SAN LUCA EVANGELISTA
‘APELLIS AEMULUS’:
FEDE, LEGGENDA E ICONOGRAFIA
Maria Donata Ruggiero
Nel momento in cui, nel corso del IV secolo, si attua un progressivo adattamento di formule pagane ad un lessico propriamente cristiano1, si selezionano per la prima volta tematiche, personaggi ed episodi che troveranno la propria massima diffusione iconografica nel mondo medievale e moderno. In particolar modo le rappresentazioni dei profeti e degli evangelisti godranno di una straordinaria fortuna, divenendo soggetti privilegiati nei diversi campi artistici: è in tale contesto che nasce, si sviluppa e conclude il proprio ciclo anche la singolare raffigurazione dell’evangelista Luca. Tradizionalmente riconosciuto come autore delle Sacre Scritture2, il santo è protagonista di una leggenda che verrà chiamata in causa all’interno di quel lungo dibattito sulla legittimazione delle sacre immagini che culmina nell’avvento della Riforma tridentina. Favorita dalla mancanza di veri e propri documenti storici che testimonino i passaggi fondamentali della sua vita, si creano le basi per la nascita di un “mito”, quello del primo pittore cristiano, che artisti di ogni epoca hanno manipolato e riproposto attenendosi più o meno ad un prototipo stabilito. Se però in ambito agiografico e patristico tanto si è scritto e discusso sulle fonti, paradossalmente in ambito artistico tale attributo ha goduto di una fortuna più limitata, connessa ad eventi e situazioni storiche e culturali. Il suo impiego circoscritto a pochi esempi, l’indifferenza che riscuote presso determinati artisti e l’interesse di cui gode presso altri, sono dovute ad una motivazione intrinseca che tende ad esaltare precise tematiche: non solo la celebrazione dell’arte cristiana, ma soprattutto quella della figura dell’artista, il quale ritrova nella simbologia lucana il terreno adatto per affermare la propria emancipazione all’interno della società contemporanea.
L’estrema sensibilità
insita nei suoi scritti che narrano dell’infanzia di Cristo, associata
all’immagine della Vergine di cui si fornisce il primo ritratto
spirituale3,
gli offrirà un ruolo primario all’interno delle controversie che
sorgeranno sull’utilizzo di immagini sacre in ambito religioso. Nel caso
dell’evangelista Luca, un’iniziale diffusione della sua leggenda avviene
presso i primi cristiani d’Oriente4,
i quali veneravano nella loro liturgia il santo come unico ritrattista
della Madonna5.
I racconti riportati dagli storici bizantini Simeone Metafraste6
e Niceforo Callisto7
e basati su fonti anteriori al V secolo, ricordano che un’icona della
Madre di Dio da lui dipinta era stata inviata da Gerusalemme a
Costantinopoli per volere della regina Aelia Eudocia (401 ca.-460):
probabile è il rimando all’icona detta della Vergine Odigitria
situata anticamente nell’omonima chiesa costantinopolitana e prototipo
delle icone lucane che trovano diffusione tra Oriente e Occidente a
partire dall’VIII secolo. Al tempo stesso il grande limite nell’essere un tema connesso ad un evento preciso è il suo esaurirsi nel momento in cui vengono meno i presupposti per cui è stato utilizzato, così come avviene per la figura dello stesso evangelista che perderà la propria autonomia dogmatica e artistica a partire dalla fine del XVII secolo9.
In campo propriamente artistico la sua rappresentazione intraprende nel
tempo un cursus evolutivo che rimarca l’aspetto sacrale, ma anche umano
del personaggio.
Nel suo iter evolutivo due sono le tappe fondamentali dell’apparato
iconografico lucano: un momento iniziale in cui prevale la popolarità
del San Luca scrittore e che ricalca ancora modelli paleocristiani, e
una fase successiva in cui si tende ad assegnare un ruolo privilegiato
all’immagine di pittore.
Fondamentale è comunque la
creazione di un legame esplicito tra la vista e il gesto: il pittore in assenza
dell’apparizione guarda la tela tracciando uno schizzo, oppure alza il proprio
sguardo verso la Madonna mentre la mano che impugna il pennello non si
allontanerà mai dalla tavola.
1 - R. van der Weyden, S. Luca dipinge la Vergine, 1435-36 ca., Museum of Fine Arts, Boston.
Il capolavoro cha apre un
nuovo capitolo sull’iconografia lucana13,
è anche l’opera più celebre attribuita a Rogier van der Weyden,
datata al 1435-36, la cui assoluta novità è sottolineata dal
successo che riscuoterà in campo artistico (Fig. 1). Roma si riappropria del titolo di capitale della cristianità attraverso l’operato di pontefici che si mostrano particolarmente sensibili ad un rinnovamento anche in campo artistico, ben evidenziato dalla auspicata rinascita dell’Accademia di San Luca17. Un contributo di estrema importanza verrà offerto da una personalità quale Federico Zuccari18 che si farà portatore delle istanze di un nuovo ruolo dell’accademico e di un’Arte intesa come espressione della suprema “intelligenza” dell’artefice.
2 - S. Luca dipinge la Vergine, XVI sec., Accademia di San Luca, Roma.
La figura del santo protettore rientrava all’interno del programma accademico anche attraverso la presenza di un quadro raffigurante proprio il San Luca che dipinge la Vergine (Fig. 2) conservato nell’edificio che ospita tuttora l’istituzione, testimonianza della complessità che contraddistingue l’ambiente artistico romano tardo cinquecentesco. L’opera, originariamente legata al nome di Raffaello Sanzio, diviene oggetto di ammirazione da parte di studiosi, artisti e collezionisti almeno fino al XVIII secolo. Ancora Goethe, nel celebre viaggio in Italia del 1788, di fronte alla sua visione afferma che “il magnifico quadro di Raffaello rappresentante San Luca al quale appare la Madonna affinché egli la possa ritrarre in tutta la sua divina bellezza ed altezza, appaga gli occhi in maniera straordinaria.”; inoltre assume come veritiera l‟antica fonte che riconosce un “Raffaello stesso, giovanissimo ritratto in un angolo del quadro, intento a guardare il lavoro dell’evangelista […]19. Un duro colpo a tale attribuzione viene inferto per la prima volta dallo storico dell’arte Giovanni Morelli il quale avanza dubbi nei confronti dell’altisonante paternità20; sarà solo dalla metà del secolo stesso che la critica inizia una progressiva demolizione di tali certezze, arrivando ad assegnare la realizzazione ad artisti della scuola urbinate che gravitavano attorno al maestro del Pileri21 e confermato dalle più moderne tecniche radiografiche che mostrano un'opera rovinata nella sua materia pittorica22. Il silenzio delle fonti accademiche e dello stesso Zuccari a riguardo potrebbe essere accettato solo se si considera quanta importanza assume la sua “riscoperta” nel corso del 1593, al momento dell’inaugurazione ufficiale dell’Accademia. Sembra del tutto probabile che fregiarsi di possedere un’opera attribuita al celebre pittore in un luogo che doveva fungere da punto focale per gli artisti del tempo, rappresentasse una tentazione non da poco. Il quadro, inoltre, richiama idealmente in ogni suo elemento un particolare delle opere giovanili del Sanzio, ma le forme che caratterizzano i personaggi risultano essere estremamente semplificate, indice di una ripresa consapevole di tratti tipici del suo stile non però del suo fare pittorico. Che questa raffinata e intellettuale rilettura sia stata volutamente cercata, tutto ciò è spiegabile in base alle esigenze del momento: l’opera in questione, infatti, viene citata solo all’interno dei primi resoconti ufficiali delle sedute accademiche, nel momento in cui Federico Zuccari riceve la nomina di princeps, e nei documenti riportati all’interno del Libro d'entrate et uscite del Camerlingo dell’Arte de’ Pittori, dove è espressamente ricordato “l’altare in capo ad essa Accademia, con l’immagine della gloriosa Vergine e di San Luca […]23. Analizzando nel dettaglio la composizione, si nota immediatamente la precisa volontà di richiamare un gusto arcaicizzante. La canonica scena ambientata in un interno spoglio mostra in primo piano l’evangelista caratterizzato da un panneggio all’antica mentre rivolge il suo sguardo verso l’alto, intento a completare sulla tela il volto della Madonna che appare di profilo, tagliata dal margine della tela, al di sopra di una massa compatta di nubi, con gli occhi rivolti verso Luca con cui si instaura un silenzioso dialogo. L’artista pone incondizionatamente il proprio lavoro sotto la protezione divina che, al contempo, guida la sua mano nella raffigurazione sacra; in posizione speculare al suddetto gruppo è posto il bue che precede quella che è stata definita come una figura “enigmatica”. Si tratta di uno spettatore che segue attentamente l’esempio dell’evangelista, e che più volte è stato messo a confronto con i celebri autoritratti attribuiti al Sanzio: la scelta di inserire non un’immagine divina, ma l’effige del presunto artefice dell’opera, è sicuramente sintomo di una precisa volontà da parte del reale esecutore. Volontà che ancora oggi affascina, interessa e pone problematiche che continuano ad alimentare ricerche e indagini a tal proposito.
Maria Donata Ruggiero
Sulla
questione dell'origine dell'iconografia cristiana:
5
16 Cfr. G. GHARIB, Le icone mariane. Storia e culto,
Città Nuova Editrice, Roma, 1987, p. 154.
10
Cfr. G. BEAUGE, Saint Luc, peintre & éscrivain, Hal (Hyper
Article en Ligne – Sciences de l'Homme et de la Société), 4
novembre 2010, p. 14.
13
Cfr. H.E. ROBERTS, Encyclopedia of comparative iconography:
themes depicted in works of art, vol. VIII, Fritzroy
Dearborn, Chicago-London, 1998, pp. 799-800.
17
Si tratta di una realtà esistente già dal 1478, anno in cui Papa
Sisto IV rinnova gli statuti e i privilegi assegnati all'antica
Università dei Pittori, Miniatori e Ricamatori che vede tra i
suoi iniziali fondatori un personaggio quale Michelozzo da
Forlì, nominato al contempo “pictor papalis”.
21
F. CAVALLERI, La tavola del San Luca insigne opera di
Raffaello, restaurata al suo splendore, nella Galleria della
Pontificia Accademia Romana delle Belle Arti, in «Giornale
arcadico di scienze, lettere ed arti», CLVI, serie X, tipografia
Tito Ajani, Roma, 1858, p. 16.
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