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UN TRIO ECCELSO

SHAKESPEARE – MOLIERE - GOLDONI

 

 

Giuliano Confalonieri

 

  

 

 

 

    William Shakespeare (1564/1616) – Nasce nel villaggio inglese di Stratford-on-Avon da una antica ed agiata famiglia, la madre ereditiera e il padre John commerciante. Iniziò le scuole a sette anni: nel periodo elisabettiano l’insegnamento era basato sull’apprendimento meccanico delle nozioni e il futuro drammaturgo dimostrò un’ottima capacità mnemonica che gli sarebbe servita più tardi per costruire caratteri e canovacci. Lo studio del latino arricchì il suo vocabolario, la logica e la retorica affinarono le sue capacità dialettiche e quindi espositive, la conoscenza della mitologia greca e di quella romana gli fu di grande utilità nel lavoro creativo.

Si sposò ancora minorenne – tanto da avere bisogno del permesso dei suoi genitori – con una donna di 25 anni, Anne Hathaway. Nel 1583 ebbe la prima figlia Susan (causa delle nozze affrettate) e meno di due anni dopo nacquero i gemelli Hamnet e Judith. Dissesti finanziari della famiglia lo costrinsero poi a trasferirsi a Londra dove il teatro era il genere di spettacolo più diffuso e amato da tutti, dalla Regina Elisabetta all’uomo della strada. Le numerose sale private avevano la scena fissa, il proscenio prominente era senza sipario: la luce artificiale, i vari piani del palcoscenico e la disponibilità di scenografie diversificate influenzavano anche il modo di recitare degli attori; i teatri pubblici, generalmente scoperti, usavano invece la luce del giorno e un tipo di approccio con gli spettatori diverso.

In ogni caso era un ambiente favorevole per il talento innato di Shakespeare che cominciò il suo apprendistato come attore in piccole parti; divenne membro del gruppo di attori “Earl Pembroke’s Men” e quindi lavorò con la  Compagnia dei “King’s Players”. Come scrittore pubblicò i suoi primi poemi “Venere e Adone” e “Lucrezia violata”. Conobbe Christopher Marlow (1564/1593), uno dei più grandi drammaturghi dell’epoca elisabettiana, la cui personalità impetuosa influì notevolmente sul giovane Shakespeare e sulla sua opera futura. I teatri furono chiusi a causa della peste dal 1592 al 1594. Nel 1599 fu costruito il Globe Theatre e poiché Shakespeare ne possedeva una quota è facile pensare che i suoi guadagni fossero già consistenti. I lavori attribuiti a Shakespeare coprono un periodo di vent’anni: 37 opere teatrali e 154 sonetti. Ai lavori giovanili come ‘Tito Andronico’ e ‘La commedia degli equivoci’ seguono ‘La bisbetica domata’ e la serie imperniata sulla storia inglese, nella consapevolezza dell’ascesa  economica e militare del suo paese, da ‘Enrico IV’ a ‘Riccardo III’.

‘Giulietta e Romeo’, ‘Sogno di una notte di mezza estate’, ‘Giulio Cesare’, ‘Amleto’, ‘Otello’, ‘Re Lear’ , ‘La tempesta’: sono tutti testi interpretati da registi ed attori di ogni generazione. Non esistono manoscritti originali o stampe dei suoi lavori teatrali: ciò ha fatto dubitare non tanto dell’esistenza dell’uomo William Shakespeare quanto della sua attività di scrittore teatrale. In questo ruolo fu definito “una gazza ladra, un imperterrito copiatore” perché prelevava da altri autori frasi, personaggi e trame: il suo genio consisteva nell’arricchire, personalizzare e dare vigore al materiale ‘grezzo’ che raccoglieva intuendone le possibilità di messa in scena. Comunque, dopo la sua morte due amici ne raccolsero le opere nel primo in-folio del 1623 sul quale risalta la dedica dell’attore e drammaturgo inglese Ben Jonson (1572/1637): “He was not of an age but for all time!”

 

 

 

    Jean-Baptiste Poquelin, in arte Molière (1622/1673) – Figlio di un tappezziere della Corte francese, a 15 anni si impegnò a subentrare alla morte del padre nella carica di tappezziere reale. Seguì studi umanistici in un collegio dei gesuiti e poi corsi di diritto. Fu il nonno ad iniziarlo alla magia del teatro portandolo ad assistere agli spettacoli. A 21 anni rinunciò al ruolo di fornitore reale e alle relative prebende per fondare con altri attori la Compagnia dell’Illustre-Theatre, una iniziativa purtroppo destinata all’insuccesso e conseguentemente ad un tracollo economico che portò lo stesso Molière in prigione per debiti (Jean Racine – 1639/1699 – ebbe rapporti con la Compagnia di Molière per due motivi: la rappresentazione di una sua opera e l’amore per l’attrice Du Parc, sottratta alla Compagnia e morta poi in circostanze  misteriose tanto da essere accusato di avvelenamento; l’autore drammatico francese pensava al testo teatrale come “Un’azione semplice, sostenuta dalla vicenda delle passioni, dalla bellezza dei sentimenti e dall’eleganza dell’espressione”).

Per tredici anni la Compagnia girò la provincia francese, un periodo prezioso per la formazione professionale di Molière e dell’Illustre-Theatre, fino ad ottenere la protezione del principe di Conti. Quando questi voltò le spalle alla Compagnia per ragioni religiose, fu il tempo per Molière di ritentare l’avventura parigina. Dopo avere recitato alla presenza della Corte, il gruppo di attori girovaghi ebbe una sede fissa nella sala del Petit-Bourbon dividendola con i colleghi della Comédie-Italienne e assumendo il nome di Compagnia di Monsieur, fratello del Re di Francia. Il successo del suo primo capolavoro ‘Le preziose ridicole’ procurò a Molière l’invidia delle Compagnie concorrenti. Ciononostante il suo talento di attore e di autore – soprattutto in ciò che gli era più congeniale, ossia la satira di costume come nella ‘Scuola dei mariti’ del 1661 – lo impose al pubblico ed alla Corte di Luigi XIV per la quale, talvolta in collaborazione con G. Lulli, creava anche azioni danzate. ‘Il borghese gentiluomo’, ‘La scuola delle mogli’, ‘Il Tartufo’, ‘Il misantropo’, ‘L’avaro’, ‘Il malato immaginario’ sono alcune delle grandi commedie di carattere di questo genio del palcoscenico. Antesignano della riforma teatrale goldoniana, usò gli elementi migliori della Commedia dell’Arte per fonderli nella moderna commedia di carattere e costume. Morì dopo una rappresentazione del ‘malato immaginario’, un feroce bisticcio di parole che probabilmente aderisce alla sua valutazione del teatro come forma di espressione.              

 

 

 

 

    Carlo Goldoni, il grande commediografo veneziano del Settecento, comprese che la staticità del ‘tipo’ era ormai superata. L’originalità della sua riforma si basava su un copione compiuto e articolato, su caratteri più approfonditi che volevano divertire ma anche segnalare i risvolti psicologici di una società in evoluzione. La sua conoscenza dell’ambiente teatrale (nei primi anni di attività fornì scenari e canovacci alle Compagnie) gli permise dapprima di usare gli stessi personaggi stereotipi della Commedia dell’Arte nella novità delle sue sperimentazioni, poi di inventare il mondo del teatro nuovo: “Un povero commediante... bisogna che el se sfadiga a studiar, e che el trema sempre, ogni volta che se fa una nova commedia, dubitando o de no saverla quanto basta, o de non sostegnir el carattere come xe necessario.”

Dopo aver attraversato quel ricchissimo e delizioso paese che è Sampierdarena, scorgemmo Genova dal lato del mare. Che spettacolo affascinante e sorprendente! È un anfiteatro semicircolare che da una parte forma il vasto bacino del porto e dall’altra s’innalza gradatamente lungo il fianco della montagna, con caseggiati immensi che da lontano sembrano sistemati l’uno sull’altro e terminano con terrazze, balaustrate e con gradini che fanno da tetto alle varie abitazioni. Di fronte a quelle file di palazzi, di case nobiliari e alloggi borghesi, gli uni rivestiti di marmo, gli altri ornati di pitture, si vedono i due moli che formano l’imboccatura del porto; opera degna dei Romani perché i Genovesi, malgrado la violenza e la profondità del mare, vinsero la natura che si opponeva alla loro sistemazione. Nello scendere dalla parte della Lanterna per raggiungere Porta San Tommaso, vedemmo l’immenso Palazzo Doria dove furono alloggiati temporaneamente tre Principi sovrani; poi andammo alla locanda di Santa Marta, aspettando l’alloggio che ci avevano destinato”. Goldoni rievoca così nelle ‘Memorie’ il suo ingresso a Genova al seguito come autore della Compagnia di San Samuele in tournée. Della Liguria scrive ancora nel 1762: “Ci imbarcammo sulla feluca del corriere di Francia e facemmo vela per Antibes, costeggiando la riva che gli italiani chiamano Riviera di Genova. Una burrasca ci allontanò dalla rada e poco mancò che non perissimo doppiando il capo di Noli.” Nato a Venezia nel 1707, morto a Parigi nel 1793, Carlo Goldoni dimentica dopo pochi anni la sua laurea in legge e segue le compagnie teatrali di Imer e Medebach. Scrive per il patrizio Grimani, lavora per i Teatri Sant’Angelo e San Luca, compone sedici commedie in un solo anno (1751) oltre all’esposizione programmatica de ‘Il Teatro Comico’ (il successo che ne derivò gli procurò la lunga rivalità del commediografo Pietro Chiari e la polemica con Carlo Gozzi, difensore ad oltranza della Commedia dell’Arte). I lavori di Goldoni erano infatti impostati su un copione preciso e quindi le implicite innovazioni non potevano non urtarsi con le abitudini del tempo: la commedia dotta in volgare e soprattutto la Commedia dell’Arte del XVI secolo si basavano sul mestiere dell’attore-maschera e sul canovaccio spesso improvvisato e quindi in netta contrapposizione con il suo teatro nuovo. Gozzi, nel 1772 commenta: “Egli ha fatto sovente de’ veri nobili lo specchio dell’iniquità e il ridicolo; e della vera plebe, l’esempio delle virtù e il serie. Io sospetto (forse troppo maliziosamente) ch’egli abbia fatto così per guadagnarsi l’animo del minuto popolo sempre sdegnoso col necessario giogo della subordinazione”. Nel 1762 Goldoni si trasferisce a Parigi quale direttore della ‘Comédie Italienne’, nel 1765 è chiamato alla Corte di Luigi XV per insegnare italiano alle figlie del Re. Un lavoro che gli fruttò per qualche anno una modesta pensione. Il declino fisico fu parallelo al declino delle sue fortune; quasi cieco, morì povero il giorno prima che un decreto della Convenzione gli rendesse la pensione nel frattempo sospesa. Nell’introduzione alle ‘Commedie’ (Einaudi, 1979) Kurt Ringger commenta: “Venezia rappresenta lo sfondo sul quale si disegna il mondo poetico di Goldoni. È non tanto la Venezia panoramica di Canaletto, né il fondo quella anedottica di Longhi, quanto quella atmosferica del Guardi. La Venezia goldoniana è l’espressione di un clima poetico non fondato su effetti coloristici o sul gusto del pittoresco; essa si affida ad una unica fondamentale tonalità. Ad una coerente atmosfera. La Venezia goldoniana è un ambiente. Quest’ambiente è lo spazio poetico in cui si muove l’immaginazione di Goldoni: uno spazio in cui l’intuizione del poeta fermenta ed articola le strutture delle sue commedie. Lo spazio poetico goldoniano è sempre uno spazio teatrale, creato innanzitutto con mezzi linguistici: la trasformazione del palcoscenico in un mondo fantastico avviene progressivamente tramite l’azione da una parte ed il dialogo dall’altra.” È l’analisi efficace di un teatro fatto di caratteri, di maschere, di personaggi e situazioni che pur rispecchiando solo in parte la realtà dell’epoca, ricostruisce psicologie e sentimenti, giochi e ambienti adatti alla moderna macchina teatrale: “Persino nelle sue scene popolari è questione non di naturalismo vergine e potente ma di contrappunto: così furbescamente armonizzati sono, anche nei contrasti fra barcaioli, servi e donnette, i toni dei loro battibecchi, strilletti e strilli. Per noi è chiaro che se vogliamo vedere Goldoni nella sua giusta luce, dobbiamo cercare in lui non la potenza ma la grazia” (Silvio D’Amico, 1940). Gli espedienti teatrali usati dal commediografo veneziano sono ancora influenzati dal legame con la Commedia dell’Arte ma impostati in modo razionale; la struttura dei suoi copioni prevede infatti un principio ed una fine logici, una metamorfosi delle situazioni e soprattutto una gradevolezza linguistica che attira e coinvolge.

L’altro grande innovatore del teatro europeo, di formazione umanista e illusionista della scena, l’autore-attore francese Molière, aveva già scavato nei caratteri e nelle situazioni e sarebbe stato d’accordo con l’impostazione del teatro goldoniano; la sua capacità di cogliere nei comportamenti umani il contrasto tragedia-commedia lo accomuna a Goldoni se non altro per la comune propensione ad esprimere beffa e morale, passioni e manie, con il dialogo e l’azione delle loro creature. Il Goldoni della commedia buffa e quello della commedia di caratteri si svincolò in modo sistematico dai retaggi delle tradizioni, delle mode e delle culture che mantenevano il teatro in un limbo senza novità: infatti i suoi migliori lavori sono caratterizzati dalla levità del linguaggio, dall’invenzione e dall’immediatezza. Circa 200 realizzazioni tra commedie, tragedie, melodrammi e intermezzi danno la misura della sua fecondità artistica. La sua tematica faticò a penetrare nei capocomici dell’epoca  perché dovette fronteggiare la tradizione radicata della Commedia dell’Arte. Furono necessarie reciproca comprensione e collaborazione: da una parte l’autore che si adatta alla personalità degli attori, dall'altra il loro sforzo per seguire il ritmo scenico calibrato. Anche se Goldoni considerava l’improvvisazione un’arte e la pantomima un’ispirazione, riteneva che fosse necessaria una elaborazione specifica del testo: non più la mummificazione delle parti (le Maschere della Commedia dell’Arte ripetevano un repertorio di frasi che gli spettatori per buona parte già conoscevano) ma la gradevole scoperta di dialoghi briosi che preparavano l’intreccio e lo portavano a compimento. Le sue commedie più note furono scritte tra il 1748 e il 1762: ‘La vedova scaltra’, ‘La bottega del caffè’, ‘I pettegolezzi delle donne’, ‘La serva amorosa’, ‘La locandiera’, ‘Donne de casa soa’, ‘Il campiello’, ‘I due gemelli veneziani’, ‘I rusteghi’, ‘Sior Tòdero brontolon’, ‘Le baruffe chiozzotte’, ‘Trilogia della villeggiatura’, ‘Il servitore di due padroni’, eccetera. È il mondo pittoresco dei gondolieri, delle lavandaie, dei paròni, delle serve, dei ganimedi perdigiorno e dei vecchi taccagni; è la decisa riforma del modo di fare teatro con la sostituzione della buffoneria fine a se stessa; è la proposta di personaggi che esprimono una gamma di emozioni e sentimenti nei quali lo spettatore può identificarsi. La Maschera, tipica della Commedia dell’Arte, prima di venire definitivamente abbandonata da Goldoni, è modificata fino a farla diventare persona, non più burattino disarticolato ma consapevolezza del proprio ruolo sul palcoscenico. Arlecchino riempie lo spazio inespressivo della maschera di cuoio con l’intelligenza e la furbizia, disponibile al compromesso pur di mangiare, altruista ed egoista proprio come nella vita quotidiana (l’origine di questo personaggio è rivendicata da diverse città, tra le quali Mantova che annovera un attore del luogo, Tristano Martinelli nato nel 1577; dal 1999 la città dei Gonzaga ha istituito il Premio Internazionale ‘Arlecchino d’oro’ per premiare attori meritevoli del titolo). Nelle ‘Mémoires de M. Goldoni, pour servir à l’histoire de sa vie, et à celle de son theâtre, dédiés au Roi’ (scritto tra il 1784 e il 1787) l’autore dice di se stesso: “La mia vita non è interessante ma può darsi che tra qualche tempo, in un angolo di una vecchia biblioteca, si trovi una raccolta delle mie opere. Forse incuriosirà sapere chi era questo uomo singolare che mirò alla riforma del teatro nel suo paese…

 

 

Giuliano Confalonieri

giuliano.confalonieri@alice.it