Arte musiva - il
micromosaico romano
Alessandra Doratti
Il mosaicino romano, cioè il mosaico a volto di formato molto piccolo e
composto di tessere minute, è un'arte che fiorì a Roma e quasi
esclusivamente in quella città per lo spazio di un secolo, tra la
seconda metà del Settecento e la prima metà dell'ottocento. Si tratta di
un fenomeno sospeso tra due lenti di ingrandimento: da una parte la
lente del mosaicista il quale, con certosina pazienza, realizza i suoi
progetti visuali raggruppando e componendo migliaia, e talvolta decine
di migliaia, di tessere; dall'altra la lente del conoscitore il quale
analizza il lavoro e ne apprezza le sottigliezze, i più preziosi
artifici, la firma del celebre artefice, le particolarità di uno stile,
le raffìnatezze della tecnica (lo smalto filato, il colore cosiddetto "malmischiato",
i difficili accostamenti, la simmetria o la dissimetria della
disposizione, e così via). E in mezzo? In mezzo si potrebbe quasi dire
che non ci siano dei mosaici veri e propri ma delle generiche miniature,
perché a occhio nudo, con le misure microscopiche delle tessere, la
levigazione delle superfici, i bordi frastagliati ricoperti di cera, la
scala ridotta delle immagini, l'effetto di un mini-mosaico può non
essere diverso da quello di una miniatura.
Il mosaicino ha una posizione decisiva in una certa area della cultura
decorativa europea nel primo Ottocento: dagli accessori
nell'abbigliamento al gusto delle suppellettili da scrivania e da
boudoir all'intero design. Non in Italia, stranamente, in quanto qui da
noi se ne trovano pochi in giro, sia nelle collezioni pubbliche che in
quelle private. Tutti all'estero: nelle grandi collezioni dell'Ermitage
a Leningrado e al Los Angeles County Museum of Art, in infinite raccolte
private, in pezzi unici presso diversi proprietari. Si vada in
Inghilterra, e tutte le famiglie benestanti che hanno mantenuto una
congerie di oggetti personali razziati durante i viaggi di cultura o la
vacanza in Italia e tramandati per quattro o cinque generazioni
possiedono almeno un mini-mosaico: in forma di tabacchiera, di
portaprofumi, di fermacarte; oppure raccolti in collana o bottoniera:
ovvero ai margini di un camino o sul ripiano di un mobile. Il mosaicino
significa che il bisavolo o il trisavolo era stato a Roma e aveva buon
gusto: gli piacevano le belle cose eleganti, anzi la fragile e discreta
eleganza di un oggetto minuto e squisito come il minimosaico.
L'opera in mosaico consiste nella rappresentazione di un motivo
figurativo o astratto, in questo caso geometrico, realizzata su una
superficie piana, liscia o scabra, e costituita da una serie di
componenti colorate che definiscono la figura mediante la loro
giustapposizione.
Il singolo elemento è tradizionalmente chiamato tessera, che
etimologicamente vuol dire "quattro", perché si supponeva che il suo
contorno era in origine un quadrilatero. Le tessere sono costituite da
un materiale duro, pietra oppure smalto ottenuto dalla fusione della
silice con altri minerali che raffreddando indurisce fortemente,
conservando la fragilità dei materiali vetrosi. Questo tentativo di
definizione tecnica non vuole essere esecutivo ma l'indispensabile per
andare al di là dell'immediata apparenza dell'oggetto.
Resistenza e durezza
sono le qualità del mosaico "nuovo"
Da un primo approccio è evidente che la qualità tecnica di resistenza e
di durezza caratteristica del mosaico è il motivo essenziale della
nascita del mosaico moderno, cioè di quello che si comincia a realizzare
nello Studio vaticano del mosaico a partire dalla fine del XVI secolo -
ufficialmente sotto il pontificato di Gregorio XIII (1572-1575) allo
scopo di decorare gli interni della Basilica Vaticana con opere non
deperibili nel tempo, sostituendo eventualmente anche i quadri esistenti
con copie musive. Da ciò si intuisce la latenza di questa tecnica di un
problema centrale e cioè quello della manifesta dipendenza del mosaico
moderno dalla pittura. Il mosaicista deve essere in primo luogo un buon
pittore. La differenza fra le due attività consiste nel fatto che il
mosaicista deve essere abile nello scegliere fra le molte gradazioni di
colore degli smalti che ha a disposizione, mentre il pittore deve
esserlo nell'impasto delle tinte.
I mosaici minuti che conservano le principali caratteristiche dei
mosaici in grande ne differiscono però per due aspetti. Il primo è
costituito dal fatto che i mini-mosaici non sono creati, come
normalmente quelli in grande, per essere visti da lontano, bensì da
vicino. In secondo luogo i mini-mosaici non sono legati al loro
originale pittorico dal motivo causale della conservazione nel tempo
della sua più deperibile memoria, ma solamente dal riferimento
iconografico.
Il motivo fondamentale che spinge oggi a un riesame di questo
artigianato o arte minore è legato alla ricerca della fisionomia che
esso assume, nel momento in cui acquista questo grado di libertà
rispetto al suo modello, e si pone nei confronti dell'osservatore in un
rapporto fisico di vicinanza assolutamente straordinario.
Tre componenti, di
cui il supporto qualifica l'oggetto
I mosaici minuti sono costituiti da tre componenti principali: il
supporto, il mastice e le tessere. Il supporto spesso svolge un ruolo
assai importante per la qualificazione dell'oggetto, nelle placche di
piccola dimensione, per esempio, il supporto più usato fu una lastrina
di rame della stessa forma del mosaico. Finito e con i bordi ripiegati
per uno spessore di due, tre millimetri a formare il contenitore delle
tessere; in quelle di maggiori dimensioni si usò una lastra di ferro.
Diverso è il caso dei supporti in pasta vitrea colorata, nella quale
vengono spesso incorporate pagliuzze dorate, dalla superficie quasi
sempre lucida: in queste piccole placche, montate di solito su gioielli
con castoni in oro o argento. Il mosaico viene inserito in un incavo
predisposto in modo da lasciare un bordo smussato verso l'esterno. Per
le opere di grandi dimensioni, infine, il supporto preferito furono le
lastre in pietra nera: il "nero del Belgio" caratterizzato da
compattezza di colore e di grana e dall'assenza di scistosità che
rendono possibile anche l'inserimento di mosaici talmente scontati, con
profili complicatissimi, che lo scalpellino seguiva con eccezionale
precisione. Gran parte dei tavoli oggi conservati sono realizzati con
questo supporto. Il mastice che veniva spalmato sul supporto a mano a
mano che vi si immergevano le tessere scelte; era un impasto a base
vegetale e minerale. La produzione degli smalti merita un discorso
particolare, anche perché già nel primo scorso del Seicento la Reverenda
Fabbrica di San Pietro si prodigò non solo alla formazione degli artisti
e alla realizzazione di opere di grande prestigio, ma anche alla ricerca
di più efficaci sistemi di produzione delle paste, materia prima del
mosaico, per sottrarsi al vassallaggio di Venezia, massima fornitrice di
smalti per tutto il Cinquecento e il Seicento. Risultati concreti si
ottennero nel 1731, grazie all'opera di un fornaciaro romano, Alessio
Mattioli, il quale trovò la maniera di comporre infinite gradazioni di
tinte, oltreché una speciale pasta detta "scorzetta" e un raro colore,
il "porporino", che sostituì definitivamente il "rubino" proveniente da
Murano. La qualità più apprezzata delle paste del Mattioli era l'opacità
che, eliminando l'effetto traslucido tipico degli smalti veneti,
consentiva di riprodurre le più sofisticate vibrazioni di colore della
pittura. Alla fine deI XVIII secolo lo Studio Vaticano poteva contare
più di 15.300 differenti tinte di smalti. Le paste del Mattioli, messe
di nuovo sul fuoco potevano essere ridotte a qualsiasi forma.
Bacchette lunghe da
cui I'artista trae tessere minute
Questo procedimento noto come filatura dello smalto, permetteva di
ottenere delle bacchette lunghe e sottili dalle quali l'artista traeva
poi con delle pinzette e delle lime tessere minutissime, di sezione
inferiore al millimetro e non più lunghe di due millimetri. Le prime
realizzazioni in miniatura furono eseguite da Giacomo Raffaelli,
operante in privato, ed esponeva i suoi oggetti nella sua bottega presso
Piazza di Spagna. In brevissimo tempo le vie adiacenti si popolarono di
botteghe artigiane ad accrescere la produzione. La zona era infatti meta
principale di una clientela formata soprattutto da turisti
internazionali che mostrarono ben presto di apprezzare particolarmente
questi piccoli capolavori; ai mosaicisti romani cominciarono a provenire
ordinazioni dai principali Paesi europei e in particolare
dall'Inghilterra, dalla Russia e dall'Austria.
Negli anni che vanno dall'ultimo venticinquennio del Settecento alla
corrispondenza epoca del secolo successivo le vicende dei mosaicisti
romani si mescolano indissolubilmente con le vicende politiche,
economiche e sociali della Roma del tempo. Infatti fu proprio con la
ventata laica legata all'occupazione napoleonica che l'iconografia dei
mosaicini, rifuggendo dalle tematiche religiose dei mosaici in grande,
cominciò a orientarsi verso il soggetto profano.
Alcuni soggetti si prestavano certamente meglio di altri alla
realizzazione di opere in piccolo. È il caso, per esempio, di quelli di
tipo allegorico o simbolico che si collocano storicamente in fase
produttiva dell'ultimo scorcio del Settecento e che interpretano di
quest'epoca una delle componenti culturali più profonde e proprie
dell'atmosfera neoclassica. Fra i soggetti preferiti dunque vi sono
animali, scene di caccia - che spesso andavano a decorare le tabacchiere
- scene di vita popolare e le classiche vedute delle rovine romane (di
chiaro riallaccio alle tematiche romantiche), interesse dei viaggiatori
stranieri che potevano così conservare un ricordo della città da loro
visitata.
Alessandra Doratti