twenties,
as a guest of the Countess Maria Cittadella-Vigodarzere, the
sister of Aurelia, who also gave him the chance to portray the great
philosopher Benedetto Croce. Thanks to some archival documents and the
direct testimony of the administrator’s daughter of the villa, Bianca
Semenzato, we tried to reconstruct the latest biographical events of
Rietti’s life between 1942 and 1943, the year of his death. The
transfer phases from Milan to Fontaniva are partly documented in an
important letter sent by the accountant James De Palma to Antolia
Rietti, the daughter of the painter, in March 1943.
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Dopo aver vissuto gli ultimi dieci anni a Trieste, la morte della moglie Irene Riva indusse Rietti a trasferirsi nel 1940 a Milano dove poteva contare su numerose amicizie tra le quali ricordiamo Gustavo Botta, il conte Emilio Gola[1], la famiglia Casati e i duchi Gallarati Scotti. L’appoggio dei Gallarati Scotti, considerata l’influenza della famiglia nella città meneghina[2], fu fondamentale per Rietti durante il regime viste le sue origini greco-ebraiche. L’amicizia con i duchi Tommaso e Aurelia Gallarati Scotti risaliva all’inizio degli anni Venti, periodo nel quale l’artista eseguì i loro ritratti[3].
Arturo Rietti, Ritratto
della duchessa Aurelia Gallarati Scotti. Collezione privata
Intorno alla metà del 1942 Rietti lasciò il capoluogo lombardo grazie al generoso aiuto di Giacomo De Palma e soprattutto all’intervento della duchessa Aurelia Gallarati Scotti, nata Cittadella Vigodarzere, che gli permise di rifugiarsi negli ultimi mesi di vita nella sua villa di famiglia a Fontaniva La prestigiosa villa Cittadella-Vigodarzere[4] fu uno dei luoghi più cari al pittore, infatti a partire dagli anni Venti vi soggiornò più volte, ospitato dalla contessa Maria Cittadella-Vigodarzere[5]. Ben inserito nel circolo della nobile, amica di importanti figure liberali e antifasciste come Alessandro Casati e Carlo Sforza, Rietti si sentiva a suo agio, potendo in quell’ambiente esprimere liberamente le sue opinioni personali e politiche[6], ed ebbe anche l’occasione di ritrarre il grande filosofo Benedetto Croce[7].
Arturo Rietti, Ritratto di Profilo di Maria Cittadella Vigodarzere, collezione privata
Rietti realizzò anche un ritratto di Maria Cittadella che, pur essendo eseguito con rapidità di segno, riesce a cogliere nel profondo l’animo dell’effigiata attraverso l’intensità dello sguardo[8].
Arturo Rietti, Ritratto del conte Antonio Maria Cittadella Vigodarzere, collezione privata
Nella villa di Fontaniva, angolo ameno e tranquillo della campagna padovana, Rietti immortalò anche il padrone di casa, il conte Antonio Cittadella-Vigodarzere[9], padre delle contesse Aurelia e Maria Cittadella. Rispetto a tanti altri ritratti a disegno solo abbozzati, questo foglio rappresenta un unicum nella produzione grafica proprio per la cura del dettaglio. Dalle finestre della “Camera Rossa”, dove soggiornava nel corso del 1936, Rietti si dilettò, per gusto prettamente personale, a ritrarre il magnifico parco della villa Cittadella-Vigodarzere progettato con ogni probabilità da Giuseppe Japelli, concentrando il suo sguardo sulla zona del laghetto, come documentano una serie di vedute di quel periodo.
Arturo Rietti, Veduta del Parco Cittadella Vigodarzere, collezione privata
Ci interessa particolarmente soffermarci su una Veduta del Parco Cittadella-Vigodarzere, conservata in collezione privata. In primo piano viene abbozzata in diagonale la ringhiera della finestra, che dona dinamismo alla prospettiva dell’opera. Quest’olio su tavola testimonia la passione personale e l’interesse del ritrattista anche per il genere dei paesaggi, oltre che per le nature morte con i fiori e i bambolotti giapponesi. Nella tarda primavera del 1942 la duchessa Aurelia Gallarati Scotti ospiterà nuovamente nella villa l’artista. La nobildonna, oltre a mettere a disposizione la sua casa, chiese al suo amministratore Romano Semenzato di occuparsi dell’artista come se si trattasse di Lei stessa. Indagando diverse carte d’archivio e grazie alla testimonianza diretta di Bianca Semenzato[10], figlia dell’amministratore della villa, si è cercato di ricostruire le ultime vicende biografiche di Rietti a cavallo tra il 1942 e il 1943, anno della sua morte. Le fasi del trasloco da Milano a Fontaniva sono molto ben documentate dalla fitta corrispondenza[11] che il ragionier Giacomo De Palma ebbe con il triestino in quel periodo e soprattutto da una lettera memoriale[12] che descrive, inoltre, le operazioni di imballaggio delle opere di Rietti e la predisposizione delle casse nelle quali vennero collocate. Dalle missive sopracitate veniamo a sapere che, grazie all’interessamento personale del De Palma, gran parte delle cose del pittore, tra le quali le casse con le sue opere, vennero trasferite da Milano in Veneto utilizzando la ditta Domenichelli, la quale si occupò di più spedizioni[13] La presenza in villa dell’artista nell’ estate del ’42 è testimoniata da alcune lettere spedite dal pittore alla figlia Anatolia[14], che risiedeva a Roma. Rietti in quel periodo trascorse molto tempo all’aperto, girovagando nel parco e percorrendo i lunghi viali alberati nonostante soffrisse molto per il piede in cancrena diabetica.
Arturo Rietti, Ritratto di Roberto Semenzato all’età di 16 anni, collezione privata
Ad accompagnarlo nelle sue passeggiate c’era il giovane Roberto Semenzato, figlio dell’amministratore, che proprio in quei mesi estivi venne ritratto dal nostro artista in un bellissimo olio su tela. L’opera rivela come l’inesauribile vena artistica riettiana si rinnovò fino agli ultimissimi esiti. In questo dipinto scopriamo in effetti una spigliatezza ed una capacità interpretativa veramente sorprendenti. Giocando sul contrasto tra l’ombra e la luce, il bianco e il nero, Rietti riesce a dare corpo all’immagine del giovane sedicenne che fuoriesce con forza dallo sfondo grazie alla resa della pennellata.
Rientrato a Milano attorno alla metà di novembre, per occuparsi direttamente degli ultimi preparativi, Rietti vi rimase poche settimane infatti lasciò il capoluogo lombardo già alla fine dello stesso mese.[15] Tornato a Fontaniva le sue condizioni di salute peggiorarono, anche a causa dello stress causato dal trasferimento e il piede malato non gli permise più di alzarsi regolarmente. Faceva fatica a muoversi e sappiamo che la famiglia Semenzato si prese cura di lui. “Da quanti anni andavo sognando di studiare l’incredibile blu di questo cielo invernale, dietro il grande albero fra la villa e la casa di Romano. Ed ecco che mi ritrovo qui nel letto, lontano dalla finestra, e non posso neppure guardare il cielo”[16]. Tenuto sotto controllo sia dal medico condotto di Fontaniva che dal Prof. Gasparini dell’ospedale di Cittadella, talvolta fu visitato, grazie all’interessamento speciale della duchessa Aurelia, anche dal Prof. Vittorio Scimone, primario dell’ospedale civile di Padova, che lo curò proprio negli ultimi giorni di vita nella sua casa di cura patavina[17]. Il 31 dicembre del 1942 giunse in villa[18] Giacomo De Palma che propose all’amico pittore di aiutarlo a redigere un inventario di tutte le sue opere presenti in villa. L’idea venne accolta di buon grado dall’ artista. Nel suo memoriale De Palma riporta con dovizia di particolari ad Anatolia Rietti quello che successe nei giorni successivi. Sappiamo che nei primi giorni di gennaio del 1943 il lavoro fu intenso; molti quadri erano sprovvisti di firma quindi Rietti ebbe “la grande e delicata pazienza di graffiare un infinità di volte il suo nome su tele, legni e cartone, servendosi di un temperino”[19]. A fine lavoro Rietti per riconoscenza donò all’amico cinque dipinti[20]. De Palma partì dalla piccola località padovana in treno la sera del 3 gennaio, senza però portarsi via le opere appena ricevute in dono. Fu proprio Rietti a consigliare, visti i tempi e il disagio del viaggio, di lasciare i quadri in villa. Purtroppo fu l’ultima volta che i due amici si videro. A metà gennaio i dolori al piede malato divennero sempre più insopportabili come testimoniato da una lettera dell’artista: “Qui non si tratta più di medici e neppure di miracoli. Bensì della realtà. Un dito del piede è già perduto e la sola speranza che mi rimane è che la zona della necrosi sia, come dice il medico, bene delimitata. I dolori locali sono atroci”[21]. Il malato fu accudito con amorevole cura dai Semenzato come apprendiamo dalle sue stesse parole: “la famiglia del fattore mi assiste benissimo. Sono brave persone”[22]. Nonostante il prof. Scimone insistesse da settimane sulla necessità di trasportare l’ammalato presso la propria clinica all’ospedale civile, Rietti si era sempre rifiutato in maniera risoluta. A fine gennaio la malattia peggiorò bruscamente e Rietti, fu trasferito d’urgenza a Padova. La sera del 29 gennaio del 1943 l’artista venne ricoverato presso i dozzinanti dell’ospedale dove Vittorio Scimone aveva istituto un importante centro diabetologico. Nonostante i dolori atroci Rietti rimase lucido fino alla fine. Su un quaderno d’appunti annotò gli avvenimenti e trascrisse riflessioni poco piacevoli sul luogo e sugli infermieri[23]. Nell’ultima settimana di vita l’anziano triestino venne assistito con amorevole cura dalla figlia Anatolia, giunta da Roma il 30 gennaio, e da pochi conoscenti come la contessa Pia di Valmarana e i Semenzato. Dopo un’agonia durata otto giorni, come riporta il certificato di morte, Rietti spirò all’ospedale di Padova alle ore 18:20 del 6 febbraio 1943[24]. Dopo una breve funzione funebre, la salma di Rietti venne trasportata e sepolta nel piccolo cimitero di Fontaniva alla presenza della figlia Anatolia, della duchessa Aurelia Gallarati-Scotti,[25] di Romano Semenzato e di poche altre persone.
Tomba della Famiglia Semenzato con lapide Arturo Rietti, Cimitero di Fontaniva
Inizialmente il pittore fu deposto presso la tomba dei Marangoni[26], allevatori e agricoltori della zona, che egli aveva avuto modo di conoscere personalmente e poi, intorno alla metà degli anni Sessanta finalmente, per volere e desiderio del dell’amministratore, la salma del pittore venne trasferita nella tomba di famiglia dei Semenzato come riporta la lapide posta al suo interno: “arturo rietti. pittore 1863-1943”.
Arturo Rietti, Autoritratto, collezione privata Arturo Rietti, Autoritratto, collezione privata (cfr. nota 27)
Vogliamo concludere questo intervento segnalando un piccolo Autoritratto[27] inedito, eseguito a matita e carboncino e conservato in collezione privata, databile agli ultimi anni di vita, nel periodo reso amaro, oltre che dalla vecchiaia, anche dalla malattia. Rietti si ritrasse su fondo neutro con il busto di tre quarti, il volto ruotato verso lo spettatore con addosso una giacca da camera scura come nell’Autoritratto conservato presso i depositi degli Uffizi. Nonostante sia smagrito e stanco, il grande artista non rinuncia a raffigurare se stesso con uno sguardo ancora sicuro ed orgoglioso, raccontando con totale sincerità fino all’ultimo, la propria condizione umana. “… molto spesso un autoritratto vale più di tanti quadri e molto più di tante parole per comprendere gli intenti di un artista.”[28].
Ringraziamenti Desidero ringraziare Errica Nardin e Paola Basso, per i consigli e l’aiuto generoso. Per la sua gentilezza, il confronto continuo e la massima disponibilità dimostratami in tanti momenti, ringrazio vivamente la Signora Anna Caterina Alimenti - Rietti.
[1] Per lo stretto legame che unì Botta e Rietti cfr. M. Favetta, Arturo Rietti: ritratti e lettere dalla raccolta Gustavo Botta alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia, in “Arte in Friuli arte a Trieste”, 25, 2007, pp. 71-86. L’amicizia con il conte Emilio Gola, esponente di spicco della scapigliatura lombarda con il quale il nostro pittore condivise anche l’amore e la passione per la scherma, viene testimoniato da numerose lettere che giungevano al triestino dalla residenza milanese sita in Via Borgo Stella 15 ed inoltre dalla Villa il “Buttero” ad Olgiate Molgora nel lecchese. Per indagare la figura del Gola cfr. A. C. Bellati, Emilio Gola. L’uomo e l’opera, Bergamo 1994.
[2] Nel giugno del 1938 venne nominato podestà di Milano Gian Giacomo Gallarati Scotti (1886-1983).
[3] Per la figura di Tommaso Gallarati Scotti (1878-1966), importante letterato e uomo politico del cattolicesimo liberale, cfr. N. Raponi, voce in Dizionario Biografico degli Italiani, LI, 1998 con bibliografia precedente. Per i ritratti cfr. M. Lorber, Arturo Rietti, Trieste 2008, n. 194, n.209, pp. 233-234. Da una lettera della duchessa Aurelia alla figlia del pittore Anatolia e conservata presso gli eredi Rietti (“Roma, Archivio Rietti” d’ora in poi RAR) sappiamo che l’effige del duca Tommaso fu eseguito a pastello, mentre l’altro era un bozzetto. Il ritratto di Tommaso Gallarati Scotti ebbe anche l’onore di essere esposto alla personale del 1925 tenuta presso la Galleria Pesaro, vedi Mostra Individuale dei pittori Antonio Mancini Arturo Rietti , Milano, Galleria Pesaro, Milano febbraio 1925, p. 49 (indice dei Ritratti).
[4] La villa Cittadella-Vigodarzere, oggi Gallarati-Scotti, è monumento nazionale dal 1925. Fin dalla sua fondazione, voluta dal conte Fabrizio Orsato, l’edificio rivestì un ruolo importante per Fontaniva. Nel 1847 il conte Orsato, non avendo degli eredi diretti, legò la proprietà al nipote Andrea Cittadella Vigodarzere (1804-1870) fine letterato.
[5] Per la figura della contessa Maria Cittadella-Vigodarzere si rimanda al volume Alla memoria di Maria Cittadella (1892-1938), Milano, 1960 a cura di T. Gallarati-Scotti.
[6] “Ciò che l’avvinceva [Maria Cittadella] ai suoi amici non era la loro celebrità, era l’elemento affettivo e un bisogno di comprendere tutti e di penetrare nell’animo di ciascuno – di aiutare e di servire. … Per lei, quello che si potrebbe chiamare il suo massimo piacere della vita: l’ospitare - l’aprire le porte della sua casa agli amici - il conversare. [Maria Cittadella] non era fatta per la solitudine e la villa di Fontaniva fu sempre piena di gente varia, di amici illustri o oscuri, talora contrastanti. T. Gallarati-Scotti, La nostra Maria in Alla memoria di…, pp. 10, 12.
[7] Fu grazie all’interessamento della contessa Maria Cittadella Vigodarzere che il pittore fece il ritratto del filosofo napoletano nell’ottobre del 1931 cfr. M. Lorber, Arturo Rietti …, n. 121, pp.172-173. È molto probabile che, durante quel soggiorno autunnale, Rietti eseguisse a carboncino anche il profilo di Elena Croce, figlia del filosofo. Ivi, n. 174, p. 205.
[8] Per il ritratto oggi conservato in collezione privata, eseguito a matita e carboncino su carta paglierina, si rimanda a. M. Lorber, Arturo Rietti ..., n. 191, p.207. Questo ritratto della contessa Maria Cittadella a nostro avviso fa parte di una serie di fogli che l’artista eseguì nella residenza della campagna padovana, durante uno dei suoi soggiorni, in cui immortalò forse anche altri ospiti rinomati. Si confrontino ad esempio il Profilo della principessa Trivulzio, Profilo di Elena Croce, Profilo di donna Di Capua Pogliano cfr. M. Lorber, Arturo Rietti …, nn. 159, 174, 189, pp. 204-205, 207.
[9] Questo disegno, di collezione privata, eseguito a matita e carboncino su carta bianca, è firmato e datato in basso a sinistra: “ A. Rietti ‘29”. È rilevante il fatto che tra le immagini che si trovano nell’archivio fotografico degli eredi si conservi anche quella raffigurante il conte Cittadella: in rarissimi casi l’artista faceva fare le foto dei suoi paesaggi o dei suoi disegni cfr. M. Lorber, Arturo Rietti …, p. 212.
[10] Desidero ringraziare la Signora Bianca Semenzato per la sua disponibilità nell’avermi fornito importanti notizie sugli avvenimenti accaduti a Rietti nella villa di Fontaniva.
[11] La corrispondenza che i due si scambiarono fra l’estate del 1942 e gli ultimi giorni di vita dell’artista è molto corposa ed interessante. In RAR sono conservate ben una cinquantina di lettere del De Palma, che senza dubbi è stata una figura di riferimento molto importante per il Rietti nella ultima parte della sua vita.
[12] La lettera, costituita da diciotto fogli dattiloscritti, fu inviata alla figlia dell’artista Anatolia, e riporta la data dell’8 marzo 1943. Il documento conservato in RAR è un memoriale dettagliato di quello che avvenne nell’ultimo periodo di vita dell’artista. Inoltre bisogna sottolineare che in una altra missiva, datata 22.12.1944, ( sempre in RAR) De Palma scriveva sempre ad Anatolia: “[…] Il suo povero Padre quando ebbe ricevute le casse a Fontaniva, volle scrivermi che mi era gran debitore per aver salvato la vita a lui e alle sue opera […]”.
[13] Delle operazioni di trasferimento da Milano a Fontaniva si occupò personalmente De Palma vedi lettere datate 30/11/42, 11/12/42 e 21/12/42 da quest’ultima evinciamo inoltre che il ragionier affidò altre due casse con i libri, le fotografie, le cornici e dei drappi di seta: “all’impresa Domenichelli che già ha mostrato di essere sollecita nei recapiti”( cfr. in RAR). Dalla testimonianza verbale di Bianca Semenzato, inoltre si è potuto sapere che tutte le cose appartenenti al pittore vennero portate nella “Camera dell’Alcova”, dove egli era stato sistemato.
[14] Le missive sono conservate presso RAR e sono datate 13 e 17 luglio 1942.
[15] Questo lo sappiamo grazie a due missive che il pittore inviò a De Palma. La prima del 9 novembre è spedita da Fontaniva, mentre la seconda del 27 novembre, di ritorno da Milano, è spedita da Padova. (entrambe in RAR).
[16] Riflessione dell’artista datata 20 gennaio 1943, in un quaderno contrassegnato “1943 e fogli sparsi”, in RAR.
[17] Il professor Vittorio Scimone (1892-1970), già conosciuto dall’artista triestino,ebbe in cura dopo un grave incidente, avvenuto nel 1937, anche la Contessa Maria Cittadella. In quell’occasione sappiamo che Aurelia Gallarati Scotti, sorella di Maria Cittadella, per ricambiare in qualche modo la disponibilità del primario di Padova, chiese a Rietti il favore di fare i ritratti dei figli di Scimone. Nell’archivio fotografico dell’artista sono conservate due immagini del Ritratto della piccola Scimone realizzato in due versioni nel 1939, cfr. M. Lorber, Arturo Rietti …, n.215-216, p.235.
[18] È doveroso ricordare che oltre a De Palma e la duchessa Aurelia, solo un'altra persona in quei mesi fece visita al pittore nella villa di Fontaniva, come lui stesso ci racconta ( cfr. quaderno “1943 e fogli sparsi”, in RAR): “ Notte 17 gennaio […] Ho preso congedo ieri sera da don Leopoldo Gentili, l’ arciprete di Predore che dietro mio invito è venuto a trovarmi. Desideravo, sentivo quasi il bisogno di paralre con lui della povera Irene. Da questo lato sono contento. È un buon uomo, ignorante […]. Ho faticato per fargli rinunciare a darmi i Sacramenti. Negli ultimi discorsi che ebbimo ieri sera, egli fece di tutto per persuadermi che del mio male non si guarisce, e che dovevo dunque prepararmi alla morte. (A modo mio cerco di prepararmi, ma egli intendeva secondo la Chiesa. Egli ha passato qui due notti , ed ha mangiato con Semenzato ) Ha guardato con meraviglia un libro francese che sto leggendo. Pare che il latino non sia il suo forte . Egli è partito deluso”.
[19] Lettera di De Palma, vedi nota 12.
[20] Lo stesso ragionier De Palma alla pagina 14 del memoriale riporta l’elenco dei quadri regalati: “ n. 3 Ida (Triestina – Elusa rosa); n. 24 Fontaniva; n. 49 Fiori di Campo; n.69 Frutta – vassoio bianco; n. 234 Trieste – lanterna”.
[21] Lettera di Rietti scritta a Fontaniva il 16 gennaio 1943 e conservata presso RAR di cui purtroppo non conosciamo il destinatario, che doveva essere una persona molto vicina all’artista poiché egli si firma alla fine solo con “Arturo”.
[22] Ibidem
[23] Nonostante fosse costretto a letto dall’aggravarsi della malattia, Rietti negli ultimi mesi rimase molto lucido e continuò a scrivere molto. Nell’archivio degli eredi sono conservati diversi quaderni in cui Rietti impresse diversi pensieri e ricordi sia sulla propria vita che sull’arte, cfr. nota 16. Qui ci interessa soffermarci soprattutto su un quaderno dove il pittore ormai allo stremo delle forze con mano tremolante volle lasciare una testimonianza delle sue ultime giornate con il lapis. Come in un diario gli ultimi giorni del gennaio 1943 vengono riassunti in forma un pò sconnessa: “ 29 gennaio 43/ Notte infernale nella “casa di cura” del Dr Scimone […] Il non plus ultra dell’immobilità la mancanza di tutto anche di ciò che nel più miserabile ambiente potrei avere. E in tali condizioni ogni diverso ambiente è pericoloso. Caduto già due volte, battendo lo stinco della gamba malata […].
[24] Estratto del Registro degli Atti di Morte, compilato il 25 febbraio 1943, in RAR.
[25] Tale indicazione è ricavata in una lettera scritta da Anatolia Rietti alla duchessa Aurelia nel marzo del 1943, in RAR.
[26] In una lettera datata 11 settembre 1943, in RAR, Romano Semenzato avvisava Anatolia che la salma del padre era stata spostata e poi ricollocata nella tomba dei Marangoni: “venti giorni fa è morto il vecchio Marangoni così abbiamo levato suo padre e rimesso poi nella stessa tomba facendo un impalcatura più alta”. Ricordava inoltre ad Anatolia che stava aspettando il progetto per la tomba.
[27] Il disegno su carta bianca misura cm. 20 x 10 e presenta la firma in basso a sinistra “ A. Rietti”. In tale circostanza si coglie l’occasione per segnalare anche un altro notevole Autoritratto, sempre di collezione privata, ripreso quasi frontalmente con monocolo e sempre eseguito a carboncino e matita su carta bianca, che presenta in basso a sinistra la firma e la data: “A. Rietti ‘29”. Immagine molto intensa ricollegabile al ritratto del conte Antonio Cittadella cfr. nota 9.
[28] Il pittore allo specchio. Autoritratti italiani del Novecento, catalogo della mostra a cura di M. Fagiolo dell’Arco (Ferrara Civiche Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea), Ferrara 1995, p.25.
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