Matisse, il colore,
le linee, la luce.
Alessandra Doratti
Henry Matisse nasce nel 1869 a Le Cateau-Cambrésis nel nord della
Francia da una famiglia di commercianti. Nel 1888, appena terminati gli
studi liceali si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell'università
di Parigi. Purtroppo nei due anni a venire lo coglie una malattia ed è
costretto a passare un anno a letto; intanto per non annoiarsi inizia a
dipingere. Insorge in lui la passione per la pittura e così abbandona
gli studi e decide di frequentare l'accademia Julian; entra poi nello
studio di Gustave Moreau all'Ecole des Beaux Arts dove stringe amicizia
con gli altri artisti del tempo. Da qui incomincia il suo cammino
"interminabile" verso l'arte, che non lo abbandonerà più per il resto
della vita. Muore nel 1954 a 84 anni.
L'immagine che a noi rimane di questo personaggio è un'immagine
piuttosto austera e borghese, specie se si prende in considerazione la
sua vita, calma e pacata. Sempre circondata dalla famiglia,
onnipresente, e se si sommano a tutto ciò gli ultimi dieci anni
trascorsi dall'artista in solitudine, quando ormai aveva raggiunto
l'apice della fama e della celebrità, non sembra possibile come egli
concentrò la propria energia, che riuscì poi a esprimere al massimo
livello in alcune delle sue ultime invenzioni che risultano essere i
suoi più alti lampi di genio.
Matisse fu uno dei padri del Modernismo del XX secolo e contrariamente
agli altri artisti che furono, per così dire, parte di questo
"movimento", attinse da sé stesso, dalla sua forza espressiva interiore
i caratteri che lo resero un personaggio dominante del suo tempo.
Nel 1905, al Salon d'Automne di Parigi viene consacrato il Fauvismo
(esaltazione esagerata del colore di per sé stesso): utilizzando dei
toni puri accostati tra loro che l'occhio è capace di integrare si
creano delle figure che però liberano la pittura dal trattamento del
soggetto. È il colore che dà il ritmo alle forme, affiancato dalle
linee, spesso rinvigorite da tratti neri che servono a far ottenere una
certa espressività. Tutto ciò deriva dall'impressionismo precedente, ma
è incontestabile l'influenza di Césanne che predicò sempre «la
riflessione modifica la visione» e spinse così ancor di più la pittura a
orientarsi verso il modernismo con l'interazione tra colore e strutture
compositive; così grazie alle sue ricerche tutto il problema della
rappresentazione del soggetto viene messa in discussione. E il genio di
Matisse se ne troverà liberato. In un'intervista del 1925 concessa
all'Art Vivant Matisse dichiara: «Da parte mia, non ho mai evitato
l'influenza altrui; l'avrei considerata una viltà e una mancanza di
sincerità verso me stesso». Lo stesso anno confermerà poi: «Il giovane
pittore che non può svincolarsi dall'influenza della generazione
precedente va verso l'insabbiamento». Dunque, ci appaiono le sue opere
degli anni jauve come assimilate, ma totalmente trasformate ed esuli da
quelle strutture cézanniane tanto formali quanto di pensiero.
Quelle vetrate di una bellezza musicale
Matisse raggiungerà nella sua vita la massima esaltazione del colore
nella vetrata della scuola materna di Le Cateau Cambrésis dove il colore
riempirà ogni intervallo degli spazi luce, in una musica così personale
e così pura che ancora oggi rimane ineguagliata: «I colori hanno una
loro bellezza che bisogna preservare, come una musica nella quale si
cerchi di conservare i timbri. I problemi di organizzazione e di
costruzione non devono attenuare quella bella freschezza del colore».
Nel divisionismo, o pointillisme, precedente, Matisse trova il modo di
fare un passaggio fuggevole (es. "Lusso, calma e voluttà" - tela
acquistata a New York dallo stesso Signac) di fronte al dogmatismo e si
spinge ancora oltre, nel carattere fauve del colore.
Matisse, vicino ai 40 anni, approfondisce il suo modo di dipingere e la
sua tecnica, la purifica. Il suo cammino sarà d'ora in avanti
accompagnato sempre da una linea curva e le sue forme saranno
semplificate al massimo, immerse nel colore. Le curve matissiane sono di
due tipi: la prima incarna il soggetto, lo rappresenta e lo esprime con
forza e personalità; la seconda si eleva e si purifica e sprigiona un
sentimento universale, fuori dal tempo, quasi astratto.
Prendiamo a esempio
il famoso quadro "La danza" del 1909 (Museum of Modern Art, New York),
qui l'autore ha trattato la forma, in movimento o ferma, che si staglia
su sfondi colorati. I blu e i verdi, danno spicco ai rossi e ai neri in
ritmi che non consentono di distinguere se le superfici sovrastano la
linea, se le masse contano più del ritmo, se la curva delle superfici si
offrono al tratto ben definito o se lo spirito curvo di queste non
prevalga sul racconto della scena, data la sensazione di infinito che ne
scaturisce e che porta a un'astrazione del reale o, più ancora, una
sovraespressione di esso nella semplificazione dei dettagli
rappresentati.
Questo stile, che, giocando coi rapporti tra superfici piatte e ritmi
lineari, segnò fortemente la pittura di Claude Monet e quella di
Gauguin, fu quello dell'arte giapponese; ma Matisse inventa un'arte dove
coesistono il rigore dell'equilibrio dello spirito architettonico
francese con gli eccessi di calore delle masse, per cui egli ormai gioca
con l'espressività non più del soggetto, bensì della forma vista di per
se stessa, come nella musica. L'apoteosi di tale sistema, verrà
realizzata e portata a compimento da Matisse negli ultimi anni della sua
vita, sebbene in quel periodo si ebbe il dialogare del cubismo, le sue
linee e le superfici non possono aderire alla disgregazione
interpretativa delle forme e delle linee del reale dei cubisti.
Dobbiamo ricordare però che la linea da sola, non rappresenta niente,
essa prevede sempre una compagnia, in modo tale da creare così il volume
che primeggia nel disegno, come l'ha utilizzato Matisse nelle sue
litografie a cavallo tra gli anni Venti e Trenta.
"La grande Odalisca"
(1925) riunisce in una sola incisione tutte le invenzioni ritmiche più
propriamente matissiane.
Così studiai e
dipinsi "La danza"
"La danza" ebbe una grande influenza nell'arte di Matisse. Essa fu una
composizione creata appositamente per uno spazio esistente, dove
l'artista affrontava i problemi della tela con il colore. Matisse prende
in considerazione uno spazio e se ne appropria per racchiudervi delle
composizioni monumentali che amplificano maggiormente i volumi
architettonici e che ancora ci sorprendono per la loro modernità.
Prendiamo per esempio i pannelli di Parigi (Musée d'Art Moderne de la
Ville) che sono considerati tre capolavori dell'artista. Egli in merito
si espresse così: «Questa danza l'avevo già in me da molto tempo e già
l'avevo espresso in "La joie de vivre" e poi nella mia prima grande
opera. Tuttavia, questa volta, volendo fare degli schizzi su tre tele di
un metro, non vi riuscii.
«Alla fine presi tre tele di cinque metri, con le stesse dimensioni
della parete, e un giorno, armato di un carboncino in cima a una canna,
mi misi a disegnare il tutto contemporaneamente. C'era in me un ritmo
che mi spingeva. Avevo la superficie in testa. Ma a disegno finito, al
momento di mettere il colore, dovetti cambiare tutte le forme previste.
Dovevo riempire il tutto e fare in modo che l'insieme restasse
architettonico. D'altro canto, dovevo accostarmi da vicino alla muratura
perché le linee potessero resistere agli enormi blocchi in rilievo del
ricasco degli archi; e più ancora perché potessero traversarli e
avessero sufficiente slancio per riunirsi le une alle altre. Per creare
il tutto e ottenere qualcosa che vivesse, cantasse, non potevo che
cercare a tentoni, modificando continuamente la mia scacchiera tonale e
i miei neri».
Oltre alla novità del procedimento per un pittore da cavalletto e un
disegnatore d'interni, la danza fece si che si poté definire quel tipo
di pittura come "decorativa" in un periodo in cui lo stile Déco
raggiungeva l'apice.
La pittura di Matisse si allontanerà nel tempo, quello futuro, verso
innovazioni che ci sorprendono ancora oggi. Pittura alimentata da tutta
una vita di approfondimento del progetto, nella ricerca sempre rinnovata
dall'espressione dove una grande purezza avrà fino alle ultime opere un
posto sempre più predominante, una purezza connessa a una libertà di
stile ugualmente in crescita: «Bisogna saper serbare ancora la
freschezza dell'infanzia a contatto con gli oggetti, preservare
quell'ingenuità» sosteneva il critico francese André Verdet nel 1954 in
Prestiges de Matisse.
Alessandra Doratti