POMPEI
Giovanni Attinà
Da Baia, 9° giorno prima delle Calende di settembre, del 79 d.c., ora
7ima, (24 agosto, circa le 13 odierne:
“…..., una nube si innalzava ( non appariva bene da quale monte avesse
origine, si seppe poi dal Vesuvio), il cui aspetto e la cui forma nessun
albero avrebbe meglio espressi di un pino. Giacchè, protesasi verso
l’alto con un altissimo tronco, si allargava a guisa di rami perché
ritengo, sollevata dapprima da una corrente d’aria, e poi abbandonata a
se stessa per il cessare di quella o cedendo al proprio peso, si
allargava pigramente. Talora bianca, talora sporca e chiazzata a causa
del terriccio e della cenere trasportata. Il Fenomeno…..”.
Pompei, affresco
Pompei, affresco
Così l’inizio dell’eruzione narrato da Plinio il giovane nella prima
delle due lettere inviate allo storico Tacito circa 20 anni dopo.
Testimone oculare della tragedia, in quanto ospite a Baia dello zio
Plinio il vecchio, uomo di scienza, naturalista e all’epoca, comandante
della flotta militare di stanza a Misero, e morto nel tentativo di
prestare soccorso con tutte le navi disponibili.
Pompei, Ercolano, Oplonti, Stabia, tutte le case e gli edifici della
zona furono distrutte e ricoperte da cenere e lapilli, oltre che da un
violento terremoto e maremoto.
Una apocalisse: pochissimi i superstiti, tra esseri umani e animali;
l’eruzione fermò la vita e il tempo, in quei giorni di agosto,
ricoprendo tutto ma, paradossalmente, conservando tutto per i posteri.
Il 6 novembre 2010, non una nuova eruzione, né un terremoto, ma, da quel
che si è appreso dalla stampa e dalle dichiarazioni dell’ineffabile
Ministro della cultura, solo un po’ di pioggia fuori dal normale, ha
fatto crollare la domus dei gladiatori, la “ schola armaturarum”.
Inevitabili le polemiche e le strumentalizzazioni politiche sulle varie
responsabilità che come sempre vengono scaricate ad “altri…”, e che
comunque sono facili da individuare: interventi di manutenzione
inefficaci e anzi dannosi, soldi già ridotti e sprecati, tecnici ed
esperti evidentemente impreparati, sia in questo caso come anche in
altri, disinteresse per la storia e per l’arte. Da non dimenticare
inoltre le note dichiarazioni di emergenza, l’abitudine ormai vecchia,
di nominare commissari per le emergenze che nulla combinano, se non
sprecare soldi pubblici, politici, imprese e malavita che si spartiscono
affari miliardari.
Eppure non è una novità, perché di edifici pericolanti e/o crollati ce
ne sono dappertutto, non solo a Pompei; ma, visto che di questa città si
sta parlando, leggevo giorni fa – sul Venerdì di Repubblica
del 19 novembre, – di Alexandre Dumas, lo scrittore francese padre dei
Tre moschettieri e del Conte di Montecristo.
Arrivato a Napoli con Garibaldi, ai primi di settembre del 1860,
ricevette l’incarico di direttore dei musei e degli scavi nella zona
vesuviana: ebbene, egli chiedeva soldi per la manutenzione e accennava
alla “ Porta di Ercolano, crollata – a suo dire – “ per la stanchezza di
sopportare diciassette secoli ! “. Sembra inoltre che ricevette anche
una visita che gli assicurava la protezione della camorra.
Tornando invece a quei giorni di settembre del 79, dopo la catastrofe,
l’imperatore Tito, accorso sul posto per un sopralluogo, e per disporre
i soccorsi, cosa fece? Manco a dirlo - in duemila anni non è cambiato
molto -, nominò dei commissari all’emergenza, per prestare soccorsi e
ogni aiuto possibile per la ricostruzione!
Pompei, calco in gesso
Ma i “ curatores ”, anche allora politici - infatti si trattava di
senatori -, effettuarono piccoli scavi per salvare il salvabile, forse
statue, mobili, marmi, giudicarono la situazione ormai irreversibile e
impossibile da recuperare alla vita precedente, si limitarono a fornire
piccoli aiuti ai pochi superstiti e li alloggiarono in zone limitrofe.
Ieri - come oggi - i superstiti si arrangiarono da soli per recuperare
oggetti domestici di uso familiare o anche affettivi e, non mancarono
probabilmente neanche atti di sciacallaggio e saccheggio.
Così, di Pompei e delle altre città distrutte, non se ne parlò più e se
ne perse anche il ricordo.
Lo Stato romano aveva altri problemi: invasioni barbariche, decadenza,
trasformazioni e mutamenti, caduta, e governi e regni diversi, medioevo,
disinteresse e inciviltà.
Certo ci saranno stati in tutte le epoche i tombaroli, sarà anche
capitato di fare scoperte casuali, scavando la terra, ma non gli si dava
alcuna importanza.
Era rimasto in piedi solo un piccolo insediamento di poche case,
probabilmente anche senza nome, perché la Pompei moderna nasceva solo
intorno al Santuario, che è del 1876.
Fu con il Rinascimento che le cose cominciarono a cambiare: scrittori,
poeti e umanisti si rivolsero ai classici, e studiarono i testi latini e
così scoprirono l’esistenza di una antica città chiamata Pompei.
Iniziò allora il dibattito sulla sua ubicazione, dov’era Pompei
classica? E Ercolano? e le altre ?
L’archeologia, come scienza non esisteva affatto, se c’erano scavi,
erano condotti male e senza criterio; bisognò attendere un paio di
secoli per arrivare a qualcosa di concreto, ai primi del ‘700, con
l’illuminismo si sviluppò l’interesse per l’arte antica e per il
collezionismo di oggetti antichi.
E’ in questo periodo che visse Johann Winckelmann, considerato il padre
della archeologia che viaggiò in Italia, e visitò i primi scavi che
venivano effettuati a Ercolano, nel 1738, quando si dette inizio ai
primi scavi ufficiali voluti dal re Carlo di Borbone.
Da allora, gli scavi non si sono mai fermati dando luogo a scoperte
inimmaginabili. Da sottoterra è resuscitata una intera città, che si
credeva perduta.
A Roma, caput mundi, si vedono e si visitano gli spazi del potere
imperiale; a Pompei si passeggia lì dove persone comuni di una comune
città di provincia, donne e uomini passeggiavano, lavoravano, vivevano e
i bambini giocavano. Non mancavano le domus di personaggi di
rilievo, come la “casa del Menandro”, dal nome di un affresco intitolato
al commediografo greco.
Era di proprietà di un tal Quinto Poppeo, parente di Poppea Sabina, la
seconda moglie di Nerone.
Per fortuna, con gli scavi, molti affreschi, mosaici, statue ed altro,
furono trasferiti nei musei, ma anche qui, non so fino a quando saranno
visibili. Avrei voluto andare al Museo nazionale archeologico di Napoli
nell’ultimo anno, ma per ben due volte ho dovuto rinunziare: l‘80% delle
sale era chiuso per restauro!
E ora? “Con la cultura non si mangia”, ha detto un altro ministro. Non
ci sono parole per commentare questa bestialità.
Spero solo che Pompei non si perda di nuovo.
Giovanni Attinà