Vito Timmel (Vienna 1886 - Trieste 1958)

 

 

Walter Abrami

 

 

 

 

     Umile e arrogante, popolano e aristocratico, sensuale e ascetico’ (Claudio Magris), estroso ed originale artista a tutto campo dalla fervida e vulcanica mente fu Vittorio Thummel - noto come Vito Timmel - uno dei maggiori esteti giuliani.

Nell’arco della sua vita eseguì disegni, tempere, dipinti ad olio, fu grafico e fece silografie, linoleografie;  realizzò  il noto manifesto litografico Pro Fiume - Donne e Fanciulli il cui bozzetto è proprietà dei Civici musei di Storia ed Arte di Trieste, ma anche particolari decorazioni, sculture (un amico collezionista  conserva ormai l’unica figura di donna alta 36 cm. in gesso patinato e dipinto esistente e nota!).

Si orientò coraggiosamente all’arte applicata e forse c’è ancora tempo di scoprire qualche suo splendido lavoro. Timmel è probabilmente in assoluto il pittore più amato nella nostra provincia, comunque pubblicamente apprezzato e prossimo, nel secolo a venire, alla leggenda che ha già profonde radici e tende a depistare gli storici. Uomo di media statura, dall’aspetto fisico poco attraente, ma dalle linee del volto esili e dolci (quattro i suoi autoritratti noti tutti databili 1910, famosa la caricatura che gli fece Wostry e l’olio su cartone proveniente dal Circolo Artistico Triestino pure a Wostry attribuito nonché la xilografia di Franco Cernivez), aveva occhi pronti a cogliere,  nella sua realtà visiva, vorticosi linearismi.

D’intelligenza vivace, la sua conversazione fu brillante, arguta, intramezzata da un ‘gergo spesso colorito e sboccato’ (Giani Stuparich) che lo rendeva assai simpatico.

Timmel ebbe una cultura disordinata.

Instabile, debole di nervi, negli ultimi anni accentuò la visione pessimistica della vita che comunque sempre lo attanagliò, lo imprigionò; fu assorto, smemorato e sregolato nelle più banali azioni quotidiane. Non di rado la sua forte personalità contrastò con il suo carattere difficile, bizzarro, con il suo spirito aspro e mordace; Timmel, uomo mite, talora diventava offensivo e ribelle e il suo temperamento incontrollabile e imprevedibile scatenava violenti paradossi verbali costruiti su convinzioni assolute.

In Pittori e scultori di Trieste Sibilia conclude il profilo dell’artista con queste parole di Timmel: “Il mio studio deve rappresentare una placenta che darà il suo frutto maturissimo.

Timmel realizzò, completò e firmò molte tele in via Machiavelli, all’interno della cupola di Palazzo Carciotti, in via Lazzaretto Vecchio e in via Iacopo Cavalli dove ebbe in periodi diversi, vagabondo squattrinato, uno studio.

I tanti amici ed estimatori che ebbe (i colleghi Wostry, Sofianopulo, Rovan, Lucano, Noulian, Lucas e Pittoni più di altri, Silvio Benco, il farmacista de Manzolini, il dottor Rosani, l’orefice Dobner, l’ingegner Rostirolla, Stavropulos,  Chicco, Fellini, Castiglioni ecc.) gli vollero un bene sincero, spesso lo sostennero in modi diversi, lo incoraggiarono; qualcuno tra essi come Noulian che gli fu anche testimone in seconde nozze, lo ospitò nel proprio studio e Rostirolla in varie riprese tra il 1939 e il 1941, gli consentì di soggiornare nelle sue tenute di campagna di Monrupino e Portogruaro.

Lavorò a Sesana  per gli Economo, in Istria per i Casale ed eseguì decorazioni sulla motonave Vittoria.

Ma  Timmel contò altri numerosi mecenati, altri committenti, perfino qualche straniero: è certo che decorò una villa nelle vicinanze di Monfalcone disegnando e provvedendo all’esecuzione dell’argenteria, dei tendaggi finanche della biancheria e che trascorse un periodo a Carella in Brianza dove decorò un’altra ricca dimora e dipinse numerose opere delle quali sfortunatamente si sono perse le tracce.

L’artista ebbe sempre una naturale carica vitale, si spostò di frequente e fu sempre sorretto orgogliosamente dalla propria volontà di indipendenza almeno fin quando poté farlo...

Per apprezzare ancor più le sue ‘sparse istantanee’  e l’andamento fluido di linee mosse di svariati e ripetuti fiori che dipinse (soprattutto zinnie, margherite, tulipani) nonché le stilizzazioni mai banali dei suoi alberi ora slanciati e contorti (cipressi), talvolta piegati dal peso della neve (abeti) o fioriti (ciliegi, meli) o spogli (carpini),  si ricordi che Timmel curava con passione e conservava  degli erbari: se gli capitava di donare a qualche persona cara una fogliolina o un fiore secco raccolto in Carso, lo faceva come se fossero regali preziosissimi.

La ricca biografia e le numerose testimonianze orali sul pittore  raccolte principalmente da L. Fumaneri che ebbe relatrice la professoressa Walker in una tesi di laurea dell’a.a. 1962 - 1963, si sono ulteriormente arricchite: nel cinquantesimo anniversario della fondazione della Provincia di Trieste è stato stampato “Il magico taccuino” di Vito Timmel ‘un protervo e puerile vangelo di stesso’ coordinato e progettato da Anita Pittoni che ha il merito di aver raccolto i manoscritti originali dell’autore.

A partire dalla fine degli anni Trenta, queste pagine confuse costituiscono uno scombinato, sgrammaticato e ‘inconsueto’ itinerario labirintico della sua memoria.

Pure altri dipinti non catalogati o inediti sono usciti dalle case di vari proprietari per essere posti in vendita ed hanno contribuito a movimentare il mercato locale principalmente durante le aste della Stadion dal 1990 ad oggi.

Alcuni quadri hanno raggiunto quotazioni piuttosto alte tanto da destare l’interesse dei ladri:  risultano infatti rubati i due paesaggi di Timmel riprodotti in queste pagine.

La signora Marcella Raccanelli (oggi novantaduenne dalla ferrea memoria!) che lavorò nello studio dentistico del dottor Rosani, racconta: ‘Tra il 1941 e il 1944 Timmel veniva spesso nell’ambulatorio di via San Nicolò 33 sito al primo piano difronte la Libreria Antiquaria di  Umberto Saba; il poeta se ne stava tranquillamente seduto in prossimità della vetrina e Timmel un po’ curvo, trasandato e con un cappello in testa anche fuori stagione, gli lanciava uno sguardo (timido? distratto? di sfida?) e saliva frettolosamente i pochi gradini per raggiungere l’ambulatorio.

Aspettava impaziente il medico-amico che chiamava Pino Rosan: talvolta si recavano assieme in un caffè del Corso (il bar Torinese) tal altra il pittore aveva realmente bisogno di cure.

Nell’attesa, che doveva sembrargli ‘eterna’ perché non aveva pace, disegnava su fogli di modeste dimensioni uno dei suoi Sogni e senza rendersi conto di dov’era e di chi gli stava vicino (spesso illustri concittadini), sputava per terra.

Talora capitava che arrivasse  nello studio senza un preavviso dopo aver chiamato inutilmente Sofianopulo, ‘mosca necrofila’, - così lo soprannominava - dal marciapiede...

Pretendeva un incontro con il dentista perché affermava di star male e quando il dottor Rosani gli chiedeva cosa sentisse o provasse, rispondeva: “Ti  te sa!” ‘

In altri racconti di chi lo conobbe o lo frequentò lo troviamo spesso al Caffè Garibaldi e in Piazza Sant’Antonio Nuovo al Bar Astoria che per un certo tempo fu anche sala espositiva; qui Timmel disegnò i mobili, i soprammobili, decorò le pareti e tracciò dei disegni sui vetri dei tavolini... ma successivamente, durante la profonda crisi esistenziale, trascorse terribili giornate in maleodoranti angoli  di Cittavecchia, in contrade malfamate tra prostitute, marinai gente poco raccomandabile, nell’Osteria “Da Erminio” in Piazza Cavana la “cassa da morto” che decorò durante le sue assidue presenze e in quella “Da Menego” in Androna della Canapa dove pure fece dei fregi alle pareti.

Dopo essere rimasto vedovo con il figlio Paolo a carico (1916) e aver fallito il secondo matrimonio trascorso solo un anno di vita coniugale (si separò in seguito a violenti liti per incompatibilità di carattere nel 1922), inasprito e fortemente deluso dalle vicende amorose, divenne progressivamente misogino.

“Chiuso, ozioso e disinteressato” come egli stesso si definì, si autorelegò -sorta di esilio volontario-  alle pendici del Colle di San  Giusto, nell’ ”inferno” di Cavana e degli immediati vicoli; trovò consolazione nell’alcol e il bere divenne il suo principale vizio.

Abusò del vino fino a non poterne fare a meno e con esso il pittore minò ulteriormente la sua salute.

Si riprese miracolosamente e si diede alla più rigorosa sobrietà probabilmente spaventato dalla ‘Terza Carrozza’ quella che nel suo delirare,  condusse all’obitorio prima e al cimitero poi, parecchi derelitti con i quali aveva condiviso le amarezze alzando il gomito.

Riapparve come un miraggio nelle Gallerie d’Arte, negli ambienti frequentati un tempo, ma ormai il suo equilibrio psicofisico era alterato definitivamente.

Gino Rossi a Treviso, Timmel a Trieste, Utrillo a Parigi.

A poco a poco le amnesie di cui l’artista soffriva da anni (le chiamava nostalgie), si fecero più frequenti fino a indurlo a segnarsi su un quaderno tascabile, per poter tornare a casa, le vie che percorreva: non ricordava nemmeno il nome di oggetti comuni!

Il cinque novembre 1945 fu ricoverato nel Sanatorio neurologico.

Interessante la cartella clinica rispolverata da Alessandra Doratti  autrice nell’a.a. 1987/1988 di uno studio su Timmel effettuato per l’Istituto per l’Arte e il Restauro di Firenze.

... A sette anni insolazione qualificata per meningite. Non infezioni veneree. Si dava al bere smodatamente. Non fatti convulsivi. Assiduo lavoratore. Progressivo indebolimento della memoria, disorientamento e fatti demenziali. Si mette a dipingere “sogno” fatto di notte. Non conosce le persone con le quali ha avuto a che fare. Non ha la nozione del suo stato, nella critica è puerile e i suoi dipinti dell’ultimo periodo hanno l’impronta dell’infantilismo. Non è sudicio però trascura la pulizia personale, è disordinato, ogni tanto si cambia. Cambia rapidamente di proposito, associa molto superficialmente.

12 XI 1945 dimesso.

Successivamente Timmel trascorse 49 mesi nel reparto neurologico dell’ospedale psichiatrico dove rimase rinchiuso nell’oblio generale.

Morì il primo gennaio 1949 all’età di sessantadue anni.

     

 

Ripercorriamo brevemente il suo cammino...

 

Nacque a Vienna nel 1886 da una famiglia di piccoli commercianti d’origine nobiliare che si trasferì a Trieste nel 1890; a quindici anni lo troviamo ‘allievo già segnato dall’infanzia’, oppresso, nella Scuola per Capi d’Arte dove Scomparini fu il suo primo riferimento concreto.

Nel 1904 concorse senza successo per il premio della Fondazione Rittmeyer con Pausa e La dormiente, nudo di donna che suscitò scandalo.

Seguì gli insegnamenti fino al 1905 e nelle aule giunsero senz’altro ‘gli echi’ della mostra viennese di Klimt; nello stesso anno si iscrisse all’Accademia di Vienna.

In un recente, approfondito e brillante studio intitolato “Centro e Periferia” pubblicato nel 1997 in Arte in Friuli Arte a Trieste, A. Tiddia indica come la presenza degli artisti delle periferie asburgiche alle Mostre della Seccessione viennese fosse scarsa e ricorda la partecipazione di  Levier e di Parin.

‘Del resto - sottolinea la studiosa - la scarsità delle presenze è proporzionale all’esiguità del numero di pittori che scelsero Vienna come luogo del loro apprendistato: Timmel, Campitelli e verosimilmente O. H. Lamb e U. Schiavon’.

Nel 1908 Timmel si trasferì alla Kunstgewerbeshule che aveva un indirizzo decorativo, tornò a Trieste e nel 1910 poté ammirare a Venezia le opere di Klimt: ne rimase profondamente impressionato, rapito; fu turbato dalle polline e dai pistilli, dagli spermatozoi e dagli ovoli viandanti come lui, in atto di compenetrare sia gli esseri umani che  la natura.

 Timmel decodificò i messaggi di Klimt, li interpretò a modo suo in maniera altrettanto ornamentale, simbolica, voluttuosa ma anche masochistica: spesso le sue creature sono elegantemente femminili nel corpo sinuoso, ma nella durezza del volto hanno lineamenti maschili.

La visione del pittore si complicò spesso di ironie, di preponderanti elementi grotteschi  ma i  suoi  soggetti migliori  furono concepiti spiritualmente e sorretti da un’intima, spontanea sensazione del colore; nel 1913   il suo disegno incisivo e robusto, le conoscenze letterarie e teatrali e l’ampio repertorio iconografico acquisito nella capitale, lo condusse a realizzare il Ciclo delle Maschere (diciassette pannelli a tempera) come decorazione dell’atrio del Cinema Ideal, poi Cinema Italia (1919) a Trieste.

Essi vennero rimossi nel 1962 e furono collocati nell’atrio del Teatro Filodrammatico; nel 1970 il Curatorio del Civico Museo Revoltella promosse la pubblica acquisizione del complesso pittorico e il Comune di Trieste accolse la proposta e mercé i contributi stanziati dall’Ente Provinciale per il Turismo e dall’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo, il Ciclo delle Maschere venne restaurato con grande professionalità ed esperienza da Loberto e assegnato alle raccolte del Revoltella.

Timmel lavorò accanto a Lucano e nello stesso anno espose alla Permanente con ‘rovo’ Rovan.

Nel triennio bellico (‘15 / ’18) fu a Radkesburg dove conobbe Orell e tornato a Trieste, nel 1920 il signor Cosulich gli affidò l’incarico di decorare il Teatro del Cantiere Navale  di Monfalcone; Timmel eseguì un fregio con trenta figure che rappresentavano la storia del teatro, ma durante la seconda guerra mondiale l’edificio fu bombardato e nulla si è conservato se non il ricordo.

Nel 1921 presentò a Roma il pannello “Gli Infelici” (“I Tristi”) e l’anno seguente lo espose alla Permanente: nel suo intendimento doveva precedere “Gli Spostati” e “I Felici” e costituire  una trilogia.

Nel 1923 concorse all’Esposizione di Monza e vinse il Primo premio per un progetto architettonico di una stanza.

Successivamente tenne un paio di mostre personali a Trieste (1924 e 1926): per la prima delle due ideò il famosissimo Fuochi d’Artificio (Fochi) oggi proprietà del Museo Revoltella!

Arrivò il freddo inverno del 1929 espose in via Mazzini da Michelazzi alcune danzatrici, Il Nevoso e l’Albero di Natale: ma com’era il Natale di Timmel'

Da questo momento, per quasi un decennio Timmel si inabissò, eroico cavaliere degli emarginati, sotto ‘un cielo infinito soffittato di stelle’ come ‘uomo senza qualità’ troppo pigro nel raccogliere, incorniciare e portare le tele da qualche gallerista o da qualche estimatore per venderle.

E furono anni di capolavori autentici come le tempere L’Incomunicabile (1931) e Gli Anonimi (1935) che ci dicono della sua grandezza: non furono gli unici di un momento simbolistico (si ricordino Le tre Carrozze, L’Eternità, Il Viandante, Sirena e sono realizzati attraverso una miriade di puntini, di righette e di trattini.

Tra i simboli preferiti da Timmel vi è la stella a cinque punte - ermetico segnale - posta spesso sopra o sotto la sua firma: indica solitarie conquiste e fuggevoli momenti di gioia, attimi forse.

(Essa non compare negli autoritratti e nei lavori meno significativi)

Altro simbolo dipinto è la collana, ornamento femminile che il pittore ripete con una certa insistenza: ad essa è spesso attribuito il valore di amuleto, può indicare una condizione di dipendenza o appartenenza (fu veramente ‘prigioniero autistico’ della madre?), ma anche un significato erotico.

E ancora il fondamentale numero tre (il tre di quadri nelle  carte da gioco, tre alberi, tre carrozze) che esprime un ordine intellettuale e spirituale in Dio e nel Cosmo il fuoco che rappresenta le passioni (amore e collera), lo spirito, la penetrazione, il cipresso “albero sacro” che indica lutto nella nostra cultura e longevità per gli orientali dei quali Timmel, non dimentichiamolo, fu pure per certi aspetti suggestionato, il  ponte che indica il passaggio dallo stato umano al sovrumano.

Se in seguito Timmel aderì o si avvicinò ad altre correnti conta relativamente poco perché si espresse ancora magnificamente con personalissimo stile in Luci di notte (1939),   Incendio del Balkan (1941), Sogno (1943) e Fiori alla Finestra (1944).

Nel 1937 il pittore tornò ad esporre probabilmente per aiutare economicamente il figlio Paolo che si accingeva a partire per l’America del Sud; è del 1941 la sua ultima esposizione in vita: dipinse qualche ritratto, fiori, navi sotto il cielo stellato che progressivamente diventa meno luminoso.

E’ datata 26 luglio 1945 l’inedita Veduta notturna di Trieste,  (tempera su faesite di cm. 23,5 x cm 43) dipinta da ‘Terstenico’ tre mesi prima del ricovero: le luci della città sembrano i fuochi fatui di un esteso cimitero e la luna dall’ingenuo volto umano, posta altissima centralmente, osserva...

Timmel  partecipò a varie mostre anche a Napoli dove vinse la medaglia d’oro del Re (1905), Arezzo (medaglia d’oro),  Monaco di Baviera,  Roma, Torino, Monza e Padova.

Dalla sua scomparsa ad oggi più volte diverse opere del pittore  sono state esposte in mostre collettive importanti: vanno ricordate le memorabili personali postume del 1978 nella Sala d’Arte di Palazzo Costanzi  (per meritevole iniziativa del Comune e del Civico Museo Revoltella) e del 1988 presso la Galleria Tommaso Marcato.

 

 

Walter Abrami