Alessandra Tiddia
Arturo Rietti fra Monaco e Vienna negli anni della Secessione
Abstract
Nach der Akademie Zeit stellte Rietti an der Muenchner und Wiener Secession Ausstellungen aus. 1896 und 1897 publizierte Georg Hirth seine Zeichnungen in der Kunstschrift Jugend. Münchner illustrierte Wochenschrift für Kunst und Leben. Hirth wie Mary Lindpainter, die Witwe von Julius Lindpaintner (1865- 1929), und spätere (1897) Frau von Stuck, werden Sammler von Riettis Werken. 1903 fanden Riettis Arbeiten auch in der sehr berühmten Galerie Miethke in Wien neben Manet, Puvis de Chavannes, Munch, Hokusai, Rops, Lautrec, Denis, Signac, Pissarro und Degas ihren Platz.
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Rietti rientra fra i protagonisti di quella "civiltà del ritratto", come l’ha definita Giulio Montenero[1], a cui appartennero, negli anni a cavallo fra ‘800 e ‘900, Giuseppe Tominz, Tito Agujari, Eugenio Scomparini, Umberto Veruda, Arturo Fittke, Gino Parin, Carlo Wostry, Adolfo Levier, Vittorio Güttner, Isidoro Grünhut, pittore di cui si attende ancora uno studio sistematico, ma anche Glauco Cambon, Argio Orell, Cesare Sofianoulo: per molti di essi il comune denominatore fu di avere eletto il ritratto come genere principale della loro attività artistica e di aver scelto Monaco come meta formativa. Pare una coincidenza non casuale, come vedremo, che anche Arturo Rietti, il quale scientemente orientò la maggior parte della sua opera verso il genere del ritratto fin dai primissimi lavori, a partire dal Ritratto della madre (Trieste, Museo Revoltella) eseguito nel 1883, esordio di alta qualità pittorica in un genere in cui l’artista riuscirà ad ottenere risultati d’eccellenza internazionale, si sia formato all’Accademia di Belle Arti di Monaco.
Il catalogo della produzione pittorica di Arturo Rietti, precisato da Maurizio Lorber nel 2008[2], non lascia alcun dubbio sull’opzione ritrattistica, più volte ribadita peraltro, dallo stesso artista e precisata anche nei suoi scritti, come rivelano alcune sue considerazioni appuntate nel 1918 e pubblicate nel 1958:
“Che cos'è veramente un ritratto? Come ogni opera d'arte il ritratto deve essere opera di poesia. Se esso non rivela una verità segreta, profonda dell'anima del soggetto, esso non è poesia. Se non è costruito organicamente e con giuste proporzioni, non è poesia. Se non da un complesso di accordi di colore, non è poesia. Se le masse del chiaroscuro non rispondono alla legge sacra della luce, non è poesia. Se il segno (o la pennellata) non è rapido, impetuoso, sicuro non è poesia.”[3]
Il testo assume i toni quasi da manifesto nella sottoscrizione di una serie di intenti e di modalità che Rietti persegue coerentemente in un arco cronologico che dalla Belle Epoque arriva a lambire la vigilia della Seconda Guerra Mondiale. L’obiettivo è chiaro e viene esplicitato altrettanto chiaramente dall’artista: è la necessità imperante, l'esigenza di indagare gli stati più nascosti dell'animo umano, di "rivelare una verità segreta, profonda dell'anima del soggetto".[4] Un’esigenza di verità, dunque, piega l’iniziale naturalismo ottocentesco verso una pittura che comprenda un’analisi introspettiva con forti implicazioni psicologiche, già tutta novecentesca, una sorta di realismo rivolto all’animo umano, che Rietti ebbe modo di maturare proprio in una delle città più dedite alla psicoanalisi e all’introspezione, patria di Svevo e Saba, ovvero Trieste. Dal punto di vista stilistico egli raggiunge questo obiettivo affidandosi a un segno rapido, sicuro, contraddistinto da un’eleganza sinuosa, qualità che ritroviamo sia nella produzione degli olii che del pastello. Egli tratta l’immagine con un segno guizzante che conduce la percezione della stessa sino quasi al limite del dissolvimento, trasformando l’effigie in materia cromatica, memore delle esperienze degli amici Scapigliati, ma anche di Mancini, Boldini, Medardo e Troubetzkoy. L’iscrizione all’Accademia di Monaco svolse un ruolo determinante nell’evoluzione della sua pittura in quanto favorì, da un lato, il definitivo affrancamento dalle istanze del realismo toscano, che nella sua primissima produzione pittorica, durante gli anni trascorsi in Toscana (1882-1884), era stato declinato attraverso il confronto con la pittura dei maestri triestini Eugenio Scomparini e Giuseppe Barison. Da un altro punto di vista questa esperienza avvicinò Rietti alle novità stilistiche che si venivano delineando in seno all’ambiente artistico monacense, non solo quello accademico come vedremo, agendo nel senso di una maggiore libertà espressiva, che lo porterà ad esempio a privilegiare, in questa fase, il pastello rispetto all’olio. La scelta di studiare all’Accademia di Monaco, fra le Accademie forse la più famosa e formale d’Europa, condizionò la sua formazione in senso tradizionale, e contribuì, con molta probabilità, a rafforzare in lui, come, mutatis mutandis, in De Chirico ad esempio, un inscalfibile preconcetto antimodernista. Quello stesso che anche dopo la prima guerra mondiale e l’avvento delle avanguardie, lo renderà incapace di entrare in sintonia coi tempi nuovi e al contempo insofferente nei confronti della Sarfatti e del Novecento e con qualche difficoltà a comprendere sia Carrà, che definirà "l’uomo più negato all’arte", che Boccioni, “che non c’entra con l’arte". E’ con questo animo che partecipa alle principali esposizioni del primo dopoguerra, presentando quadri di vent’anni prima: ad esempio all’Esposizione del Ritratto femminile a Monza, nel 1923, ottiene la medaglia d’oro con un dipinto del 1897, La Mendicante, mentre nel 1925, alla Galleria Pesaro di Milano, e nel 1927 a Firenze, a Palazzo Pitti, espone le sue opere insieme a quelle di Mancini, qualificandosi come uno dei pochi artisti viventi dell’Ottocento. Quel segno veloce "come un colpo di fioretto" che caratterizzava la produzione iniziale dell'”artista schermidore”, insieme a una resa compositiva mossa, quasi elettrica talvolta, verranno sostituiti da uno sfumato vibrante, più rispondente a rivelare quella malinconia, contenuta e attraente, colta nella penombra confortevole di vecchie case patrizie e borghesi, come il riflesso di un senso di provvisorietà che connota molte delle opere degli artisti di origine ebraica, specie a Trieste. Non muta però la sua vocazione ritrattistica coltivata con coerenza fin dai tempi dell’Accademia. Come detto a Monaco la ritrattistica rivestiva un ruolo di primo piano, sia fra i docenti che nelle esposizioni: questo genere, il più richiesto dal mercato, veniva appreso nelle classi di celebrati maestri come Nikolaos Gysis, Carl Herterich, Franz Defregger, e poi Franz von Stuck e Karl Marr. La frequentazione dei loro ateliers garantiva non solo l’assunzione di una pratica artistica sicura e consolidata ma soprattutto il successivo riconoscimento di tale pratica in tutt’Europa. Fu anche grazie alla qualità dei docenti che spiccavano proprio nell’ambito della ritrattistica, basti citare due eccellenze di fama internazionale, seppur in tempi diversi, ovvero Franz von Lenbach e Franz von Stuck, che Monaco assunse una grande importanza nelle scelte formative di molti artisti provenienti da Trieste, città peraltro di grande tradizione ritrattistica, da Schiavoni a Tominz. Queste le ragioni principali che spinsero molti artisti triestini, la maggior parte direi, a frequentare l’Accademia di Monaco fra il 1883 e i primi anni del ‘900. Ad aprire la strada verso l’Atene sull’Isar, era stato nel 1883, Isidoro Grünhut (numero di matricola 4339) seguito l’anno successivo proprio da Rietti (numero di matricola 115, iscritto il 15.10.1884) e da Umberto Veruda (numero di matricola 62): tra gli iscritti negli anni Ottanta, Vittorio Güttner nel 1885 (numero di matricola 159), Carlo Wostry nel 1886 (numero di matricola 850) e infine Giovanni Zangrando nel 1888 (numero di matricola 543) e Guido Grimani nel 1890 (numero di matricola 773). Negli anni Novanta una seconda generazione di triestini fu a Monaco: Glauco Cambon nel 1892 (numero di matricola 994), Bruno Croatto e Arturo Fittke nel 1893 (numero di matricola 1145 e 1165), Ruggero Rovan subito dopo nel 1895 (numero di matricola 1454) e quindi nel 1898 Adolfo Levi (Levier) (numero di matricola 1937 e Piero Marussig (numero di matricola 1960). Il nuovo secolo potè registrare la presenza di Argio Orell nel 1903, allievo di Franz von Stuck e di Edgardo Sambo nel 1905 (numero di matricola 3050).
Al di là dell’indiscusso valore dell’offerta formativa dell’Accademia, fu la nascita della Secessione ( 1892) a determinare l’apice della forza attrattiva di Monaco nei confronti dei giovani allievi europei. Il movimento secessionista contribuì ad ampliare l’offerta formativa, che dagli studi accademici si apriva grazie alle esposizioni, ancor prima di Venezia (1895) e Vienna (1898), verso le esperienze internazionali allargando il repertorio visivo ed espressivo degli allievi. A partire dal 1892 alle mostre d’arte del Glaspalast si alternano quindi quelle organizzate dalla Secessione, un organismo per nulla disorganico all’Accademia di Belle Arti, visto che molti suoi docenti erano anche membri fondatori della Secessione. Il primo presidente della Münchener Secession fu Bruno Piglheim e quindi Hugo von Habermann, che aveva un grande atelier nella Theresienstrasse 148, frequentato da Fritz von Uhde, Albert von Keller, Leo Samberger, Franz von Stuck, Angelo Janck e Thomas Theodor Heine. Sul modello dei Salon des indépendants francesi anche a Monaco alcuni artisti reclamano uno spazio espositivo indipendente più aperto alla contemporaneità e alle esperienze europee. Fu così che nel nome della Secessione, si associarono alcuni artisti, accomunati dalla medesima istanza di una maggiore libertà espressiva: la risposta a questa esigenza fu una nuova sintesi linguistica, tradotta attraverso gli stilemi della bidimensionalità Jugend e una moderna sensibilità cromatica, molto più accesa e vitale di quella precedente. L’avvento della Secessione favorì dunque la maturazione di un clima culturale vivace e a sua volta stimolante per nuove opportunità culturali. Una di queste fu senza dubbio la rivista “Jugend”, ovvero “Jugend. Münchner illustrierte Wochenschrift für Kunst und Leben” (Rivista monacense illustrata per l’Arte e la Vita), fondata nel dicembre 1895 da Georg Hirth, collezionista e estimatore della nuova arte, poi editore anche della più ironica “Simplicissimus”[5], una rivista satirica illustrata a conferma del ruolo determinante della caricatura nella cultura di fine secolo. La “rassegna settimanale di Arte e Vita”, si era data un nome programmatico: “Jugend” ovvero gioventù, a testimonianza di un atteggiamento estetico nuovo e moderno, giovane appunto, aperto alle novità linguistiche che finì per determinare uno stile, lo Jugendstil, appunto. Questa rivista diventò una sorta di repertorio dell’estetica secessionista monacense poiché ogni copertina era dedicata alla pubblicazione di un’opera secessionista; articoli di cronaca mondana e artistica si alternavano a immagini riprodotte con i mezzi più moderni della fototipia meccanica, in bianco e nero ma anche a colori. “Jugend” come “Simplicissimus” registravano fedelmente e ironicamente quanto avveniva nell’ambiente monacense, dove venivano delineandosi alcune figure artistiche assolutamente carismatiche come Franz von Lenbach prima e Franz von Stuck poi, destinato a diventare uno degli artisti più quotati in Europa e protagonista assoluto della Secessione monacense: nel 1893 l’Accademia gli conferisce il titolo di professore e il suo Peccato (Die Sünde), riscuote il successo delle folle (e una quindicina di commissioni in tutt’Europa) mentre la polizia proibisce l’esposizione delle fotografie del Bacio della Sfinge. Nel 1897 sposa la vedova Mary Lindpaintner (nata Hoose), fotografa americana, divenuta una delle più affascinanti donne della società monacense che Franz von Lenbach aveva immortalato in una celebre Salomè[6], dipinto che oggi si trova alla Neue Pinakothek di Monaco e l’anno dopo Stuck fa costruire secondo un suo progetto una casa-atelier a Monaco, la Villa Stuck, i cui mobili ottengono una medaglia d’oro all’esposizione universale di Parigi del 1900, in uno stile, imponente e neoclassico, direttamente ispirato ad un quadro di Böcklin (Villa in riva al mare) ma anche alla Lenbachhaus. Dopo il suo soggiorno formativo in Accademia, esauritosi fra il 1884 e il 1886, Rietti ritorna nella vivace Monaco degli anni novanta, non più come allievo ma come artista che espone con assiduità dapprima alle mostre del Glaspalast (1891) e quindi nelle mostre della Secessione (nel 1891, 1893, 1895, 1896, 1897). La sua consuetudine con l’ambiente delle esposizioni monacensi prende avvio con la partecipazione alla XI mostra del Glaspalast, nel 1891, dove espone uno Studio di giovinetta per il quale ottiene la qualificazione della medaglia di II grado.[7] Questo riconoscimento farà si che successivamente egli venga invitato con assiduità alle mostre della Secessione: nel 1893[8] presenta due pastelli, intitolati Un’ipocrita e Uno Studio per vecchia signora, ad oggi non ancora identificati. Quindi nel 1895 espone ben tre pastelli, due ritratti femminili e uno Studio per un ritratto, di cui il catalogo della mostra[9] cita (stranamente) le proprietà. Vale la pena di soffermarsi su questa annotazione, poiché i due Ritratti di signora esposti appartengono a Georg Hirth, l’editore che dal dicembre dello stesso anno darà vita alla rivista “Jugend” e lo Studio per un ritratto viene prestato dalla vedova del medico bavarese Julius Lindpaintner (morto nel 1892), ovvero Mary Hoose Lindpaintner (1865-1929), la futura signora von Stuck (solo due anni dopo). Il catalogo ci rivela dunque come ben tre opere facciano parte delle collezioni dei protagonisti del milieu secessionista: queste notazioni di proprietà ci riferiscono il riconoscimento implicito della sua professionalità e del suo talento da parte di collezionisti aggiornati.
Arturo Rietti. Studienkopf (Studio per testa), 1892
Arturo Rietti. Weibliche
Bildnisstudie, (Studio per ritratto femminile), 1894
A conferma di ciò ritroviamo un suo disegno raffigurante una testa femminile (Studienkopf)[10] datato 1892, pubblicato sulle pagine di “Jugend”, nel giugno 1896, mentre la copertina del 21 maggio 1897 della stessa rivista è dedicata ad una sua opera, una guizzante silhouette femminile in piedi, di spalle, quasi danzante, con due uccellini, dal titolo Figura femminile di spalle[11], datato 1894. Un’analoga opera di Rietti, un’acquarello su carta intelata, firmato e datato 1894 (185 x 87 cm) intitolato Weibliche Bildnisstudie (Studio per ritratto femminile) sarà alienato nel 1916 nell’asta della Raccolta Hirth, tenutasi presso la Galleria Helbing di Monaco di Baviera[12] Il suo stile viene apprezzato per la velocità di tocco e per quella sinuosa eleganza esercitati nella tecnica del pastello che avvicinava le sue opere a quelle di Hugo von Habermann, uno dei principali protagonisti della Secessione a Monaco, amico di Rietti tanto da introdurlo presso la famiglia dei conti Torri, di cui entrambi ritrassero i componenti.
Hugo von Habermann. Helene, 1894, pastello. Londra, collezione privata
Arturo Rietti. Ritratto femminile
(Livia Veneziani Svevo), 1895, collezione privata
Se accostiamo ad esempio il pastello del 1894 di Habermann, Helene, alle opere di Rietti, dipinte negli stessi anni come il Ritratto della moglie Irene Riva (1899), o il Ritratto femminile (Livia Veneziani Svevo) (1895)[13] rintracciamo modi comuni, come quel lampeggiare di tinte vivaci e un segno mosso, elettrizzato, che fu cifra stilistica per Habermann e che caratterizzò anche molta pittura di Rietti, come verrà peraltro riconosciuto qualche anno più tardi da una delle firme più prestigiose e fra le voci più autorevoli della Secessione viennese, ovvero Ludwig Hevesi, entusiasta conoscitore della sua pittura, tanto da definirlo “superlativamente colorista, ed il più esperto. Bisogna vedere come crea i suoi insiemi bruno-grigi, con toni polverizzati che sembrano dello sporco ed invece danno effetti di luce e di nitore. Egli vi mescola minime dosi di scoppiettante veleno, fuggevoli lampi di azzurro, di rosso, di giallo e di verde; questi vi lampeggiano e brillano energeticamente tra i veli delle tinte neutre; si potrebbe chiamarlo un pittore brillante. La sua pittura mi ricordava molto la plastica del russo - milanese Troubetzkoy, ed invero si è saputo che i due artisti sono amici intimi».[14] Non stupisce che una firma tanto influente conoscesse così bene l’artista triestino che in questi anni si era conquistato una discreta fama negli ambienti secessionisti tanto che il suo nome compariva nel catalogo della mostra non solo come espositore ma anche come socio corrispondente da Trieste, dove è registrato all’indirizzo di Via del Canale 1.[15] La sua partecipazione alle esposizioni secessioniste monacensi prosegue nel 1896 con ben cinque opere, tutte nella tecnica del pastello: un Profilo (499a), due Studii serali (499 b, 499 c), Violette (499 d) e un Ritratto (499 e)[16]. Egli tornerà ad esporre a Monaco nel 1900 (Ritratto femminile)[17], e l’anno successivo, nel 1901[18], presenterà tre opere: Studio, Riflessi, esposti nella sala 64 e La Spiritosa nella sala 65. Nel frattempo, nuove opportunità espositive si erano aperte anche a Vienna, dove Rietti è presente nel 1898, anno dell’apertura della Secessione viennese: in questo anno viene invitato ad esporre nell’Aquarellisten Club[19] e il suo nome compare sul primo numero di “Ver Sacrum”, la rivista ufficiale della Secessione viennese, menzionato da Schölermann per i suoi pastelli geniali, “charakteristischen genial empfundenen Pastellen”[20]. La sua più importante affermazione a Vienna sarà però nel 1903 con l’esposizione personale nella più prestigiosa galleria privata di Vienna, la Galleria Miethke[21], una mostra recensita dalle principali firme del giornalismo artistico austriaco in Austria[22], da Karl Stern a Ludwig Hevesi, compreso l’affermatissimo scrittore Franz Servaes, che proprio nel 1902 aveva firmato l’imponente monografia su Giovanni Segantini, commissionata dall’Impero Asburgico per assicurare Segantini nell’empireo artistico imperiale.[23] Hewesi ci riferisce in modo dettagliato dell’esposizione che, insieme alle opere di Rietti, Meunier e von Stuck, presentava al pubblico viennese un’anteprima di indubbia qualità dell’Impressionismo francese, che sarebbe stato poi protagonista dell’esposizione della Secessione di quell’anno. Natter a questo proposito ha giustamente rilevato la singolarità della presentazione della mostra che riporta i nomi di Rietti, Meunier e von Stuck nel titolo, in quanto noti al pubblico viennese, mentre tace comprendendoli sotto un generico “u.a.” (e altri) i nomi, oggi molto più altisonanti, di Manet, Puvis de Chavannes, Denis, Lautrec, Gauguin, Signac, Pissarro, Monet le cui opere erano anche esposte in quell’occasione. Al di là del senso rilevabile ai fini della valutazione della ricezione dell’impressionismo francese nell’ambito secessionista, questa considerazione ci rivela come Rietti invece fosse ben noto al pubblico della metropoli danubiana, come confermano del resto le parole dello stesso Hewesi:
« Nella piacevole corte vetrata della Miethke, ci si può attualmente intrattenere divertendosi straordinariamente. Vi è raccolta una notevolissima esposizione di 160 opere. Tutte cose moderne, più moderne, modernissime. Tutte le tecniche dal leggero vaporoso pastello alle sculture giapponesi in legno colorato. I più divertenti artisti di Parigi e Tokio, fino ai più moderni che l’esposizione impressionista ha presentato a Vienna. Per un austriaco, apparire interessante in un simile assieme è una dimostrazione d’incontestabile lavoro. Il triestino Arturo Rietti l’ha ottenuta con la sua collezione di 17 ritratti a pastello. L’artista, fin troppo modesto, è da lungo tempo conosciuto dai viennesi, dal tempo di certi pastelli con toni neri, piccanti, nei quali si mescolava una eleganza prettamente italiana e con in più il merito di un carattere assoluto ».
Arturo Rietti, Astuccio con carboncini e grafite, collezione privata
Interessante pare poi la notazione che il critico viennese fa a proposito dell’uso del nero condotto da Rietti nei suoi pastelli, soprattutto alla luce del rinvenimento di un suo astuccio con matite e carboncini da lui utilizzati, forse appartenuto al pittore tedesco Karl Friedrich Werner di Monaco come recita la scritta dell’astuccio, a cui Rietti ha sovrapposto il suo cognome: “Rietti ha tanto sangue nero che anche se dipinge di bianco, resta un certo sapore di fuliggine. Naturalmente quello piacevole, comune anche a Velasquez e a Goya.” Hewesi rileva anche la straordinaria capacità di Rietti di creare dei toni di polvere “che sembrano dello sporco” e invece rafforzano gli effetti luministici e coloristici delle sue opere. La critica viennese si mostra molto attenta nei confronti dello stile e della tecnica dell’artista triestino ed Hewesi non è l’unico a rilevarli nel dettaglio; Karl Stern, sulle pagine del “Wiener Extrablatt”, sottolinea entusiasticamente una delle specificità di Rietti, ovvero quella di accennare gli elementi della composizione senza definirli, in modo che si ricompongano nella mente di chi guarda:
« Ancora una parola sulla maniera dell’artista di trattare i dettagli, maniera che consiste soltanto nell’accennarli. Qui, per esempio, abbiamo lo splendido ritratto del signor I. E. Il signore porta gli occhiali. Ma lo vedono soltanto quelli che osservano il ritratto da una certa distanza. Da vicino non c’è che una striscia nera, irregolare, appena percettibile, al lato sinistro della radice del naso. Dove sono gli occhiali? Si proiettano unicamente nel cervello dell’osservatore, secondo quanto vuole il suggestivo accenno dell’artista ».
Si tratta di un procedimento che Rietti condivide evidentemente con la pittura impressionista e che lo situa a ragione all’interno della mostra organizzata dalla galleria viennese. Egli attuerà questa modalità, non solo nei ritratti ma anche nelle rare opere dedicate ad altri soggetti, come le viste da Palazzo Carciotti a Trieste, dove aveva lo studio nella metà degli anni novanta. A questi anni sono pertanto riferibili i due olii su tavola, qui pubblicati che sono accostabili sia per il soggetto che nella tecnica agli olii oggi conservati al Museo Revoltella di Trieste e raffiguranti delle vedute triestine, riprese dall’interno, con una balaustra che delimita la visione illuminata sullo sfondo dal primo piano in ombra.
Arturo Rietti, Veduta da Palazzo Carciotti. Una scultura (1894) recto.
Olio su tavola, cm 42 x 21,
Anche nel caso dei piccoli olii di collezione privata, le forme sinteticamente accennate, che rimandano a vedute in piena luce o al tramonto, ricostruiscono scorci paesaggistici triestini, che si rivelano al nostro sguardo allontanando il dipinto ad una certa distanza dall’occhio, al pari dei ritratti esposti nella galleria viennese.
Note
[1] G. Montenero, Nella città del realismo borghese il fiore della desolazione fantastica, in Quassù Trieste, Trieste 1968, p. 147.
[2] M.Lorber, Arturo Rietti, Fondazione CRTrieste, Trieste 2008.
[3] A. Rietti, Pensieri sull'arte di Arturo Rietti, 1918, pubblicato in "L'Arte", vol. XXIII, a. LVII, gennaio-marzo 1958.
[4] A. Rietti, Pensieri sull'arte di Arturo Rietti, 1918, in "L'Arte", vol. XXIII, a. LVII, gennaio-marzo 1958, p. 47 cit. da Lorber 2008, p. 20, nota 19.
[5] C. Segieth, Georg Hirth und die Gründung der "Münchner Secession", in Secession. 1892 – 1914, Museum Villa Stuck, München, Catalogo della mostra a cura di M. Buhrs. Edition Minerva, München 2008. pp. 11-23.
[6] Franz von Lenbach, Mary Lindpaintner als Salome, 1894, Monaco, Neue Pinakothek.
[7] Illustrierte Katalog der Muenchener Jahresausstellung von Kunstwerken Aller nationen im kgl. Glaspalaste, 1891, München 1891.
[8] Offizieller Katalog der Internationalen Kunst-ausstellung des Vereins bildender Kuenstler (A.V.) Secession, Muenchens, Bruckmann Verlag, München 1893, p. 40 (n .732, Eine Heuchlerin. Studie, Pastello; n, 733 Alte Frau, Studie, pastello).
[9] Offizieller Katalog der Internationalen Kunst -Ausstellung des Vereins bildender Künstler Münchens (A.V.)"Secession" 1895, Bruckmann V., München 1895, p. 30 , nn. 273, 398, 399; Offizieller Katalog der Internationalen Kunst-ausstellung des Vereins bildender Kuenstler (A.V.) Secession, Muenchens, Verlageanstalt fuer Kunst und Wissenschaft, München 1895, p. 39, nn. 398, 399, 399a: Damenbildniss/Ritratto di signora, pastello 398; Damenbildniss/Ritratto di signora, pastello 399, entrambi di proprietà di Georg Hirth Monaco; Portraet Studio/ Studio per un ritratto, pastello 399 a (di proprietà della moglie del dr Lindpaintner, Monaco).
[10] “Jugend. Münchner illustrierte Wochenschrift für Kunst und Leben”, 1896, Band 1, N. 26 , 27 giugno 1896, p. 413
[11] “Jugend. Münchner illustrierte Wochenschrift für Kunst und Leben”, 1897, Band 2, N. 21, 22 maggio 1897, p. 329 e copertina.
[12] Porzellane, Gobelins, Teppiche, Metallarbeiten, Gemälde alter und neuerer Meister, Möbel und Anderes aus der Sammlung Georg Hirth.Versteigerung. In München in der Galerie Helbing, a cura di H. Helbing, München 28. 11.1916, n. 1110, p. 39.
[13] A. Tiddia, Una piuma turchese, Rietti e il ritratto di Livia Veneziani Svevo, in ( a cura di S.Marinelli) Aldebaran. Storia dell’arte, Scripta edizioni, Verona 2012, p. 213.
[14] L. Hevesi, in “Wiener Fremdenblatt”, 5 aprile 1903.
[15] Offizieller Katalog der Internationalen Kunst-ausstellung des Vereins bildender Kuenstler (A.V.) Secession, Muenchens, Verlagebanstalt fuer Kunst und Wissenschaft, München 1896, p. 49, p. 61.
[16] Offizieller Katalog der Internationalen Kunst-ausstellung des Vereins bildender Kuenstler (A.V.) Secession, Muenchens, Verlagebanstalt fuer Kunst und Wissenschaft, München 1896, p. 49.
[17] Offizieller Katalog der Internationalen Kunst-ausstellung des Vereins bildender Kuenstler (A.V.) Secession, Muenchens, Bruckmann Verlag, München 1900, p. 25 (239a Ritratto femminile).
[18] Offizieller Katalog der VIII. Internationalen Kunstausstellung im Kgl. Glaspalast zu München 1901, 1. Juni - Ende Okt., 2. Aufl., München, 1901: sala 64, n. 2090 Studio, pastello; sala 65, n. 2091 La spiritosa, pastello; sala 64, n. 2092 Riflessi, pastello.
[19] F.Dörnhoffer, Die Graphischen Künste in der XII Ausstellung des Wiener Aquarellistenn Club, in “Gesellschaft für Vervielfältigende Kunst”, 21.1898, pp. 57-66, ivi p. 57 cfr. http://digi.ub.uni heidelberg.de/diglit/gk1898/0072.
[20] W. Schölermann, Ausstellungwesen, in “Ver sacrum. Mittheilungen der Vereinigung Bildender Künstler Österreichs”, n. 1, Gerlach & Schenk, Wien 1898, pp. 19-23, ivi pp. 20-21.
[21] Katalog Kollektiv-Ausstellung Arturo Rietti - Franz Stuck - Meunier u.a - Original- Radierung u. Lithographien moderner Meister. Alt Japanisce Drucke, Galerie Miethke, Wien 1903. Per la storia di questa importante istituzione a Vienna si veda Die Galerie Miethke. Eine Kunsthandlung im Zentrum der Moderne, catalogo della mostra a cura di T.G.Natter, Judischen Museum der Stadt Wien (19.11 2003-8.02.2004), Wien 2003, pp. 110, 111, 193
[22] K. Stern, “Wiener Extrablatt”, 23 marzo 1903 (trad. it. “Il Piccolo della Sera”, 26 marzo 1903); F.Servaes, in “Neue Freie Presse”, 29 marzo 1903 (trad. it. parziale in “Il Piccolo della Sera”, 1 aprile 1903); “Wiener Allgemeine Zeitung”, 31 marzo 1903; “Neues Wiener Tagblatt”, 2 aprile 1903; L. Hevesi, in “Wiener Fremdenblatt”, 5 aprile 1903 citati da Lorber 2008.
[23] Cfr. Franz Servaes, Giovanni Segantini. Sein Leben, sein Werk, Wien 1902 e Franz Servaes. Giovanni Segantini. La sua vita e le sue opere, a cura di A. Tiddia, trad. A.Pinotti, MAG, Arco (Tn) 2015.
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