Storia dei manifesti,
dall'Ottocento ad
oggi
Alessandra Doratti
Affiches e posters o, detto all'italiana manifesti e cartelloni vanno
conquistando sempre più spazio in antiquariato a dispetto di chi li
snobbava come cianfrusaglie da lasciare ai collezionisti ruspanti in
bric-à-brac. Non sarà male ricordare che fra questi ruspanti, ci furono
intenditori del livello di Georges Seurat, il quale scambiava suoi
quadri con manifesti di Jules Cherét, considerato oggi uno dei creatori
della cartellonistica. Per parlare di casa nostra: è a questi
collezionisti che va il merito di aver salvato dal macero gli
straordinari manifesti di pittori come Sironi, Depero, Trampo, De
Chirico o di grafici come Cappiello, il triestino Dudovic, Nizzoli,
Metlicovitz.
Ben inteso, un manifesto pubblicitario non ha i requisiti che contano
molto antiquarialmente. Non è un pezzo "unico" come un disegno fatto a
mano, e neanche un pezzo "raro" come un'incisione tirata in pochi
esemplari. Alcuni manifesti però, un requisito ce l'hanno, è tutt'altro
che secondario: sono firmati da artisti, magari anche di grande fama.
Sono dunque opere "minori" come si usa dire; ma pur sempre opere
"d'autore". E sarebbe deplorevole lasciarle andare distrutte come si
fece in passato.
I manifesti pubblicitari cominciarono a diffondersi nella seconda metà
dell'Ottocento, per almeno due ragioni. Anzitutto i tipografi che erano
riusciti a mettere a punto nuove tecniche per stampare convenientemente
a colori, poi, i produttori di beni e servizi che dovevano trovare una
clientela più larga di quella aristocratica di una volta.
Questa situazione coinvolse presto gli artisti migliori, i quali avevano
compreso che ormai non c'erano più "né regge da dipingere né sovrani da
ritrarre". E i muri delle città cominciarono ad essere pavesati da
estrosi cartelloni. Nel 1893 il critico d'arte J. Claretie scriveva
entusiasta: "Firenze ha nelle sue strade e nelle sue piazze un museo di
bronzi e di marmi; i manifesti hanno dato a Parigi un museo di dipinti,
una grande esposizione all'aria aperta". In Francia, quasi nessuno dei
grandi artisti rimase insensibile a questa nuovissima forma di
espressione. Già nel 1862 Daumier reclamizzava con manifesti "Les
Charbons d'lbry" e nel 1869 Manet faceva altrettanto per "Le Chats" di
Champfleury.
Nasce in Francia un
nuovo collezionismo
Ed è appena il caso di citare, che so, i cartelloni di Pier Bonnard o di
Henri Toulouse-Lautec. Con l'impareggiabile fiuto artistico dei francesi
fin de siécle, qualcuno a Parigi intuì che i manifesti di queste grandi
firme avrebbero fatto nascere un collezionismo di nuovo genere. Nel
1886, Ernest Maindron pubblicava "Les Affiches Illustrées", che è,
probabilmente, il primissimo catalogo di cartellonistica.
Successivamente vennero stampati altri cataloghi, che un collezionista
impegnato dovrebbe cercare di conoscere, andando per esempio in qualche
grossa biblioteca. Acquistarli non è facile, perché questi cataloghi -
anche non tanto vecchi - sono ormai rari e piuttosto costosi, salvo
avere la fortuna di scovarli sulla bancarella di qualche sprovveduto
robivecchi (cosa ormai alquanto difficile).
Per i vecchi manifesti sarebbe temerario indicare quotazioni di mercato.
Un criterio quasi ovvio è questo: i manifesti sono essenzialmente
reperibili, usa e getta. Quindi anche se stampati in gran copia,
finiscono col diventare "non comuni" se non proprio "rari". Di
conseguenza, le loro quotazioni possono raggiungere i livelli della
grafica d'arte. Ciò vale soprattutto per i manifesti dell'Ottocento; un
poco meno per quelli del primo Novecento; via via decrescendo per quelli
degli anni Venti e Trenta.
Per chi colleziona a tempi lunghi diventano interessanti anche i
manifesti "d'autore" di questo nostro dopoguerra.
Manifesti d'autore
del dopoguerrra
Facili da trovare e ancora convenienti da acquistare ancora oggi; lo
saranno certo meno in un domani. Molti manifesti moderni non hanno nulla
da invidiare - per tecnica e genialità - a quelli di una volta. Anzi. Un
vero intenditore non si fanatizza mai al punto di credere che soltanto
una volta il buon Dio ci mandasse dei grandi artisti o viceversa.
Ambroise Vollard è stato uno dei più intraprendenti galleristi francesi:
ha venduto opere di tutti, si può dire, i massimi pittori moderni, da
Cézannez a Picasso. E riusciva a venderle già un centinaio d'anni fa
quando erano considerate delle sconcezze, che non si potevano mettere in
casa "senza far scandalizzare la moglie e senza far arrossire le figlie"
- raccontava Vollard - perché, quando si hanno in casa delle figlie,
bisogna tenere una certa serietà nell'ambiente". Bene. Un quadro del
genere era finito appeso nel salotto di Haan, un noto antiquario
dell'epoca. E qualcuno se ne meravigliava con lui: ma come? Lei non fa
l'antiquario e non vende quadri antichi? Certo - rispondeva Haan - io
sono antiquario e vendo quadri antichi; ma sono anche un intenditore e
apprezzo i bei quadri moderni; per i miei pronipoti essi saranno dei bei
quadri antichi.
Generalmente i manifesti hanno dei prezzi abbordabili, e ciò invoglia il
collezionista principiante a commettere il solito errore di non
circoscrivere i propri interessi e di non pianificare i propri acquisti.
Conviene, invece, scegliere un settore; anche per spendere al meglio i
propri soldi: pochi pezzi analoghi valgono più di molti pezzi spaiati.
Spesso tra gli anonimi i pezzi più belli
Un settore di scelta per i manifesti può essere l'epoca in cui furono
stampati o l'argomento che reclamizzano o la tecnica o l'autore,
eccetera. Quanto all'autore, comunque, non bisogna formalizzarsi: ci
sono manifesti bellissimi anche se anonimi, o meno belli ma interessanti
per il contenuto storico e documentario. Oggi il collezionismo e
l'antiquariato sono più acculturati: hanno imparato ad apprezzare anche
oggetti più modesti che una volta non sarebbero stati quotati. Pensate
che ai tempi dei vecchi tombaroli toscani molta roba trafugata dalle
tombe etrusche, a quel tempo, gli antiquari non la volevano neanche per
nulla "perché era rustica e non faceva figura". Così tanti oggetti di
semplice terracotta finivano abbandonati in campagna e i ragazzini ci
facevano il tiro a segno a sassate.
Il manifesto, nella sua veste canonica di messaggio illustrato è
affidato a un'immagine che sappia far presa sul pubblico. Il suo
precedente più immediato va forse individuato nell'insegna commerciale e
industriale che tra il XVIII e XIX secolo evolve in forma e contenuto,
potendo spesso vantare illustri esecutori.
Sono tutti figli
della litografia
Direttamente collegato alla diffusione del manifesto è lo sviluppo della
litografia, tecnica scoperta per caso, nel 1796 dall'attore-poeta Aloys
Sene-Felder, e rapidamente diffusasi in tutta Europa. Inizialmente la
litografia permette di riprodurre solo disegni, ma attorno al 1845, con
l'avvento della cromolitografia (al bianco e nero sono aggiunge le
colorazioni blu e rosso) diventa possibile la riproduzione di opere a
colori che segna una decisiva crescita della pratica litografica.
Honoré Daumier disegna il primo manifesto illustrato per un'industria di
combustibili nel 1850 e a lui si affiancano artisti come Manet e
Courbet, che sono autori di réclame destinate per lo più alle vetrine di
librai desiderosi di publicizzare la propria merce. I primi "avvisi"
sono rozzi e a colori violenti, ma rispondono bene ai requisiti del
manifesto che deve essere chiaro e visibile per poter attirare
l'attenzione. Tra Otto e Novecento il manifesto diventa sempre più
popolare e apprezzato, quasi un elemento indispensabile del panorama
cittadino che ne risulta piacevolmente vivacizzato. La figura che domina
incontrastata è quella della donna, una donna giovane dai grandi occhi
sognanti e dall'aspetto malizioso che esprime l'ansia di vivere e di
piacere tipica della nuova epoca. Il manifesto diventa il principale
strumento di propaganda dei locali notturni parigini. Si iniziano ad
organizzare mostre specializzate sul nuovo "fenomeno" del manifesto e
così un sempre maggior numero di artisti non manca di esercitare la sua
influenza su questo contemporaneo "movimento". Insomma alla fine del XIX
secolo il successo del manifesto è ormai un dato di fatto e la sua
fortuna è destinata a crescere. Il suo valore è duplice: nel clima
frivolo e spensierato della Belle Epoque si colloca come il documento di
un'epoca in cui l'Europa intera vive un momento magico, cullandosi in
sogni di prosperità, incapace di prevedere la guerra ché si va
preparando; è inoltre una fra le prime testimonianze di un sistema delle
comunicazioni divenuto una delle componenti fondamentali della nostra
civiltà.
Alessandra Doratti