ROBERTO
KUSTERLE - I RITI DEL CORPO
Lorella Klun
Le immagini di Roberto Kusterle fluiscono dallo spazio/tempo espositivo
attraverso i nostri sensi, contaminando con piccole spore di
inquietudine la percezione del reale e i nostri quotidiani equilibri.
Le sue fotografie testimoniano di un processo creativo che, lontano da
compiacimenti estetici, propone una rilettura del corpo attingendo alle
dinamiche liberatorie di happenings e performances che
avevano caratterizzato l'arte degli anni '60 e '70 (si pensi al
movimento del Wiener Aktionismus di Hermann Nitsch e Arnulf Rainer, alle
trasformazioni di Francisco Coppello o di Urs Lhuti), per approdare a
una personalissima fotografia teatralizzata, i cui protagonisti, esseri
metamorfici depositari di enigmatiche vestigia di religioni antiche,
incarnano -alternando l'ironia all'angoscia- le pulsioni di Eros e
Thanatos.
I personaggi, a metà strada tra visioni oniriche e proiezioni di un
inconscio collettivo, sembrano prender corpo dalle pagine di “The golden
bough” di J. G. Frazer, compendio di studi antropologici e riti
propiziatori; con loro ci addentriamo in una dimensione nella quale gli
animali diventano pegno e ricettacolo del dio a cui vengono immolati,
trasformandosi in fonte di potere e talismano di protezione.
Il corpo non è che un
guscio: l’anima, deviata da un canale, confluisce vivificata in un
altro; durante il sonno, naturale o indotto che sia, essa si allontana
per visitare luoghi e compiere azioni che il dormiente vede nei suoi
sogni.
Le figure dei ritratti di Kusterle immerse appaiono in una trance
iniziatica: gli occhi chiusi, le membra abbandonate, lo spirito
dolorosamente proteso alla ricerca di risposte agli eterni dilemmi della
vita. Ma l’impianto classico è destabilizzato da un’inventiva
dissacrante e visionaria; gli elementi naturali, tolti dal loro abituale
contesto e riadattati a suggerire nuove simbologie, concorrono a
stemperare il pathos per approdare a una insolita dimensione
ludica.
Lo scatto fotografico non si pone come punto di arrivo, ma come fase
intermedia del lento affiorare di rituali ancestrali, nei quali il
confine dell'uomo non coincide con quello del proprio corpo. E se la
narrazione fotografica ci rimanda a sacrali cerimonie, rituali devono
essere anche le fasi di preparazione: da quando Kusterle fissa le idee
su carta, alle mattutine passeggiate lungo l'Isonzo, osservando la
natura non con gli occhi del gitante, ma con lo sguardo dello sciamano
capace di infondere l'élan vital alle spoglie di piccoli animali,
a rami e radici, raccolti e poi gelosamente custoditi nel proprio
atelier. Rituale è la spoliazione e de-strutturazione dei personaggi,
rivestiti di creta, trasformati attraverso innesti e “mutilazioni” in
creature antropomorfe di lontane mitologie. E solenne deve essere il
processo di stampa: meticolosi la scelta della carta e i molteplici
passaggi in camera oscura, per ottenere il giusto contrasto tra l'urlo
sommerso dei soggetti e la morbidezza dei toni dello sfondo, per
raccontare di crepuscoli dentro a tende o capanne, quando gli anziani
della tribù narravano di magiche imprese e di riti pagani consumati
intorno al fuoco.
A noi osservatori non resta che inoltrarci in queste inesplorate terre
d’ombra: tra teofanie arboree e marine, magari scopriremo che la forza
del nostro sguardo, percorrendo ogni immagine, potrebbe incrinare la
falsa inerzia dello scatto fotografico e, sgretolando barriere di sabbia
e concrezioni di argilla, riscaldare la materia sottostante, richiamando
a nuova vita (e nuove sofferenze) quelle anomale divinità.
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