A PROPOSITO DI UN DISEGNO ATTRIBUITO A GIACOMO FAVRETTO

 

 

Maria Antonella Bellin

 

 

 

 G. Favretto, Giovane vestito da orientale, collezione privata.

 

 

Alcuni documenti autografi attribuiti al famoso pittore veneziano della seconda metà dell’Ottocento, apparsi recentemente sul mercato antiquario e ora in collezione privata, hanno destato la curiosità di chi scrive, e costituiscono quindi l’oggetto di questo approfondimento.

Si tratta di un disegno a matita su cartoncino di mm 80 x 58 raffigurante un giovane vestito all’orientale firmato in basso a sinistra Favretto, e di un biglietto di mm. 55 x 95 scritto a mano dall’artista, firmato e datato 10 Giugno 1884.

Le scarse informazioni riportate nella scheda descrittiva che accompagna questi documenti, suggeriscono, attraverso discutibili osservazioni, una relazione diretta tra il biglietto e il disegno, senza tuttavia dimostrare la loro autenticità.

L’intento di questo contributo è quindi quello di ipotizzare una relazione convincente tra questi due documenti per trovare una chiave di lettura valida che possa dimostrare l’autenticità del disegno.

 

 

                            G. Favretto, Biglietto autografo, collezione privata, 1884

 

Iniziamo quindi ad esaminare il testo del biglietto dove si legge:

 

Caro Ciarda ieri ho veduto il quadro di Pajetta il quale per la forte qualità di  pittura e di carattere del disegno possa valere lire 2000-certamente che il soggetto è poca cosa ma però pieno di spirito umoristico. Sei contento? Scusa allora ti saluto sinceramente con una stretta di mano dal tuo amico.

(G. Favretto, 10 Giugno 84)

 

Favretto scrive poche righe su un cartoncino all’amico Guglielmo Ciardi (Ciarda), per fargli sapere che ha visto un quadro di Pajetta che l’ha colpito per «la forte qualità di pittura», e per essere «pieno di spirito umoristico». Difficile capire di quale opera Favretto stia parlando dal momento che Pajetta nel 1884 espone sia a Milano sia a Torino e soprattutto al Crystal Palace a Londra dove ottiene la medaglia d’argento.

Il biglietto, quindi, testimonia il rapporto di Favretto con Ciardi e apre una piccola finestra sul panorama artistico veneziano di fine Ottocento senza, tuttavia, rivelare nulla riguardo al disegno in oggetto.

Se il testo scritto nel biglietto non ci aiuta, più interessante sembra essere il formato del cartoncino usato da Favretto, praticamente lo stesso del disegno (le dimensioni variano di pochi mm.).

La tipologia del formato fa pensare, infatti, a due biglietti da visita e cioè che Favretto si sia servito del primo per mandare un messaggio all’amico Ciardi e del secondo per regalargli un disegno come gesto d’amicizia.

Vale la pena a questo riguardo ricordare che il gesto di accompagnare una lettera con una piccola opera d’arte ha origini antichissime, basti pensare al grande Tiziano e ai suoi autoritratti realizzati come doni per gli Asburgo per procurarsi commissioni e privilegi personali.

L’autoritratto, in questo caso, aveva per Tiziano un duplice valore sia di opera d’arte per far conoscere le proprie capacità artistiche sia di autocelebrazione della propria posizione sociale, un efficace, insomma, biglietto da visita.

Certamente l’autopromozione non rientra negli interessi di Favretto ma sul tema del dono e dell’autoritratto torneremo a occuparci più avanti dopo aver analizzato il disegno.

Spetta a Renzo Trevisan il grande merito di aver pubblicato nella sua monografia su Favretto praticamente tutto il corpus di disegni conosciuti dell’artista

Si tratta principalmente di disegni a china, realizzati con una fitta trama di linee, tratti minuti e precisi per creare la parvenza del chiaroscuro.

Tutti i disegni mostrano un tratto molto marcato che va a delineare in modo molto accurato sia le figure singole sia le figure in gruppo.

Favretto tratta tutte le figure in modo diverso, molte sono delle vere caricature, altre colte in rapida sintesi per sottolineare gesti e atteggiamenti significativi del loro carattere.

Pochissimi sono i disegni a matita su carta presenti nella produzione grafica di Favretto, di conseguenza, è abbastanza difficile analizzare il disegno in oggetto da un punto di vista stilistico non avendo molti termini di paragone.

Vorrei quindi soffermarmi su quegli elementi che, secondo me, permettono di individuare nel disegno in oggetto i tratti propri dello stile dell’artista e che m’inducono a ritenere il disegno opera certa di Favretto.

Prima di tutto il disegno è firmato come la maggior parte dei disegni di Favretto, elemento importante che sta a sottolineare che non è uno schizzo ma un’opera finita.

La presenza della firma in un’opera di Favretto, tuttavia, non è mai prova sicura di autenticità. Purtroppo i falsi realizzati e venduti con firma contraffatta dopo la morte improvvisa di Favretto avvenuta nel 1887 all’età di trentotto anni, sono tantissimi e per questo motivo la firma molte volte non è considerata elemento qualificante dell’opera.

L’unica osservazione sulla firma che si può fare è che mentre la firma del biglietto è la classica firma utilizzata da Favretto per i dipinti, la firma del disegno è diversa e la ritroviamo in un gruppo di disegni a matita recentemente esposti nel Salone da Ballo del Museo Correr di Venezia in occasione della mostra 800 disegni inediti dell’Ottocento veneziano.

Mi riferisco alla raccolta privata di ottanta disegni a matita di Favretto che ritraggono la vita veneziana di fine Ottocento all’interno dei caffè della città (Belleni, 2009, p.59).

Come nei disegni pubblicati da Trevisan, anche in questi disegni Favretto dimostra la sua abilità nel ritrarre persone singole colte mentre leggono un giornale davanti a una tazzina di caffè o gruppi di persone che conversano tra di loro soffermandosi in modo puntiglioso sulle loro fisionomie.

Il disegno del Giovane vestito da orientale, stilisticamente parlando, si differenzia dal corpus dei disegni di Favretto di cui si è parlato in precedenza in quanto la figura non è ben delineata.

Un tratto leggero segna appena il contorno, tuttavia, ci sono dei piccoli tratti più marcati che sottolineano le pieghe dei pantaloni che ricadono morbidi sulle caviglie, che danno forma e volume al turbante, che caratterizzano i calzari, insomma mettono in luce tutti quei dettagli essenziali per riconoscere nell’effigiato «un giovane vestito da orientale».

Quello che avvicina di più il nostro disegno alla produzione grafica di Favretto è il fatto che anche in questo piccolo disegno trapela l’interesse reale dell’artista verso una particolare ambientazione, una fisionomia estremamente curiosa o come nel nostro caso un abbigliamento inusuale da catturare e fissare su carta o su tela.

Il soggetto del nostro disegno, ammettendo che sia di Favretto, è sicuramente originale anzi unico per Favretto che, pur nella sua grandissima versatilità, non ha mai realizzato alcuna opera di soggetto orientale.

Bisogna trovare quindi un’altra chiave di lettura per legare il soggetto del disegno a Favretto ed è quello che ora cercheremo di fare.

Esiste un’opera realizzata da Luigi Nono nel 1871 che ritrae Giacomo Favretto nei panni di Otello come ricordo di una divertente esperienza vissuta da entrambi i pittori ai tempi dei loro studi all’Accademia di Venezia.

Mario Nono nella monografia Luigi Nono nell’arte e nella vita racconta di come Pompeo Marino Molmenti, insegnante di Elementi di Figura all’Accademia di Belle Arti di Venezia, nel 1871 aveva allestito all’interno dell’Accademia la scena che gli serviva per comporre il grande telero della Morte di Otello.

Grazie all’aiuto dei suoi studenti prediletti, Luigi Nono e Giacomo Favretto, Molmenti riesce a studiare dal vivo pose e costumi da trasferire in pittura per realizzare l’ultima scena del dramma di Shakespeare.

 

P. Molmenti, La morte di Otello, 1871, Venezia, Ca’ Pesaro.

 

 

Favretto si presta a fare da modello e si veste da Otello riscuotendo la simpatia del suo amico Nono che lo ritrae mentre sorridente si gode un momento di pausa.

 

        

            L. Nono, G. Favretto in costume da Otello, Venezia, collezione privata.

 

Esaminando attentamente il ritratto eseguito da Nono e il giovane ritratto nel nostro disegno, emergono evidentissimi i rapporti che intercorrono tra queste due figure.

Il costume del giovane del disegno, per quanto abbozzato, trova perfettamente riscontro in quello del ritratto di Favretto nell’opera di Nono.

La stessa forma del turbante, lo stesso giacchino corto caratterizzato da un’ampia manica, la stessa tipologia di pantaloni e di stivaletti, l’unica differenza è che nel disegno la figura è in piedi e colta di profilo.

A questo punto della nostra analisi bisogna capire se gli indizi raccolti tramite il confronto stilistico tra il disegno e la produzione grafica di Favretto, ma soprattutto tra il ritratto di Nono e il disegno, siano elementi sufficienti ad allargare alla paternità di Favretto anche l’oggetto in questione.

Questo ci porta alla conclusione della nostra analisi e alla formulazione dell’ipotesi, quanto mai suggestiva, che non solo il disegno sia un’opera certa di Favretto ma che sia un inedito autoritratto di Favretto da giovane.

All’inizio di questo studio ci eravamo proposti di stabilire una relazione plausibile tra il disegno e il biglietto tanto da poter ipotizzare che anche il disegno potesse essere considerata opera certa dell’artista quindi, alla luce di quanto prodotto finora, il disegno potrebbe essere stato realizzato come ricordo dell’esperienza vissuta da Favretto all’Accademia, unito al biglietto destinato a Ciardi come segno di amicizia.

Con la consapevolezza di non essere ancora in grado di attribuire una paternità certa, visto la mancanza di un documento a supporto delle considerazioni fatte, in via d’ipotesi è bello pensare che il giovane orientale colto di profilo sia proprio il giovane Favretto che per una volta, invece di ironizzare sugli altri, abbia voluto ironizzare su se stesso.

 

 

Maria Antonella Bellin

 

 

BIBLIOGRAFIA

M. Nono, Luigi Nono nell’arte e nella vita 1850-1918, Firenze, 1990, p.17.

R. Trevisan, Giacomo Favretto 1849-1887, Venezia 1999, p.211.

N. Stringa, Pietro Pajetta, scheda in Ottocento Veneto il trionfo del colore, Treviso 2004, pp.412-413.

M. Falomir, Gli ultimi ritratti di Tiziano, in L’ ultimo Tiziano e la sensualità della pittura, Venezia 2008, p.143.