Tonino Ruju: profumi e venti di Barbagia
Walter Abrami
Come poter dimenticare il primo quadro visto di Tonino Ruju? Fu il mio primo giorno d’insegnamento a scuola: suo fratello Salvatore, preside di un istituto, retto gentiluomo mi convocò nel suo ufficio per conoscermi e raccomandarmi passione e dirittura morale nell’esercizio della mia professione. Immaginate un giovane neo laureato al cospetto di un individuo elegante, ricco d’esperienza, autorevole e all’apparenza severo… In quell’ambiente austero (anche il mobilio imponente e scuro contribuiva a mettere in soggezione) fui colpito prima dalle sue parole poi, improvvisamente da un dipinto piuttosto grande appeso sulla parete alle sue spalle. Un certo disagio ma anche l’abitudine ad osservare spinse il mio sguardo su quella tela… Provai una piacevole sensazione di serenità immediata: in quell’opera, la veduta di una piazza di Nuoro in una giornata piovosa, l’artista era riuscito a fermare il tempo e aveva compenetrato il soggetto riuscendo a trasmettere pienamente all’osservatore il proprio stato d’animo. Pensai che la mia emozione fosse determinata dal fatto che ero da poco ritornato dalla Sardegna dove avevo incontrato gente cordiale e ammirato paesaggi purissimi ed incontaminati come quello che ora mi stava difronte. Quella persuasiva, delicata, lirica rappresentazione di 70x100 centimetri di Tonino è ancor più viva ora che so, con gran tristezza, della scomparsa dell’artista. Molti dipinti di Ruju sono nati dall’intensa commozione e dall’amore profondo che egli rivolgeva ai modesti borghi della sua città: li sapeva interpretare non solo da pittore, ma da poeta perché in fondo lo era veramente. Il suo arcobaleno di sensibilità era altissimo. La piazza di Nuoro che aveva fermato la sua attenzione, era modulata su vaporosi grigi che, stesi con magistrale perizia, si amalgamavano ad altri colori tenui nella raffinatezza delle campiture, dei toni; la tavolozza era povera solo all’apparenza: i color erano filtrati dal sentimento. Una data, un grumo pallido accanto al rosso fulgido della firma, testimoniava che l’opera era del 1955. C’era anche un’aria di malinconia in quelle stesure… Tonino era, più di altri, disposto a capire i valori dell’atmosfera, le tradizioni, la religiosità. Spesso nei suoi paesaggi c’è qualcosa di sospeso e di fuggente per certi aspetti indefinibile: quasi un’onda lieve che pian piano si rafforza, un’ineffabile eco lontana. L’uomo ha fatto dell’arte la sua vita e ne ha subito il destino. Ha donato bellezza propria. Caratteristica comune a tutta la sua pittura se andiamo a ripercorrere cronologicamente un iter di mezzo secolo e oltre nel quale Ruju, artista dalla salda formazione professionale ha affrontato con lo stesso severo impegno motivi diversi ugualmente sentiti: ritratti di familiari, di amici, autoritratti (si pensi a quelli giovanili eseguiti nell’adolescenza), nature morte e arte sacra. Risalgono al 1930 le sue prime opere. Egli fu notato da Sebastiano Dessanai (Bastianu come lui lo ricordava) che dopo un breve tirocinio ne aveva pronosticato un fortunato persorso artistico. Tra le prime opere Cesto di fichi d’India e Sa mastra Ruju, ritratti di familiari, ma anche un primo timido approccio alla poesia.. Ne scrisse numerose (che tenne segrete a lungo e che sono state pubblicate solo in anni recenti). In Nonna Romagna così descrive l’anziana: “Nonna, c’era un profumo d’olio/ nei tuoi capelli grigi/E se dimessa piangevi/per i tuoi figli perduti/nella bufera dei giorni/la luce del mio cielo/scioglieva d’incanto/la tua nebbia autunnale. (…) Nonna/il tuo sorriso bianco/rischiara ancora la mia notte…” Un cammino, quello di Tonino, iniziato tra le tante difficoltà familiari e i tempi duri sopraggiunti con la guerra. Allora egli dipingeva su materiali poveri come la masonite, i cartoni, il compensato. Ottenne il diploma presso il liceo artistico di Roma e poi si perfezionò all’Accademia della capitale diretta da Carlo. Siviero. Delle sue tappe mature si farà cenno più avanti. Al suo ritorno a Nuoro, l’attività del pittore si è sempre alternata tra la sua principale passione e l’insegnamento del disegno nelle scuole locali. Aperse una galleria d’arte in città e sostenne con entusiasmo giovani promettenti. In una nostra conversazione il filo della sua memoria lo portò a ricordare Pietro Collu di Cuglieri che stimò molto, Giovanni Ciusa di Romagna e anche Antonio Ballero che vide con i pennelli in mano prima del 1932. Tra i tanti riconoscimenti ora è momento di segnalare alcuni perché l’amico scomparso, (dirò di seguito come lo conobbi) con la sua abituale modestia mi avrebbe apostrofato con un lascia perdere i dettagli! Il suo debutto in una rassegna nazionale avvenne nel 1941; proprio in quell’anno così scriveva nelle pagine di Selva Ardengo Soffici:”L’Arte comincia dove l’imitazione della natura è regolata dalla fantasia, dal sentimento poetico e volta all’espressione e alla bellezza mediante lo stile.” Nel 1948 Ruju vinse il primo premio nazionale Città di Bologna e qualche anno dopo il primo premio Città di Olbia dove ricevette l’ambito riconoscimento dalle mani di Pietro Annigoni. Gli anni Sessanta segnarono una stagione importante della sua carriera: Ruju si afferma a poco a poco. Presentò dipinti al Palazzo delle Esposizioni di Roma, a Francavilla a Mare, a Reggio Emilia e in varie città della sua isola. Dipinse con maggior vigoria e determinazione: a Cinisello Balsamo fu premiato alla presenza dei maggiori artisti italiani. Nel decennio espose in varie località nazionali vincendo la medaglia d’oro al Concorso PremioValvassina a Como e alla Mostra Nazionale di Alessandria. Negli anni Sessanta, come osserva Fois, il pittore ruppe con la tradizione di una Sardegna arcaica ammirandone da una parte l’entusiasmo per gli aspetti della sua terra, e dall’altra il colore sentito da neo-fauve. Nel linguaggio di Ruju prevalgono temi e tagli compositivi fattoriani. Così come il Fattori, egli non rinunciò mai al fascino del vero: ma mentre il pittore livornese si avvalse del disegno preparatorio, Ruju talvolta lo escluse prediligendo l’abbozzo dagli incerti contorni e macchie cariche d’effetto. Macchie vivacissime di colori densi, stratificati, spesso violenti che descrivono atmosfere vissute con passione. Il respiro artistico non fu quello di un isolano: mandò varie tele all’estero e tra le sue fortunate tournee si devono almeno ricordare quella al Seymour Theatre dell’University di Sydney organizzata dalla Regione Autonoma della Sardegna e quella alla Medyson Gallery di Toronto con Antonio Corriga. Questi, più recentemente, con l’incarico di direttore artistico, ha realizzato l’importante progetto di allestire il Museo d’Arte Moderna di Atzara che è intitolato ad Antonio Ortis Echague pittore spagnolo che grazie ad una borsa di studio dell’Accademia spagnola di Roma soggiornò ad Atzara nei primi anni del secolo scorso. Il museo offre oggi ai visitatori un quadro sufficientemente completo della pittura sarda del 1900 e comprende opere di Ruju, di Antonio Ballero, Vittorio Calvi, Bernardo De Quiros, Mario Delitala, Giuseppe Dessì, Filippo Figari, Gino Frogheri e diversi altri artisti. Nel febbraio dello scorso anno Tonino è stato premiato per meriti artistici a Galtellì nel corso dei festeggiamenti in onore di Santa Maria e’Turre. Leandro Muoni che ha curato il pregevole volume dedicato all’artista e intitolato Antonio Ruju. Una vita per l’Arte così scrive: “Chi ha avuto in sorte, non dico di nascere, ma anche solo di trascorrere l’infanzia e l’adolescenza a Nuoro, è segnato a vita da questo lembo di mondo. Dal suo ambiente umano e culturale. Dal suo paesaggio fisico ed interiore. Dalla sua anima e dalla sua ombra. Chiunque sia salito sulla cima del monte Ortobene, la montagna sacra simbolo del nuorese e abbia allargato lo sguardo all’orizzonte fra le poderose chiostre dei monti di Oliena e Dorgali, il Supramonte di Orgosolo, monte Spada, monte Gonare, l’altopiano di Macomer, i monti Lula e il vaporoso miraggio del mare, non dimenticherà mai più una simile veduta. Buona parte della semantica poetica degli artisti nuoresi sta iscritta lì, entro quello straordinario giro d’orizzonte, dove la solennità degli spazi si accoppia alla nostalgia dell’infinito e alla malinconia di un impossibile paradiso terrestre. E’ un territorio di boschi misti dove assieme al leccio troviamo il corbezzolo, il ginepro rosso, i cisti e nei settori più bassi man mano che si procede verso valle la quercia da sughero, l’olivastro, il lentisco e numerose specie d’orchideee spontanee. Come descrivere le incomparabili fioriture di mandorleti a gennaio e febbraio e i campi di papaveri? Di questa terra il barbaricino Ruju ha esplorato ogni angolo. Quando lo incontrai a Nuoro dove mi ero spinto per conoscerlo, mi accolse con gran simpatia e una disponibilità quasi disarmante. Andavamo spesso a fare una passeggiata o prendere una bibita in qualche bar di Corso Garibaldi poco distante dalla sua abitazione. Nello studio, la soffitta di via Cavour, con i quadri non ancora finiti addossati alle pareti e con la luce che penetrava da finestrelle quasi all’altezza del pavimento, Ruju si isolava e lavorava con costanza e determinazione; c’erano macchie di colore ovunque è lì l’uomo cancellava le proprie ansie. So che nell’ultimo periodo pur sfibrato nel fisico, lavorava ad una Processione. Nel periodo che rimasi in Barbagia mi fece vedere da lontano una proprietà sul sentiero dell’Ortobene che era stata per lungo tempo il suo punto di osservazione e di partenza con i pennelli e tavolozza. Mi raccontò che in quel momento non poteva più andarci, mi parlò di qualche botto minaccioso, di qualche sequestro di persona, di qualche piccolo attentato o avvertimento subito dalla sua famiglia. Lo fece con mesto sarcasmo e con il sorriso sulle labbra e fu più vago del fratello Salvatore che che scrisse e pubblicò Sequestro di un’anima un libro pericoloso per l’autore in Sardegna per i contenuti troppo veritieri. Del resto ricordo che durante una cena in cui eravamo assieme in un ristorante del centro città durante una partita di calcio del mondiale, alla doppietta del mitico divin codino Baggio seguirono tanti spari d’arma da fuoco in strada da non poter uscire se non dopo i festeggiamenti per la qualificazione dell’Italia. La Barbagia era anche questa e Tonino l’amava proprio perché ne conosceva fin anche gli equilibri delicati. Per un po’ l’ho vissuta con lui e mi è rimasta nell’animo. Ruju era amico di tutti: aveva un sorriso aperto, cordiale. A contatto con gli altri era a suo agio anche quando dipingeva plein-air. Per lui non esistevano buoni o cattivi in quanto diplomaticamente, se era necessario, trovava una giustificazione a tutti. Tornai da lui tempo dopo con una vespa: la Sardegna è profumo come m’insegnò. Passai a casa sua prima di recarmi nella piana di Sanluri per rivedere in un deposito A.C.I. la carcassa della mia automobile cannibalizzata. In quell’occasione mi regalò un piccolo dipinto che conservo con piacere. Nel suo studio vidi le opere più recenti che mi piacquero numerose. Si affaticò per anni con i pennelli, ma mai si stancò di rifare i medesimi motivi paesaggisti variandoli o re-inventandoli ogni volta come fosse la prima. In essi vi lasciò impressa una sofferenza sottile, circonfusa e gentile che permea tutti i suoi dipinti e che si esprime in una sorta di lirica contabilità delle linee e del colore. I quadri hanno una struttura salda quasi perpetuata. Gli oli luminosi eseguiti ad Oliena e a Mamoiada osservando il lavoro dei contadini nella Valle del Cedrino, le cascate di verde in tutte le sue varietà in quella di Baddemanna, le case di Lollove e Olzai ci raccontano di un’isola e della sua gente. Dipinse marine e tanti angoli di costa mediterranea dove si stemperano armonie cromatiche di azzurri intensi e di verdi trasparenze smeraldine. E nature morte con fiori coloratissimi che si fanno ammirare per la particolare lucentezza. Talvolta le sue tinte sono pastose. Numerosi sono i dipinti con figure in posa austera e con giovinette dai delicati volti incorniciati dai veli dei caratteristici costumi tradizionali. La pittura di Ruju nasce dal silenzio e al silenzio si piega anche quando il pittore usa colori violenti in libere stesure di gialli zafferano, di cadmi chiari, di terre bruciate, di verdi o blu; colori di cui parlano le stagioni. E se la sua prima maniera fa giungere spontaneo il richiamo ai coloristi primitivi o a certa pittura di Borlotti, nel corso della sua formazione ha trovato equilibri di sintesi pittorica in uno stile coerente e personale. La sua continua volontà di migliorare e di confrontarsi con altri colleghi è sempre stata animata dal suo fervore giovanile. Il paesaggio dipinto è evocato interiormente. Materia e memoria si combinano felicemente in molti dipinti sicché c’è organicità ed astrazione. Osserva Muoni che questo accoppiamento di opposti è realizzato da Tonino mediante un uso quasi astratto del colore che non annulla però le sue caratteristiche naturali, a cui spetta la funzione emotiva-espressiva; e pure mediante una composizione e un tratto dalla vaga impronta geometrizzante, ai quali è demandato il compito della forma. Forma e colore sono inscindibili nelle sue tele: l’uno si attua e si rispecchia nell’altra. Naturalismo e lirismo si combinano così nella sua tavolozza ed egli è un interprete sensibilissimo di atmosfere poetiche di certi paesaggi dell’anima sattiani e deleddiani. Sono tra i soggetti di Tonino la Chiesetta della Solitudine tanto cara a Grazia Deledda che fu lì sepolta, come la casa del Premio Nobel con il suo giardino segreto ed intatto e gli scorci che si allargano improvvisamente, a ventaglio, alla fine di stradine incastonate tra muri rassicuranti e color del tempo. E tutt’intorno ad essi la spiritualità, la religiosità, l’incanto di un artista capace di dare voce e sussurri al vento, alle onde, ai misteri del mare, al calpestio dei vicoli assolati, allo stormire delle foglie, all’alito di lucenti primavere che rasserenano. Rosalba Satta che gli fu più vicina di numerosi artisti ed intellettuali italiani, gli dedicò alcune poesie che desideriamo ricordare anche perché contengono versi nascosti di Ruju. Lasciamo intuirli ai lettori.
A un maestro Là/dove la linea nasce/e s’imbeve di forma e di colore/..ci sei tu/che accarezzi bagliori teneri/di tramonti da favola/e di ginestre in fiore./Là/dove nasce il sapore/e lo stupore di sguardi tersi/…ci sono le tue mani/che frugano/tra gli anfratti dell’anima./E dove l’ombra/si sposa con la luce e si confonde/si sente/- e il tuo tepore accarezza il cuore-/il battito del tempo./Si avverte il richiamo del vento/tra il respiro del verde/e l’ubriaco incedere di foglie/che vanno incontro all’arsura dell’ignoto./
Così ti vedo e là/ E là/nelle tue tele/ che il respiro del cielo/prende per mano il cuore./E’ là/la purezza del volo,/la grande tenerezza/delle case di ieri,/e i sentieri del bosco,/e il rosso dell’autunno,/i tramonti,/ed il mare,/e il vento palpitante,/e l’azzurra bellezza,/del paesaggio solare…/E’ là/il lentischio/ed il mirto/e i cardi e il fieno giallo…/E’ là la luna./E la tua luna di fonte/…amica della vita/eterna ispiratrice di purezza./E tutt’intorno/si muove la poesia…/I tuoi versi ribelli:/l’ansia selvaggia/delle tue illusioni,/le tue rocce spogliate,/la chioma sciolta/della tua fontana./la tua magia è il canto/sommesso e lieve/d’ansie antiche/di fontane assetate/di piogge di silenzio/ di esplosioni di sole.
Adesso che sei luce Avevi nelle mani la poesia/ e nello sguardo angoli di cielo./Davi senso alla vita/colorando di sogno le tue tele/e di tepore i versi/fatti di gesti semplici,/vissuti./Hai ridato vigore/e tenerezza/Col respiro dell’anima./Col cuore./Hai asciugato il suo pianto./Hai ridato vigore/e tenerezza/ai tuoi prati/ di nuvole/impazziti di sole./Hai dato gioia all’arte./Hai seminato amore./Adesso che sei luce/e sei colore/e sei poesia perfetta,/il battito del cielo/odoroso di timo e di ginestre/ci parla del tuo cuore/imbevuto d’azzurro/...zeppo di stelle/e gonfio di carezze./
Dopo la scomparsa dell’artista spentosi a ottantatre anni dopo una lunga malattia nell’ospedale di San Francesco di Nuoro, la poetessa ha scritto: ”Provo sempre un sentimento di ammirazione misto a sgomento nei confronti di coloro che, perdendo una persona cara, riesono a trovare le parole per l’ultimo abbraccio terreno. Io non ne sono mai stata capace, probabilmente perché il senso di angoscia e di stupore che annichilisce chi rimane, rende spesso muti, attoniti. Se oggi faccio violenza al mio istintivo bisogno di silenzio è perché il debito di riconoscenza che ho nei confronti dell’amico Tonino, è davvero grande. Insomma, glielo devo. Devo riuscire a dirgli pubblicamente grazie. Grazie.. perchè è stato capace di aggiungere colore alla mia vita. E alla vita di coloro che hanno avuto occasione di godere della sua amicizia.” Le sue parole hanno anticipato le nostre!
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