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Emanuela Rizzo

La fotografia come Bene culturale

 

In Italia l’interesse verso la fotografia intesa come bene culturale, è molto recente. Infatti, solo nel 1999, con la redazione del “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di Beni Culturali e Ambientali”, la fotografia è stata ritenuta, non solo più mezzo “analogico”, cioè basato su un apparecchio meccanico capace di riprodurre gli aspetti del reale, o strumento in grado di documentare visivamente Beni mobili ed immobili, ma anche Bene culturale essa stessa, soggetto-oggetto sottoposta a disposizioni di tutela, conservazione e valorizzazione.

Al riguardo, nel 1991, Giancarlo Susini, docente presso l’Università di Bologna, così scriveva:

Chi scatta una foto lo può fare per passione, per souvenir, per affetto, ma produce nel contempo - lo sappia e lo voglia o no - un bene culturale, cioè un rettangolo impressionato destinato a documentare uno specchio sociale, un arredo, un abito, un atteggiamento, un paesaggio[1].

 

Nel periodo precedente il “Testo Unico”, nonostante l’importanza della fotografia fosse stata già riconosciuta e in ambito statale venisse nel 1892 istituito il Gabinetto Fotografico Nazionale, non si rinviene nessuna normativa relativa alla tutela del patrimonio fotografico.

La fotografia, infatti, rappresentò per molto tempo solo il supporto, sicuramente fondamentale, per la conoscenza visiva del patrimonio[2] artistico come testimonia il compito del Gabinetto Fotografico Nazionale, cioè, quello di “eseguire riproduzioni fotografiche del materiale artistico immobile e mobile esistente nel Regno e nelle Colonie”.

In linea con quanto detto, il R.D. n. 3164/1923, relativo al patrimonio archeologico, stabilì che ogni scheda catalografica prodotta dovesse essere corredata da documentazione fotografica, in quanto come dirà Roberto Longhi nel 1938 costituiva “il documento principe dell’identificazione di un’opera[3].

Successivamente, quello che avrebbe dovuto essere il primo provvedimento pubblico nei confronti della fotografia: la nascita dell’Istituto LUCE, non mutò il quadro generale.

Infatti, come commentava, Carlo Bertelli nel suo saggio per gli “Annali” della Storia d’Italia pubblicata da Einaudi: “conclusa l’esperienza della fotografia di sinistra in URSS, l’Italia fu il solo paese dove lo Stato si assumesse l’organizzazione di un grande inventario fotografico. Il LUCE rastrellava archivi di cronaca… ma anche di fotografi di opere d’arte[4]. Era la grande occasione per costituire sia un inventario storico che un inventario attuale dell’Italia. Quell’occasione andò completamente perduta, come se il fascismo avesse timore di ciò che la fotografia potesse rivelare[5].

Nel complesso panorama legislativo, la fotografia quale bene oggetto di tutela, continua ad essere assente.

La legge n. 633/1941 sulla “Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”, più che del documento “fotografia”, invece, indica i diritti spettanti al fotografo in quanto autore di un prodotto “commerciale”:

Sono considerate fotografi ai sensi di questa legge, le immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale, ottenute col processo fotografico o con procedimento analogo … spetta al fotografo il diritto esclusivo di riproduzione, diffusione e spaccio della fotografia…[6]

La legge n.1089/1939, l’ordinamento principale per la tutela e la conservazione del patrimonio culturale italiano, definisce per la prima volta in modo organico le “cose immobili e mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico[7], tralascia invece di parlare del bene “fotografia”, mentre nel successivo D.P.R. del 3 dicembre 1975 n. 805, emanato in occasione dell’organizzazione del Ministero dei Beni culturali e ambientali, in cui il riferimento al bene “fotografia” si limitava ad un accenno sull’allora recente Istituto Nazionale per la Grafica che aveva il compito di “salvaguardia, catalogazione e divulgazione del materiale grafico e fotografico[8], senza nessuna indicazione sulla regolamentazione in materia[9].

Nel 1979, in conseguenza dell’istituzione dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD) avvenuta nel 1975, le Soprintendenze avvertirono l’esigenza di elaborare delle norme omogenee, per poter affrontare “correttamente” e uniformemente la fase di catalogazione del patrimonio fotografico. Da qui scaturirono le prime ipotesi di intervento come quella proposta a Modena nel convegno[10] La fotografia come bene culturale, (1979) nel quale si propose la realizzazione di una scheda di catalogo in cui sarebbero state annotate le informazioni riguardanti l’oggetto fotografia. Questa scheda, però, manifestò limitate possibilità di gestione, poiché “a forza di dettagliare, suddividere troppo l’informazione, queste schede erano assolutamente illeggibili[11].

Sempre nel 1979, a Perugia la Commissione fototeca dell’Istituto per la Storia dell’Umbria dal Risorgimento alla Liberazione, avviò un’iniziativa che aveva lo scopo di “1.Censire le raccolte fotografiche riguardanti l’Umbria; 2.Predisporre la catalogazione e la schedatura di tale materiale; 3.Raccogliere e schedare il materiale prodotto dalle ricerche in corso; 4.Sensibilizzare enti ed istituti, e principalmente le biblioteche, perché provvedano alla schedatura e catalogazione dei fondi fotografici in loro possesso[12].

Tra il 1978 e il1980, l’Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia Romagna, affida ad un gruppo di ricerca coordinato da Corrado Fanti, il compito di realizzare un sistema di schedatura analitico e sintetico, da adoperarsi nelle nuove Fototeche pubbliche[13].

Ogni scheda doveva fornire “le informazioni relative a tutte le possibili letture che si intende fare di un’immagine fotografica[14].

Contemporaneamente, di fonte alla crescente mole di immagini raccolte dai vari Istituti, ci si poneva il problema di come procedere nel campo della conservazione e del restauro delle medesime.

Basandosi sulle iniziative intraprese dalle istituzioni europee che operavano in questo settore, il Centre de Recherche sur la Conservation des Documents Graphiques (CRCDG), il Service de Reprographie au Centre de Documentation du CNRS, e l’Atelier de Restauration de Photographies de la Ville de Paris, la Regione Emilia- Romagna, nel 1986, cercò di teorizzare omogenei metodi e prassi di conservazione e catalogazione del materiale fotografico[15].

Al riguardo, già nel 1978, l’Assessorato alla Cultura della Regione Emilia- Romagna con il coordinamento scientifico dell’Istituto per i Beni Culturali, aveva organizzato un corso di aggiornamento per restauratori, all’interno del quale accanto alle tematiche in materia di restauro e conservazione dei Beni, vennero discusse anche quelle problematiche concernenti i materiali fotografici[16].

Nel 1986, in collaborazione con l’ CCROM e con gli Istituti centrali del Ministero per i Beni Culturali, tale Soprintendenza, realizzò una mostra sul biodeterioramento dei libri , dei documenti e delle opere grafiche, includendo anche il materiale fotografico[17].

Malgrado la mancanza di una specifica legislazione che regolasse e definisse il patrimonio fotografico, gli Organi competenti del settore, avvertirono autonomamente la necessità di mettere a punto un modello unificato di schedatura.

Ancora una volta, la Regione Emilia-Romagna, si dimostrò essere l’Ente più sensibile e impegnato verso il materiale fotografico[18]. La Soprintendenza per i Beni Librari e Documentari della Regione, infatti, portò a termine tra 1987 e 1989, la redazione del Manuale di Catalogazione[19]. Esso, preceduto da una lunga e complessa elaborazione, fu realizzato da un gruppo di lavoro coordinato da Giuseppina Benassati.

Basandosi sulla precedente Guida per la catalogazione delle stampe[20], voluta da Angela Vinay ed elaborata e pubblicata nel 1986, gli obiettivi da raggiungere erano: l’automazione catalografica per autori della fotografia, dotare gli operatori di un metodo comune di catalogazione “mediante codici standardizzati, di negativi, positivi, diapositive e cartoline fotografiche, sia d’autore che di documentazione, escludendo le stampe fotomeccaniche[21].

Il Manuale, fu suddiviso in tre parti (Descrizione, Scelta dell’intestazione, Forma dell’intestazione), ognuna delle quali, era a sua volta ripartita in aree, regolate da norme puntuali che specificavano la modalità di compilazione delle stesse[22].

Nella prima parte, Descrizione, venne adoperato il codice ISBD (International Standard Bibliographic Description) e in parte, le normative della RICA (Regole Italiane di Catalogazione per Autori) e della Guida per la catalogazione delle stampe, mentre per la seconda e terza parte, Scelta dell’intestazione e Forma dell’intestazione, furono redatte seguendo senza molte alterazioni, le regole della RICA[23].

Queste tre sezioni, erano seguite da sette Appendici, riportanti: l’organizzazione del Manuale, l’elenco delle abbreviazioni, il glossario dei termini usati, nonché consigli per la formulazione dei titoli attribuiti, per l’identificazione e la descrizione dei vari formati, marchi e tecniche.

Concludevano il Manuale, una sequenza di esempi di schede appositamente catalogate facendo uso del materiale fotografico custodito nelle collezioni pubbliche della regione[24].

Se per alcuni aspetti, i riferimenti ai modelli di catalogazione bibliografica, sembravano rispondere pienamente alle esigenze richieste dall’oggetto “fotografia”, si dovettero apportare nell’elaborazione del Manuale, delle modifiche, giustificate dal fatto che quest’ultimo, presentava delle problematiche intrinseche alla sua natura e perciò non condivisibili con quelle bibliografiche.

Queste modifiche, riguardavano il concetto d’autore e di edizione, nozioni che spesso “sembravano sfuggire ad una precisa definizione concettuale dal momento che queste diverse funzioni, erano svolte, nella maggior parte dei casi, da un medesimo individuo che, come imprenditore autonomo e di se stesso, si proponeva contemporaneamente quale fotografo, stampatore e distributore commerciale della propria produzione[25]. Inoltre, vennero presentate delle problematiche culturali connesse alla fotografia, che per molti anni furono ritenute innovative: “il concetto di fotografia come bene culturale, il fotografo come autore, la formulazione del titolo, la pubblicazione”[26].

Questo Manuale, che sino al 1999, anno in cui l’ICCD, ha reso pubblica la prima parte della scheda F, sarà l’unico punto di riferimento dei catalogatori, ebbe in ambito nazionale, una discreta diffusione, dovuta, secondo Gianna de Franceschi Soravito, alle seguenti ragioni: “l’aver proposto per la prima volta in Italia, una guida organica completa per la catalogazione della fotografia come materiale documentario, considerando sia l’aspetto descrittivo che l’intestazione per autore, e corredandola di appendici volte al processo operativo e di bibliografia indicativa; l’aver basato la normativa su tracciati noti e diffusi, ma riferenti allo specifico materiale fotografico; l’aver proposto il manuale a favore delle biblioteche, archivi, musei, fototeche, quindi non limitato al solo indirizzo biblioteconomico[27].

Prima di giungere alla messa a punto della scheda F, ancora nel 1992, a Prato, si tenne un convegno su “Fototeche e Archivi Fotografici. Prospettive di sviluppo e indagine delle raccolte”.

In esso si sottolineò l’importanza che l’immagine fotografica riveste nella nostra società e si ribadì la necessità di una normativa di tutela e valorizzazione della stessa.

I due convegni, e ci si riferisce a quello di Modena del 1979 e a quello di Prato del 1992, costituirono “la prima grande occasione di confronto tra enti studiosi ed addetti sul tema della conservazione e valorizzazione della fotografia storica[28].

Finalmente il “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di Beni Culturali e Ambientali”[29], emanato col Decreto Legislativo del 29 ottobre 1999, ha inserito anche la fotografia tra i Beni Culturali.

Esso recita: “quanto alle fotografie, l’applicazione del regime di tutela richiede il concorso di due presupposti:

A)  il carattere di rarità;

B)   il pregio artistico o storico (laddove va evidenziato che la tutela non richiede che la fotografia abbia valore artistico e storico, essendo sufficiente che il pregio del bene riguardi un aspetto oppure l’altro);

Al medesimo regime di tutela delle fotografia sono sottoposti i relativi negativi e matrici[30].

 

L’ICCD in collaborazione con l’ING (Istituto Nazionale per la Grafica), l’ICCU (Istituto Centrale per il Catalogo Unico), l’ACS (archivio Centrale dello Stato), le regioni Friuli Venezia-Giulia e Emilia-Romagna, e il Museo dell’immagine fotografica e delle arti visuali dell’Università Tor Vergata di Roma, ha elaborato e reso pubblica nel 1999, la prima parte della scheda F dedicata alla Fotografia.

Questa, che sostituisce la scheda FT, elaborata nel 1996, ma mai dichiarata definitiva in sede di pubblicazione ufficiale, costituisce la normativa formale per la catalogazione della fotografia[31].

Le motivazioni che hanno spinto i citati Istituti ed Enti a definire degli standard catalografici per la fotografia, sono molteplici: l’esigenza di preservare dall’oblio il nostro patrimonio fotografico; l’accessibilità e l’interscambiabilità dello stesso; la necessità di catalogarlo secondo norme equanimi[32].

Inoltre una delle novità apportate dalla scheda di catalogazione, oltre ad identificare la fotografia come documento “storico” e quindi a farla divenire oggetto essa stessa di una descrizione catalografica, è la strutturazione dei dati, opportunamente correlati tra loro grazie all’adozione del formato UNIMARC[33], che ha permesso di integrare due sistemi catalografici tenuti fino ad allora rigorosamente separati: il sistema bibliotecario e quello del settore storico-artistico del Ministero per i Beni e le Attività Culturali[34].

Tutto ciò, permetterà la realizzazione di una banca dati dove le informazioni immagazzinate, potranno essere a loro volta interrelate e scambiate.

 

 

 

Note


 

[1] G. Susini, Il “Bene culturale”: nuova vocazione interdisciplinare dell’Università, citato in G. de Franceschi Soravito, “La fotografia. Un materiale documentario speciale in biblioteca”, in “AFT”, Prato, n.33, Giugno 2001, p. 3.

 

[2] S. Papaldo, Il ruolo della Fototeca Nazionale nella tutela del patrimonio dei Beni Culturali, in S. Lusini (a cura di), “Fototeche e archivi fotografici. Prospettive di sviluppo e indagine delle raccolte”, Prato, Archivio fotografico Toscano, 1996, p. 17.

[3] Citato in S. Papaldo, Il ruolo della Fototeca … cit. p. 17.

[4] L’istituto lUCE, assorbì il Gabinetto Fotografico Nazionale.

 

[5] C. Bertelli, La fedeltà incostante in “Storia d’Italia”, Annali 2, “L’immagine fotografica 1845-1945”, Torino, Einaudi, 1979, citato in P. Cavanna, La fotografia come fonte documentaria, in “L’impegno”, anno XI n. 3, Borgosesia, Istituto per la storia della Resistenza in provincia di Vercelli, 1991, p. 27.

[6]  Legge 22 aprile 1941, n. 633, art. 87 art. 88

[7] Legge 1 giugno 1939, n. 1089, art. 1

[8] D.P.R. 3 dicembre 1975, n. 805

 

[9] Cfr. M. Cordaro, Patrimonio culturale e fotografia:qualche problema di definizione e competenza, in S. Lusini (a cura di), “Fototeche e archivi fotografici. Prospettive di sviluppo e indagine delle raccolte”, Prato, 1996, Archivio fotografico Toscano, p. 12.

[10] Cfr. La fotografia come bene culturale, convegno che si tenne a Modena nel 1979.

[11] O. Ferrari, Istituzioni e fotografia, in “Materia e tempo della fotografia”, Atti del Convegno, Prato, 4 maggio 1985 in, “AFT”, Prato, anno I, n. 2, pp. VIII.

[12] Citato in P. Cavanna, La fotografia come fonte documentaria… cit. pp. 27-28.

[13] Ibidem

[14] C. Fanti, Primi elementi di conoscenza dei fondi pubblici e privati in Emilia e in Romagna, Bologna, IBC, 1980, citato in, in P. Cavanna, La fotografia come fonte documentaria… cit. p. 28.

[15] L. Masetti Bitelli- R. Vlahov, La fotografia- Tecniche di conservazione e problemi di restauro, Bologna, Edizioni Analisi, 1987, pp. 13-17.

[16] Ibidem… p. 16.

[17]  Cfr. AA. VV., Il deterioramento dei beni culturali: libri, documenti, opere grafiche. Scripta volant, (Istituto per i beni artistici, culturali, naturali- Soprintendenza per i beni librari e documentari), Bologna, Edizioni Analisi, 1986.

 

[18] Accanto all’operato dell’Emilia-Romagna, bisogna sottolineare anche l’impegno costante del centro di catalogazione regionale del Friuli- Venezia Giulia, che negli stessi anni cercò di mettere a punto una metodologia catalografica, stabilendo una relazione reciproca con l’ICCD.

[19] Cfr. G. Benassati (a cura di), La Fotografia. Manuale di Catalogazione, Bologna, Graphis edizioni, 1990.

 

[20] Cfr. Guida alla catalogazione per autori delle stampe, Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche statali e per le Informazioni Bibliografiche; Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione; Istituto Nazionale per la Grafica; Roma, ICCU, 1986.

[21] G. Benassati (a cura di), La Fotografia. Manuale di Catalogazione… cit. p. 13.

[22] M. Miraglia, in G. Benassati (a cura di), “La Fotografia…cit. p. 11.

[23] G. Benassati (a cura di), La Fotografia. Manuale di Catalogazione… cit. pp. 13-16.

[24]  Ibidem

[25] M. Miraglia, in G. Benassati (a cura di), “La Fotografia… cit. pp. 11-12.

[26] G. de Franceschi Soravito, La fotografia… cit. p. 8.

[27] Ibidem

[28] S. Lusini, Prospettive per il patrimonio fotografico, in O. Goti - S. Lusini (a cura di), atti del convegno “Strategie per la fotografia. Incontro degli archivi fotografici”, (Prato, 30 novembre 2000), Prato, 2001, p. 6.

[29] Insieme al “Testo Unico”, è doveroso ricordare anche altri atti normativi emanati tra il 1998 e il 2000 che si sono occupati di “risolvere” le problematiche concernenti i Beni fotografici: il Decreto Legislativo n. 112 del 31 marzo 1998; il Decreto Legislativo 368 del 20 ottobre 1998, che ha istituito il Ministero per i Beni e le Attività Culturali; i Decreti 300 e 303 del 30 luglio 1999 che hanno stabilito le funzioni del nuovo Ministero e nello specifico anche una nuova regolamentazione riguardante il diritto d’autore e la tutela; la legge 237 del 12 luglio 1999, che ha istituito il “Centro per la documentazione e la valorizzazione delle arti contemporanee” e il “Museo della Fotografia”; il Regolamento del 26 novembre 1999; il Decreto Ministeriale n.294 del 3 agosto 2000, che determinava le competenze degli esecutori dei lavori di restauro.

Cfr. M. F. Bonetti, La tutela dei beni fotografici nell’ambito della nova disciplina dei beni culturali, in O. Goti - S. Lusini (a cura di), atti del convegno “Strategie per la fotografia… cit. pp. 19-21.

[30] D.lg. 490/1999, art. 2, comma 2, lett. E

[31] M. L. Polichetti, in, M.F. Bonetti (a cura di), Strutturazione dei dati delle schede di catalogo- Beni artistici e storici, Scheda F, (prima parte), Roma, ICCD, 1999, pp. 7-8.

[32] C. Giovannella, Memoria fotografica e memoria catalografica, in, F. Bonetti (a cura di), “Strutturazione dei dati delle schede di catalogo…, cit. p. 21.

[33] “L’UNIMARC è una specifica implementazione della norma ISO 2709 che uno standard internazionale che fornisce la struttura dei record che contengono dati bibliografici” definizione tratta da G. Benassati, E. Bernardi, C. Magliano, P. Martini (a cura di), Codifiche UNIMARC per l’import-export dei dati catalografici relativi al materiale fotografico, in F. Bonetti (a cura di), “Strutturazione dei dati delle schede di catalogo, cit. p. 164.

[34] M. Miraglia, in, M.F. Bonetti (a cura di), Strutturazione dei dati delle schede di catalogo…, cit. pp.13-14.