Lo sviluppo urbanistico di Trieste fra
il Settecento e l'Ottocento
Alessandra Doratti
All'inizio del XVIII secolo, ammesso che
si possa osservarla dall'alto, la città si presenta sotto forma di
cuore. Con la punta rivolta verso la cattedrale di S. Giusto. Tutta
racchiusa, come una noce, nelle forti e possenti mura grigie e turrite;
con in alto il castello, vano spauracchio dei turchi e con il mare che
le fa da specchio. Di sotto il porticciolo interno, costruito nel 1620
dal goriziano Giacomo Vintana e difeso dal molo della Bandiera;
nell'interno vi è un pullulare di barche con lunghe antenne svettanti
tra l'intrico del sartiame. Dopo il tramonto, quando vengono chiuse le
porte della città, una robustissima catena viene tesa tra i due moli
(quello della Bandiera e quello a gomito).
Nella parte bassa tra il Mandracchio e la porta di Riborgo, si stende la
plaga delle saline. Il principale collettore è il Canal Grande, o
Maestro, che riceve l'acqua dal torrente S. Pelagio il quale scende
dalla sorgente di S. Giovanni, anticamente sfruttata dai romani e che si
congiunge al torrente delle Sexfontanis. Altra fonte d'acqua dolce
indispensabile, alimenta il torrente di Colonia che si incanala nella
Valdirif (Valdirivo) e che muove l'unica ruota del Mulino piccolo,
ingrossato dalla fonte di S. Nicoforo, già detta della Zonta. Altra
acqua ancora scorre giù da Romagna e s'incanala nel fossato detto della
Jepa.
Il Canale del Vino o Canal Piccolo, dove si inoltrano le imbarcazioni da
carico, taglia l'ultimo tratto delle saline all'esterno delle mura di
Malcanton e si spinge dentro la città attraverso la Portizza. Dunque il
commercio del vino si sviluppa nella Piazza Piccola, non lontano dalla
chiesa della Madonna del Rosario. Un ponte sul canale assicura il
passaggio lungo il pomerio interno alle mura.
Davanti al Mandracchio si apre la porta della torre del porto, detta
anche dell'Orologio. Sotto l'arcata della torre un cesendolo illumina
una pala della Beata Vergine con i Santi Giusto e Sergio, che sarà
sostituita un secolo più tardi con un'altra immagine venerata della
Madonna, detta Madonna del porto. Qui, ogni sera, dopo il colpo di
cannone che metteva fine alla giornata di lavoro, i marinai pregano e
recitano il rosario tutti riuniti.
Due automi di bronzo segnano i quarti e le ore dell'Orologio, che ha due
quadranti uno interno alla piazza e l' altro esterno, sul porticciolo.
Il popolino ha dato loro un nome – Michez e Jachez – che durerà nel
tempo e forse trae origine dal ricordo di due severi giudici che nel
Medioevo facevano leggere al banditore le loro terribili sentenze a
suono di campana. Sul molo Bandiera si erige maestosa la torre della
Beccheria, dall'altra parte invece domina la torre Fradella.
Dunque le torri del porto sono tre. La cortina prosegue lungo la
spiaggia dove ha sede lo squero della Confraternita di S. Nicolò dei
Marinai, dal quale prenderà nome la prossima torre. La pescheria, che
prima si trovava sulla riva del Mandracchio, si è spostata verso Cavana
da dove l'accesso è facilitato. Oltre ancora troviamo il Fortino, un'
opera di difesa posta al gomito delle mura che da qui salgono verso la
porta di Cavana dove si trova un ponte levatoio. La spiaggia è bassa e
frastagliata e riceve le acque del Fontanone; la zona si presta al
ricovero delle barche. Si costruiscono dei bacini coperti da canne di
paglia che vengono denominati cavane.
Nei pressi del Fontanone, alimentato dall'acquedotto romano, vi è un
grosso bastione e più in su il Barbacane o porta di S. Michele. Salendo
la valle di S. Michele, dove vi è una strada, giungiamo alle mura del
castello, dove non ci sono più porte ad eccezione di alcune segrete di
sortita per l'uscita eventuale di pattuglie in caso d'assedio.
Dall'altro lato della città abbiamo varie porte ben difese dopo la porta
del Vino o Portizza, vi è quella delle Saline, quella di Riborgo
protetta da due torri e dal ponte levatoio con le statue protettrici di
S. Filippo e di S. Giacomo. Più in alto un'importante porta s' innalza:
è quella di Donota. Poi c'è la torre–scudo detta Cucherna (di tutte la
sola superstite che possiamo ancora vedere) alla quale venivano
appiccati i traditori della patria. Tra questa e il castello si erge
un'ulteriore torre detta delle Monache, proprio perché nel 1369 le
Benedettine possedevano una vasta proprietà sotto il castello e lì vi
era il loro convento. Le mura sono ancora quelle restaurate nel 1511
dopo il terribile terremoto giunto dal Friuli che fece crollare anche le
torri del porto.
Fuori dalle mura, la vasta campagna
sparse di casupole è coltivata a orti, vigneti e frutteti e a monte
delle saline vi è una strada che parte da Contovello e porta verso il
Friuli e la Carinzia passando sopra il torrente Roiano. Fuori dalla
porta di Riborgo invece la confraternita di S. Nicolò dei Marinai è
patrocinata dal Comune che riconosce benefici ai marinai inabili, vedove
e orfani. S. Nicolò e la sua proprietà finiscono nella strada che porta
a S. Giovanni dove vi è l'ospedale dei lebbrosi, che poi scomparirà per
fare posto alla piazza Carlo Goldoni.
Lungo la strada per Lubiana ci sono le concerie gestite dagli ebrei e la
chiesetta di S. Apollinare con il piccolo cimitero che raccoglie i
defunti di campagna. Il cimitero israelitico invece si trova oltre la
porta di Donota, dove il monte sale verso il castello. Di là dal
castello vi sono chiese e cappelle ricordate poi nei toponimi di piazze
e vie successivamente sorte. La riva di sinistra è denominata strada di
S. Pelagio dalla chiesetta romanica posta alle sorgenti del corso
d'acqua nella valle di S. Giovanni, che è tuttora esistente.
Interessante è la zona fuori dalla porta Cavana e la località dei
Santissimi Martiri, dove si adagiano alcune piccole imbarcazioni di
pescatori ed il convento dei padri cappuccini con la chiesa di S.
Apollinare, demolita nel 1787. Di fronte all' odierno palazzo Vicco,
sede della curia vescovile, vi è la chiesa dell'Annunziata e l'ospedale
delle donne. A monte la chiesa della Madonna del Mare con la torre e
l'antichissimo cimitero dove si vuole sia stato sepolto S. Giusto.
Importante è anche la chiesa della Beata Vergine del Soccorso, che il
popolo chiama S. Antonio Vecchio nell'odierna piazza Hortis, dove allora
sorgeva il chiostro del convento e subito dietro il cimitero. La chiesa
era sede della confraternita delle Tredise Casade, ossia le famiglie
patrizie triestine chiamate anche con vena canzonatoria dal popolo
Confraternita del Moccolo, poiché i patrizi accompagnavano il Santissimo
nelle processioni solenni con una lunga cappa purpurea, lo spadino e il
cero in mano. Infine sulla destra dell'attuale via Torino, isolato nella
campagna sorge il convento di S. Giusto con l'ospedale per i pellegrini,
amministrato dai frati della Misericordia di S. Giovanni di Dio. Al
tempo sei sono le chiese, due gli ospedali e tre i cimiteri che
caratterizzano la zona fuori porta Cavana; lontana ed isolata sulla
spiaggia dell'altro versante vi è la chiesa di S. Andrea, già esistente
nel XII secolo e restaurata poi nel '600. Nel 1735 l' edificio sarà
circondato da un cimitero durante la guerra di secessione polacca,
quando molti soldati moriranno nel lazzaretto di S. Carlo. Trieste,
attraverso le stampe documenta lo sviluppo urbanistico della città dagli
inizi del Settecento alla fine dell'Ottocento, sulla scorta di un
importante lavoro di ricerche e di archivio. L'itinerario lungo due
secoli ha visto l'antico borgo di pescatori assurgere a dignità di
emporio e di unico sbocco sul mare dell'impero austroungarico. Da
un'immagine di città rinchiusa gelosamente nella cinta muraria (quindi
nelle sue istituzioni, nelle sue chiese, nella sua vita sociale), per
poi documentare con ricchezza ed esattezza il grande sconvolgimento
politico ed economico prodotto da Carlo VI con la concessione del
portofranco (1719). Alla crescita economica si accompagna
inevitabilmente il calo dell'autonomia, sicché Maria Teresa incontra non
pochi ostacoli da parte del patriziato nel suo lungimirante disegno di
"fondere il vecchio e il nuovo".
Alessandra Doratti