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Olga Melasecchi

 

 

Arturo Rietti nella Roma dannunziana tra Trilussa, Albert  Besnard e Cesare Pascarella.

 

 

 

 

 

Abstract

 

Through the analysis of the correspondence of Arturo Rietti, preserved in the family of the artist, it is possible to reconstruct the movements of the painter in Rome to understand how this cultural world may have influenced his business and his life.

The portrait of the poet Cesare Pascarella (Roma, Accademia dei Lincei) is presented.

 

 

___________________

 

 

   Attraverso l’analisi dell’epistolario di Arturo Rietti, conservato nell’archivio di famiglia dell’artista, si è cercato di ricostruire i movimenti del pittore triestino a Roma per capire quanto il mondo culturale capitolino possa avere influito sulla sua attività e sulla sua vita. L’importanza di Roma come centro culturale è stata presto evidente al giovane se, appena diciannovenne, nel marzo del 1882 risultava qui residente al numero 40 di Via Nazionale, forse per partecipare alla Fiera Artistica dell’Associazione Artistica Internazionale, che si sarebbe svolta la sera del 30 marzo e alla quale viene invitato con lettera del 21 dello stesso mese. Purtroppo non sappiamo se poi Rietti abbia partecipato alla Fiera e con quale opera. Tre anni dopo, nel luglio del 1886 aveva già acquisito comunque una discreta fama se un suo conterraneo, Antonio Dossena, così lo raccomandava all’avvocato ebreo triestino Luciano Morpurgo, residente in Via delle Quattro Fontane 29: “(…) Con vero piacere Le presento il signor Arturo Rietti nostro concittadino, mio carissimo amico e appassionato pittore. Benchè egli conosca Roma già da parecchio tempo vi ritorna per ragioni della sua professione e per accrescere le relazioni personali coi cultori dell’arte sua prediletta. La prego di fargli giovevole col consiglio e con l’opera (…)”. La presentazione all’avvocato Morpurgo, padre del famoso architetto Vittorio Ballio Morpurgo (Roma 1890 – 1966)[1], è stato sicuramente un contatto importante, fondamentale per l’introduzione di Rietti nell’ambiente intellettuale e artistico della splendida Roma di quegli anni.  

Tuttavia non abbiamo un’immediata conferma della protezione accordata da Morpurgo a Rietti perché nel carteggio conservato, così come in altre fonti documentarie a lui relative, non ci sarà più traccia di altri contatti tra di loro né di altre testimonianze della presenza a Roma del pittore negli anni immediatamente seguenti.

La partecipazione di una sua opera, nel 1892, alla mostra organizzata dalla società “In Arte Libertas”[2], fondata da Nino Costa nel  1886, non dimostra che fosse presente di persona in quell’anno a Roma (avrebbe potuto anche solo inviare l’opera) ma che comunque era vicino al gruppo di artisti che rifiutavano la pittura ufficiale e che confluiranno, agli inizi del ‘900, nella compagine dei «XXV della Campagna Romana». Invitato nel 1895 a partecipare alla LXVI Esposizione di Belle Arti di Roma presso il Palazzo delle Esposizioni, Rietti non sembra avere aderito all’invito: vedremo di nuovo una sua opera a un’esposizione romana solo dieci anni dopo, nel 1905, quando parteciperà alla LXXV edizione dell’Esposizione, occasione in cui verrà criticato da Goffredo Bellonci per essere la sua pittura una stanca imitazione di quella di Tranquillo Cremona[3]. Sarà di nuovo presente alle edizioni dei due anni successivi, in quella del 1907 con un ritratto, portato al Palazzo delle Esposizioni dal poeta Trilussa, che lo rassicura in questo senso con un telegramma del 14 gennaio: “Ho portato io stesso ritratto esposizione raccomanda gradisci affettuosi saluti[4]. Non dovrebbero esserci dubbi che si tratti proprio del noto poeta romanesco, anche se purtroppo questa sarà l’unica traccia della loro amicizia, e non è possibile neanche asserire che fosse un ritratto dello stesso Trilussa, di cui non esistono tracce.

Non abbiamo invece conferme per la sua partecipazione all’edizione del 1909, alla quale era stato invitato. Tra il 1910 e il 1911 si trovava a Vienna e perse l’occasione di partecipare all’importante Esposizione Universale del 1911, alla quale doveva certamente tenere molto. Infatti lo scultore Leonardo Bistolfi, suo amico e ritratto da Rietti l’anno precedente in un olio ora perduto[5], così gli scriveva il 26 febbraio: “Carissimo, non saprei dirti nulla di preciso per Roma. La giuria si raduna colà il 1° marzo e andandoci potrai esprimere al comitato il tuo proposito. In ogni modo credo che faresti bene a mandare subito a grande velocità scrivendo a me a Roma, presso il Comitato. Son certo che sarebbero tutti ben contenti della tua decisione. Ti stringo la mano il tuo Bistolfi[6]. Consiglio però non seguito se pochi giorni dopo, il 3 marzo, così Rietti scriverà alla figlia Anatolia: “(...) Io sono sempre qui col mio professore (ndr: il medico Horstmeyer che lo ospitava) e gli sporco tutta la casa con i pastelli...Avrei volentieri esposto qualche cosa a Roma. Ma non ho fatto in tempo. Pazienza! (...)”.

Proprio lo spoglio del carteggio con Anatolia, figlia alla quale era particolarmente legato, getta maggior luce sul contrastato rapporto di Rietti con gli ambienti romani[7]. Molto importante è la lettera scritta il 16 maggio del 1914 dall’albergo Bonvecchiati di Venezia alla figlia che in quel momento si trovava a Ginevra: “Cara Anatolia, Ti scrivo da questo miserabile albergo, con una miserabile penna. Dormirò qui perchè c'è un battello che parte domattina per Trieste, e sono assai stanco. La notte scorsa, in treno, non ho potuto riposare affatto, ed ho girato tre ore, dalle 3 alle 5,55 per le vie di Bologna. Bello però. Avevo portato qua le mie valigie nell'intenzione di riprenderle questa sera. Sono andato all'esposizione (brutta), ho fatto colazione là; mentre stavo per uscire, circa le 3, ho incontrato Fragiacomo, il quale mi ha detto: “Come? Non sei a Vienna? Orora Pascarella mi ha detto di aver avuto una tua cartolina da Vienna”. Così ho saputo che c'era Pascarella e che egli doveva far una lettura alle 5 ½ in casa della marchesa Casati di cui è ospite. Gli ho telefonato subito, dicendogli che mi aspettasse. L'ho trovato (ci siamo abbracciati!) in una stanza meravigliosa immersa in un giardino di rose; vicino alla porta un enorme pappagallo bleu, dalla finestra, oltre le rose, la vista del Canal Grande. Dunque alle 5 ½ in giacca (non avevo altro vestito) nel giardino fra vari artisti e belle signore, la magnifica lettura. Io stavo seduto accanto a Ojetti, cortesissimo. Torno un passo indietro, come si dice a Trieste. Nel vaporino che mi portava all'Esposizione c'era presso di me un Granhunt (ndr: levriero dannunziano) bianco che ho ritrovato nel giardino della marchesa insieme ad un altro nero, con un collare ornato di scarabei egiziani. Quante combinazioni, vero? (...)”.

A parte la bellezza della descrizione dell’ambiente di Palazzo Casati Stampa, va sottolineato qui l’entusiasmo di Rietti ad incontrare l’amico Cesare Pascarella, e la presenza, nel gruppo di artisti, oltre che dello scrittore Ugo Ojetti, anche del pittore triestino Pietro Fragiacomo, amico di entrambi. La cartolina a cui fa cenno Fragiacomo dovrebbe essere quella che poche settimane prima, il 29 aprile, Rietti aveva scritto a Pascarella a Roma da Vienna insieme agli amici comuni Matthäus e Clothilde Baylon, lamentando tutti la sua assenza[8].

È probabile che in quello stesso periodo e sempre da Vienna con i medesimi amici, più molti altri, Rietti abbia scritto a Pascarella un’altra cartolina, non datata, dicendogli che erano tutti a cena a casa dell’amico Baylon e che aspettavano di leggere il suo poema La storia nostra, a loro promesso, opera mai terminata e stampata postuma[9]. Pascarella, ospite della “Divina Marchesa” e protagonista del pomeriggio letterario veneziano, sarà nominato, nelle lettere del pittore alla figlia, con toni di grande affetto e intimità. A cominciare dalla missiva del 15 luglio del 1915 in cui, oltre ad esprimere le sue emozioni nel vedere i giovani partire per il fronte, manda ad Anatolia i saluti del poeta. Nella successiva scritta da Firenze il 2 agosto sembra rasserenarsi solo parlando dell’amico romano, dicendo che “aveva passato delle ore bellissime con lui (….) nella sua abitazione incantevole”. Trascrive per la figlia brevi versi finora ignoti che Pascarella aveva buttato giù su un biglietto poi stracciato mentre erano insieme ad altri amici tra cui il giornalista politico Luigi Lodi (Crevalcore, Bologna, 1857 - Roma 1933) e la moglie, anche lei giornalista e femminista ante litteram, Olga Ossani (Roma 1857 – Roma 1933) al caffè Aragno a Roma. Nella lettera scritta da Milano il 27 gennaio 1918 definisce Pascarella un “grandissimo artista” e chiede alla figlia, che era a Roma, di mandargli i suoi saluti. In questa lettera, e poi nelle successive, Rietti fa riferimento a diversi suoi ritratti realizzati per personaggi della buona borghesia romana. È interessante notare che i nomi che ricorrono ruotano il più delle volte intorno alla figura di Gabriele D’Annunzio, che era stato da lui ritratto in un bellissimo olio su tela nel 1912, ora in collezione privata.

 

 

 

 

Arturo Rietti, Studio per il ritratto della duchessa Maria Ruspoli de Gramont, Roma, Coll. privata

 

 

Arturo Rietti, Ritratto di Luisa Valerio Occioni, Roma, Collezione privata

 

 

Come a Milano e a Venezia, a Roma dunque frequenta i personaggi della raffinata aristocrazia dannunziana: ricorda i ritratti da lui fatti alla duchessa Maria Ruspoli de Gramont (fig.1), e ad altre gentildonne romane, tra le quali era anche Luisa Valerio, moglie del latinista Onorato Occioni, professore di D’Annunzio, e madre della pittrice Lucilla Occioni Marzolo[10]. Nella stessa lettera informa infine Anatolia che a Milano aveva fatto fotografare alcuni di questi ritratti dal noto fotografo Emilio Sommariva (Lodi 1883 – Milan 1956), compresi diversi suoi autoritratti e uno schizzo della stessa Anatolia. Probabilmente verso la fine del ’18 lascia Milano, dove aveva frequentato lo scultore Paolo Troubetzkoy[11] (Intra 1866 – Pallanza 1938), e ritorna a Roma dove rimarrà più o meno stabilmente fino al 1921. Le lettere di questo periodo sono di tono completamente diverso da quelle scritte prima della guerra, ci mostrano un artista in serie difficoltà economiche e amareggiato dal mondo vacuo e mondano da cui è circondato. Il 5 febbraio del ’19 così scrive alla figlia: “(...) Il tormento di questi pensieri (debiti, mancanza di soldi) mi confonde, mi abbatte. Mi sottometto al sacrificio di certi ritratti. E' una cosa ingiusta e sciocca. Ma bisogna avere intanto un po' di denaro (…)”. Il sacrificio è appunto frequentare ancora certi ambienti (ricorda nelle lettere la principessa Castelbarco, i principi Ruffo, il conte Zoppola, la duchessa Visconti, la principessa Sciarra, donna Franca Florio, il conte Fabbricotti), e ha parole dure nei confronti loro e dello stesso D’Annunzio (lettera alla figlia: Roma 5/5/'19 (...) Non ho assistito alle pagliacciate di D'Annunzio. Ma son buffoni anche quelli che lo ascoltano”)[12]. Si capisce che trova un po’ di conforto solo con la compagnia di altri artisti, in particolare con il pittore Paul Albert Besnard (Parigi 1849 – Parigi 1934), direttore dell’Accademia di Francia a Villa Medici dal 1913 al 1922.

 

 

  

Paul Albert Besnard, Giovane donna seduta, Roma, Collezione privata

Paul Albert Besnard, Profilo di giovane donna (Anatolia Rietti ?), Roma, Collezione privata

 

 

 

Proprio da queste lettere sappiamo che il settantenne pittore francese aveva conosciuto la figlia di Rietti, Anatolia, rimanendo incantato dalla sua bellezza che paragona all’ideale femminile creato da Leonardo, tanto da dedicarle due disegni a penna, inediti: una “Giovane donna seduta”, del 1914 (fig.3), e un “Profilo di giovane donna (forse Anatolia)”, del 1917, di tono decisamente leonardesco, che il padre le inviò a Napoli il 21 gennaio del 1919, e ora in collezione privata. L’amarezza e le difficoltà finanziare (“Ora son qui nella mia camera pieno di dubbi, di tristezza, di male ai denti”), non gli impediscono di avere qualche momento di gioia nel visitare ed apprezzare, ad esempio, una mostra del pittore romano Antonio Mancini[13] (Roma 1852 – 1930) alla Galleria Giosi dove l’incontro con lo scrittore e giornalista Nino Salvaneschi (Pavia 1886 – Torino 1968) sembra averlo turbato per qualche precedente tra loro che la figlia sapeva… Per poter acquistare delle acqueforti consiglia Anatolia di cercare a Napoli il fratello del collezionista argentino Achillito Chiesa[14], visto che lui potrebbe essere “l’uomo adatto per un tale acquisto”. Nella lettera del 22 gennaio manifesta poi la sua ostilità verso la massoneria e accenna, in questa e nelle successive, a contatti con suoi concittadini a Roma (la signora Schiavon, il dottor Liebmann e il dottor De Nigris). Il suo umore non migliora col tempo, si sente sempre più incompreso al punto da scrivere così a giugno: “... Periodo triste, di quasi pazzia e di inerzia febbrile. (...) Sono una bestia (...) Non so trattare con gli uomini. E mi è negato di vivere nella sfera per la quale son fatto, e dove la mia attività darebbe un buon frutto”.

Le lettere da Roma cominciano a diradare dal febbraio del 1921, sappiamo infatti che negli anni ’20 Rietti si sposterà tra Parigi, Milano, Trieste e altre località dell’Italia settentrionale.

Tornerà a Roma nel 1930, quando, il 16 agosto di quell’anno, andrà a casa dell’amico Pascarella per realizzare un suo ritratto come confesserà alla figlia in una lettera scritta il giorno successivo: “Stanco di aspettare una certa risposta sono rimasto qui questi giorni per sciogliere un antico voto. Volevo tentar di fare un ritratto di Pascarella (avevo nella coscienza il peso di quell'orribile pastello fatto tanti anni addietro e rovinato). Ma non potei vederlo prima di giovedì. Si prese un appuntamento per ieri, a casa sua. Incominciai alle 5. Alle 7 smisi di lavorare. Mi pare che la cosa che ho fatto non sia troppo tremenda”. Tremenda certo non fu, se proprio questo ritratto di Pascarella venne scelto per la prima Quadriennale d’Arte Nazionale a Roma nel 1931[15]. Purtroppo questo ritratto non è stato mai più rintracciato.

Nell’ottobre del ’30 da Verderio, in provincia di Como, il pittore scriverà una lettera affettuosa all’amico poeta sognando di poter tornare presto a Roma per ritrarlo ancora una volta. Non accadde mai. Pascarella muore l’8 maggio del 1940 e Rietti addolorato pensa all’amico e all’antico ritratto (“Penso con amarezza alla morte di Pascarella. Chissà dove sarà andato a finire il ritratto che gli feci qualche anno fa. Egli se lo prese subito e non volle farmene avere neppure una fotografia, lettera del 17.5.1940). Continuerà a chiedere del ritratto alla figlia a Roma ancora nel giugno e nel luglio di quello stesso anno, quando dà alla figlia descrizioni più dettagliate: “Di Pascarella feci 2 ritratti. Il primo molti anni fa, quando egli venne a Trieste […] con un cappello caratteristico che egli portava allora. Il secondo ritratto (senza cappello) fu fatto in una seduta a Roma, nel suo studio in via dei Pontefici”.

 

 

 

Arturo Rietti, Ritratto di Cesare Pascarella, Roma, Biblioteca dell'Accademia dei Lincei

 

 

Grazie a questa descrizione è stato possibile identificare il primo ritratto in quello, firmato e datato 1892, conservato presso il Fondo Pascarella nella collezione della Biblioteca dell’Accademia dei Lincei [16]. Anche in questo caso, come altrove è stato più volte rilevato, possiamo constatare come Rietti fosse sempre eccessivamente severo con se stesso. “Quel ritratto fu guastato”, scrive nella lettera, “e quando lo rividi non mi piacque. Ma Pascarella non mi permise di distruggerlo, perchè era un documento della sua giovinezza”. E per fortuna, diciamo noi ora, perché si tratta di un pastello suggestivo e vibrante, in cui il pittore triestino ha saputo leggere l’animo acuto e sensibile del poeta-pittore romano. Il 7 giugno del 1940 sarebbe voluto andare a Roma ancora una volta per un paio di giorni, per trovare la figlia e il nipotino, e forse anche per cercare il ritratto di persona, ma, scrive, “incontrai uno che mi fece leggere un manifesto per il quale mutai pensiero”: le infamanti leggi razziali allontanarono per sempre Rietti dalla capitale.

 

 

 

APPENDICE DOCUMENTARIA[17]:

 

Lettere alla figlia a Viale in Curva 11 Firenze, su carta intestata dell’Hotel Royal di Roma:

“Roma 15/7/'15

Cara Anatolia

Non ho che pochi momenti, ma voglio che questa lettera parta oggi. Ho avuto la tua poco fa. (…). Ieri pranzai a S.ta Prisca con Pascarella che mi ha chiesto di te. A domani. Ti abbraccio tuo Pip”.

 

Roma 25/7/'15 (....) Mi sono trattenuto qui perchè avevo qualche vaga speranza! Ma non ho trovato il modo di concretar nulla. Domina su tutto il pensiero della guerra, e il mio bisogno ha l'aspetto dell'egoismo”.

 

Lettera alla figlia che stava al Poggio della Giovane Italia a Genova

Su carta intestata dell'Hotel Porta Rossa & Central

“Firenze 2 agosto 15

Cara Anatolia

(…) Pascarella m'ha dato un suo sonetto. Ho passato delle ore bellissime con lui e sono stato nella sua abitazione incantevole. Un giorno che eravamo insieme da Aragno c'erano anche Luigi Lodi e Olga Ossani (sua moglie) mentre si parlava di tre suoi amici molto anziani che vanno ora al campo egli scrisse su un pezzetto di carta questi versi che stracciò subito, ma io me ne ricordo:

“Vincenzo Alfredo e Gigi

Vestiti da guerrieri

Faranno assai prodigi

Di patriotismo a scopo

Come i tre moschettieri

Anzi vent'anni dopo.”

Gigi è Lodi, V[incenzo] e A[lfredo] sono gli altri 2 amici (Vent'anni dopo è un famoso romanzo di Dumas, il seguito dei 3  moschettieri) (…) tuo Pip”.

 

Lettera scritta da Milano il 27 gennaio 1918 alla figlia che stava all'Hotel Windsor a Roma:

Cara Anatolia

Scrivo stando sotto le coperte, per il gran freddo che fa nella mia camera. Ma questo è nulla a paragone del freddo che ho provato i giorni scorsi nello studio. Ho rubato un po' di legna alla Sig.na Ginetta poiché quella che vendono è bagnata e mi son dovuto portare da me il cesto per le scale e trasportarlo con me in carrozza. Mi è riuscito anche di accendere la stufa. Ma il fumo che ne è uscito era tale che ho dovuto aprire porta e finestra, e mettermi a lavorare sul pianerottolo. Ma di me ti dirò dopo. Pensiamo alle cose tue. Io credo che non ti convenga di aspettare Pescarolo, va intanto da questo Battistelli. Quando poi verrà Pescarolo ti vedrà anche lui. Non sono ancora andato dalla Sig.a Rizzi. Ci penserò oggi. La Ferruggia mi ha offerto spontaneamente di mandarti quello che ti può occorrere per ora. Essa non andrà a Parigi che fra una ventina di giorni, sicchè ci vorrà più di un mese per avere le novità di Parigi. Potrei sceglierti io un tailleur chiaro; o ti occorre piuttosto una toilette da pranzo? Rispondimi subito. Non mi è riuscito di trovare qui il giornale. Ma cercalo, a Roma. Forse ci sarà nel tuo albergo. E' l'Illustration Française del 12 gennaio. Tutti mi domandano di te e ti fanno salutare (compreso Gatti). Orora mi ha telefonato la Sig.ra Pica, la quale ha molta fiducia nel clima di Roma. Al tuo albergo deve stare l'ammiraglio Canevaro. Sarebbe bello che tu lo conoscessi. Non vorresti portare i miei saluti a Pascarella? (Hotel de Russie) Digli che penso e dico a tutti che egli è un grandissimo artista. Anche mi piacerebbe che tu andassi (il più presto che puoi; anzi per il medico potresti aspettare e chiedere consiglio a lei) dalla Sig.ra Occioni. Cerca l'indirizzo del Cap. Marzolo suo genero: Piazza della Libertà – il numero non me lo rammento. E' un ambiente simpaticissimo. Pascarella è molto suo amico. Quando ci vai dille che da un pezzo mi sono proposto di darle il suo ritratto, ma che non mi fido di mandarlo. Glielo porterò. E' penoso l'affare della Sforni. Sei proprio sicura? Io ho sbagliato a non andar subito ad Acqui. Ora chissà quando troverò il momento. Le mie cose vanno male. Nessuno risponde, nessuno si fa vivo. E i denari, fuor che quei tali, sono sfumati. Sommariva ha fatto la fotografia del tuo schizzo, degli autoritratti, della Sig.a Ginetta, della Gramont, della Suzanne Ornella. Sono riuscite bene. Specialmente il tuo schizzo. Ho pranzato una sera dalla Sig.ra Ginetta e una sera da Troubetzkoy. Da lui vado anche oggi (...)”.

 

Lettera alla figlia da Roma su carta intestata dell' Hotel Imperial del 19 /1/ '19:

“(...) Stasera Giulietta e Guido erano da Bruto. Non so se potrò andare domani a far colazione con loro, perchè ho appuntamento con Besnard a ½giorno. Sono stato oggi a fargli visita. Bellissimo ambiente. C'erano molte persone, ma fra una mandata e l'altra, sono rimasto un poco solo con B. e sua moglie. Egli mi ha chiesto di “ma délicieuse fille” - “c'est un Léonard de Vinci!” (...).

 

Lettera alla figlia Anatolia che stava a Napoli al Parkers Hotel – Corso Vitt. Emanuele

su carta intestata dell'Hotel Imperial

Roma 20/1/19

“Cara Anatolia

Dovrei scrivere a quelle persone che mi aspettano, e invece scrivo a te. E' troppo difficile prendere una risoluzione; e non posso scrivere se non l'ho presa. Mi do tempo mandandoti le note d'oggi. A 1/2giorno entro nel giardino dell'Accademia di Francia. Lungo viale d'aranci e di rose, coi lecci scuri che avanzano oltre il muro, Besnard intabarrato perchè non avevano scaldato lo studio. Gli avevo portato alcune mie cose, pensavo di lasciargliele lì perchè le vedesse quando io me n'ero andato. Ma egli ha voluto aprire subito il pacco. Poi le ha tenute lì lo stesso per mostrarle a sua moglie. Lunga conversazione piacevolissima. Ho qui due piccoli disegni a penna suoi dedicati a te. Te li mando. Colazione da Giulietta. Lettera di Lele tornata a Firenze. Tornato all'Imperial ho bevuto un the d'una tale qualità che mi ha fatto addormentare sulla sedia. Alle 6 è venuto a cercarmi il fratello di Pogliani. Siamo andati insieme alla Banca per salutare il grande Pogliani; ma non ho potuto vederlo perchè egli era occupato e ci sarebbe stato troppo da aspettare. Ho pranzato con Pascarella al S. Carlo. L'ho accompagnato a casa e poi sono tornato all'Hotel. Conversazione con la S.ra Marozzi, una sig.a Sessa, la Signa Lamperti. Ora son qui nella mia camera pieno di dubbi, di tristezza, di male ai denti. Dovresti dire a Mascoli che parli a Vianelli di quelle acqueforti. In questi giorni è a Napoli il fratello di Achillito Chiesa. Qui sarei forse l'uomo adatto per un tale acquisto. Ma non ho osato di portar via le acqueforti. Se arrivasse qualche cosa per me manda a questo indirizzo. Ho trovato una raccomandata della Terruggia, dall'apparenza terribile. Non l'ho aperta! Ti abbraccio. Ricordami a Mascoli, tuo Pip”.

 

Lettera alla figlia da Roma, su carta intestata dell'Hotel Imperial, del 21/1/'19:

Cara Anatolia ti ho spedito ora i due disegni di Besnard. Avrai da pagare circa 3 L. Ti prego, dà l'ordine di consegnare il cavalletto (dopo averlo abbassato e legato con forte spago) al medesimo corriere che ti porta i disegni.(...) E' bene che il cavalletto sia qui subito ad ogni modo. O potrà servire a me (ma non lo credo) o sarà restituito a quella pittrice. Pensavo di buttar giù un ritratto qui aspettando la risposta di quei signori (ai quali ho scritto ieri sera). Ma quelli di qui, che ho visto oggi, partono questa sera per Parigi! E tutto ciò per i miei denti! Sono stato alla Galleria Giosi a vedere una raccolta interessante di cose di Mancini. E chi c'era? Nino Salvaneschi! Ti puoi figurare l'occhiata amichevole che gli ho lanciato (...)”.

 

Lettera alla figlia da Roma, su carta intestata dell'Hotel Imperial, del 22/1/19 :

 “(...) Ieri feci una lunga visita a Salvatore ( che mi pare giustamente irritato contro la massoneria, e col quale vado perfettamente d'accordo parlando delle cose triestine)... ho conosciuto il Sig.r Paribene che dirige il Museo delle Terme (...)”.

 

Lettera alla figlia da Roma, su carta intestata dell'Hotel Imperial, del 29/1/19:

“(...) ho fatto una visita ad Arge [Peroni] a casa sua. Signorile, con qualche errore di gusto. C'era soltanto la sig.a Schiavon  con Ines. La sera andai nel loro palco al Costanzi (Don Carlos, serata popolare). Pioveva. Mi accompagnarono a casa nel loro coupè. Poi non le ho più viste. Con Ines ero andato il giorno stesso dal Dr Liebmann per parlare col Dr. Nigris che partiva per Trieste la sera. Gli diedi vari incarichi. Domenica visita a Besnard con la pr.ssa Ruffo e la Mimina. Poi visita alla S.a Vannutelli. Lunedì, Mascoli. Egli ti avrà detto dell'accidente toccato a Riccardo. E' una cosa da nulla (...) Sono tornato ancora al convento ed ho passato un'ora in una cella con un frate che stava facendo un cordone in un modo ingegnoso e curiosissimo. Poi visitai l'ossario, che è veramente una stramberia formidabile. Oggi,alle 5, invitato da Besnard (che ti manda saluti) a una conferenza su Rodin di uno scultore, certo Michele De Benedetto. Bellissimo salone. Folla (...)”.

 

Lettera alla figlia che stava a Napoli, al Parkers Hotel. Corso Vitt. Emanuele

su carta intestata dell'Hotel Imperial

“Roma 25/2/'19

Cara Anatolia,

Ho il rimorso di non avere scritto a Mascoli. Ma sono stati giorni di tragedia e di confusione. Questa sera non mi sento tanto male, e avrei potuto scrivere. Ma la pigrizia mi ha vinto. Sono andato da Zoppola [conte]. Vi ho trovato Riccioni (di Viareggio). L'abbiamo poi insieme accompagnato all'Hotel Moderne. Egli vuole venire a passare un mese qui con “Salomea” [cantante]. Ora è presto l'una. Ti scrivo poche parole. Riccardo arriverà venerdì. Per una fastidiosa combinazione (stavo per dire fatale!) proprio sabato e domenica dovrebbero essere per me giorni di battaglia. Sicchè sarebbe forse bene ritardare la vostra venuta fino a lunedì. Ma se per Mascoli fosse più facile venire sabato, non voglio impedirlo. Fa come ti par meglio. Porta possibilmente le acqueforti [del Gomez] L'altra sera ballavano qui nell'albergo. Io entrai un momento sul tardi. Mi venne incontro un giovine ufficiale che non riconobbi subito: Ben Sassun. Si parlò delle Schiavon! Ma quando andò egli in casa di Riccardo?(...) Mi pare che Casella suoni molto bene. Le sue composizioni sono brutte (...).

 

Lettera alla figlia da Roma, su carta intestata dell'Hotel Imperial,  del 5/7/19:

“(...) E' arrivata ieri sera la fotografia. Non ho veduto Besnard dopo il suo ritorno. Gli telefonerò oggi (...)”.

 

Lettera alla figlia che stava a Napoli, al Parkers Hotel, Corso Vitt. Emanuele

su carta intestata dell'Hotel Imperial,del 14 novembre '19:

 “(...) Ho incontrato oggi il figlio di Toscanini che si è fatto molto uomo. E' impiegato al Ministero della guerra, soldato”.

 

Lettera a Cesare Pascarella da Villa Gnecchi a Verderio (Como), del 25 ottobre 1930[18]:

Caro Pascarella,

Vorrei dirti qualche cosa per l’onore che t’hanno voluto fare, ma che in realtà hanno fatto a sé, e di cui non sono degni. Mi piaceva che tu fossi lasciato in disparte, perché così tu appartenevi meglio a me e a quanti sanno disprezzare quelli che vanno disprezzati. Ma tu sei buono e non puoi sentire queste cose come me, che sono cattivo; e insomma forse c’è da rallegrarsi. Chissà quando potrò tornare a Roma e se tu avrai la pazienza di posarmi ancora! Tuo Arturo Rietti”.

 

Lettera alla figlia Anatolia[19]

“Milano 9/7/'40

46 Via Mario Pagano

Ricevo ora il tuo espresso proprio mentre mi preparavo ad uscire per andare alla Cit. Ma se posso risparmiarmi questo viaggio, ne sono contento, per la spesa ed anche perchè non mi è ancora, contro il solito, cessato quel noioso disturbo. Avrei approfittato del mio soggiorno a Roma per alcune cose che mi premono, le quali però non sono di tale importanza da giustificare un così lungo viaggio. Uno dei motivi sarebbe il desiderio di sapere in che mani è andato a finire il mio ritratto di Pascarella. Ti scrissi di ciò un paio di volte; ma vedo che te ne sei scordata. Se vuoi farmi il piacere di occupartene ora ti prego di leggere le indicazioni che ti dò. Di Pascarella feci 2 ritratti. Il primo molti anni fa, quando egli venne a Trieste. Lo accompagnai a Udine, ed egli mi posò in casa del conte Giusto Muratti. Siccome Pascarella desiderava che gli amici di Trieste vedessero il ritratto, me lo lasciò. Esso rimase poi lungo tempo presso il conte Zoppola, a Nigoline, con altri miei dipinti che mi furono restituiti a stento. Quel ritratto fu guastato, e quando lo rividi non mi piacque. Ma Pascarella non mi permise di distruggerlo, perchè era un documento della sua giovinezza, con un cappello caratteristico che egli portava allora. Il secondo ritratto (senza cappello) fu fatto in una seduta a Roma, nel suo studio in via dei Pontefici. Non rammento la data: dev'essere l'anno che tu pure eri a Roma, in convalescenza, all'Hotel Ambassador. Esso fu esposto alla II Quadriennale (allora m'invitavano sebbene non fossi iscritto al Sindacato!). Chiesi più volte a Pascarella, ma invano, di farmene fare una fotografia. Ci terrei moltissimo ad essere informato. Tu dovresti andar a parlare col portiere della casa in Corso Umberto 4.

Ho già acquistato due piccoli giocattoli (ci sono così poche cose adatte!) e dovrebbero averli già spediti. Veramente ci vorrebbe il mare, ma un po' d'acqua, anche se non è salata, si troverà anche a Roma.

Dunque ci vedremo a Salsomaggiore. Ma forse potresti far poi anche la cura a Chianciano. Vuoi che parli di ciò con Airaghi.  Addio Tullio”

 

 

 


Note


[1]       Cfr. F. Di Marco, Morpurgo, Vittorio, in Dizionario Biografico degli Italiani, 77, Roma 2012, p.  Figlio dell’avvocato ebreo triestino e della romana Giulia Ballio cattolica, Vittorio è noto per la sua intensa attività di architetto in Italia e nelle colonie italiane, e per la sua intensa carriera accademica, impegni che non furono interrotti all’epoca delle leggi razziali: “Tale feconda e serrata fase professionale non venne intaccata delle leggi razziali: dichiarandosi aconfessionale, nel 1938 Morpurgo ottenne dapprima la sostituzione del cognome con quello materno, quindi nel 1940 venne iscritto all’anagrafe con doppio cognome. Le sue consistenti entrature politiche gli permisero l’affidamento da parte di Mussolini del progetto del mausoleo di Alfredo Rocco al Verano”.

 

[2]     Purtroppo non sappiamo con quale opera (Cfr. Natura ed Arte, aprile 1892, p. 766, in M. Lorber, Arturo Rietti, p. 244).

 

[3]     “L’Avanti”, 3 giugno 1905, in M. Lorber, cit., p. 245.

 

[4]     Roma, Archivio Rietti (d’ora in poi RAR), telegramma spedito da Roma a Milano, Piazza Umberto 32, il 14 gennaio 1907. Verrà invitato anche alla Prima Esposizione Internazionale d’Arte della “Secessione”, organizzata a Roma nel 1913, ma anche in questo caso non è certa la sua partecipazione.

 

[5]     Cfr. P. De Luca . La rinascita dell'esposizione nazionale di Brera, in "Emporium", XXXII, 190, ottobre 1910 pp. 285,288.

 

[6]     RAR. Cartoncino indirizzato a Rietti in XIX Karl Ludwigstrasse 69 Vienna.

 

[7]   RAR. In alcune lettere alla figlia Rietti si firma con il nomignolo “Pip”, che era il modo scherzoso con cui lei lo chiamava quando era piccola, ed in altre “Tullio”, pseudonimo di cui lui stesso in una lettera dichiarò di non ricordare più perché lo avesse scelto.

 

[8]     Roma, Biblioteca dell’Accademia dei Lincei, Fondo Cesare Pascarella, busta 7, Fascicolo 463, inv. 1883. Ringrazio infinitamente Anna Caterina Alimenti Rietti che mi ha segnalato e trascritto il contenuto delle lettere scritte da Arturo Rietti qui conservate.

 

[9]     Id., inv. 1885. Storia nostra è un poema sulle vicende di Roma antica e del Risorgimento in 350 sonetti iniziato nel 1895 che resterà incompiuto e che verrà pubblicato postumo nel 1941 a cura della Reale Accademia d’Italia (Mondadori, Milano 1941) in G. Scalessa, Pascarella, Cesare, in Dizionario Biografico degli Italiani, 81, 2014, p.

 

[10]    Lucilla Marzolo Occioni, nata a Trieste, pittrice di ritratti, fiori, paesaggi, allieva a Roma di Giuseppe Ferrari (1840 o 1843-1905), vince a Londra nel 1900 la medaglia d’oro alla Women’s Exibition, Earl Court, figlia di Onorato Occioni (1830-1895) professore di latino e poeta, moglie di Paolo Marzolo, tenente di vascello, forse figlio dell’omonimo filologo e glottologo, i cui scritti confluirono nel 1931 fra i fondi della biblioteca civica di Padova (in C. Erskine Clement Waters. Women in the Fine Arts from Seventh Century B.C. to the Twentieth. Boston, New York, Houghton, Mifflin, 1904, p. 238).

 

[11]    Paolo Troubetzkoy, scultore e pittore di origine russa, è stato uno dei più noti ritrattisti della Belle époque. Nel 1911 aveva realizzato un ritratto in bronzo di Rietti ora conservato presso il Museo Revoltella di Trieste.

 

[12]    Per altre osservazioni di Rietti contro D’Annunzio, cfr. M. Lorber, cit., pp. 166-167.

 

[13]    Nel febbraio del 1925 Arturo Rietti e Antonio Mancini esposero insieme in una mostra individuale alla galleria Pesaro di Milano (M. Lober, cit., pp. 30, 246, 247).

 

[14]   Achille Chiesa e il figlio Achillito erano spedizionieri di origine argentina, collezionisti d’arte e di francobolli, che  furono però costretti a vendere tutta la loro collezione nel 1925 all’inizio della crisi economica mondiale (Hofstede de Groot, G. J. Hoogewerff, G. De Nicola, The ACHILLITO CHIESA COLLECTION. Part I. FLEMISH AND DUTCH PAINTINGS AND ITALIAN PRIMITIVES, Catalogue, American Art Association Inc., New York 1925).

 

[15]    M. Lorber, cit., pp. 246, 247.

 

[16]    Ringrazio Enrico Lucchese che ha trovato il ritratto e me lo ha gentilmente segnalato.

 

[17]    Tutti i documenti, tranne il penultimo, sono conservati in RAR. Ringrazio la disponibilità e l’aiuto offertami da Anna Caterina Alimenti Rietti nel rintracciare e trascrivere queste lettere, qui  per la prima volta pubblicate.

 

[18] Roma, Biblioteca dell’Accademia dei Lincei, Fondo Cesare Pascarella, busta 7, Fascicolo 463, inv. 1950.

 

[19] In parte pubblicata in M. Lorber op.cit. Pag 247.