MESTIZIA PER UN
ARTISTA
Giuliano Confalonieri
Michelangelo, Pietà
Rondanini, 1552-1564. Milano, Castello Sforzesco
Quando ti trovi davanti alla Pietà Rondanini, l’emozione è quella
di rivivere l’attimo in cui Michelangelo Buonarroti – ottantenne –
dovette abbandonare mazza e scalpello di fianco alla scultura
incompiuta. Palpita ancora l’alone dell’artista e della sua malinconia
dopo l’ultimo colpo ma soprattutto aleggia la babele di sentimenti
lasciata dalle migliaia di visitatori. Solitaria nella saletta riservata
del Castello Sforzesco di Milano, la statua lascia attoniti per la forza
espressiva di una scultura abbozzata, più efficace di una statua
levigata. Non interessano qui la vita e le opere del grande artista
quanto le sensazioni di un turista qualunque di fronte alla Pietà
Rondanini (cognome dei marchesi che l’acquistarono a suo tempo e
acquisita dal Comune di Milano nel 1952), “la statua principiata per un
Cristo et un’altra figura di sopra, attaccate insieme, sbozzate e
non finite”. Figure che sembrano inutilmente dibattersi contro
un'angosciosa oppressione, materializzata dalla pietra che ancora li
rinserra: si prova un’impressione tetra malgrado l’eleganza delle
sinuosità che tendono verso l’alto, auliche e leggere nonostante
l’argomento triste testimoniato dal dolore di una madre che sorregge il
corpo del figlio morto. Ecce homo: la morte come atto finale
della storia dell’umanità, immane tragedia che coinvolge l’intera razza.
Identifichiamoci nell’artista, vestiamo i suoi panni e guardiamo le sue
mani usurate dall’uso del martello su materiali duri e percepiremo lo
scorrere della linfa vitale nelle arterie di Michelangelo, strettamente
congiunte ai comandi del cervello. Evidenti sui corpi allacciati i colpi
di scalpello che il maestro incideva uno dopo l’altro sul materiale
amorfo in attesa di fargli prendere vita propria. L’ansia di creare che
già vedeva il prodotto finito era castrata dalla mente che inviava i
comandi alle braccia e alle mani perchè non riusciva a gestire
completamente il movimento. Così nervosismo e depressione – forse –
compromettevano il lavoro lasciandolo insoddisfatto. Intorno a lui il
calpestio dei ragazzi di bottega che, curiosi o ansiosi di apprendere
dall’esperienza del maestro, gli giravano attorno senza tuttavia
disturbare la sua concentrazione. Cominciava il lavoro sulla Pietà
con incertezza poiché, pur avendo la forma già elaborata come idea, non
si decideva a prendere in mano gli arnesi per ritagliare un’opera che
presumeva fosse l’ultima sua creazione. Si avvicinò al blocco squadrato
e lo vide come sarebbe diventato dopo il suo lavoro. Sapeva che doveva
semplicemente togliere il superfluo da quella massa geometrica ma
conosceva anche la fatica che avrebbe dovuto compiere per raggiungere il
risultato voluto. Si fermò davanti alla massa senza significato e pensò
dove avrebbe dato il primo colpo per dare forma all’informe. Girò
intorno e individuò il punto esatto dove colpire. Iniziò così quel
lavoro che non riuscirà a finire ma che ha lasciato un segno tangibile
nella storia dell’arte.
Giuliano Confalonieri
giuliano.confalonieri@alice.it
(2012)