LE MASCHERE NELLA TRADIZIONE ITALIANA
Giuliano Confalonieri
Il variegato folklore delle nostre regioni ha generato anche una serie di ‘maschere’, nate probabilmente da arcaici rituali, il cui uso si è trasformato dall’antichità classica in un fenomeno di costume. In alcune culture è dipinta direttamente sul volto e serve per nascondere o alterare la persona per scopi diversi (lo sciamano, per esempio, usa maschere orripilanti per iniziare i novizi ai riti), per divertimento o per motivi di segretezza. Sembra che il centro di diffusione fosse Venezia, citata in una legge del 1295, ma anche le cerimonie tribali – molto più antiche – ne testimoniano l’uso reiterato. La maschera vuole solitamente ‘cancellare’ o nascondere temporaneamente l’individuo sostituendolo con tratti somatici simbolici (nell’antica religione messicana i sacerdoti portavano la maschera per identificarsi con la divinità, unendo così l’officiante con l’Essere Supremo). Usate anche in guerra dalle tribù per terrorizzare i nemici, nascondono l’individuo sostituendolo con personaggi mitologici, démoni o animali; in alcune dottrine servono per rappresentare l’idolo o il simulacro divino nelle funzioni funebri. In Italia sono impersonate dai personaggi classici della Commedia dell’Arte:
· Arlecchino la cui madre molto povera, gli cucì il costume con scampoli di tessuto multicolore. · Il bolognese dottor Balanzone, presuntuosa metafora della giustizia. · Il bergamasco Brighella, imbroglione e insolente con la povera gente; indossa una livrea con i padroni che ossequia pedissequamente. · Colombina, serva veneta pronta ad ogni ambiguità insieme alla padrona. · Gianduja, distratto piemontese al quale piacciono allegria e vino. · Gioppino bergamasco, la cui risata contagiosa copre assennatezza e furbizia, sempre alla ricerca di cibo per ingozzarsi. · Meneghino è la maschera milanese che mette alla berlina i difetti della classe nobile. · Pantalone veneziano assomiglia ad alcuni personaggi di Molière, avari e diffidenti che si intromettono nelle dispute con il risultato di essere picchiati dai contendenti. · Pulcinella (due gobbe e naso adunco) è la più antica maschera italiana conosciuta già al tempo dei Romani. Interpreta ogni ruolo: padrone, servo, magistrato nell’ambiente napoletano. · Rugantino romano è il simbolo dell’arroganza, insolente ma innocuo: “Me n’ha date tante ma quante je n’ho dette!”. Capitan Fracassa e Matamoros hanno atteggiamenti militareschi da fanfarone (identificano nel grottesco l’insofferenza italiana nei confronti dei dominatori spagnoli). Ogni regione ha coniato un nome o un costume nel quale identificare vizi e qualità della quotidianità. Si possono considerare maschere anche tipi come Charlot, diventato per merito di Charlie Chaplin la personificazione vivente di un’immagine concettuale.
giuliano.confalonieri@alice.it
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