Enrico Lucchese
“Io ci tengo troppo ad esser preso di mira dal tuo grande talento”.
Arturo Rietti e Giacomo Puccini: storia di un’amicizia.
Abstract
The Portrait of Giacomo Puccini, Museo Teatrale alla Scala, Milan, is very appreciated: at the Teatro dell’Opera, Rome, the author found the other version known only by old photographies. Two letters from Giacomo Puccini to Arturo Rietti are in the family painter archive and another portrait of the famous musician (Museo Villa Puccini, Torre del Lago) is presented: so, we can documented their friendship. The Roman pastel is a masterpiece, like the Milanese one: both are the best portrait of Puccini’s soul and modernity.
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La ricostruzione dei rapporti – di mecenatismo, di amicizia, di solidarietà nel momento della persecuzione – documentati tra Rietti e tanti personaggi di spicco, non solo italiani, del suo tempo, è fra i pregi, a mio parere, della monografia del 2008 di Maurizio Lorber, il testo da cui ogni nuovo studio sul pittore deve partire da oggi, a centocinquant’anni dalla nascita a Trieste. Il nostro convegno, voluto con le signore Rietti e la Soprintendenza del Friuli Venezia Giulia, ha fatto ancora più luce sui legami con Paul Troubetzkoy, Italo Svevo, Cesare Pascarella, per fare tre nomi che si trovano sulle relazioni in programma: e l’elenco può continuare. Arturo Rietti è un artista dell’età contemporanea anche per questo. La sua pittura, celebrata alla Biennale veneziana del 1910 nella sala 26, quella della città di Trieste[1], negli anni venti e trenta si rivelò ‘passatista’ di fronte alle avanguardie diventate canone, ai ritorni all’ordine e alla stessa sindacalizzazione dell’espressione figurativa sotto l’egida di un regime che si dimostrava avverso, se non agli antipodi, di una concezione, politica ed esistenziale, liberale, alto borghese e aristocratica come le società di scherma che frequentava, come i pensieri sui taccuini che riempiva. I suoi pastelli, è noto, ritrassero una certa Italia, quella della famiglia Gallarati Scotti, di Benedetto Croce e di Paolo Bricchetto Arnaboldi, sintomatico lavoro del 1940[2]: sono opere di grande tenuta espressiva nonostante siano distantissime da un dipinto degli stessi anni di De Chirico o di Carrà. Il loro segreto è forse proprio nello spirito – la “corrente elettrica” di cui scrive il filosofo napoletano[3] – dell’autore, coerente con se stesso e con la sua arte fino all’ultimo giorno di vita. Rietti si rivela quindi voce originale del Novecento italiano, molto più moderna e profonda di quanto si possa immaginare a una prima lettura, in superficie, di una serie quasi infinita di volti. A conferma di tali riflessioni, l’incontro e i ritratti di Giacomo Puccini, la cui espressiva modernità è un dato critico acquisito seppure a volte come sopraffatto dalla cristallina chiarezza e successo delle sue creazioni liriche[4], appaiono paradigmatici per la comprensione della complessità, nella leggerezza del tocco da pastellista, della pittura di Arturo Rietti.
Arturo Rietti, Ritratto di Giacomo Puccini. Milano, Museo Teatrale alla Scala
È molto famoso il Ritratto di Giacomo Puccini del Museo Teatrale alla Scala, datato giugno 1906[5]. Nel citato volume di Lorber, sono state pubblicate in appendice al saggio critico le fotografie d’epoca, oggi presso l’archivio degli eredi del pittore, dei disegni e dei dipinti di ubicazione ignota, dove compare un secondo Ritratto di Giacomo Puccini[6], certificazione documentaria di evidente considerazione, da parte dello stesso Rietti, di un risultato raggiunto. Questo pendant del pastello milanese mi è stato segnalato da Maria Luisa Vaccari a Roma, nel camerino del maestro Riccardo Muti al Teatro dell’Opera, dove ho potuto esaminarlo direttamente e apprezzarne la straordinaria qualità[7].
Arturo Rietti, Ritratto di Giacomo Puccini. Roma, Teatro dell’Opera
Nel ritratto ritrovato, Giacomo Puccini si presenta a mezzo busto, in leggera torsione: giacca e cravatta, il compositore emerge dallo scuro del fondo, profonde ombre ne macchiano il viso (nelle orbite, lungo gli zigomi, tra la bocca e i baffi) acceso di luce sulla punta del mento, dal dorso del naso a tutta la fronte e nella bianca ciocca in mezzo a una capigliatura ancora corvina. Escono dal buio pure parte delle palpebre, abbassate in uno sguardo interiore. È vestito, quindi, nella stessa maniera del gemello alla Scala, ambedue con l’indicazione della città di Milano e l’anno 1906, accanto alla firma: presumibilmente eseguite “nella medesima seduta”[8], le opere immortalano il musicista in atteggiamenti e stati dello spirito affatto differenti, seppur complementari. Come se, negli occhi e nelle mani di Rietti, nel giro di qualche minuto, o secondo, si fosse passati da un iniziale ritratto di un compositore Début du Siècle, in posa ufficiale da quarta di copertina, da foglio di sala, a un’autentica apparizione, quasi monocromo, del volto e dell’anima moderna di Puccini, delle sue ombre delle sue accensioni di luce e di genio. In ottimo stato di conservazione, il capolavoro romano di Arturo Rietti testimonia pittoricamente la sintonia che il triestino spesso raggiungeva con i suoi effigiati, molti appartenenti all’ambiente musicale italiano e internazionale del Novecento: a parte l’altrettanto celebre, ma ben più tardo (1933), Ritratto di Arturo Toscanini, si deve ricordare che proprio nell’aprile-maggio 1906 a Milano il triestino partecipò all’Esposizione Universale, riservandosi l’intera sala XLIV con quindici pastelli, tra cui il Ritratto di Tito Ricordi e il Ritratto del maestro Consolo, da identificare con il musicista Ernesto Consolo[9]. Risale al 9 aprile 1906 un’inedita e preziosa lettera[10], conservata presso l’archivio degli eredi Rietti, che Giacomo Puccini indirizzò al pittore:
Carissimo Rietti, avevo un impegno oggi alle 9! e non ci pensai l’altra sera quando ti dissi di venire da te. Scusami tanto - ma io credo che sarà meglio la mattina come l’altra volta – e allora dimmi quando ti è comodo. Io ci tengo troppo ad esser preso di mira dal tuo grande talento. Aff. Tuo Giacomo Puccini
La stima sincera del compositore per Rietti traspare nella frase sottolineata: in quegli incontri il talento del pittore, mentre era in corso la personale alla Esposizione Universale, prese di mira e fermò sulla carta le anime pucciniane, oggi a Roma e a Milano (quest’ultimo pastello recante l’indicazione di giugno 1906). Nell’epistolario del musicista, finora pubblicato[11], non compaiono missive a e di Rietti; Maurizio Lorber ha invece fatto conoscere un’altra vivace lettera di Giacomo Puccini scritta da Torre del Lago il 21 ottobre 1907:
Carissimo Rietti, che avrai detto di me? io ho indugiato così tanto a scriverti perché non sapevo dove eri – Ebbi la tua lettera con qualche ritardo perché non ero a Torre né all’Abetone, mi trovavo in collina e fuori dal mondo postale e telegrafico. Il tuo biglietto non mi fu mai dato dall’infame oste di Torre – e ti avrei veduto tanto volentieri! Mi prometti il ritratto che mi facesti? Cosa più grata non potresti farmi – ci terrei tanto di averlo – Parto per Vienna domani - a Milano ci sarò quando? Ti saluto affettuosamente. Dopo il 1 Novembre ritorno qui. G. Puccini[12]
Arturo Rietti, Ritratto di Giacomo Puccini. Torre del Lago, Museo Villa Puccini
In queste righe il compositore si riferisce più che probabilmente a uno dei due pastelli dell’anno prima. A Torre del Lago, presso il Museo Villa Puccini, esiste un terzo Ritratto di Giacomo Puccini[13], firmato e datato 28 agosto 1910: un’opera certo interessante ma di minore impatto formale e quindi emotivo, forse più consona a una collocazione domestica, testimonianza comunque di una simpatia perdurata nel tempo tra ritrattista, reduce da un soggiorno parigino con Troubetzkoy[14], e ritrattato. Detti rapporti sono evidenti in un’ultima lettera inedita, dove Arturo Rietti, da Trieste il 30 ottobre 1913, scrive alla figlia Anatolia a Genova uno dei suoi sunti degli avvenimenti accadutigli in quei giorni, ricordando, tra le varie notizie, che
La serata del mio arrivo a Milano la passai tutta con Puccini che … chiese di te. Egli Si è ordinata [sic] una casa di legno in America e la vuol piantare in Maremma, vicino a Orbetello. Molto tardi, dopo averlo lasciato, trovai al Savini Polo con tutta la compagnia (la moglie, Foà, Consolo, ecc.) La signora Polo è più che mai fredda (perché?)[15]
L’incontro al caffè Savini in Galleria Vittorio Emanuele II, il luogo dove Rietti aveva progettato di ambientare un ritratto di gruppo, mai eseguito[16], una sorta di Quarto Stato – forse in goliardica polemica con l’iconografia retorica del collega Pellizza – degli artisti milanesi, avvenne dunque con altri esponenti musicali del tempo: oltre al nominato Ernesto Consolo si può identificare tra gli avventori il violinista Enrico Polo. Rimane, allora, da capire come il rintracciato Ritratto di Giacomo Puccini giunse a Roma e chi ne fu il donatore: una ricerca di questo tipo non può prescindere dall’apporto dei quattro tomi di Vittorio Frajese, Dal Costanzi all’Opera (Roma, 1977-1978). I primi contatti del compositore con l’istituzione teatrale romana risalgono al 1894, quando, dal 10 novembre, fu rappresentata la Manon Lescaut: alla quarta replica assistette Emile Zola con la moglie. L’accoglienza delle opere del maestro lucchese non fu sempre benigna: il 17 novembre 1896, in scena La Bohème, il pubblico romano recepì con freddezza i primi due atti, offrendo più entusiasmo ai restanti. Del resto pure la prima di Tosca (14 gennaio 1900), che conferì, com’è noto, al teatro risonanza mondiale, guadagnò pareri critici discordanti sulla stampa romana. Nella stagione lirica 1906-7, subito seguente l’esecuzione dei pastelli di Roma e di Milano, si ricorda, nel teatro della capitale, di nuovo La Bohème (16 marzo 1907), mentre per la stagione successiva, organizzata sotto gli auspici del Comune, avvenne la prima romana di Madama Butterfly, il 25 marzo 1908, quattro anni dopo la fallimentare messa in scena alla Scala, la versione bresciana e i mutamenti posteriori. In due lettere, Giacomo Puccini espresse i suoi dubbi sull’accoglienza romana che fu, nel complesso, positiva[17]: il compositore, come sua consuetudine, assistette alle prove e presenziò la prima. Bisognerà aspettare dieci anni per vedere un altro suo lavoro nella capitale, La Rondine, nella prima esecuzione italiana (10 gennaio 1918). La definitiva consacrazione avvenne nella stagione 1918-19, con il cosiddetto ‘trittico pucciniano’ portato in Italia dopo il successo newyorchese: Il Tabarro, Suor Angelica, Gianni Schicchi, con Puccini sempre presente alle prove[18]. Non sembra che gli episodi appena elencati possano essere avvicinati al Ritratto di Giacomo Puccini del Teatro dell’Opera, il cui arrivo a Roma, vivente il compositore, sarebbe stato certamente fatto conoscere dai giornali censiti da Frajese. Bisognerà quindi pensare a un’occasione differente, forse legata a una celebrazione pucciniana. Si può allora fare riferimento alle manifestazioni tenute a Roma poco dopo la morte di Puccini (Bruxelles, 29 novembre 1924): il 19 gennaio 1925 fu officiata una messa alla memoria nella chiesa di Santa Maria degli Angeli; la sera stessa andarono in scena all’Opera Le Villi e Gianni Schicchi, presente il figlio Antonio, il quale potrebbe aver deciso, in quella circostanza, di donare il magnifico pastello – presumibilmente citato dal padre nella lettera a Rietti dell’ottobre 1907 – al teatro dove furono eseguite la prima della Tosca, la nuova versione, dopo il trionfo americano, di Madama Butterfly e la prima italiana del ‘trittico’. Corrobora l’ipotesi il resoconto di quelle commemorazioni romane, di Matteo Incagliati su “Il Giornale d’Italia” del 21 gennaio 1925, in cui sembra veramente di ritrovare ancora una volta il pastello di Arturo Rietti, epifania dello spirito pucciniano:
quando si chiuse il velario un grido si levò dalla sala: Viva Puccini! E tra gli applausi e le acclamazioni quel grido volle significare che pur nella tristezza del ricordo del Maestro scomparso, egli non era morto. E a noi parve di rivederlo ancora là, presso la buca del suggeritore, ritto e robusto, con il lieve fuggevole sorriso, che si attenuava quando era colto da una sincera emozione, inchinarsi dinanzi alla folla che lo applaudiva, lo acclamava, lo esaltava[19]
[1] Sull’importante occasione espositiva veneziana per gli artisti triestini (ordinatore della sala Guido Marussig; Rietti, fortemente voluto dal segretario generale Antonio Fradeletto, fu l’unico a presentare quattro opere) cfr. M. De Grassi, La “Sala della città di Trieste” alla Biennale del 1910, in «AFAT» 30, 2011, pp. 201-240 e l’intervento di Giovanni Bianchi nel presente convegno. È probabile che lo “Stud. di ritr. (del Conte C.)” (cfr. De Grassi 2008, p. 208) proposto da Arturo Rietti a Marussig, nell’aprile 1909, per essere mandato in mostra a Venezia l’anno dopo sia uno studio per il non rintracciato ma documentato Ritratto del conte Alessandro Casati, del 1909 (cfr. M. Lorber, Arturo Rietti, Trieste 2008, p. 165 cat. 64; un Ritratto maschile, forse della nobile famiglia lombarda è a p. 220 cat. 54).
[2] Lorber 2008, p. 175 cat. 139.
[3] Cfr. l’intervento di Eliana Mogorovich nei presenti atti, alla nota 23. Per il Ritratto di Benedetto Croce, cfr. Lorber 2008, pp. 172-173 cat. 121.
[4] Cfr. G. Adami, Giacomo Puccini: il romanzo della vita, Milano 2014.
[5] Lorber 2008, p. 161 cat. 42.
[6] Lorber 2008, p. 219 cat. 40.
[7] Cfr. «Il Messaggero», 7 agosto 2012, p. 19. Pastello su cartoncino, cm 75 x 60. Iscrizioni: in basso a destra “A. Rietti \ Milano 1906”.
[8] Lorber 2008, p. 161.
[9] Cfr., per un profilo, M. Macedonio, in Dizionario Biografico degli Italiani, 28, Roma 1983. Per la notizia della mostra milanese, Lorber 2008, p. 245.
[10] Su carta intestata “Via Verdi, 4, Milano.”. La data è stesa con altro inchiostro. Roma, Archivio Rietti (d’ora in poi RAR). Sul retro della lettera è incollata la busta: “Urgente, Al Pittore Rietti, Alla Permanente via P.e Umberto”. Non ci sono segni di affrancatura: presumibilmente fu portata a mano.
[11] G. Puccini, Epistolario, a cura di G. Adami, Milano 1982. È in corso l’Edizione Nazionale dell’Epistolario di Giacomo Puccini (www.epistolariopuccini.it): nel primo volume (1877-1896) a cura di G. Biagi Ravenni e D. Schicking, non compare Arturo Rietti nell’elenco dei destinatari.
[12] RAR. Trascritta in Lorber, 2008, p. 161. Sulla busta, incollata sul verso, l’indirizzo triestino (“Hotel de la Ville”) e milanese (“Alla Permanente”) di Rietti; compare, in inchiostro rosso, la scritta “Livorno, Corso Amedeo 117”, mentre il timbro postale recita “Livorno – centro – 25.10.07”. [13] Ringrazio Anna Caterina Alimenti Rietti e Simonetta Puccini per le segnalazioni e l’aiuto nella ricerca.
[14] Anch’egli autore di effigi del compositore, sia a mezzo busto (Verbania Pallanza, Museo del Paesaggio), sia a figura intera (Milano, Museo Teatrale alla Scala). Di Puccini erano diffusi, com’è ben noto, pure ritratti fotografici: alcuni di questi lo riprendono frontalmente, come nel pastello di Roma, anche se con minor carica emozionale. Sul rapporto tra Rietti e la fotografia, cfr. Lorber 2008, pp. 32-34.
[15] RAR.
[16] Cfr. l’intervento di Lorella Giudici nei presenti atti e Lorber 2008, p. 200 cat. 112.
[17] V. Frajese, Dal Costanzi all’Opera, I, Roma 1977, p. 246.
[18] Frajese, II, 1977, pp. 111-114. Le scenografie de Gianni Schicchi al Metropolitan Opera furono dipinte, su disegno di Galileo Chini, da un altro pittore d’origini triestine, Pietro Bortoluzzi detto Pieretto Bianco: cfr. E. Lucchese, Lo scenografo, in E. Lucchese – E. Rollandini, Dalla Biennale a Caruso. Pieretto Bianco 1875-1935, Belluno 2013, p. 109.
[19] Riportato in Frajese, II, 1977, p. 161.
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