L'ARTE DELLA LUCE
 

 

Giuliano Confalonieri

 

 

 


 

“Desideravo fermare tutte le cose belle che mi si presentavano davanti” (fotografa Julia Margaret Cameron). “Volevo soprattutto cogliere, nei limiti di un’unica fotografia, tutta l’essenza di una situazione che si stava svolgendo davanti ai miei occhi ... Fotografare significa individuare in una frazione di secondo un fatto  e l’organizzazione delle forme  percepite visivamente che configurano questo fatto. Vuol dire usare nello stesso tempo la testa, gli occhi e il cuore” (fotografo Henri Cartier-Bresson). “La fotografia ha un territorio ampio quanto la nostra cultura poiché attraversa tutti i nostri strumenti della comunicazione, dalla stampa alla televisione, dalla grafica tradizionale alle ricerche più complesse sul linguaggio per immagini” (storico dell’arte Arturo Carlo Quintavalle).

 

   

Nicéphore Niepce, 1826. Immagine realizzata con 8 ore di esposizione, dalla finestra dello studio a Saint-Loup-de-Varennes.

 

 

Un ricordo personale risalente agli anni Quaranta mi riporta a Milano, al “Premiato Studio Fotografico”, attivo fino alla catastrofe delle bombe incendiarie che lo svuotarono nei devastanti bombardamenti alleati del 1943. L’enorme terrazza ricoperta di rampicanti occupava un’intera parete del cortile a forma di quadrilatero. Solitario nel suo piano unico, splendido per la veranda-sala-di-posa completa di tende regolabili per dosare la luce del giorno, fascinoso per la macchina fotografica in legno lucidato a mano che immortalò, sulle lastre di vetro o sui filmpack, centinaia di fieri militari, spose belle, famiglie altere e giovani speranze (eventuali difetti fisici venivano regolarmente eliminati da pose appropriate o da un attento ritocco della lastra di vetro).

Nel dopoguerra avrei lavorato come apprendista nel nuovo laboratorio decentrato; una attività febbrile, specialmente nel mese di settembre, per soddisfare la frenesia delle ferie ritrovate delle famiglie italiane: migliaia di rullini da 35 m/m da sviluppare e stampare a mano in bianco/nero nel formato 7x10 cm, la spuntinatura delle copie per eliminare gli antiestetici graffi della pellicola, rifilare i bordi – lisci o frastagliati – con la tagliarina.

 

Rolleiflex 6 x 6 (Rollei Werke Gmbh)

 

 

L’odore degli sviluppi, dell’acido acetico, dell’iposolfito di sodio tipico dei vecchi laboratori di fotografia, si mescolava all’odore del fumo degli stampatori relegati in camera oscura. Un ambiente nel quale si formò una passione mai sopita per l’immagine e le fotocamere Vito (Voigtländer), Retina (Kodak), Contaflex (Zeiss), Rolleiflex 6 x 6 (Rollei Werke Gmbh) ed il sistema Nikon (Nippon Kogaku KK). Vedere il mondo attraverso il mirino e tagliarne una fetta da conservare diventò una scoperta essenziale da tradurre nelle sfumature del bianco/nero. Le ore trascorse nel silenzio del laboratorio provando e riprovando furono preziose per approfondire, attraverso la manualità della ripresa e della stampa, il compito della fotografia documentaria e creativa, il valore dell’interscambio tra la realtà e la sua rappresentazione.

▪ Il francese J.N. Nièpce realizzò nel 1826 la prima immagine prodotta chimicamente e fissata su una lastra di peltro con l’ausilio del principio della Camera Oscura: dopo molti tentativi Nièpce aveva esposto una lastra eliografica, oggi conservata negli USA, per sei/otto ore. In periodo napoleonico partecipò alla campagna d’Italia. Ritiratosi dal servizio attivo per motivi di salute, con il fratello Claude si dedicò agli studi scientifici nella tenuta di famiglia a Gras. A Parigi conobbe e collaborò con Daguerre. Nièpce morì dimenticato: i suoi meriti furono riconosciuti solamente a posteriori.

▪ L.J. Mandé Daguerre – scenografo all’Opera di Parigi – presenta nel 1839 il dagherrotipo, copia unica non riproducibile: un supporto di rame ricoperto di un sottile strato d’argento sensibilizzato con vapori d’argento, esposto alla luce e quindi sviluppato con vapori di mercurio. Come per molte invenzioni, sembra che il processo fosse casuale: Daguerre chiuse una lastra esposta nell’armadio insieme ad un termometro rotto; quando aprì le antine trovò che i vapori di mercurio avevano sviluppato le figure. Riuscì così “a stabilire in chiaro ed in ombra l’immagine riprodotta dal processo della camera nera” (lo Stato francese ne comperò i diritti e decise di rendere pubblica l’invenzione). Nello stesso periodo fu adottato il termine fotografia, dal greco photos-graphein, ovvero fotografare con la luce. Nel 1822 Daguerre aveva perfezionato il Diorama, teatro ottico attuato con scene dipinte mobili che, con opportuni giochi di luce, dava l’impressione della realtà. 

▪ L’inglese W.H. Fox Talbot brevettò nel 1840 il calotipo, negativo su carta al nitrato d’argento. Ideatore del procedimento negativo-positivo con materiale fotosensibile e quindi con la possibilità di ottenere molte copie dello stesso soggetto; il processo è alla base dei sistemi chimici usati ancora oggi. Talbot era arrivato in Italia nel 1822 e durante una vacanza sul lago di Como studiò la tecnica per fermare le immagini proiettate sul vetro della Camera Oscura. Volle brevettare ogni sua idea e per questa ossessione si ritiene che ritardò la diffusione della fotografia. Nel 1839 lesse alla Royal Society la relazione sull’arte del “disegno fotogenico, procedimento attraverso il quale si possono ritrarre gli oggetti senza l’aiuto del pennello di un artista ...”

 

Un documento del 1839 sui sistemi approntati da Daguerre, Nièpce e Talbot ci riporta agli albori della tecnica fotografica; ne riportiamo una sintesi: “L’importante scoperta di ritrarre gli oggetti al naturale con il nuovo metodo applicato alla Camera Ottica ha destato grande sorpresa e ammirazione in Francia e fuori ... Il 19 agosto era prevista una dimostrazione presso l’Accademia delle Scienze parigina ... Daguerre si avvide che non potrebbe operare essendo necessario un locale rischiarato solo da una lampada per preparare le lastre di metallo, stante che queste sono talmente sensibili all’azione della luce diffusa che il minimo contatto le rende negative. Non potendo rendersi oscura la sala, decise limitarsi alla dimostrazione e descrizione di tutti i pezzi occorrenti a produrre le ammirabili sue immagini ... Non avvi penna capace a descrivere le perfezione dei particolari e nitidezza di contorni che distinguono questi quadri. Nel primo vedesi sulla spiaggia presso il ponte un ammasso di mattoni talmente distinti che con pazienza si potrebbe contarne il numero e l’altezza delle file. Il secondo rappresenta l’interno del gabinetto dell’inventore, statue, busti, ecc. Stanno là come tanti pezzi in rilievo ma il terzo, fatto da qualche giorno, sorpassa tutto ciò che si può sperare dal più esperto pennello. Un antico e folto arazzo guernito di passamani a frangie è sostenuto da ricchi cordoni, i suoi ricami in rilievo si scorgono proiettati nelle pieghe della stoffa e presentano tutte le gradazioni della luce sino al fondo delle pieghe a modo che l’occhio crede ancora vedere le continuazione del disegno del ricamo ... Venti anni fa il sig. Nièpce di Dijon uomo molto istrutto ed ingegnoso riassunse i lavori precedenti e lasciato il cloruro d’argento si servì del balsamo di giudea sciolto nell’olio di lavanda ed applicato sopra una lastra d’argento: seccata la vernice la poneva nella camera nera, immergeva poscia la piastra in un miscuglio di petrolio e di olio di lavanda. Ciò che non era tocco dalla luce veniva sciolto mentre tutti li punti penetrati dalla medesima restavano bianchi ... Ma questo metodo non molto riesciva; considerabile era il tempo impiegato e qualche volta abbisognavano tre giorni per ottenere un quadro ... Talbot scieglie la miglior carta da lettere, la immerge in una leggera soluzione di sal marino a modo che s’imbeva esattamente del liquido e sopra una faccia del foglio stende una soluzione di nitrato d’argento allungato nell’acqua sei o sette volte il suo peso, poscia lo asciuga ben bene al fuoco e la carta è preparata”.

 

L’arte raffinata della fotografia a cavallo tra Ottocento e Novecento ha lasciato il posto alla riproduzione meccanica e digitale a disposizione di un pubblico sempre più vasto. Tra le prime attività, un fenomeno degli albori fu il proliferare dei fotografi itineranti che, come le fiere ed i circhi, pubblicizzavano il loro lavoro piazza dopo piazza. È appurato che il prussiano Ferdinand Brosy già dal 1846 percorreva le strade offrendo – da Verona a Torino a Trieste ed Udine – “ritratti al dagherrotipo ... somigliantissimi ... sia buono o cattivo il tempo” al prezzo di due fiorini cadauno. Un allievo di Daguerre, Enrico Béguin, eseguiva ritratti in miniatura nello stesso periodo avendo come clientela privilegiata dapprima la classe della nobiltà e della borghesia, più tardi i militari e le famiglie emigranti che volevano lasciare a casa un affettuoso ricordo. Alphonse Bernoud operava a Genova tra le classi nobili; più tardi aprì a Napoli uno studio sofisticato riuscendo ad entrare anche nelle stanze della corte borbonica. Vito Gambina si specializzò in “dagherrotipi coloriti, a guisa di miniature, secondo l’ultimo perfezionamento americano”. Uno degli studi più noti, particolarmente attrezzato per usufruire della luce migliore, fu quello del francese Nadar (Gaspard Félix Tournachon, Parigi 1820). Giornalista e caricaturista, nel 1853 aprì l’atelier fotografico nella città natale conquistando il soprannome di Tiziano della fotografia perché tutti i personaggi noti dell’epoca furono suoi clienti. Nel 1858 scattò una serie di panoramiche da bordo di una mongolfiera e durante la Comune (1870) comandò un corpo militare di aerostieri. I ritratti del bel mondo parigino mostrano una eccezionale capacità di tradurre nell’immagine la personalità del soggetto. Nel 1865 lavoravano per lui una ventina di dipendenti, uomini e donne, con l’incarico di preparare i negativi, stampare, ritoccare ed incorniciare.

Disdéri André Adolphe-Eugène (Francia 1819) fu dagherrotipista ed ideatore della ‘carte-de-visite’, fotografie incollate su cartoncini formato 10 x 6 cm. Si narra che Napoleone III passando davanti  all’atelier parigino di Disdéri, incuriosito si fece ritrarre; dopo questo illustre approccio, migliaia di ufficiali e soldati sedettero sugli scranni predisposti davanti ai fondali dipinti. Specializzato in ritrattistica diventò un concorrente del coetaneo Nadar. Lavorò alle Corti imperiali francesi, inglesi, spagnole e russe. Malgrado il vasto successo, non volendo aggiornarsi e per le spese lussuose – scuderie, case di campagna e servitù – morì settantenne in povertà.

 

Si suddivide ogni attività in settori per comodità di esposizione tuttavia l’interscambio è inevitabile perché la comunità umana è un unicum che riflette le sue azioni da un punto all’altro del pianeta. Tra le molte categorie spicca la fotografia sociale, quella che vuole raccontare le realtà quotidiane delle classi. I reportage a sfondo sociologico avevano e hanno il merito di svelare le condizioni ambientali delle persone: i bambini minatori nei giacimenti colombiani, la psicologia dei personaggi emarginati come i barboni (hobos), la vita delle comunità emigrate nelle strade di Londra o Parigi, le tragedie sociali del Sudan e del Sahel. Uno dei primi esempi di questo genere fotografico è identificabile nel danese Jacob Augustus Riis (1849/1914) che dopo essere immigrato negli States, diventa reporter per due importanti testate. Per illustrare i suoi articoli e soprattutto per meglio documentare la miseria dei bassifondi di New York, quindi per denunciare le ingiustizie sociali, tiene conferenze sul tema. All’avanguardia dei vari settori ci furono i fotografi di guerra. Quella di Crimea (1853/1856) ebbe l’onere e l’onore di richiamare i fotografi professionisti. Tra gli altri, l’inglese Roger Fenton (1819/1869) che realizzò – con un equipaggiamento di cinque macchine ed una Camera Oscura trainata da cavalli – trecento lastre che costituiranno la materia prima per le sue esposizioni di Londra e Parigi. I reportage riportati dai giornali fecero conoscere in diretta gli orrori dei combattimenti, la tragedia dei corpi smembrati. Non più l’eroica apologia napoleonica fissata sulle tele di Jacques-Louis David (1748/1825) ma piuttosto la realtà del dolore di soldati al massacro. Fu questa esperienza e probabilmente grazie alle immagini diffuse tra la gente a casa che convinse l’infermiera inglese Florence Nightingale (1820/1910) ad organizzare i servizi sanitari dell’esercito britannico. Fenton è stato uno dei membri fondatori della Royal Photographic Society e nel 1854 ritrasse la famiglia reale. L’opinione pubblica poté constatare gli effetti sulle truppe dei gas, delle bombarde e delle mitragliatrici Maxim, per il susseguirsi di piccoli e grandi scontri: dalla Guerra Civile Americana al primo e secondo conflitto mondiale, dallo sfacelo del Vietnam alla contemporaneità del Medio Oriente.  Nel 1857 l’italiano Felice Beato realizzò una serie di fotografie nel corso della rivolta indiana contro gli inglesi. Il pittore John Singer Sargent si ispirò ad una foto della Grande Guerra per realizzare il dipinto ‘Gasati’, nel quale sono effigiati alcuni soldati inglesi accecati dall’iprite. Gli scatti a Guernica, cittadina della Biscaglia, rasa al suolo nel mese di aprile 1937 dai bombardieri tedeschi, hanno  ispirato Pablo Picasso (1881/1973) per il celebre quadro omonimo dipinto nel medesimo anno della tragedia. Malgrado l’accesso alle prime linee sia spesso top secret, la documentazione fotografica e cinematografica raccolta dalla guerra di Crimea ad oggi è talmente vasta da permettere di trarre personali conclusioni sulla realtà della belligeranza a tutte le latitudini.

L’inglese Eadweard James Muybridge (pseudonimo di Edward James Muggeridge, 1830/1904)  trasferitosi negli USA esperimenta nel 1872 riprese con un otturatore veloce da lui stesso ideato per studiare il movimento umano ed animale, precorrendo l’invenzione del cinematografo. Continuerà il lavoro proponendo i risultati in pubbliche conferenze con lo zoopraxiscope, apparecchio con un disco rotante per proiettare la sequenza di immagini con moto continuo dando l’impressione del movimento (fino a 200 diapositive su un solo caricatore). Le riprese del cavallo in corsa erano effettuate con una serie predisposta di 12/24 camere (esposizione 1/500 di secondo) azionate da fili che il soggetto, avanzando, faceva scattare. I risultati degli esperimenti sono raccolti in “Animal locomotion: an electro-photographic investigation of consecutive phases of animal movement”. Intorno al 1870 fotografò alcune fasi del conflitto tra le truppe governative americane e le tribù indiane.   

Un fenomeno vitale è quello del paparazzo, ovvero chi con il teleobiettivo ruba immagini personali intime: fu il fotografo romano Tazio Secchiaroli durante la lavorazione del film “La dolce vita” (1960) a suggerire il neologismo al regista Federico Fellini (un altro vocabolo diffusosi dall’ambito cinematografico fu quello di vitelloni, oziosi e frivoli giovani di provincia, dall’omonimo film dello stesso regista). I paparazzi, dediti soprattutto alla stampa scandalistica, sono stati definiti volta per volta ‘aggressori, avvoltoi del fotogramma proibito, una nuova razza di fotografi’. Emblematico a proposito del comportamento morale nei riguardi della privacy e quindi del rispetto dovuto sia alla persona pubblica sia a quella privata è il film di William Wyler “Vacanze romane” (1953): una giovane principessa, interpretata da Audrey Hapburn, stanca della vita protocollare fugge per la prima volta dal palazzo dorato dell’ambasciata per aggirarsi nelle strade romane. Incontra un giornalista interpretato da Gregory Peck che intravede la possibilità dello scoop con la complicità dell’amico fotografo. Quando ognuno riprende il proprio ruolo, durante l’ultima conferenza stampa i due consegnano alla principessa le immagini rubate che avrebbero imbarazzato i funzionari della Corte straniera. La costante polemica intorno all’onestà dell’informazione tocca particolarmente il dilagante mondo dell’immagine per la sua capacità di offrire la sensazione immediata di un avvenimento interpretabile da chiunque. Il rischio ulteriore proviene dalla fotografia digitale poiché la realtà può essere manomessa e falsificata. Alcuni vecchi sistemi hanno creato polemiche come, per esempio, due immagini di guerra notissime perché hanno fatto il giro del mondo e per la cui autenticità persiste qualche dubbio: la bandiera americana issata dai marines su una altura durante la seconda guerra mondiale a Iwo-jima (Oceano Pacifico) è probabilmente un set rifatto per motivi propagandistici ed emblematici; il miliziano ripreso durante la guerra civile spagnola (1936/1939) nel momento in cui viene colpito da una pallottola è probabilmente uno scatto predisposto. La deontologia degli addetti ai lavori è l’unico baluardo all’alterazione della verità. Una tra le tante che recentemente viene messa in dubbio è la tragedia ebraica vissuta da milioni di ebrei durante la pazzia nazista dell’ultimo conflitto mondiale: oltre alle numerosissime testimonianze letterarie ci sono foto e film che confutano chiunque voglia negare la shoah (ebraico, distruzione) ribadendo ancora una volta il valore dell’immagine-documento.

 

Il 2 agosto 2004, a 96 anni, è morto uno dei reporter più famosi, il francese Henry Cartier-Bresson: “Ho estratto dagli uomini, attraverso la fotografia, il meglio e il peggio e in quest’ultimo caso li ho tutti perdonati, anche quando la mia Leica coglieva atroci istanti di ferocia”. Aveva acquistato una fotocamera Leica a 23 anni e da allora si era cimentato in pace ed in guerra con le sofferenze e le atmosfere create dagli uomini perché “la fotografia è libertà del pensiero, senza strutture, è avventura; quando ancora mi dico: guarda che bella fotografia da fare, è già troppo tardi”.  Dopo gli studi liceali si interessò di pittura, approdando alla fotografia nel 1931. Fu assistente del regista francese Jean Renoir, nel 1944/45 fotografò l’occupazione della Francia e la liberazione di Parigi, girò “Le Retour”, documentario sui prigionieri di guerra reduci. Quando Bresson incontrò l’ungherese Robert Capa e David ‘Chim’ Seymour fondò con loro nel 1947 una delle più importanti agenzie del mondo, la Magnum Photos. Il segreto di Bresson stava nella capacità di scegliere nel frettoloso viavai quotidiano l’attimo fuggente e di immortalarlo sul negativo. Per questo suo dono, HCB (così veniva chiamato dagli amici) è stato il promotore dell’instant décisif, il momento irripetibile, bello ed espressivo, brutale e vero. Vinse il Gran Premio nazionale per la fotografia (1981) ed il Premio Novecento (1986); nel 2004/2005 una Mostra a Roma ha permesso di accostarsi al lavoro di colui che è stato definito “l’occhio più giusto che la fotografia abbia mai rivelato”. Nel 1966 Henry Cartier-Bresson lasciò la Magnum e dal 1974 si dedicò solamente al disegno poiché il ritorno alla manualità riuscirà a fargli completare – forse – un cammino artistico impostato su concetti come materia, memoria e slancio vitale. L’agenzia diventò attiva dal 1947 – con sedi dapprima a Parigi e New York, più tardi a Londra e Tokyo – e da allora fu presente in tutti i continenti con ampia rivendicazione di indipendenza: il totale controllo sulle foto pubblicate, la proprietà dei negativi, la gestione dei diritti e della distribuzione. Oggigiorno l’agenzia ha decine di fotoreporter i cui clic marcati “Magnum Photos” sono venduti alle maggiori riviste del mondo. Sono immagini scelte che resistono all’usura del tempo perché gli autori si immergono nel crogiuolo degli avvenimenti, dal Vietnam a Pechino, dalla Cecoslovacchia alla Bolivia, dall’Africa al Nicaragua: “Il fotografo Magnum è un reporter, un commentatore e a volte un poeta”. Robert Capa nato Friedman a Budapest nel 1913, usa lo pseudonimo Capa dal 1934; due anni dopo parte con la giornalista Gerda Taro per documentare la guerra civile spagnola dove la collega morirà travolta erroneamente da un carro armato. Due anni dopo è in Cina per documentare il conflitto con i giapponesi. Nel periodo nazista si trasferisce negli States; lavorerà per la rivista Life in Europa ed Africa. Muore nel 1954 in Indocina per una mina. Il fratello Cornell, nato nel 1918, durante la seconda guerra mondiale è arruolato nell’aviazione americana; lavora poi per Life e Magnum ottenendo numerosi riconoscimenti per la sua attività di organizzatore di mostre ed editore. Capa affermava: “Se le foto non sono buone vuol dire che non si è abbastanza pronti”. Il fratello Cornell disse che Robert “era affascinato dalla condizione umana. Partecipava con tutto se stesso agli avvenimenti ai quali assisteva. Nei 22 anni della sua carriera ha fotografato i più grandi cataclismi della nostra epoca...”  David Seymour (Chim) è nato a Varsavia nel 1911. Studia musica, arte e fotografia. Ebreo emigrato negli States, dal 1936 effettua servizi sulla guerra civile spagnola, in Africa settentrionale e in Cecoslovacchia. Nel 1942 si arruola nell’esercito americano, poi continua l’attività per diversi periodici internazionali. Per qualche anno è stato presidente della Magnum. Ucciso nel 1956 a Suez da una mitragliatrice egiziana. Nel 1995 sono stati editi due tomi intitolati “150 Years of Photo Journalism” con migliaia di immagini di proprietà della londinese “The Hulton Getty Picture Collection Ltd”, una splendida pubblicazione in grande formato dove sono riuniti più di trenta argomenti, tra i quali Conflict, Entertainment, Word event, Street Life, Peoples, Social unrest, Civil protest. Ė un ricco zibaldone di immagini fascinose ed immediate, drammatiche e coinvolgenti, nelle quali si può leggere la storia di molte generazioni. Recentemente è stato ritrovato un archivio di immagini scattate dallo scrittore americano Jack London (1876/1916 – autore dei romanzi “Il richiamo della foresta” e “Zanna bianca”) in occasione del devastante terremoto che ridusse in macerie la città di San Francisco il 18 aprile 1906. London fu incaricato di realizzare il servizio fotografico dalla rivista Collier’s per accompagnare l’articolo che lui stesso aveva scritto e per il quale riceverà un compenso di 10 ¢ a parola.

Un esempio di fotografo evoluto, non professionista ma valido nell’arte del clic, è quello dell’inglese Lewis Carroll (Charles Lutwidge Dogson 1832/1898), diventato un’icona nel suo genere. Autore di “Alice nel paese delle meraviglie”, una delle opere più note della letteratura infantile, fondamentalmente timido, Carroll cercò nell’amicizia delle bambine la conferma alle incoerenze della vita adulta per privilegiare il candore del gioco. In una prefazione al libro del critico e romanziere Oreste Del Buono del 1966, si legge: “Con la sua redingote nera, la sua cravatta bianca, i suoi occhi dolci, il reverendo Dodgson era sempre a caccia di sembianze e sorrisi infantili ... per facilitare gli approcci si portava addirittura dietro una valigetta piena di giocattoli. Naturalmente, si presentava ai genitori delle bambine su cui si appuntavano i suoi occhi, ne entrava in confidenza, sinché poteva avanzare con disarmante timidezza il suo invito. E così le sue nuove piccole amiche (il loro numero superò il centinaio) facevano il loro ingresso da sole (senza accompagnatori adulti, erano le tassative condizioni) nella bella casa del professore di matematica a Oxford. Lì lui serviva loro con compunzione il tè e suonava loro infinite volte ‘Santa Lucia’ alla pianola, le ubriacava, per così dire, a forza di doni, improvvisazioni, rappresentazioni. Poi arrivava l’attimo di un nuovo, più intimo invito: che voleva salire allo studio? Sopra l’appartamento, era attrezzato uno studio di fotografo. Le nuove o vecchie, piccole amiche che acconsentivano venivano allora vestite appositamente da Dodgson perché risultassero più pittoresche e attraenti ... I modi di Dodgson erano carezzevoli, ma come fotografo era di una pignoleria che a volte spazientiva le modelle ... Una fotografa e pittrice, certa Thomson fu incaricata per molto tempo da Dodgson di far posare nude e ritrarre ragazzine sui dodici anni scelte di preferenza tra le giovani attrici. Nel testamento Dodgson lasciò scritto che alla sua morte tutte le fotografie di nudi in suo possesso fossero rinviate alle modelle e alle loro famiglie o distrutte.”

 

Già nell’Ottocento proliferarono le cartoline intime, donne in posa senza veli, destinate a cultori del genere. L’eterno mito di Venere trovò nella stampa fotografica una nuova potente cassa di risonanza con interpreti di notevole capacità. La medesima tematica del reverendo, in bilico tra glamour e pornografia, è ripresa da autori moderni: 

▪ David Hamilton (Londra 1933) predilige nudi di fanciulle in fiore e nature morte: “Il giorno in cui le fanciulle scompariranno dalla mia vita, mi ritirerò in solitudine e mi perfezionerò in questo genere, in omaggio a Morandi che ammiro grandemente”. Le sue immagini accuratamente preparate con una luce soffusa che rende eterei i giovanissimi corpi, non nascondono niente dei segreti intimi e della bellezza acerba adolescenziale. Lo stesso stile Hamilton lo ha trasferito sul grande schermo con “Bilitis”, “Tenere cugine”, “Primi desideri”. Dopo avere studiato architettura è diventato direttore artistico della rivista Queen; trasferitosi a Parigi collaborò con periodici internazionali.

▪ Robert Mapplethorpe (New York 1946) presenta corpi e volti su fondali neutri dello studio di Bond Street a New York. Una delle sue immagini più intuite è quella derivata da Leonardo – modernizzazione di ‘homo ad circulum’ – realizzata nel 1986: ‘Thomas’ mostra un poderoso uomo nero inquadrato nella struttura geometrica e illuminato in modo da evidenziarne il sesso. Volti celebri della cultura e dello spettacolo (Sonia Braga, Kathleen Turner, Norman Mailer) e corpi provocanti fotografati dapprima con la Polaroid poi con il sistema Hasselblad. Ha frequentato il Pratt Institute di Brooklyn e si è interessato di cinema.

▪ Il potere commerciale ed artistico di Helmut Newton (Berlino 1920) sta nell’accendere il desiderio in chi guarda le sue foto. L’originalità degli ambienti nei quali fa muovere le modelle, usando il bianco/nero per nascondere od evidenziare particolari intimi, stimola pensieri erotici dando tuttavia un tocco di eleganza alle situazioni costruite. Entra nelle case dei personaggi celebri convincendoli a mostrarsi. Dagli anni Cinquanta ha lavorato a Parigi per varie riviste.

▪ Un documento riporta uno dei primi interventi censori sulla nuova tecnica. L’arciprete della Patriarcale Basilica Liberiana romana – cardinale Patrizi – pubblicizzò nel 1861 un editto nel quale veniva sanzionato “l’umile ritrovato delle Scienze affinché niun danno provenga alla onestà dei costumi” con l’inevitabile corollario di multe “fino alla pena detentiva da tre a sei mesi per chi si permettesse effigiare in fotografia figure oscene”. L’avvento del sistema Leica (progettato dall’industria ottica tedesca Leitz Camera), maneggevole e silenzioso, permise di sfruttare le luci di scena ottenendo una spontaneità nella resa della mimica. Lavorare in luce ambiente con ottiche luminose e pellicole sensibili permise di vivere il palcoscenico in incognito ottenendo nuovi modi espressivi per l’assenza della posa e del flash al magnesio. Nel catalogo generale 1929/1930 del grossista genovese Cattaneo (sul mercato dal 1899), la Leica viene così descritta: “Il più piccolo apparecchio con otturatore a tendina da 1/20 a 1/500 di secondo. Tutto in metallo leggero. Dimensioni cm. 13,2 x 5,5 x 3. Può essere portato in tasca. Pesa gr.425. Si carica con rotoli di film di m. 1,60 per 36 fotografie di m/m 24 x 36 od anche con film di minor lunghezza. L’obbiettivo è un anastigmatico Leitz Elmar 1:3,5 f. cm. 5 e dà immagini di grande nitidezza. Messa a fuoco mediante movimento elicoidale dell’obiettivo. Distanza minima 1 m. Mirino ottico quadrangolare. Si può applicare il telemetro per le distanze. Cambiamento delle films in  piena luce, maneggio facile e comodo; apparecchio completo con tre caricatori, borsa cuoio, £. 1.385”.

 

La produzione di immagini – nel bene e nel male – supera ogni possibilità statistica. Forse nel futuro rimarrà soltanto la fotografia in movimento, ne sono precursori i brevi filmati già possibili con i cellulari e le fotocamere digitali dell’ultima generazione. Il supporto cartaceo è sostituito da capienti memorie digitali leggibili da tutti. Rimarranno le testimonianze dell’età del collodio archiviate nelle biblioteche informatizzate. “Da oggi la pittura è morta” commentò Paul Delaroche il 19 agosto 1839 quando Parigi annunciò l’invenzione della fotografia. Nel 2004, in occasione dell’inaugurazione del ‘Museo di fotografia contemporanea’ a Cinisello Balsamo in provincia di Milano si commentava amaramente che “la fotografia è morta”, almeno quella fatta di pellicole, di emulsioni e di camere oscure: “L’immagine digitale imita ancora la fotografia ma presto se ne staccherà come la fotografia si staccò dal disegno e dalla pittura: già oggi il suo rapporto col tempo, con lo spazio, con il concetto di realtà è infinitamente diverso. La fotografia ha vissuto un secolo e mezzo bellissimo ma è finito”. Un concetto intriso della malinconia di chi ha vissuto il piacere dello sviluppo e della stampa nella camera oscura adattata in qualsiasi bugigattolo disponibile. La manipolazione degli agenti chimici come iposolfito e acido acetico, l’apprensione con cui si guardava la pellicola ancora grondante dell’acqua di lavaggio, quando il risultato era la conclusione di un processo iniziato nel momento dello scatto.

 

CRONOLOGIA

 

▪ 1267 - Lo studioso inglese Ruggero Bacone Doctor mirabilis (1214/1294) studia la luce che passa da un foro praticato in un ambiente scuro. Il fenomeno della Camera Oscura – ovvero uno spazio a cubo o parallelepipedo con un foro su un lato che permette alla luce e quindi all’immagine esterna di proiettarsi rovesciata su una parete fu ripreso da Leonardo da Vinci.

▪ 1593 - Della Porta Giambattista (Napoli 1535/1615) - Scienziato che pubblicò il trattato ‘De refractione’ sulla Camera Oscura e le immagini fornite da lenti. Nel Museo Correr veneziano sono esposti alcuni visori reflex usati dai pittori paesaggisti per controllare i valori prospettici da trasferire sulla tela.     

▪ 1826 - Nièpce Joseph-Nicéphore (francese 1765/1833) - Realizzò la prima immagine prodotta chimicamente e fissata su una lastra di peltro con l’ausilio della Camera Oscura. 

▪ 1839 - Daguerre Louis Jacques Mandé (francese 1787/1851, scenografo all’Opera di Parigi) - Inventore del dagherrotipo, copia unica non riproducibile

▪ 1840 - Talbot William Henry Fox (inglese 1800/1877) - Brevettò il calotipo, negativo su carta al nitrato d’argento. Ideatore soprattutto del procedimento negativo-positivo alla base dei sistemi chimici.

▪ 1851 - Comincia l’età del collodio, soluzione di nitrocellulosa in una miscela di alcol ed etere per preparare le lastre con il nitrato d’argento; in fase di ripresa, queste lastre dovevano essere usate ancora umide per non perdere la sensibilità alla luce.

▪ 1868 - Ducos du Hauron Louis (francese 1837/1920) - Scatta la prima fotografia in tricromia con il metodo additivo sfruttando gli studi dello scozzese Maxwell James Clerk (1831/1879) che sette anni prima aveva ottenuto in proiezione una immagine a colori separando i primari: rosso, verde, blu.

▪ 1875 - Si produce la pellicola in rullo su supporto di carta.

▪ 1888 - La Casa Kodak (fondata da Eastman nel 1881) presenta una fotocamera destinata al grande pubblico; per sostituire la pellicola con un centinaio di immagini era però necessario rivolgersi alla fabbrica. Nel nuovo secolo viene commercializzato il procedimento a colori Kodachrome. George Eastman (USA 1854/1932) dal 1878 fece esperimenti per rendere più accessibile il procedimento al collodio umido. Qualche anno dopo brevetta le pellicole avvolgibili. Il Museo aperto nella dimora del fondatore è tra i più importanti del mondo, con circa mezzo milione di fotografie.

▪ 1895 - I fratelli francesi Lumière effettuano la prima proiezione cinematografica. Il padre Antoine aveva uno studio fotografico a Lione, spesso con duecento clienti al giorno. Nel 1879 fece installare un impianto di luce elettrica: la usò per ottenere fotografie morbide adatte per ritratti; in cantina aveva montato una piccola centrale autonoma con un motore a gas e un’apparecchiatura che alimentava le lampade con corrente continua. Lo studio aveva orario continuato dalle 9 alle 24. Le lastre dovevano essere preparate con la soluzione sensibile subito prima dell’uso in camera oscura (per l’esterno si usavano carrozze chiuse) e sviluppate immediatamente. Nel 1894 trecento operai, soprattutto donne, producevano quindici milioni di lastre l’anno e l’utilizzo di un vagone di vetro ogni tre giorni; le loro lastre rimarranno sul mercato per sessanta anni.

▪ 1922 - Viene presentato il fotofinish per controllare l’arrivo delle gare sportive.

▪ 1924 - Sul mercato è presentato l’apparecchio tascabile Leica; usa il formato 35 m/m della pellicola cinematografica perforata prodotta nel 1895 dall’inventore statunitense Alva Thomas Edison (1847/1931).

▪ 1932 - Sul mercato appare la fotocamera Contax con ottiche intercambiabili.

▪ 1935 - Compaiono il flash elettronico ed i procedimenti Kodachrome e Agfacolor per diapositive.

▪ 1948 - Land Edwin Herbert: ideatore del processo a sviluppo istantaneo, commercializza la pellicola bianco/nero,  nel 1963 quella a colori con il marchio di fabbrica ‘Polaroid’, sul mercato già dalla fine degli anni Trenta. Compaiono le fotocamere Nikon 24 x 36 a telemetro e Hasselblad 6 x 6, reflex monoculare con obiettivi e dorsi intercambiabili.

▪ 1963 - Il procedimento per la stampa da diapositive Cibachrome viene presentato dalla Casa Ilford, industria produttrice di materiali sensibili fondata nel 1879 dal fotografo inglese A.H. Harman, fusa con l’industria chimica Ciba.  

▪ 1980 - Presentazione del sistema digitale supportato dai dischetti magnetici che possono essere usati e riusati, con la possibilità di modifiche sostanziali del soggetto tramite i programmi grafici del computer. Mentre la fotografia su pellicola ha avuto una evoluzione lenta e travagliata, il  digit  ha un miglioramento velocissimo sia in termini qualitativi che di capienza.

 

STORICI ADDETTI AI LAVORI

   

▪ Adams Ansel (San Francisco 1902). Scatta le prime foto nel periodo in cui studiava pianoforte; nel 1931 diventa professionista e due anni dopo apre a San Francisco una galleria con il suo nome. Escogita l’esposizione a sistema zonale tuttora in uso. Dal 1946 al 1958 riceve alcune borse di studio dalla Fondazione Guggenheim per riprendere parchi e monumenti nazionali; è ritenuto tra i maggiori paesaggisti del mondo, lavoro che gli ha procurato due lauree ad honorem. 

▪ Alinari Leopoldo, Romualdo, Giuseppe (fratelli editori fiorentini dal 1854). Ditta specializzata   nella documentazione estremamente accurata di opere d’arte, architettura, ritratto e paesaggio. L’archivio vanta oltre 70.000 negativi molte ristampe dei quali, diffuse come gadget da alcuni quotidiani, hanno fatto conoscere ad una vasta platea parte del lavoro raccolto in molti decenni da una moltitudine di fotografi itineranti.  

▪ Atget Eugene (Francia 1857). Comincia a fotografare a 40 anni con lastre 18 x 24 cm. e per decenni ritrarrà ogni scorcio di Parigi e dintorni. L’archivio personale ha un patrimonio di oltre diecimila immagini donate al Museum of Modern Art di New York.

▪ Avedon Richard (New York 1923). Inizia nel dipartimento fotografico della Marina Mercantile americana, prosegue lavorando come ritrattista e fotografo di moda per Harper’s Bazaar

▪ Badodi Attilio (Reggio Emilia 1880). A Milano apre un studio nel quale riceverà – come Nadar a Parigi – l’alta società del capoluogo lombardo. Il ricco archivio è stato acquisito dall’Agenzia Farabola.

▪ Bailey David (Londra 1938). Dopo il servizio miliare lavora per la rivista Vogue. La sua carriera nel mondo della moda ed in quello pubblicitario ispirerà il regista Michelangelo Antonioni per il film Blow-up del 1966.   

▪ Beaton Cecil (Londra 1904). Collabora alle copertine di Life e durante la seconda guerra mondiale fotografa per conto del Ministero dell’Informazione. Disegna scenografie e costumi per produzioni teatrali a New York e Londra nonché per i film ‘Gigi’ (1958) e ‘My Fair Lady’ (1964) premiato con otto Oscar tra cui quello per Beaton. Divenne ritrattista ufficiale della famiglia reale inglese e per i suoi meriti fu nominato Baronetto.

▪ Berengo Gardin Gianni (Santa Margherita Ligure 1930). Dal 1954 riceve numerosi riconoscimenti per la sua attività amatoriale fotografica. Nel 1962 diventa professionista a Milano; dopo qualche lavoro nel campo pubblicitario e di moda, si dedica al reportage collaborando anche con il Touring Club Italiano.

▪ Bishop Werner (Zurigo 1916). Inizia l’attività nel 1936. Durante la seconda guerra mondiale lavora per un periodico, nel 1948 fotografa i giochi olimpici invernali, diventa socio dell’Agenzia Magnum; lavora per il settimanale Epoca e per incarico della rivista Life realizza un reportage sulla fame in India. Fotoreporter in Giappone, Corea, Indocina, Messico, Panama. Muore per un incidente stradale in Perù.   

▪ Brady Mathew (USA 1823). Dopo avere imparato la tecnica della dagherrotipia, nel 1844 apre uno studio a New York nel quale fotografò i personaggi più in vista dell’epoca. Per non rischiare di perdere le immagini deperibili, le riprodurrà su lastre di vetro. Avendo allargato l’attività e per problemi agli occhi, chiama a collaborare l’inglese Alexander Gardner. Fonda l’Agenzia Brady raccogliendo migliaia di immagini della guerra civile americana. Indebitato per le spese sostenute, morirà povero in un ospedale dopo avere venduto le proprietà per soddisfare i creditori.      

▪ Cameron Julia Margaret (Calcutta 1815). Educata in Europa, vive in Estremo Oriente fino al 1848, comincia a scattare foto a 48 anni eseguendo il ritratto di personaggi importanti. La sua esperienza è riassunta in ‘Annals of my glass Hause’.

▪ Caron Gilles (Parigi 1939). Dopo aver combattuto in Algeria, tornato in patria lavora come assistente fotografo. Nel 1967 fonda con altri l’Agenzia Gamma. Reportage: guerra dei sei giorni in Israele, maggio 1968 a Parigi, Biafra, Irlanda del Nord, Praga. Muore in Vietnam.

▪ Carrese Vincenzo (Napoli 1910). Fondatore a Milano dell’Agenzia Publifoto. Fotografa gli effetti dei bombardamenti alleati su Milano del 1943. Nel dopoguerra assume appalti con varie  testate giornalistiche creando una rete di corrispondenti in tutta Italia. 

▪ Carrieri Mario (Milano 1932). Fotoreporter e operatore cinematografico, si dedica all’edizione di alcuni volumi (‘Milano, Italia’; ‘Il Museo Civico di Storia Naturale di Milano’) utilizzando in particolare il bianco/nero.

▪ Catalano Elisabetta (Castellaneta, Taranto 1941). Inizia la carriera sul set del film ‘Otto e ½’ (1963) di Federico Fellini. Pubblica le prime foto realizzate nel mondo del cinema sulle riviste Il Mondo, L’espresso e Vogue alternando ritratti a servizi di moda. 

▪ Cerati Carla (Bergamo 1926). Fotoreporter e scrittrice. Nel 1969 realizzò un servizio sui manicomi per un libro dello psichiatra Franco Basaglia,. Tra il 1981/1982 curò per la RAI la serie “Dietro l’obiettivo”.

▪ Comerio Luca (Milano 1878). Alla fine dell’Ottocento fotografa la sanguinosa repressione delle agitazioni popolari da parte delle truppe del generale Bava Beccaris (1831/1924), diventa fotografo della Real Casa, fonda una Casa cinematografica, segue le truppe italiane in Libia, filma episodi della prima guerra mondiale, segue l’impresa dannunziana di Fiume (1919). 

▪ Cunningham Imogen (Oregon 1883). Ritrattista laureata in chimica. Stampò su carta al platino centinaia di negativi sugli indiani d’America. Più tardi aprì uno studio a Seattle e quindi a Oakland. Con alcuni colleghi (tra i quali A. Adams e E. Weston) fondò nel 1932 il gruppo f.64 (massima chiusura del diaframma), sciolto tre anni dopo per contrasti tra i soci.

▪ De Biasi Mario (Belluno 1923). Deportato in Germania nel 1944, trova casualmente del materiale fotografico. Tornato in patria espone per la prima volta nel 1948, cinque anni dopo cominciò ad eseguire le copertine per il settimanale Epoca. Nel 1956 documenta i fatti d’Ungheria, nel 1964 cura per il governo finlandese il volume sul cinquantenario del Paese, nel 1975 i servizi Cara Italia ottengono un meritato successo. Premio Saint Vincent di giornalismo nel 1982.

▪ Doisneau Robert (Francia 1912). Frequenta corsi di litografia e incisione a Parigi, lavora come disegnatore, fotografo pubblicitario ed industriale. Nel 1973 realizza il corto ‘Le Paris di Robert Doisneau’.                                                           

▪ Ducrot Jérôme (Orano 1935). Combattendo in Algeria realizza un servizio che sarà pubblicato dai periodici Paris Match e Le Figaro. Si specializzerà nei settori della moda e pubblicità a New York e Parigi collaborando con Look ed Esquire

▪ Duncan David Douglas (USA 1916). Arruolato come fotografo della marina militare, segue le truppe nella guerra dell’Oceano Pacifico. Lavora per Life documentando le guerriglie del Medio Oriente e la guerra coreana. Per altre testate diventa testimone nell’Unione Sovietica, Europa, Stati Uniti e Vietnam. Eseguì numerosi ritratti al pittore Pablo Picasso.    

▪ Farabola Tullio (Milano 1920). Durante la seconda guerra mondiale agisce come ufficiale fotografo. Negli anni Sessanta fonda nella città natale l’omonima Agenzia che distribuirà ai giornali materiale proveniente da tutto il mondo.

▪ Feininger Andreas (Parigi 1906). Dopo alcune esperienze in Germania come architetto, nel 1930 pubblica le prime foto. Nove anni dopo si trasferisce negli States per lavorare come free-lance per conto di Life. Scrive diversi libri di tecnica fotografica pubblicati in parecchie lingue. 

▪ Fontana Franco (Modena 1933). Costruisce paesaggi con immagini cromaticamente intense inventando una realtà metafisica. Le sue opere sono esposte in musei e gallerie molto importanti. All’attività di ricerca affianca la fotografia pubblicitaria.

▪ Freed Leonard (New York 1929). Dopo aver seguito per alcuni anni la naturale inclinazione per la pittura, diventa free-lance e pubblica il suo primo libro sulla comunità ebraica di Amsterdam. Nel 1968 esce il volume dedicato alla condizione sociale dei neri americani. Realizza reportage sui problemi dell’immigrazione orientale in Europa.

▪ Galligani Mauro (Siena 1940). Diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma ha al suo attivo i servizi sulle Olimpiadi di Roma e Mosca, sul terremoto del Friuli e sulla tragedia della diossina a Seveso. È stato in Cina, Libano, Afghanistan.   

▪ Gardner Alexander ‘Brady’ (Gran Bretagna 1821). Assistente a New York di Mathew Brady, segue per lui la campagna della guerra civile americana. Nel 1863 lascia Brady portando con sé i fotografi migliori; diventerà fotografo ufficiale prima dell’armata del Potomac e poi della Union Pacific Railroad, la società incaricata di costruire la strada ferrata. Fotografa gli operai, i delegati indiani al Congresso nel 1867 e cura un servizio sugli assassini del presidente Abraham Lincoln (1809/1865).  

▪ Gorgoni Gianfranco (Roma 1941). Attraversa gli USA fotografando le comuni hippy, il Festival di Woodstock e un servizio sull’arte contemporanea americana. Cuba, Cile e Sud America sono altrettante paesi visitati per collaborazioni di ogni tipo. 

▪ Hamaya Hiroshi (Tokyo 1915). Come free-lance visita Cina, Thailandia e Giappone. Nel 1960 entra nello staff dell’Agenzia Magnum: Stati Uniti, Europa, Asia, Medio Oriente, Sud America e Antartide.

▪ Hiro (Yasuhiro Wakabayashi, Shangai 1930). Studia a Pechino, Tokyo e New York. Diventa assistente di Richard Avedon e dal 1971 si interessa in proprio di moda e pubblicità collaborando con le riviste Harper’s Bazaar e Opera News.

▪ Izis (Israel Biderman, Lituania 1911). Trasferitosi a Parigi si mantiene fotografando cerimonie famigliari. Entra poi nello staff del settimanale Paris-Match. Ha curato l’allestimento di Mostre e l’edizione di libri.

▪ Jackson William Henry (USA 1843). Pittore, ritoccatore e colorista in uno studio fotografico. Per diversi anni segue la posa dei binari della ferrovia dell’Oceano Pacifico (le sue foto aiuteranno a stimolare la creazione e la valorizzazione del Parco Nazionale di Yellowstone) e la vita delle tribù indiane. Dopo avere aperto uno studio a Denver gira mezzo mondo curando come autore ed editore una serie di album fotografici.

▪ Käsebier Stanton Gertrude  (USA 1852). Dopo avere sposato un commerciante tedesco e avuto tre figli, si specializza nel ritratto. Apre uno studio e alcune foto vengono stampate sul primo numero di Camera Work. Nel 1901 riprende i personaggi del Circo Equestre di Buffalo Bill (William Frederick Cody, 1846/1911); svolge un tema sulla maternità e fonda con colleghi The Pictorial Photographers of America.                         

▪ Lange Dorothea (USA 1895). Figlia di immigrati tedeschi, a New York diventa assistente di un fotografo. Nel 1919 apre uno studio e contemporaneamente lavora come free-lance. Alcune sue efficaci immagini di scioperanti le procurano il compito di documentare le condizioni degli immigrati.

▪ Leiss Ferruccio (Oneglia 1892). A Milano sperimenta le tecniche della stampa al bromolio e della gomma bicromata. Collabora con riviste del settore diventando uno dei fondatori del Circolo Fotografico Milanese. A Venezia continua la sua attività amatoriale e negli ultimi anni la sua opera riguarda soprattutto la città che lo ospita.

▪ Lotti Giorgio (Milano 1937). Come free-lance lavora per il settimanale Epoca documentando l’alluvione di Firenze, il Pontefice in Terrasanta, la tragedia del Vajont, il terremoto in Sicilia, in Friuli ed in Irpinia, le Olimpiadi di Tokyo e Monaco. Nel 1978, in occasione del bicentenario, illustra il volume Il Teatro alla Scala milanese.

▪ Lucas Uliano (Milano 1942). Collabora con numerosi quotidiani e riviste, cura collane di libri fotografici, è autore di monografie sulla sua città: “La Milano dei Navigli”, “Vivere nel milanese”, “Cinque anni a Milano”, “Uliano Lucas Reporter”.  

▪ Luxardo Elio (Brasile 1908). Discendente di una famiglia di fotografi, si trasferisce a Roma dove il suo studio diventa usuale meta delle dive cinematografiche. Continua l’attività di ritrattista a Milano.

▪ Morgan Brooks Johnson Barbara (USA 1900). Studia arte, dirige con il marito una casa editrice, rimane colpita dalle immagini di Edward Weston in occasione dell’allestimento di una mostra. Apre uno studio fotografico a New York, incontra la ballerina coreografa Graham (1894/1991) – promotrice della danza moderna – e stampa il libro “Martha Graham: Sixteen Dances in Photographs”.  

▪ Mulas Ugo (Pozzolengo 1928). Fotografo professionista, raccoglie materiale sulla Biennale di Venezia (esposizione internazionale d’arte contemporanea), sull’attività del Piccolo Teatro di Milano, sulla periferia milanese e sugli artisti pop americani.

▪ Namias Rodolfo (Milano 1867). Chimico che nel 1894 fondò la rivista Il Progresso fotografico, nel 1895 la Scuola Laboratorio di Fotochimica e Fotografia applicata, nel 1902 un Corso Domenicale di Fotografia e Processi Fotomeccanici.

▪ O’Sullivan Timothy (? Irlanda 1840). Affianca Alexander Gardner per fotografare la guerra civile americana. Segue alcune spedizioni e raccoglie un ricco archivio di immagini delle Montagne Rocciose, del deserto del Nevada e del Nuovo Messico.

▪ Parks Gordon (pseudonimo di Alexander Buchanan, USA 1912). Suonatore di pianoforte, cameriere, giocatore di basket, testimone della realtà agricola del suo paese. Come componente dello staff di Life realizza i reportage ‘I musulmani neri’ e ‘La morte di Malcom X’. Ha composto la colonna sonora di alcuni film.    

▪ Patellani Federico (Milano 1911). Inizia l’attività durante il servizio militare in Africa (1935/36). Durante la seconda guerra mondiale fotografa le realtà del fronte Jugoslavo e di quello russo collaborando con il settimanale Tempo. Diventato free-lance, realizza due documentari per la televisione e raccoglie, nel corso di una lunga serie di viaggi, settecentomila immagini in bianco/nero.

▪ Petrelli Valentino (Fontanafredda 1922). Lavora per l’Agenzia milanese Publifoto di Vincenzo Carrese. Dal 1973 segue avvenimenti di ogni genere collaborando con giornali internazionali.

▪ Pinna Franco (La Maddalena 1925). Procura alle riviste i testi e le immagini immagazzinate nei numerosi viaggi. Collaborò per molti anni con il regista Federico Fellini.  

▪ Pino Giuseppe (Milano 1940). Fotoreporter del settimanale Panorama. Segue concerti e festival di jazz, collabora con Case discografiche americane per le quali realizza le copertine dei dischi. Divenuto free-lance si è occupato di moda maschile e ritrattistica.

▪ Ray Man (Filadelfia 1890). Fotografo di moda, ritratti e ricerche sulla solarizzazione (fenomeno che provoca sull’emulsione negativa l’immagine con gli stessi valori tonali del soggetto anziché invertiti). Si è occupato di esperienze artistiche d’avanguardia partecipando a manifestazioni surrealiste e dadaiste.

▪ Roiter Fulvio (Meolo 1926). Professionista dal 1953, pubblica i reportage su giornali italiani e stranieri. Cura l’edizione dei libri fotografici: “Ombrie”, “Terre de saint François”,”Andalousie”, “Bruxelles”, “Liban, lumière des siècles”, “Mexique”, “Brésil”, “Turquie”, “Espagne”, “Firenze e Toscana”, “Carnevale a Venezia”.

▪ Sander August (Germania 1876). Lascia il lavoro di minatore per diventare assistente fotografo specializzandosi nel ramo industriale e architettonico. Nel 1910, a Colonia, cataloga “immagini dell’uomo del XX secolo”, progetto che proseguirà fino agli anni Cinquanta anche se il nazismo aveva distrutto molti dei negativi raccolti. Paesaggio e ritratti sono le sue attività continuative dalla metà degli anni Trenta.

▪ Scianna Ferdinando (Bagheria 1943). Riprende i siciliani e le loro feste folcloristiche. Collabora con lo scrittore Leonardo Sciascia . A Milano lavora come free-lance, per L’Europeo viaggia in Italia e nel mondo. Entra nello staff dell’Agenzia Magnum.

▪ Sieff Jean-Loup (Parigi 1933). Reporter e fotografo di moda a Parigi per la rivista Elle. Divenuto free-lance lavora per le testate Queen, Vogue, Look, Life, Esquire. Apre uno studio a Parigi pur collaborando ancora con i giornali. Realizza spot pubblicitari.

▪ Stieglitz Alfred (USA 1864). Si interessa di fotografia a Berlino mentre frequenta l’Università. Collaborando con la carta stampata si schiera a favore dei nuovi concetti della ‘fotografia istantanea’ a fronte di quella ‘pittorialista’. Fu uno dei promotori della rivista Camera Work e fondatore della galleria d’arte “291” (numero civico della Fifth Avenue di New York).  

▪ Strand Paul (New York 1890). Cineasta e fotografo con uno studio aperto nel 1912. Interessato al paesaggio, nel corso dei suoi viaggi fotografa, rocce, conchiglie, architetture, città. Produce film di carattere didattico sanitario. Francia, Italia, Egitto, Romania, Marocco, Nuove Ebridi: un pellegrino dell’immagine con all’attivo tante mostre personali e tanti libri.

▪ Toscani Fedele (Milano 1909). Fondatore insieme a Vincenzo Carrese dell’Agenzia Publifoto. Operatore cinematografico durante la seconda guerra mondiale e tra i primi fotogiornalisti italiani.

▪ Toscani Oliviero, figlio di Fedele (Milano 1942). Eccelle nella fotografia di moda liberandosi dalle pose stereotipate per usare le modelle ‘en plein air’ dando così un tocco di quotidianità agli esemplari degli atelier.

▪ Weston Edward (USA 1886). Un tirocinio sulla strada e l’apertura di alcuni studi lo fanno diventare uno dei più apprezzati fotografi pittorialisti. Due borse di studio della Fondazione Guggenheim gli permettono di approfondire l’esperienza: viaggia, allestisce mostre e pubblica libri, aiutato in questo dai figli che lo hanno seguito nella professione.

▪ Zannier Italo (Friuli 1932). Collaboratore di riviste di fotografia e docente presso alcune Università. Critico e storico, pubblica: “Storia della fotografia italiana”, “Fotografia in Friuli”, “Conoscere la fotografia”, “Il quartiere barocco di Roma”, “Monti d’Italia”, “Sicilia e Sardegna”.     

 

▪ Agfa – Industria chimica tedesca dal 1867, produttrice di materiale fotografico dal 1908. Fusa con la fabbrica belga “Gevaert” (produttiva dal 1890) dall’inizio degli anni Sessanta.

▪ Canon Camera Co. – Costruisce apparecchi e materiale fotografico a Tokio dal 1933. Nel 1935 presenta una maneggevole camera 35 m/m simile alla “Leica”. 

▪ Ferrania 3M – Fabbrica italiana di materiale sensibile nell’Appennino ligure, attiva con altre ragioni sociali dal 1917. Detentrice dal 1949 del marchio “Ferraniacolor”.

▪ Graflex – Apparecchio reflex di grande formato con otturatore a tendina costruito nel 1898 dalla “Folmer & Sching Co.”

▪ Hasselblad – Camera reflex formato 6 x 6 con ottiche e dorsi intercambiabili prodotta dalla omonima industria svedese. Progettata da Victor Hasselblad e presentata sul mercato di New York nel 1948, ha avuto grande diffusione soprattutto tra i professionisti.

▪ Ilford – Casa produttrice di materiale sensibile fondata nel 1879 dal fotografo inglese A.H. Harman. Nel 1963 viene presentato il procedimento per la stampa da diapositive “Cibachrome” frutto dell’accordo con l’industria chimica svizzera “Ciba”.  

▪ Kodak – Industria statunitense fondata nel 1881 da G. Eastman e H.A. Strong.  Sette anni dopo viene presentata una fotocamera destinata al grande pubblico. Nel 1935 è la volta del procedimento a colori “Kodachrome”, seguito negli anni da “Kodacolor” e “Ektachrome”. Fabbrica pioniera nella diffusione degli apparecchi “Pocket Instamatic”.

▪ Konica – Marchio della “Casa Konishiroku”, produttrice di materiale sensibile e del primo apparecchio fotografico giapponese.

▪ Leica – Il sistema “Leica” è commercializzato dal 1924; i prototipi sperimentali risalgono al 1913. Fondatore del gruppo industriale è stato Ernst Leitz, produttore tedesco di strumenti ottici di precisione.

▪ Linhof – Casa produttrice di macchine professionali di grande formato fondata a Monaco. Dal 1910 viene diffuso un modello ideato dallo stesso fondatore Linhof.

▪ Minolta – Casa giapponese sul mercato dal 1928. La “Minolta Camera Co.” costruisce apparecchi di piccolo formato ed accessori.

▪ Nikon – Marchio dei prodotti costruiti dalla “Nippon Kogaku KK” fondata a Tokyo nel 1917. La prima fotocamera della serie a telemetro 24 x 36 m/m è stata presentata nel 1948 e nel 1969 la reflex a obiettivi intercambiabili. Nel 2006 la fabbrica si è convertita al sistema digitale, mantenendo nel catalogo solamente due modelli con pellicola chimica.  

▪ Officine Galileo – Industria ottica fondata a Firenze nel 1870. Produttrice di obiettivi e proiettori nonché della microcamera GaMi 16 m/m.

▪ Olympus – Marchio degli apparecchi e accessori costruiti dalla ditta Olympus Optical Co. fondata a Tokyo nel 1919. 

▪ Polaroid – Marchio della società “Polaroid Corp.” per il procedimento chimico a sviluppo immediato, ideato da Edwin Herbert Land (americano 1909/1991). Due rulli – una pellicola negativa e una carta sensibile a contatto – forniscono in circa un minuto l’immagine fissata ed asciutta.

▪ Rollei – Apparecchi ed accessori prodotti dalla Casa tedesca “Rollei Werke Gmbh” fondata nel 1920. La camera 6 x 6 biottica è diffusa dal 1929.

▪ Voigtländer – Casa fondata a Vienna nel 1756, produttrice nel 1841 del primo obiettivo per ritratti e nel 1959 del primo obiettivo a focale variabile, zoom per camere 35 m/m.

▪ Zeiss – Carl Zeiss (1816/1888) è l’industria costruttrice di strumenti ottici scientifici dal 1846. Commercializza gli apparecchi “Contax” a telemetro e con ottiche intercambiabili dal 1932; successivamente le reflex per il formato 24 x 36 m/m.

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giuliano.confalonieri@alice.it (2012)