Riflessioni sul pittore

 

Pietro Fragiacomo (Trieste 1856-Venezia 1922)

 

Walter Abrami

 

 

 

Incominciai a studiare la pittura del Fragiacomo negli anni Settanta dopo aver letto la tesi compilata nell’a. a. 1971-1972, dalla neolaureanda Liviana Rossi.

Tesi che ebbe relatore, il professor Decio Gioseffi.

Si trattava di uno studio preciso e valido al quale troppo poco ha aggiunto quello più recente di Paolo Campopiano. Ne fui indotto dunque, da alcuni quadri di Fragiacomo visti casualmente in una collezione, che mi piacquero e mi sorpresero. Anche la firma del pittore attrasse la mia curiosità.

A proposito: perché l’artista firmò in maniere così diverse, dissimili e la sua consonante g , più di altre lettere del cognome, cambiò graficamente tanto spesso? Fu solo questione di pennelli?

Gli studi specifici di un grafologo e di uno psicanalista ci aiuterebbero ad essere più esaurienti in merito. In seguito fui spettatore attento di un esame di riflettografia all’infrarosso compiuto in laboratorio da un noto restauratore: delle tre opere due erano state eseguite in tempi diversi; la terza, pur autentica anche se priva di firma, nascondeva sotto la pittura i segni di un modesto disegno preparatorio. Durante l’esame all’infrarosso, notai sulle tele e sulla tavoletta usate dall’artista, alcuni particolari curiosi del suo modo di dipingere e mi entusiasmai nel rilevare la sua ferma passione per alcuni pennelli colà più di altri usati e preferiti. Dettagli insignificanti o elementi indicativi d’eventuali possibili future individuazioni di opere non firmate? Ma ce ne sono ancora? Solo un ingenuo ci può credere! Più di un ventennio fa Matteo Marangoni notava che la tanto disprezzata materia, non è altro che lo spirito del pittore che si è reso sensibile. Ma la realtà spesso non è poesia! Che cosa succede allo spirito dell’artista se la sua firma è rifatta più che ripassata in maniera indegna da qualche cretino dopo la sua scomparsa? Lo spirito del pittore s’infrange? Perlomeno, direi, si offende la sua alfabetizzazione ed è pure resa dubbia la garanzia offerta solo a parole dal venditore (incolpevole!) all’acquirente.

Chi convince quest’ultimo che il quadro non è stato eseguito da più mani o completato da altri (un collega, un restauratore per esempio) dopo la morte dell’artista?

In ogni opera di un pittore c’è dunque una singola “meraviglia” del linguaggio: niente svela meglio il valore di un professionista, se non il confronto tra i suoi abbozzi (numerosissimi nel caso di Pietro Fragiacomo), i suoi appunti grafici e l’opera definitiva.

Uno dei meriti della Compagnia Assicurativa del Lloyd Adriatico è stato proprio quello di ripercorrere il medesimo cammino degli imprenditori delle origini e la collezione della Pinacoteca superbamente e orgogliosamente realizzata, vanta tra gli altri dipinti, pure due quadri di Pietro Fragiacomo tra i quali il celebre Canale della Giudecca, esposto nella Biennale di Venezia del 1920.

L’olio ricorda nell’impostazione Partenza per la pesca di Ettore Tito eseguito nel 1909.

Nel suo quadro bellissimo d’ampie dimensioni, Fragiacomo studia come l’amico gli effetti del vento sulle vele, ma smorza gli entusiasmi del collega, elimina la maggior parte della flotta, modifica il ritmo delle onde e sublima la luce atmosferica.

Luce che molte volte, nelle sue opere, è malinconica.

Fragiacomo era stato presente in totale ad undici Esposizioni Biennali Veneziane compresa la prima del 1895; morì nel 1922 dopo aver partecipato alla XIII Biennale Veneziana; in quell’occasione presentò Golfo di Trieste e Ritorno.

I premi conseguiti in vita furono numerosissimi e vanno almeno ricordate le medaglie d’oro ottenute a Roma nel 1893 con il dipinto La campana della sera e a Berlino del 1896 con il dipinto Tristezza.

Nel 1914, prima della Grande Guerra, il pittore ottenne a Firenze il premio Ussi per il dipinto Il traghetto.

Certe indubbie connessioni di alcuni suoi dipinti con le opere della sorella Antonietta che morì dopo di lui e che accanto a lui spesso dipinse, favorì una commercializzazione dubbia da parte dei galleristi del tempo.

I quadri in questione erano soprattutto quelli di piccole e medie dimensioni.

Dopo tanti successi, la sua fama di pittore, fu riconosciuta ampiamente e i quadri d’Antonietta, che utilizzava una tecnica simile alla sua, furono ingenuamente scambiati per i suoi e venduti meglio.

Ciò non inficia minimamente la sua figura di sperimentatore!

Tale, infatti, va considerato Fragiacomo!

Il corpus di opere certe, documentate, forse supera a malapena le 300: Fragiacomo non produsse moltissimo e diversamente dai suoi illustri colleghi Ettore Tito, Giacomo Favretto e Luigi Nono, non era più un ragazzino quando iniziò a frequentare l’Accademia. Lo fece, infatti, a ventuno anni.

Forse più d’altri dipinti la veduta veneziana di Sacca Fisola del 1882 e Mattino in laguna del 1885 ci parlano del suo passato e testimoniano la sua predisposizione alla precisione e all’ordine. Ma non sono i soli. Prima di conseguire il diploma di disegno, Fragiacomo svolse varie mansioni (si racconta che fece il falegname, il fabbro e il tornitore).

Certamente divenne progettista meccanico e di tali geometrie risentirono alcuni primi tentativi.

Fu Domenico Bresolin, suo insegnante di paesaggio, a fargli superare certa tradizione grafica del vedutismo. Giovane egli lavorò molto all’aria aperta, ma non disdegnò l’uso di lastre fotografiche per ricordare meglio o una veduta cittadina o gli amati barconi che solcavano la laguna.

La componente lombarda entrò nella sua pittura attraverso la mediazione di Filippo Carcano (Milano 1840-1914) allievo di Francesco Hayez a Brera, che fu presente a Venezia dal 1880; Fragiacomo in un primo momento riprese alcuni suoi motivi iconografici e studiò attentamente la sua tavolozza per trarne efficaci effetti personali.

Nel biennio 1878/1879 il triestino frequentò assiduamente Ettore Tito: con lui si recò a dipingere a San Pietro in Castello, nell’orto di un’osteria dalla quale poteva ammirare la laguna cogliendone la variabilissima atmosfera, il passaggio delle stagioni e dalla quale poteva pure volgere lo sguardo verso l’isola di Sant’Elena. Al tempo fu Giacomo Favretto, artista già affermato, a sostenere i due giovani e a convincerli ad insistere. Già i primi paesaggi di Fragiacomo hanno in fieri un’anima.

Forse il caro Padre Pio avrebbe potuto individuarla subito, ma dubito sia bastevole una semplice e rapida occhiata non supportata da altre verifiche più scientifiche per stabilire l’autenticità delle sue marine, più che dei paesaggi.

Osservando alcuni dipinti giunge naturale pensare che Fragiacomo poté avvalersi dell’osservazione d’alcune opere di Bartolomeo Bezzi, allievo del Carcano, pittore dai sentimentalismi crepuscolari, ma forse anche da vedute lagunari di Guglielmo Ciardi.

Attraverso alcuni confronti d’opere, Liviana Rossi notò che intorno il 1885 Fragiacomo rivolse pure i suoi interessi alla pittura partenopea e verso la scuola di Posillipo.

In alcune marine eseguite alla fine degli anni Ottanta può essere pure individuata l’influenza della pittura di paesaggio monacense, la scuola di Lier e lo Schönleber in particolare.

I giovani colleghi triestini Guido Grimani e Ugo Flumiani gli indicarono qualche nome, gli aprirono presumibilmente questo canale d’interesse: furono i due che lo invogliarono a cogliere i lontani orizzonti del marinismo olandese?

Ma la luce, la luce della laguna che egli osservava da diversi luoghi amati, dalla barca di un pescatore, da un molo sperduto, era unica ed egli fu davvero bravo nel renderla con fluidità guardesca.

Ma se la scelta dei colori e le conseguenti pennellate esaltano toni smorti e armonici che riempiono lo spazio e caratterizzano buona parte della sua pittura, si può affermare che ciò deriva dall’influsso che esercitò nel suo agire la pittura del Bezzi?

I dubbi non sono stati ancora sciolti del tutto e la critica si è dibattuta in merito.

Fragiacomo apprezzò i toni delicati, le emozioni tranquille, il carattere romantico della propria pittura e, pure lui, il silenzio. Anche in molti altri dipinti come nel Rematore, i toni sono chiari e sono volutamente tenuti su registri bassi. Ne deriva una pittura di luce più che di colore.

In seguito vi si affiancarono sporadicamente apporti desunti dalla pittura scandinava, dal Divisionismo che lo incuriosì per la tecnica (Fragiacomo adottò la tecnica del Laurenti e usò anche i colori a tempera) non per i principi programmatici del movimento, e dal simbolismo böckliniano.

I risultati che ne conseguirono furono variabili, ma si può affermare che l’aspetto più amato e più noto al pubblico è quello del pittore lirico. La sua sperimentazione spesso lo sviò: cambiò con il passar degli anni e raggiunse risultati eclettici, ma spesso superficiali.

Nel tempo egli considerò opere compiute anche taluni bozzetti resi con pochi tocchi di pennello quasi a volersene disfare in fretta per sé più che per gli altri.

Restano indiscutibilmente vivi nella memoria collettiva alcuni dipinti d’impareggiabile bellezza come La campana della sera del 1893, La Malcontenta (I Superstiti) del 1914, Piazza San Marco esposta a Parigi nel 1919, Calma in laguna.

 

 

 

Walter Abrami