In Argentina senza nostalgia
Sergio Hocever in arte Sergi
Walter Abrami
Al pari di altri assai più celebri pittori (Leonor Fini e Zoran Music sono i casi più clamorosi, ma non gli unici) anche Sergi in questa terra lasciò i ricordi di gioventù e se n’andò altrove. Così scrive Sancin: “Dobbiamo parecchio alla frequentazione di questo raffinato maestro dell’incisoria a Salvatore Sibilia che, in un'originale pubblicazione del 1922 Pittori e scultori di Trieste con introduzione di Silvio Benco ebbe a presentarlo, allora solo giovane promessa, all’attenzione del pubblico locale. Il Sibilia, giornalista e narratore, fu prestato alla critica d’arte per un breve periodo in quel di Trieste. Il fatto gli permise di tracciare il profilo di 38 artisti concittadini dell’epoca, al momento pressoché sconosciuti all’Italia. Fra questi appunto, il Sergi accanto a figure interessanti quali Barison, Grimani, Lucano, Timmel, Wostry, per citarne solo alcuni.” La felice intuizione di Sibilia che riconobbe immediatamente il valore di Sergi allora ventitreenne e le xilografie di quest’ultimo che comprendono l’autoritratto e i ritratti d'alcuni colleghi (egli li eseguì assieme a Franco Cernivez per introdurre i profili nel testo di Sibilia), contribuirono a salvare, la memoria (almeno parziale) di ciò che sapeva fare. Che le incisioni di Sergi fossero accuratissime già nel secondo decennio del secolo passato, lo testimonia lo stesso Sibilia: ”Intorno a questa lastra (l’autoritratto a punta secca) egli v’ha impiegato un lavoro lungo e paziente; un inverno intero, non tanto per un’indecisione qualsiasi della tecnica quanto piuttosto per quel suo spirito di lentezza spirituale e materiale. Forse lo stesso effetto egli avrebbe potuto ottenere con pochi segni e minor lavoro: forse sarebbe riuscito più esatto, ma egli volle dare a questa sua acquaforte la pastosità di un disegno a mezze tinte e a sfumature con la sola punta secca, senza altri mezzi e gli fu necessario un più assiduo studio e un più grande amore”. Non fu un caso: l’esperto incisore Bruno Croatto gli diede i primissimi consigli, (cosa che fece pure con Edmondo Passauro e Giannino Marchig) ed egli ne trasse grande giovamento pur non badando eccessivamente ed esclusivamente alla qualità tecnica delle sue opere. Solo in seguito Sergi predilesse le xilografie (incisioni su legno) all’acquaforte ritenendole più confacenti al suo spirito: “gli sembrò che fosse più nobile e più bello per un artefice appassionato cambiare con il lavoro d’intaglio del suo bulino, la rozza materia d’un blocco di bosso..” Fu così che iniziò a lavorare i primi quadrelli, le prime matrici di legno soprattutto il bosso che è assai compatto, ma dolce al taglio rispetto al pero, al melo, al ciliegio e al noce che pure trattò con perizia. Continuò ad incidere per tutta la vita ma forse non sono molti a sapere che dipinse pure un numero piuttosto rilevante di quadri ad olio e nell’età più avanzata eseguì diverse sculture lignee di buona fattura. Prima di Croatto, tuttavia, fu probabilmente la mamma, pittrice e allieva di Giuseppe Garzolini ad avvicinarlo al disegno e presumibilmente alla pittura. Un recente viaggio in Sud America e una sosta prolungata in Argentina - il Paese nel quale Sergi visse e lavorò lunghi anni –dal 1927 al 1973- mi hanno consentito di “scavare” nelle sue vicende argentine, di rafforzare le conoscenze storico-artistiche sulla sua figura, ma soprattutto di ammirare alcuni suoi lavori e compiere altre sorprendenti scoperte: la più piacevole di queste è stato il bellissimo dipinto di Giacomo Favretto intitolato I suonatori ambulanti esposto accanto ad opere di maestri europei quali Manet, Toulouse Lutrec, van Gogh, Renoir, Modigliani, Utrillo nel Museo Nazionale delle Belle Arti di Buenos Aires. Sergio Sergi il cui vero nome è Sergio Ludovico Cristian Hocevar nacque a Trieste, che allora apparteneva all’Austria, il 26 ottobre 1896; figlio di Giacomo Hocever (1853.1937) e di Mercedes Andrich (1865.1945) da giovane dimostrò scarso interesse per gli studi. Nel paese carinziano San Paul, dove trascorse un periodo in collegio, il padre benedettino Swittbert Sobisser, pittore d’affreschi e incisore, divenne suo maestro e individuò il talento del ragazzo. Risalgono a quel tempo i primi lavori en plein air di Sergi. Successivamente fu a Vienna (1912) dove s’iscrisse all’Istituto Grafico Reale e Imperiale della capitale: studiò fotografia, chimica e litografia, ma disegnò pochissimo. La fotografia rimase una delle grandi passioni della sua vita e sono pure numerose le foto che lo ritraggono; una delle più belle risale all’estate del 1907 quando, adolescente, è immobile dinanzi l’obiettivo con aria spavalda, sguardo deciso ed occhi puntati contro il fotografo quasi a spiare ogni suo movimento, tutte le azioni. Occhi che lo rivelano fin d’allora un inesorabile osservatore! Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale fu costretto ad abbandonare gli studi e fu arruolato come artigliere da montagna; la triste esperienza vissuta nell’esercito lo sconvolse e scosse il suo sistema nervoso lasciandone il segno a lungo. Uomo sensibile ne risentì fortemente ed egli tornò ad essere se stesso, e ritrovò la voglia di vivere e di lavorare dopo un’inerzia prolungata… La sua famosa xilografia intitolata La Guerra del 1919 rappresenta la morte che sorregge a fatica la pesante falce; sul teschio pone un elmetto facilmente identificabile, ma è soprattutto quell’unico fiore nel terreno, illuminato dal sole, che diventa punto di forza, simbolo di speranza, di resurrezione. I primi lavori che gli diedero una certa notorietà furono due incisioni su metallo accettate dalla severa giuria della Biennale di Venezia ed esposte nella città lagunare nel 1920. Una è l’Autoritratto di cui si è detto, l’altra è l’efficacissimo ritratto psicologico della nonna: entrambi i lavori precedettero quelli xilografici eseguiti ai pittori Ballarini, Croatto, Flumiani, Grimani, Hermann Lamb, Levier, Parin, Passauro, Rossini, Tominz, Zangrando, Wostry ecc. Sono pure gli anni in cui frequentò i pittori Barison, Bolaffio, Grimani e Wostry: con loro si vide spesso, infatti, al Caffè Garibaldi. Nel 1920 Sergi, collaborò con la Soprintendenza alle Belle Arti ed effettuò interventi di restauro in alcune cittadine del Friuli Venezia Giulia e in Istria; risale al 1921 l’importante Autoritratto ad olio nel quale si dipinge di profilo oggi conservato in Argentina e sono del 1922 alcuni carboncini tra i quali uno di grande qualità dedicato a Morello Torrespini. Successivamente l’artista partecipò ad una Mostra Internazionale di Rio de Janeiro, alla Prima Esposizione Biennale del Circolo Artistico di Trieste (1924) alle Mostre Internazionali delle Arti Decorative di Monza (1924, 1926), alla Mostra Internazionale di Parigi (1926) e a quella Internazionale di Firenze (1927). A Trieste continuò a frequentare l’ambiente artistico, conobbe James Joyce del quale lasciò qualche testimonianza orale agli amici letterati argentini e perfezionò la tecnica incisoria; nel 1927 dopo aver ammirato nelle sale fiorentine accanto ad alcune sue opere quelle di Carrà, Ensor, Kokoshka e Matisse prende improvvisamente la decisione di partire per Buenos Aires. Non è chiaro il motivo che lo allontanò dall’Italia, ma il suo spirito irrequieto e l’innata curiosità furono senz’altro due delle cause principali. S’imbarcò, alla stregua di tanti emigranti provenienti da molte regioni italiane, sul vapore Belvedere: fu così che dopo quasi un mese di traversata oceanica, mise piede nella Boca di Buenos Aires. La mia ricerca è partita da qui, dal barrio più caratteristico della capitale. Attorno alla cosiddetta Boca, infatti, lungo il Riachuelo che ora è certamente uno dei corsi d’acqua più inquinati del mondo, gli immigranti italiani costruirono in quel decennio le loro terrificanti abitazioni di latta in buona parte sopravissute. Quel che più colpisce è sono ancora abitate, non più dai nostri connazionali, ma dagli uruguaiani… Quando Sergi alla fine degli anni Venti vide il Riachuelo, esso era presumibilmente meno oleoso: ma le baracche di latta colorata e il famoso ponte di ferro che costituisce il simbolo del porto, dovettero subito apparirgli desolati fantasmi di un microcentro disordinato e caotico di miseria e di speranza. L’effetto psicologico che poteva produrre a chi aveva in mente l’ordinata Vienna con le sue stupende architetture o Trieste con il suo ‘candido’ castello di Diramare, è davvero inimmaginabile: Ma Sergi superò bene l’impatto! In questa affascinante ansa del Rio della Plata costeggiata da stabilimenti per la preparazione della carne in scatola e da grandi magazzini attualmente semi abbandonati la vita fu davvero difficile: le inondazioni repentine del poderoso fiume allagavano le strade e i miserabili edifici: la nostra comunità si arrabattava per sopravvivere. L’acqua dell’autunno e dell’inverno lasciava il posto alla calura estiva che le latte espandevano… Percorro il Caminito un tempo affollata stazione ferroviaria; il nome è quello di un famoso tango, le atmosfere straordinarie fatte di carcasse colorate e draghe arrugginite semisommerse riconducono al passato e alle marine del famoso pittore Benito Quinquela Martìn che nell’attuale Museo Nazionale delle Belle Arti della Boca ebbe un tempo l’abitazione e lo studio. Giro tra i vecchi bordelli, ancore corrose, marciapiedi dissestati, fatiscenti edifici abbelliti da bassorilievi con scene marinare. Il tango mi entra nella pelle, le bellissime donne mi distraggono, ma non m'arrendo…subito! Il primo indizio mi è fornito da un artista anziano che ha uno studio nei pressi della Vuelta de Rocha: conosce l’opera grafica di Sergio Sergi e ricorda di aver visto una monografia a lui dedicata. Il tempo mi è amico e nei giorni seguenti ho occasione di parlare con il pittore Claudio Giannini che lavora a Dorrego: qui a Buenos Aires molti addetti ai lavori, tra i quali lui, conoscono Sergi e ricordano parecchi aneddoti della sua vita. Mi sorprendo perché Buenos Aires conta milioni d’abitanti ed è una delle città più grandi al mondo… Trieste, che è poco più vasta della ‘città occulta’ d'Avellaneda, in realtà non è troppo generosa con i suoi figli! Sono gli amici argentini Paula, Marisa ed Enzo Fiorencis a procurarmi la monografia numerata dedicata all’incisore. E’ intitolata Sergio Sergi. Obra xilográfica completa y testimonios en una compilaciớn de Sergio Hocever. E’ stata realizzata nel 1994 con i contributi del Comune di Mendoza e della principale Biblioteca della città: la monografia contiene quattordici testi d’autori diversi uno dei quali è quello a noi noto di Salvatore Sibilia. Gli altri sono rispettivamente di J. M. Taverna Irigoyen, Augustin Zapata Gollán, Jorge Romero Brest, Daniel Devoto, Alfonso Ruiz Díaz, Rodolfo Braceli, Andrés Cáceres, Luis Quesada, Marcelo Sant’Angelo, Fernando Lorenzo, Alberto Pitiño Correa e Luis Ricardo Casnati. Le numerose foto dell’artista e di parecchie sue opere sono state realizzate da Anatole Saderman; altre assai belle, pure pubblicate nel libro, appartengono all’archivio della famiglia. Sul retro di una di queste nella quale Sergi appare elegantemente vestito in compagnia d’altri naviganti sul ponte del vapore Belvedere si legge “Sergio Meca”. Un nomignolo? Un soprannome? Tra ricordi di Borges, di Gardel e di Martin, ho sfogliato la monografia nel mitico e affascinante caffè Tortoni. Ciò che più mi ha sorpreso è stata la presenza nel testo di un’inedita poesia di Julio Cortázar: scritta il 3 novembre 1945, è dedicata a Sergi con “umile affetto”. Non è cosa da poco se pensiamo che Cortázar, pur essendo nato a Bruxelles nel 1914, è considerato uno degli esponenti di maggior rilievo nell’area della letteratura latino-americana. Stilista audacemente sperimentale Cortázar, che esprime attraverso una narrativa caratterizzata da ricorrenti toni ossessivi e allucinanti, la realtà labirintica in cui vive l’uomo, fu uno degli amici che Sergio Sergi ebbe in Argentina. Non fu l’unico letterato con il quale ebbe contatti perché una foto lo ritrae pure con il grande Pablo Neruda. In ogni caso con Cortázar l’incisore condivise presumibilmente la tensione costante a rinnovare i modi espressivi, la complicazione di talune situazioni psicologiche e il tema della crisi d’identità dell’uomo che divenne uno degli importanti temi da lui affrontati in Argentina. E’ rappresentativa a tal proposito la xilografia El grabador nella quale analizza freudianamente se stesso pur prendendo di mira un collega qualsiasi al cospetto di un critico severo e di un pubblico urlante che mette angoscia. Ben altro da quei primi lavori realizzati a Trieste e a noi noti! Ma proseguiamo con ordine. Dopo un periodo di due anni trascorsi a Buenos Aires nei quali lavorò nella prima agenzia pubblicitaria del Paese realizzando affiches, Sergi decise di lasciare la capitale e si recò con il collega e amico Zapata Gollán più a nord nella Provincia di Santa Fe, il cuore delle Pampas Umide, un’area agricola d’eccezionale fertilità. Sergi si stabilì nella città di Santa Fe capitale della provincia, ma notevolmente più piccola e meno caotica di Buenos Aires: dovette apparirgli subito confortevole (vi rimase parecchi anni), ma inizialmente dovette adattarsi a fare prima il bracciante, poi il cuoco in una estancia. In questa città pesantemente condizionata dalle inondazioni degli affluenti del Paranà e dal fiume stesso, Sergi visse dal 1929 al 1943. Proprio qui, nel 1930 circa, eseguì la xilografia La casa vecchia conservata nel Museo Provinciale delle Belle Arti Juan Castagnino di Rosario. La scena è costruita nel classico formato verticale; l'angolo del vecchio edificio occupa la parte centrale della formella. Da alcuni fori dei muri esterni della casa prospicienti la via, escono le braccia e la testa di una donna corpulenta. I lineamenti del suo volto sono caratterizzati da un sorriso beffardo, quasi arrogante e le mani con le dita spalancate protese all’esterno (come pure le sue gambe), inducono alla fuga un omino intimorito. Che sia suo marito? La scena è drammatica e contemporaneamente sarcastica: l’uomo ha le sembianze di una figura fumettistica, corre urlando e sceglie una precisa via di fuga. Sarà quella giusta oppure finirà tra le grinfie della creatura malvagia? Osservando questo lavoro sembra davvero che qualcosa sia mutato nell’animo di Sergi e che la sua nuova ricerca prevalentemente psicologica (più che tecnica), si orienti certamente all’invenzione satirica. Nel 1930 l’artista fu riconosciuto ufficialmente cittadino argentino e lavorò prima come docente di disegno in una scuola per adulti, poi al liceo municipale, infine nella Scuola Industriale della Nazione. Nel 1932, dopo numerose mostre in varie località del Paese, rappresentò l’Argentina all’Esposizione Internazionale di Litografie e Xilografie nella città di Chicago in America del Nord. Due anni dopo andò a insegnare l’arte incisoria nell’Universidad Nacional del Litoral e continuò a lavorare anche nel campo pubblicitario; a questo riguardo è efficace il bozzetto per la pubblicità di una birra nel quale inventa la proiezione d’ombra sulla parete di una casa di un uomo panciuto con il boccale in una mano. Nel 1935 Sergi compì diversi lavori di restauro su numerosi dipinti e altre opere del Museo Provinciale Rosa Galisteo de Rodríguez; non dimenticò uno dei suoi primi interessi, e realizzò i ritratti degli amici Fernando Arranz e Mateo Booz. Negli anni Quaranta effettuò numerosi altri ancora e sono particolarmente interessanti per la “maturità” raggiunta dal segno grafico, per la forza, quelli di Alberto Daneo (1943), Daniel Devoto (1944), Ramón Gómez Cornet, Marcelo Santángelo, Abraham Vigo (1946), Roberto Azzoni (1947). Sempre il 1935 è l’anno in cui sposò Gladis Adam la donna che gli diede i due figli Sergio, omonimo del padre, e Fernando. Verso la metà degli anni Trenta Sergi concepì altre straordinarie e angoscianti opere: Lettura, una xilografia di modeste dimensioni rappresenta un gigantesco spirito maligno notturno che penetra vigorosamente da una finestra con le imposte spalancate nell’intimità di uno studiolo. Il lettore seduto al tavolo sul quale un libro aperto fa bella mostra di se, apre le braccia e, impotente e sorpreso, cade di schiena sconvolto dall’improvvisa visione. Un gatto, pure lui impaurito, scappa lontano… Sembra un racconto di Edgar Allan Poe dove il fantastico e il gotico si allagano al sadico, al grottesco, all’irrazionale e Sergi se ne compiace! Vivisezione è ancor più terrificante: l’artista incide la superficie con mano decisa e l’occupa quasi interamente realizzando la faccia crudele e le lunghe dita delle mani di un individuo (medico? scienziato? o … semplicemente sadico?). L’espressione dell’uomo è soddisfatta; una lente da orologiaio, avvicinata all’occhio sinistro, gli consente di vedere più “accuratamente” la sua vittima, la sua cavia. Si tratta di una donna nuda, distesa con le braccia spalancate: le mani sono bloccate al suolo e trafitte da due lunghissimi chiodi. Con il bisturi l’uomo ispeziona il busto e con una pinza le afferra e le divarica la gamba destra. Nel Segreto non ci sono elementi così preoccupanti, ma le figure di due uomini messi in primo piano riconducono ad alcune incisioni di Edvard Munch. Del resto anche Paura eseguita da Sergi al suo arrivo in Argentina, ha chiari e precisi riferimenti con Il Grido eseguito dal pittore-incisore norvegese nel 1895 che rimase senz’altro uno dei suoi preferiti. Sempre a Santa Fe Sergi eseguì la terrificante e macabra xilografia Sacacorchos (Cavatappi). Un individuo mostruosamente ossuto, in posizione eretta e con le gambe leggermente aperte impugna uno smisurato cavatappi con la mano destra; con l’altra blocca un vaso di vetro piuttosto alto nel quale sta accovacciato un mostriciattolo dalle apparenze umane. La terrificante punta d’acciaio del cavatappi, dopo aver oltrepassato il tappo di sughero che chiude ermeticamente il recipiente, si avvicina al cranio pelato della creatura. Le sue mani sono congiunte in segno di preghiera, ma la determinazione del carnefice e il suo sorriso beffardo non promettono niente di buono! Nel 1939 Sergi fu uno dei fondatori della Scuola di Arti Plastiche di Santa Fe e di lì a poco diventò direttore dell’istituzione. Dopo aver “esplorato” i meandri della psiche umana, aver colto alcuni terribili aspetti peraltro imponderabili delle forze del male, Sergi orientò la sua attenzione su eventi del quotidiano. A tal proposito sono interessanti le xilografie I lottatori, Il cappello nuovo, Caffè con latte, Il catalogo, Passeggio, Il conferenziere, L’intenditore, L’astronomo,Il fotografo, Il domatore, L’automobile, Il palco e Il Banchetto tutte accomunate da una vena satirica che l’umorismo dell’artista anima di volta in volta con nuova verve. Piacciono in modo particolare tra queste, Il catalogo e L’intenditore. Nella prima un “esperto” d’arte figurativa con il catalogo di una mostra tra le dita, volge un’occhiata tra le sue pagine mentre il suo lungo naso va quasi a “schiantarsi” sul prominente deretano di una scultura femminile posta in bella mostra nella sala; nella seconda l’intenditore, a meno di un metro di distanza da una formosa Venere di Milo, ammira con il binocolo il suo bel seno. Negli anni Trenta l’artista frequentò numerosi musicisti, (Sergi fu appassionato intenditore di jazz) letterati e artisti e divenne soprattutto amico di Ricardo Supisiche, l’artista che era stato suo allievo e che egli aveva sempre ammirato perché, pur privo di un braccio, riusciva non solo compiere formidabili opere, ma cacciare, pescare, nuotare nei fiumi, attività che svolgeva spesso assieme a lui durante le vacanze. Sergi ebbe pure diversi contatti di lavoro e di studio sia con il famoso artista argentino Lino Eneas Spilimbergo, sia con lo scultore Luis Falcini. Nel 1943 “spirito torturato” com’egli stesso amava definirsi, abbandonò Santa Fe e andò a vivere a Mendoza, vivace città con un entroterra bellissimo situata nella valle del fiume omonimo ai piedi delle Ande. A Mendoza, dove ebbe uno studio in calle Beltrán, insegnò prima disegno e pittura all’Accademia Nazionale di Belle Arti e in seguito divenne professore di disegno nella Scuola Superiore d’Arti Plastiche dell’Università di Cuyo. Svolse quest’importante incarico per lungo tempo ed ottenne pure un premio nazionale dell’incisione dopo quello ottenuto nel 1940 nel Sálon di Rosario; risalgono a questo periodo la drammatica Regata nella quale i protagonisti e gli spettatori sono scheletri e Scacco Matto una altrettanto pessimistica sfida alla scacchiera tra la morte e l’uomo. Nel 1956 ebbe un altro riconoscimento ufficiale e fu nominato vicedirettore della Scuola Superiore d’Arti Plastiche dell’Università di Cuyo. Nel 1963 l’artista che dedicò tanti anni della sua vita all’insegnamento della disciplina più amata, smise di lavorare e andò in pensione. Continuò tuttavia ad organizzare importanti mostre, si dedicò allo sbalzo su rame (Proverbio cinese) e alla scultura lignea. La sua vena umoristica non lo abbandonò e anche Gran Premio, L’ombrello e soprattutto Bambino Prodigio ne sono testimonianza. Il 16 giugno 1973 morì a Mendoza; due anni più tardi la sua casa di Villa Hipódromo fu trasformata nella Galleria Sergio Sergi che contiene documenti, dipinti ad olio, sculture proprie e alcuni omaggi di colleghi e amici. Tra gli oggetti più cari conservati dal figlio Sergio c’è l’immancabile pipa che gli tenne compagnia sempre ed ovunque.
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