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Zoo di Murano

 

 

Plastiche vetrarie di soggetto animalista nelle produzioni artistiche muranesi del XX° secolo

 

 

Franco Deboni

 

 

 

 

Venini: Cavallino in vetro "pulegoso" disegno di Napoleone Martinuzzi, 1928.

 


uesta collezione, creata con amore e passione nel corso di lunghi anni di ricerca in tutto il mondo, vuole rappresentare nella maniera più esauriente possibile l’opera dei maestri vetrai muranesi nel corso del XX secolo, relativamente alle sculture aventi come soggetto il mondo animale, partendo dalle prime esperienze dei Venini, Barovier, Cappellin della fine degli anni Venti, per arrivare agli artisti contemporanei del vetro, quali Lino Tagliapietra e Yoichi Ohira.

 

Il titolo di quest’opera, “Zoo di Murano”, vuole rappresentare, in maniera quasi scherzosa, il contenuto della collezione, che pur nella sua omogeneità, si è voluta concedere qualche sconfinamento nel mondo della flora, quasi una logica appendice o corollario a questi soggetti, ispirati comunque dalla natura che ci circonda. Alcune note introduttive sulla storia dell’arte vetraria in relazione alle opere di soggetto animale, ci daranno modo di inquadrare al meglio l’importanza che queste piccole, graziose sculture hanno rappresentato da sempre, nelle produzioni di ogni paese noto per l’eccellenza delle sue creazioni vetrarie.

 

 

 

Barorier & C.: "piccione in vetro "fenicio". 1930.

Barorier & C.: "piccione in vetro "fenicio". 1930.



nche se le origini dell’arte vetraria sono tuttora incerte, comunemente si fa risalire a circa tremila anni prima dell’era di cristiana con i primi rudimentali manufatti rinvenuti in Mesopotamia.  Figure fuse a stampo, colorate con ossidi metallici, erano conosciute in Egitto circa 2500 anni prima di Cristo. Questi manufatti, considerati più preziosi di oro e gioielli, venivano usati come ornamento dalla nobiltà egiziana. Nel corso dei secoli seguenti le tecniche divennero sempre più sofisticate e la conoscenza del vetro andò via via diffondendosi nel bacino del Mediterraneo, finché Alessandria d’Egitto, verso il terzo secolo a. C. divenne il centro più importante per la manifattura vetraria.


Studiando queste produzioni, risulta subito evidente la frequenza con cui appaiono soggetti animali, sia come piccole sculture fuse a stampo, sia come figure realizzate con la tecnica delle murrine, sia come decori dipinti o istoriati sulle superfici di vasi o ciotole.
Il perché gli artisti del vetro abbiano da sempre nutrito questa sorta di predilezione per il mondo animale come fonte di ispirazione, non ci è dato di sapere con precisione: certo ci dobbiamo immaginare che fossero mossi da una particolare passione o ammirazione per questo o quell’animale, a volte forse spinti da motivazioni religiose o scaramantiche.
Ad esempio il gatto domestico era venerato dagli antichi Egizi, in quanto ritenuto un protettore delle granaglie contro i parassiti; spesso gli artisti riproducevano animali tipici delle loro zone di appartenenza, come i dromedari, riprodotti a guisa di fiasche, dai maestri siriani tra il sesto e l’ottavo secolo d.C.

 

 

Venini: "liocorno" in vetro pulegoso. Napoleone Martinuzzi, 1928.


Oppure pensiamo ai vetrai boemi che nel XVIII e XIX secolo usavano impreziosire i loro manufatti di cristallo con scene di caccia al cervo o all’orso, finemente incise alla ruota o decorate con smalti policromi. Talvolta venivano scelti soggetti animali in base alla loro popolarità presso il grande pubblico, o per le potenzialità espressive che offrivano all’artista, pensiamo ad esempio ai vetri di Louis Comfort Tiffany, che riprendeva nei suoi vetri le ricche sfumature di colore delle penne dei pavoni.
Siano essi domestici o selvaggi, frutto di osservazione diretta o semplici creature immaginarie, gli animali hanno rappresentato da oltre 4.000 anni una inesauribile fonte di ispirazione per gli artisti del vetro, che hanno saputo renderne con questo fantastico materiale, la leggiadria di forme e la straordinaria ricchezza di colori.
Per quanto concerne l’Italia, Murano domina la nostra scena artistica da circa un millennio, e le famiglie di vetrai si tramandano da generazioni questa straordinaria tradizione artistica.

 

 

 

Venini: "colombe". Tyra Lundgren, 1938.

Venini: "colombe". Tyra Lundgren, 1938.

 


Anche nel nostro paese gli animali sono fonte di ispirazione sin dall’antichità: forse il primo manufatto vetrario conosciuto, di soggetto animale, è una piccola figura di topo, attribuibile ad epoca romana, conservata presso il Museo Vetrario di Murano. Ma tornando a Venezia e ai suoi maestri vetrai, ricordiamo che già nel XVI e XVII secolo sorse in uso l’abitudine di soffiare dei lumi ad olio in forma di cavalli con il corpo e le zampe in vetro incolore, e a volte alcuni dettagli in vetro blu. In seguito fu soprattutto durante il XVIII e XIX secolo che i vetrai si ispirarono ripetutamente al mondo animale, più spesso ricorrendo a figure fantastiche, quali draghi e grifoni, realizzati in paste policrome, vetro “avventurina”, inclusioni d’oro e argento, che miravano ad impreziosire questi manufatti, già di per sé particolarmente complessi ed elaborati da un punto di vista esecutivo.
In questo genere di produzioni si distinse particolarmente la vetreria Salviati, presente alle principali esposizioni internazionali sin dalla metà dell’Ottocento, dove ottenne sempre i massimi riconoscimenti per la straordinaria qualità degli oggetti proposti.
Ma fu soltanto nel ventesimo secolo, il periodo preso da noi in considerazione relativamente a questa collezione, che i maestri vetrai muranesi seppero raggiungere un livello creativo, artistico e qualitativo mai eguagliato da nessun’altra manifattura vetraria di altro paese, sia per la varietà dei soggetti animali proposti, sia per la ricchezza dei colori e per la quantità di tecniche diverse utilizzate.


E’ verso la fine degli anni Venti che le grandi firme dell’arte vetraria muranese iniziarono a produrre straordinarie figurine in vetro soffiato, traendo soggetti dalla fauna di tutto il mondo. Ercole Barovier fu tra i primi, e le sue produzioni fecero bella mostra di sé alle più importanti esposizioni internazionali. Sulle pagine di Domus nel giugno 1929, Gio Ponti scrisse un famoso servizio dal titolo “Barovier ovvero il Balletto delle Fiere”, dove, parlando della testimonianza fotografica della “bella e venezianissima virtuosità” dei vetri di Barovier, disse che gli facevano “pensare quasi a scene di un balletto ove dei pupi di vetro, levando in alto delle magiche coppe domano fiere leggiadramente terribili”.
La produzione di Barovier fu ricca di soggetti animali, i più svariati, eseguiti con molteplici tecniche, ma il suo capolavoro rimase il celebre piccione “Primavera”, presentato alla XVII Biennale di Venezia, nel 1930, oggetto questo ormai assunto quasi a simbolo di tutta la nuova produzione vetraria muranese del ventesimo secolo.

 

 

 

MVM Cappellin & C.: "pesce". 1930.

 

 

 

Non furono da meno i modelli che uscirono dalla fornace di Giacomo Cappellin: si trattava di esemplari stupendi per ricchezza di materiali e stilizzazione di forme, venati di un sottile umorismo, alcuni sicuramente riconducibili alla mano di Carlo Scarpa, per i decori geometrici a murrine ad anelli concentrici: erano lattimi e paste vitree aurate e argentate, lievi pulegosi iridati, oggetti raffinatissimi più volte citati nelle pubblicazioni d’epoca.
Anche la fornace di Paolo Venini fu ben presente in questo settore, grazie all’estro creativo del suo direttore artistico, lo scultore Napoleone Martinuzzi e a proposito delle prime produzioni Venini di animali, alla fine degli anni ’20, scrisse Gio Ponti su Domus del febbraio 1929:
“Negli animali caratteristici e grotteschi che le fornaci di Venini han presentato all’ultima Biennale di Venezia e che ornano queste pagine, noi riconosciamo il temperamento creativo di Napoleone Martinuzzi, che non sapremmo se meglio ammirare come scultore o come creatore di vetri, certo che la sua presenza come scultore, e dello scultore di vigorosi bronzi che conosciamo, è confessata subito da questi vetri nei quali come un impeto di modellazione riempie e sforza la fragilissima materia”.


Tutti i soggetti trattati risultarono particolarmente ben riusciti, ma tra essi spiccavano soprattutto deliziosi cavallini stilizzati, dai colori irreali, blu cobalto o azzurro cielo, cinghiali in pulegoso verde, delfini slanciati o elefanti indolenti, magari rosso corallo o blu.
Anche dopo la sua uscita dalla Venini, Napoleone Martinuzzi continuò a disegnare figure di animali, realizzati in paste policrome presso la sua ditta, la Zecchin-Martinuzzi, per mano dell’allora giovanissimo maestro vetraio Alfredo Barbini, di cui avremo ampiamente modo di occuparci in seguito.
Per un breve periodo di tempo la direzione artistica della Venini venne presa dall’architetto Tomaso Buzzi, a cui si devono la realizzazione di alcune eleganti figure di uccelli, realizzati per lo più in vetro lattimo con foglia argento oppure, più spesso, in filigrana bianca o nera. 

 

Altre ditte in quei primi anni si distinsero, tra le tante SAIAR-Ferro-Toso, che su disegno del pittore Guido Balsamo Stella, produsse delle leggiadre figurine di gazzelle in vetro iridato ed altre di soggetto animale. Tali realizzazioni riscossero un grande successo di critica e di pubblico, al punto che una di esse, una figurina di ermellino ritto sulle zampe posteriori, nell’atto di appoggiarsi ad una grande campana blu, venne scelto, oggi diremmo come “logo” della III Mostra Internazionale di Arti Decorative di Monza nel 1930, mostra che pochi anni dopo, trasferita a Milano, sarebbe diventata la celebre “Triennale”.

Alla metà degli anni Trenta approdò a Murano una giovane ceramista svedese, specializzata già allora in figure di animali, che presso le fornaci Venini, aiutata dalla lungimiranza del proprietario, Paolo Venini, realizzò in vetro tutta una serie di uccelli e pesci, caratterizzati da eleganti stilizzazioni, unite a colori tenui e delicati, dalle superfici iridate o lievemente corrose ad acido, modellate tenendo in gran conto le movenze caratteristiche di ogni singolo animale, dando prova di una conoscenza naturalistica non comune. Questi modelli vennero presentati per la prima volta alla XXI Biennale di Venezia del 1938, ed ottennero subito un grande successo: la stampa dell’epoca dedicò ampi spazi alle creazioni della designer svedese, elogiandola per il gusto squisito e tenero, per la perfezione delle anatomie e per il modo in cui lei rendeva partecipi di questo suo mondo poetico, attraverso immagini dolci e sensibili. La collaborazione con la Venini continuò anche nel secondo dopoguerra, con una serie di pesci e anguille presentati alla XXIV Biennale di Venezia nel 1948.

Una delle più importanti innovazioni tecniche, dal punto di vista esecutivo, venne presentata alla XXI Biennale di Venezia del 1938, ad opera della Seguso Vetri d’Arte: vennero proposte una serie di figure di animali, pesci, toro, volpe e sopra tutti l’ippopotamo, “eseguite a massello ed ottenute da un solo blocco di vetro a larga modellazione, d’un verde freddo e delicato” (Domus n. 127, luglio 1938, pag. 62). A disegnare queste sculture fu un giovane artista, Flavio Poli, già autore di leggiadre figurine in vetro soffiato, quali leoni, orsi o tigri, per la vetreria IVAM di Giovita Vitali, destinato a diventare negli anni ’50 uno dei più acclamati designer internazionali del vetro, capace di fondere le policromie veneziane con le forme eteree care alla tradizione nord-europea, eseguendo una serie di animali in vetro “sommerso” dalla stilizzazione elegante e precisa. Ad eseguire quelle prime sculture massicce fu quello straordinario maestro vetraio che rispondeva al nome di Archimede Seguso, a sua volta creatore, negli anni ’50, di molte figure di animali venate di un sottile e giocoso umorismo, unitamente a tecniche raffinate.
Ci piace ricordare l’importanza delle prime sculture di Flavio Poli, che rappresentarono i capostipiti di tutte le sculture in vetro massiccio negli anni a venire, portando nel panorama muranese una vera e propria “rivoluzione” tecnica, che ebbe grande risalto presso la stampa dell’epoca, seppur osteggiata, nei primi tempi, da quei critici puristi che tenevano in grande considerazione soltanto i sottili vetri “soffiati”.

Dello stesso periodo, antecedente la seconda guerra, meritano di essere ricordate le realizzazioni della VAMSA (Vetri Artistici Muranesi Società Anonima) a
d opera del celebre maestro Alfredo Barbini, per lo più animali legati all’ambiente lagunare, quali pesci, gabbiani, folaghe, eseguiti con grande realismo, attraverso l’uso di paste vitree dai colori delicati, o con l’impiego della tecnica detta del “vetro fumato”, caratterizzata da sfumature semitrasparenti all’interno della massa vetrosa. Ricordiamo anche tutta una serie di grandi coppe in vetro massiccio caratterizzate da figure di animali in paste vitree applicate sui bordi, sempre ad opera del maestro vetraio Alfredo Barbini.
Egli ebbe modo di distinguersi anche in seguito, quando nel dopoguerra aprì la sua fornace indipendente, eseguendo una famosa serie di tori e bufali in vetro “scavo”, una sua creazione che, attraverso l’uso di reagenti chimici trasformava la superficie vetrosa simile a quella dei vetri di epoca romana, con curiosi effetti di corrosione e opacità.

La fine della seconda guerra mondiale trovò l’isola di Murano in una profonda crisi, dovuta alle gravi difficoltà della ricostruzione, che seguivano un periodo prolungato di chiusura forzata o, nel migliore dei casi, di avvenuti cambiamenti produttivi in quelle poche fornaci che erano rimaste aperte e che si erano adattate alla soffiatura di boccette per medicinali o a bulbi per lampadine.

 

 

Venini: animali da cortile, Fulvio Bianconi, 1950.

 

 

 


Fu in quel panorama depresso che fece la sua comparsa un giovane disegnatore rivoluzionario di origine padovana, Fulvio Bianconi, scoperto da quel vero talent-scout dell’arte vetraria, che era Paolo Venini. Il rapporto tra il designer e la vetreria ebbe inizio sul finire degli anni ’40 e continuò, con vari intervalli, fino alla fine della sua attività creativa nei primi anni ’90. Da subito egli dimostrò una particolare predilezione per le figure tridimensionali, eseguite per lo più in vetro lattimo e paste policrome, tutte caratterizzate da una sottile vena umoristica, unita comunque ad una grande eleganza formale, che riprendevano la tradizione muranese delle plastiche vetrarie e la reinventavano come nessun altro aveva saputo fare sino a quel momento. Dell’opera di Fulvio Bianocni si sono occupati molti critici, e tra gli altri citiamo quanto scritto da Bruno Munari, nel 1958, relativamente alla sua vulcanica ed inesauribile capacità di produrre nuove idee e cromie:
“Quando Bianconi ha una certa quantità di schizzi e di appunti relativi ai vetri, parte e va a Murano dove, in alcune fornaci, i maestri vetrai lo aspettano per lavorare assieme. Perché Bianconi non è un artista da tavolino che studia i suoi vasi col compasso e la sezione aurea, egli ama invece andare direttamente in fornace a lavorare assieme al maestro ed è tanto il furore col quale Bianconi realizza i suoi vetri che riesce ad entrare nell’animo del maestro e farlo agire secondo il proprio volere”.
Per la Venini egli disegnò due serie particolarmente ricche e fortunate, quella degli “animali da cortile”, per lo più in paste policrome, e quella degli “animali acquatici”, in vetro trasparente decorato da sottili filamenti in lattimo o, più raramente , neri. A questi si aggiunsero poi, sempre per la Venini, figure di pappagalli, foche pinguini, pesci filiformi, tutti caratterizzati dal suo straordinario “sense of humor”.
Fulvio Bianconi rimane forse il più grande creatore di forme nuove, che abbia mai avuto il vetro veneziano: nonostante gli innumerevoli premi e riconoscimenti, egli conservò sempre la sua spontaneità e mai volle prendersi troppo sul serio, ed è forse questo uno dei motivi principali della sua grandezza.
Tra gli artisti che negli anni ’50 operarono a Murano, un nome in particolare deve essere ricordato, ed è quello del pittore Dino Martens, attivo presso la fornace Aureliano Toso. Utilizzando tecniche tradizionali in maniera assolutamente innovativa, egli disegnò numerosissimi oggetti straordinari, unici per fantasia e complessità di
esecuzione e, per quanto concerne i soggetti animali, a lui si devono numerose figure di uccelli e pesci, per lo più di forme fortemente stilizzate, colorate con polveri policrome o canne di zanfirico dalle trame inusuali, quasi tutti pezzi unici, spesso esposti alle Biennali di Venezia. Un pezzo in particolare va ricordato, un vaso a forma di pesce colorato, ricoperto da un grosso strato di vetro trasparente incolore, la cui superficie fortemente incisa da molature profonde, ondulate, a simboleggiare l’acqua con le sue diffrazioni luminose, che fu presentato con successo alla XXVII Biennale di Venezia nel 1954.
Quasi tutti gli artisti muranesi in quegli anni si cimentarono con soggetti di questo tipo, qualcuno con tecniche assolutamente innovative, come il già citato Alfredo Barbini, con i suoi “acquari”, grossi blocchi in vetro massiccio, con sommerse all’interno figure di animali, talvolta di un realismo impressionante.
Negli anni ’60 un episodio significativo della produzione vetraria, fu rappresentato dalla nutrita serie di animali in vetro “sommerso” disegnati da Antonio Da Ros, direttore artistico della Cenedese, come pure la serie di deliziosi uccellini in vetro soffiato con zampe in metallo, prodotti dalla Vistosi, su disegno di Alessandro Pianon e Peter Pelzel.

 

 

 

Fucina degli Angeli: "colomba volante". Alexander Calder. 1950.

 

Anche grandi artisti moderni, personaggi del calibro di Pablo Picasso e Alexander Calder o Max Ernst, si cimentarono con il vetro di Murano disegnando figure di animali poi realizzati dai migliori maestri vetrai, sotto la sapiente regia di Egidio Costantini, patron della Fucina degli Angeli: sono pezzi celebri, ampiamente documentati dalla stampa dell’epoca ed esposti nei principali musei d’arte moderna di tutto il mondo.

Alla metà degli anni ’60, un nuovo straordinario designer comparve sulla scena muranese, ecco come lo descrisse in un suo articolo pubblicato dalla rivista Domus, il celebre Gio Ponti:
“Ed ecco un veneziano, Toni Zuccheri, fra poco, se non già un architetto, artista di gusto sicuro, scoprire per me, e attuare, a Murano, alla scuola di Cà Venini, sapiente ed ingegnosa, “scoprire”, ripeto, tutto o quasi quel che si può fare e non s’era ancora fatto col vetro o dentro il vetro, coi colori dei vetri che lo compongono e con le loro paste diverse, con le inserzioni di murrine, di canne, e di finissime reti di metallo o di filigrana. Un nuovo mondo”.

 

 

Venini: "tacchino" Toni Zuccheri, 1964.


In un certo qual modo era un figlio d’arte, in quanto suo padre Luigi era uno stimato pittore, friulano di origine, ma veneziano d’adozione, noto per le sue nature morte venate di realismo magico, e per i paesaggi vagamente surreali, dove spesso in primo piano campeggiavano figure di piccoli animali, per lo più uccelli tipici della fauna veneta. Giunto in Venini nel 1963, ebbe modo da subito di dare prova della sua capacità creativa, realizzando a poco a poco il famoso “bestiario”, composto da una miriade di figure di uccelli, di grandi dimensioni, realizzati con la tecnica delle murrine, o con canne policrome, poggianti su zampe metalliche, ottenute da fusioni in bronzo a cera persa. Si trattava di oggetti magnifici, eseguiti in tiratura limitata, estremamente costosi, che rappresentavano la gamma più alta delle realizzazioni Venini di allora. Uno in particolare, la splendida “Upupa”, un vero trionfo di piume in pasta rossa e nera, è rimasto in produzione ancora ai giorni nostri.
Il “tacchino” e la “faraona” vennero presentati con successo alla XXXII Biennale di Venezia del 1964, e la Venini ne utilizzò per anni le immagini, nelle pubblicità proposte sulle pagine delle più importanti riviste.
In seguito il “bestiario” si arricchì di altri soggetti: anitre, gabbiani, piccioni, gufi, sempre per la fornace Venini. Ci furono poi delle collaborazioni con la Barovier & Toso, negli anni ’80, con una serie di coloratissimi cavalli e uccelli stilizzati.
Fino alla sua scomparsa, avvenuta prematuramente nel 2008, Toni Zuccheri continuò a dedicarsi alla creazione di opere vetrarie di soggetto animale, dando libero sfogo alla sua inesauribile fantasia, che ne ha fatto uno dei personaggi più significativi della storia del vetro veneziano.

La tradizione della manualità straordinaria, la fantasia sconfinata e l’eleganza di espressione rimangono comunque una prerogativa dei vetrai muranesi anche ai giorni nostri.
Con l’avvento dello “Studio-glass”, quel movimento artistico sorto negli Stati Uniti negli anni ’70, caratterizzato dall’uso del vetro come mezzo di espressione, alla stregua di marmo, bronzo, pittura ad olio, anche a Murano, forse la capitale mondiale dell’arte vetraria, sono uscite negli ultimi anni delle personalità forti e dotate, che hanno utilizzato il vetro in maniera creativa rinnovando il panorama delle proposte artistiche, e naturalmente non sono mancate le opere aventi come soggetto il mondo animale.
Ci riferiamo ad esempio a quello che è considerato il più grande muranese di questi ultimi anni, il maestro Lino Tagliapietra, universalmente riconosciuto come “uno dei pochi vetrai che può, con successo, trasmettere la propria sensibilità e intelligenza in un oggetto inanimato” (Susanne K. Fantz, curatrice per i vetri del XX secolo al Corning Museum of Glass, New York). Egli ha prodotto pochi pezzi ispirati per lo più a soggetti marini, quali pesci e conchiglie, nei quali comunque ha saputo profondere quelle che sono le sue note creative più caratteristiche.

Un altro personaggio emerso sulla scena vetraria in questi ultimi anni, è stato il giapponese Yoichi Ohira, ormai considerato a tutti gli effetti un muranese di adozione. Egli è oggi considerato uno degli artisti del vetro più rappresentativi a livello internazionale: “precisione, controllo, concisione, rigore e sicurezza, queste sono le qualità che Ohira sviluppa per darci queste rilevanti esibizioni della maestria nel vetro, unita con un concetto chiaro, forte ed elegante” (Jean Luc Olivier, curatore Centre du verre, Musée des Arts Décoratifs, Parigi). Anche l’artista giapponese, all’inizio della sua esperienza vetraria, coniugando la tradizione tecnica con modelli ispirati al rigore e purezza di linee tipici dell’oriente, ha prodotto con la De Majo alcune figure di uccelli fantastici, dai colori brillanti e dal segno grafico inconfondibile.
La tradizione di eseguire figure animali continua anche attraverso l’opera di altri artisti contemporanei del vetro muranese, quali Michele Burato, Pino Signoretto, Nicola Moretti, Lucio Bubacco, solo per citarne alcuni, dando prova dell’estrema vivacità e varietà di proposte innovative, che rendono sempre attuale e vivace questo settore così caratteristico delle produzioni vetrarie muranesi.
 


Franco Deboni