Nel principato di
Kiev nasce l'arte dell'icona
Alessandra Doratti
La tradizione vuole
che l'evangelista Luca, ritraendo la Madonna, desse avvio alla pittura
delle icone. Immagini di questo tipo non mancano nell'arte fiamminga. Ma
è ben noto che gli artisti nordici avevano una spiccata attitudine
narrativa e di un tema del genere coglievano semmai le valenze più
esteriori. Mentre nulla di simile si troverà mai nella pittura iconica
russa, che di Madonne ne ha immortalate parecchie, ma non sicuramente in
veste di modelle, seppure di un cantore ufficiale di fatti divini come
San Luca.
Le icone non raccontano episodi sacri: sono "visibili rappresentazioni
di spettacoli misteriosi e soprannaturali", come affermava nel VI secolo
San Dionigi l'Aeropagita. Molta strada ha percorso da allora la pittura
iconica, prestandosi via via a molteplici livelli di lettura, ma
necessariamente tesi al dialogo con la divinità. Oggi le icone sono
entrate a far parte, a tutti gli effetti, del contesto generale dei
fatti storici e, come tali, vengono studiate sotto il profilo dello
stile, del disegno, della composizione, del colore, del soggetto; e non
sono sfuggite all'occhio voglioso dei collezionisti che, in assenza di
capolavori quattro e cinquecenteschi, ormai inevitabilmente proprietà
museali, si indirizzano agli esemplari di epoche successive peraltro in
grado di raggiungere spesso considerevoli vette qualitative.
Strettamente connesse al mondo del cristianesimo ortodosso, le icone
nascono in realtà nei paesi bizantini e il loro stesso nome trova
giustificazione in quest'area culturale, poiché deriva dal greco eikon,
che significa appunto immagine. Succede tuttavia che le tradizioni
artistiche elaborate nella parte orientale del bacino mediterraneo
trovino terreno fertile anche in Russia, insinuandosi, verso il X
secolo, nelle pieghe delle sue tradizioni artistiche, e avendo come
luogo di origine Kiev, primo centro di produzione di icone
russo-bizantine, grazie al diretto interessamento del principe Vladimir.
Criteri esecutivi, formali, temi iconografici e principi filosofici
bizantini vengono assunti appieno dagli artisti russi, ma ciò non toglie
che la "russificazione" della pittura di icone diventi progressivamente
un dato di fatto e che questa raggiunga un totale affiatamento con la
vita sociale e culturale del paese.
Si potrebbe quindi pensare a raffigurazioni di fatti o personaggi
storici: in realtà è rarissimo che simili immagini trovino posto
nell'icona, mentre si attinge a piene mani dal vasto repertorio della
storia sacra, dagli eventi che riguardano angeli, santi, profeti, dai
molteplici tipi icronografici della Vergine e naturalmente dal volto di
Cristo. Gli uomini, per ottenere l'onore di un'effigie, dovevano
quantomeno essersi distinti per zelo religioso. Del resto il luogo delle
icone era l'iconostasi, la struttura che racchiude l'altare e che è
letteralmente ricoperta di queste preziose tavolette lignee. La loro
presenza all'interno delle chiese non svolgeva funzioni dichiaratamente
didascaliche, come gli affreschi medioevali nei templi d'Occidente, era
piuttosto il tramite per comunicare con il mondo celeste, con le sue
gerarchie. Oggi le icone sfoggiano per lo più i loro densi impasti
cromatici lungo le pareti dei musei (ne sono ricchissimi il museo russo
di Leningrado e la galleria Tret'jakov di Mosca). Si possono vedere
esposte anche nell'ambito di mostre temporanee che generalmente
propongono una quantità di opere sempre scelte con un criterio
antologico, per documentare un periodo della pittura di icone che va dal
XV al XIX secolo. Se infatti le icone bizantine sono sopravvissute solo
in minima parte, restano però cospicue testimonianze della produzione
quattrocentesca e cinquecentesca, secoli d'oro dell'arte dell'icona, in
seguito avviate verso un inesorabile riflusso, in parte iniziato già ai
tempi di Ivan il Terribile e accelerato dalla ventata occidentalizzante
introdotta da Pietro I il Grande. Con la sua epoca la pittura iconica,
almeno quella intesa nella sua accezione originale, finisce.
Quella dell'icona non è una vita breve, nel suo corso prendono forma
scuole e stili così diversi da assicurare, anche nel momento del
declino, una sorta di continuità garantita anche dalla sua
trasformazione in oggetto ornamentale.
Le scuole di Mosca, di Novgorod, di Pskov e del nord, ciascuna con la
sua peculiarità, di colorito acceso od opaco, di fedeltà ai modelli o di
libertà interpretativa, ci hanno certo fornito alcuni dei saggi più
suggestivi della pittura iconica. Tra gli artisti vari resta
intramontabile la fama di Andrej Rublev, autore dell'icona detta della
"Trinità angelica" datata 1411. Nel Seicento, offrono numerosi motivi di
interesse, pur valutandole con un altro metro di giudizio, anche le
raffinate produzioni commissionate dalla famiglia Strogonov, o i dipinti
dei maestri del palazzo delle Armi, con in testa Simon Usakov, che nel
corso di quel secolo contribuiscono di fatto a secolarizzare la pittura
d'icone.
Mercanti facoltosi, attivi nel territorio degli Urali, gli Strogonov si
fecero allora promotori di un vistoso impreziosimento dell'arte
dell'icona che, con il loro incoraggiamento, sfiora il virtuosismo nella
perfezione esecutiva e nella ricchezza dell'apparato ornamentale. Nei
lavori di Simon Usakov, al diretto servizio dello zar, si riconosce
invece una chiara tendenza all'umanizzazione dei volti, che perdono le
loro valenze trascendentali.
Il gusto decorativo trionfa: si ricorre persino all'uso di occultare le
icone dietro coperture metalliche che lasciano intravvedere solo i
volti, le mani e i piedi, anche perché capita che le restanti parti del
corpo siano solamente abbozzate.
Queste preziose schermature, già in uso nella seconda metà del XVI
secolo, ma in voga soprattutto nel Settecento e nell'Ottocento, si
chiamano rize e la loro originaria funzione protettiva fornisce presto
lo spunto ad abili artigiani per forgiare autentici capolavori di
oreficeria. Si va dallo sbalzo all'incisione, alla doratura, unendo
spesso alle tecniche di lavorazione del metallo guarnizioni a smalto o
con pietre dure.
Almeno fino alla prima metà dell'Ottocento, sebbene la pittura di icone
acquisti un indubbio carattere "commerciale", si conservano i complicati
e raffinatissimi procedimenti esecutivi messi a punto dai maestri
antichi.
Lo stesso Usakov scrisse un trattato di pittura iconica, intitolandolo
"Suggerimenti per il cultore della pittura di icone". Ancor oggi si
possono trovare sul mercato esempi di notevole qualità, realizzati
secondo le metodologie più tradizionali, come l'icona delle "sedici
feste" che, in un trionfo di figurette miniate, su fondo oro, prende
spunto dalla "Resurrezione del Cristo", per poi passare in rassegna le
principali feste del calendario ortodosso, sotto l'attenta supervisione
dei quattro evangelisti dipinti negli angoli. In questi casi si tratta
tuttavia di occasionali indizi di risveglio, interessanti e da tener
d'occhio qualora ci si volga all'acquisto. Mentre se invece si cercavano
eredi della tradizione russa antica, meglio è rivolgersi a un artista
contemporaneo come Chagall, depositario, se non delle forme esteriori
della pittura iconica, dei suoi significati più intimamente popolari.
Alessandra Doratti